Pieni di speranza ci troviamo a partire
io e
Marco per una due
giorni: meta da decidere entro Verona Nord tra una rosa di tre. Dire
“pieni di speranza” sembra che partiamo alla carlona, invece le
previsioni meteo le abbiamo ben scrutate e spulciate: certo che
partire e trovarsi qui nella bassa con tutto nuvoloso e temporali
sparsi, entrare in A22 e vedere un nero verso Mantova..fa strano! Ma
appena arriviamo in zona Lago di Garda, verso nord il cielo è
limpido: Carè Alto!
Per Marco è la seconda volta qui,
l'anno scorso era già venuto ma a quota 3000m circa era tornato
indietro con un suo amico. Bene, almeno lui conosce il posto: peccato
che a ogni mia domanda la risposta sarà sempre la stessa “ma non
lo so, non me lo ricordo”. Al parcheggio (1260m) esordisce con
“tac, parcheggiata dov'era l'altra volta” e io gli dico subito di
cambiare posto: ma questa bozza di scaramanzia non servirà a nulla.
Via si parte, son le 17e50, arriveremo
al rifugio a buio, ma va bene, ciò ci permetterà di goderci un
tramonto sul Brenta e una salita selvaggia. Stranamente siamo soli
(sono ironico), nessuno sale, e non si vedono molte tracce nella neve
oltre i 2000m. Già, perché verso i 1800 incontriamo la coltre
bianca, bella dura, che poi invece da 2000 in poi diventerà
insidiosa, da necessitare le ciaspole.
Man mano che si sale l'ambiente si
spande, non vediamo “solo” Brenta e la Val Borzago, ma iniziamo a
scoprire il granito dell'Adamello. Quella cresta di torrioni rocciosi
(prolungamento della cresta est al di sotto del
Rifugio Care Alto Ongari) che si staglia verso il cielo mi ricorda
les Dames Anglaises (ok, forse è un po' esagerato).
Scorgiamo il rifugio, e in un barlume
di memoria Marco si espone con un “ecco, da quando vedremo il
rifugio mancano ancora 45 minuti”: solo le cose sconfortanti deve
ricordarsi sto qua.. E sarà così, arriverò al rifugio alle 20e30,
ormai col buio ma non ancora con tutte le stelle a risplendere Va
detto che il pallino delle stelle dell'Adamello ce l'ho dopo la bella
cascata di Nicola. Marco
giunge un po' più tardi, è rimasto impantato nella neve.
Con fatiche degne di Ercole, issiamo i
nostri zaini su per la stretta scala che conduce alla porta di
accesso. Siamo solo noi, ceniamo sorseggiando la birretta (di cui
riporteremo a valle le bottiglie vuote, come è normale che sia),
usciamo un secondo ad ammirare le stelle, ma rientriamo presto perché
c'è davvero freddo.. Fissiamo la sveglia per le 5.
Driin, si parte, ma si sta bene in
questo calduccio,e titubiamo qualche minuto. Poi colazione con una
pesantissima torta (Marco mi vuole uccidere) e via ad affrontare la
parte più pericolosa della giornata: la discesa e traverso dal
rifugio verso la base della Vedretta di Niscli: per fortuna c'è già
un po di luce!
Ci si gode un'alba sul Brenta
mozzafiato, col sole che sorge esattamente dalla Bocca di Tuckett (o
almeno credo..). Man mano che saliamo vedremo sempre più cime, gli
orizzonti spazieranno sempre di più, ma la limpidezza della giornata
ha come prezzo un allegro venticello che ci spazzerà neve in faccia
per bei tratti di salita, aumentando col wind chill una temperatura
che sarebbe già freddina di suo..
Iniziando a salire sulla morena nord
della vedretta di Niscli iniziamo a incontrare neve sempre peggiore:
e sprofonda qui, e cammina col piede che va giù sempre 20cm, e
piantati qui (“aiuto, chiamate un carroattrezzi!), e fatti un
pezzettino su neve ghiacciata. E il Care è li che ci guarda, e
intanto la sua cima fuma.
Va detto che alla partenza ieri non ero
fiducioso sulla riuscita. Stamattina alla partenza ancora meno, poi
quando vedevo la cima non così lontana avevo preso molta fiducia,
sentivo la conquista già mia, ma appena rimetteremo piede sul
ghiacciaio, tutto cambierà..
Insistiamo senza ciaspole: come ieri
sera, quando Marco affonda, affondo anche io, quando marco galleggia
non è detto che io galleggi. Pazienza, sono di buon umore. Cerco
tutte le pendenze più accentuate, la neve dura, un po di granito,
finchè arriviamo ormai allo sconfinamento sul ghiacciaio, e ci
leghiamo. Son passate due ore abbondanti dalla partenza.
Partiamo, il Carè è li, manca poco.
Davvero poco. Ma fatto sta che non si avvicina mai, è sempre la
lontano. Marco ha le ciaspole, io no, temerario, o stupido, le metto
più tardi quando ormai non ne posso più andare giù ogni passo
40cm. È come fare il triplo del dislivello reale. Ma anche con le
ciaspole la vita non è rosa e fiori, si affonda nella neve spostata
dal vento. Il paesaggio bianco è sublime, ma questa coltre maledetta
ci rallenta un casino.
A circa 3000m marco mi dice che l'altra
volta si è fermato qui, che questa è la quota dello sconforto (eh,
insomma), ma che l'altra volta era comunque meglio, ed era estate,
perciò fino al ghiacciaio quasi senza pestare neve. Lo prendo come
un complimento ciò che mi ha detto ieri “arrivati li siamo tornati
indietro per la neve, ma con te non ci saremmo certo fermati!”.
Mentre appaiono Presanella, Crozzon di
Lares, Adamello, ripenso all'
intervista barbarica di Simone Moro in cui diceva che sugli 8000 lui
conta:” conto 15 passi, poi mi fermo a prendere fiato. Se vedo
sotto 15, vuol dire che sono lento e torno giù”. Sono a 3200
metri, e io conto a tratti fino a 30, altri 25. Che fatica disumana.
Mi sa che non ce la faremo. Toh, il Baldo che galleggia tra le
nuvole, spettacolo insolito, sopra di noi è limpido.
E alle 11 diciamo basta. Siamo a 3280m,
manca poco, ma ci stiamo mettendo troppo tempo, e siamo dubbiosi
sulla pala ghiacciata: cornici e notevoli accumuli sopra ogni canale
di salita.. Il bollettino dava rischio 2, una mail scritta pochi
giorni fa a Nicola non vorrei prendesse significato troppo presto.
Un po' di foto, un video venuto di
merda, un altro un po' meglio, foto di delusione, e ammirazione del
paesaggio. Il Carè Alto che si snobba, il Brenta che sfacciato si fa
ammirare, la Presanella col suo lato sud, le Alpi austriache, tutte
le cime Dolomitiche, tutte queste al sole e sotto un cielo blu,
mentre invece le prealpi venete e trentine, i monti del Garda, tutti
che galleggiano sopra nubi basse e con sopra di loro estese
lee clouds. Che spettacolare rovesciamento di regole.
Forza via giù, in un lunare paesaggio
bianco, deluso ma contento per aver visitato un posto nuovo
(chiamiamolo un sopralluogo), per aver visto montagne conosciute da
altre prospettive, per aver visto montagne sconosciute. Marco forse
più deluso di me, per lui è la seconda volta, e lo sento che dice
“non c'è due senza..” “no no taci, la prossima volta cresta
est, di agosto, quando c'è talmente caldo e la neve si è tutta
sciolta, quando ci saranno le zebre al rifugio!”
Al rifugio arriviamo pieni di fame, e
ci sfoghiamo. Poi giù: oh quanto è lunga la discesa! Cerchiamo di
tagliare il più possibile sulla neve, poi ci sono gli infiniti
gradini fino al ponte Zucal: che voglia avrei di buttarmi a mollo!
Finalmente alle 15e45 siamo alla macchina, e cosa vedo.. Tutto! Dal
parcheggio si vede sia il rifugio che la cima! Oh la peppa, da
sconfortarsi subito appena parcheggi..
Alla prossima Carè Alto, ride bene chi
si tosta per ultimo! La fatica è già solo un vecchio ricordo, riguardando le foto e sistemando il post per il blog, ho solo una gran voglia di tornare lassu (magari altra meta, ma stessa o maggior quota)!
Qui video realizzato al momento del
dietrofront, panoramica.