Il tanto agoniato weekend sul massiccio
del Monte Bianco è arrivato! Ormai da un mesetto ci facciamo delle
pippe spaziali sul posto, su cosa poter fare, sulla spettacolarità
di passarci tre giorni in compagnia. E quando Nicola e Cristian
decidono (buon per loro) di fare tutto in infrasettimanale,
io e
Gianluca ci diciamo “dai, andiamo per i fatti nostri”. I tre
giorni diventano due a causa di problemi al lavoro di Gianluca, ma
c’abbiam voglia di provare, perciò si va!
Arriviamo presto a La Palud, vogliamo
prendere la prima benna per fare qualcosa già oggi, talmente presto
che anche la barista alla nostra cortese domanda “possiamo entrare”
ci risponde con un “lasciatemi aprire almeno!”. Carichi come dei
muli (tanto si fa tappa al
Rifugio Torino) ci mettiamo in fila per la cassa della funivia: non
c’è nemmeno tanta gente, ma chissà quante guide hanno prenotato,
e non ci va di perdere mezzora.
E invece tac, la prima benna salta dopo
i primi tre paganti, siamo sulla seconda. Il meteo.. Partiti con
delle previsioni che davano possibilità di nevischio nella serata
nottata di venerdì poi sole, arriviamo che in alto si vedono nuvole
sventolare: ma va bene dai, sarà la debole perturbazione in ritardo
ad andare via. La funivia parte veloce e piena di alpinisti e
sciatori: si sale verso il paradiso.
La salita in funivia ce la godiamo
poco, troppo smaniosi di fare qualcosa di serio, i 200 e passa
gradini che portano al Rifugio Torino Nuovo ce li beviamo (beh,
circa..), facciamo presente il nostro arrivo e depositiamo la roba
che non ci serve, ma forse non abbastanza. Bene, si va, usciamo dalla
porta e affacciamoci sul Massiccio del Monte Bianco.
Uno spettacolo rimandato a domani. Le
nuvole coprono le cime più alte, il Dente del Gigante si lascia
appena intravedere, ma per ora almeno il sole sul ghiacciaio c’è,
meglio mettere gli occhiali da sole. Sulla pista del gatto delle nevi
(che serve per la discesa sul ghiacciaio del Toula) scorriamo verso
il balcone panoramico del Glacier du Geant. Notiamo una tenda al Col
des Flambeaux: la sera al rientro al rifugio scopriremo essere quella di
Tarcisio Bellò.
Bam! Capucin, Maudit e Tacul davanti a
noi! Tagliati a metà dalle nuvole va beh, ma sono loro. Numerose
tracce, numerosi scialpinisti (uno di questi come se niente fosse
passa sopra la corda che ci lega: non c’è proprio più rispetto
per nessuno, che schifo) ma anche sciatori. Si va verso la Tour
Ronde. È la dietro, si scorge un pezzettino, si scopre piano piano.
La parete Nord della Tour Ronde è
valutata D, pendenze di 60°, facili passaggi su roccia, 350m. Sulla carta
la
Ruga dello Zalica è
più dura, quindi siamo tranquilli. L’abbiamo scelta come salita
per prendere confidenza con l’ambiente, così rientriamo presto al
rifugio e vediamo cosa fare di serio domani. E invece orecchie basse
al rientro..
Scendiamo quella che al ritorno sarà
l’ultima agonia della giornata, verso una strettoia tra i crepacci,
che ora essendo coperti sembrano innocui, ma che d’estate devono
essere dei mostri. Le ciaspole non le abbiamo ancora calzate, coi
ramponi è sufficiente: arrivati non troppo distanti dalla nostra
parete osserviamo una traccia verso sinistra, sciatori che ci
salgono, un paio di sci e una splitboard abbandonati. È la traccia
della normale!
Sci e splitboard sono di due ragazzi
che alla funivia parlavano del Pizzo del Becco e di altre mete
orobiche dove vorrei mettere il naso ma fatico a trovare compagnia,
che dicevano venivano anche loro a fare la nord, perciò anche noi
lasciamo qui le nostre racchette per riprenderle quando scenderemo.
Eccoci sotto la parete, inizia a
nevicare. Va beh dai,smetterà, il sole non è lontano, si intravede,
e il meteo lo davano buono. Ci armiamo di tutto punto e osservando il
ravanamento della cordata dei due orobici e di tre piemontesi, ci
dirigiamo verso la terminale.
Gianluca davanti, oggi non mi ha dato
il tempo di discutere su chi sta davanti e chi dietro, forse ha paura
di tirarsi il collo e preferisce fare lui il passo, glielo concedo,
domani voglio spaccare il culo ai passeri! Si appresta a passare la
terminale, non è molto leggiadro, ma posso capirlo, d’altronde è
sempre un bel gradino con sotto un bel buco dal vuoto ignoto!
Le cordate sopra di noi non sono
velocissime, fanno addirittura sosta.. 350m ce li beviamo su! La
corda finisce, parto in conserva lunga, sulle rocce lassu il mio
amico qualche protezione l’ha messa. Neve mica tanto spassosa, una
spanna in cui sprofondare, non proprio quello che si potrebbe
desiderare. E sempre più neve dal cielo. Nuvole, visibilità a 50m.
Osservo alla mia destra questa
fantastica roccia che è il granito, nonostante Gianluca io non vedo
l’ora di provare a fare del misto (semplice) per prendere
dimestichezza con questa materia che spero incontrare sempre più
nella mia vita. E man mano che salgo è anche sopra di me, ma vista
la posizione “in linea di gravità! Tra me e lei, spero non
incontrarla!
Scorgo gli altri sopra di me, i
piemontesi sulla sinistra, Gianluca sulla destra in sosta, il
ghiaccio davanti a noi. Quella che considero la prima parte della
salita è finita, giudizio: speriamo migliori. Neve non trasformata,
con sotto ogni tanto del duro. Ma ora addirittura del ghiaccio! Non
me l’aspettavo, non a inizio aprile almeno..
Infatti quasi tutti i chiodi sono nello
zaino, solo tre miei e cinque di gianluca all'imbraco, e ho le muffole al posto dei guanti con le dita. Ma la sosta è
troppo scomoda, dai salgo un pochino e su quel terrazzino mi sistemo
in qualche modo e tiro fuori il resto. Siamo anche legati con solo
una mezza, d’altronde si pensava salire tutto in conserva, non a
tiri.
Il ghiaccio nella primi 25m è anche
discreto, un po’ lavorato, da fiducia. Qualche vite la metto giù:
mezza impresa con le muffole, meglio toglierle e poi reinfilarsele.
Alcune sembrano anche buone, altre invece..meglio non pensarci. Vacca
che bell’ambiente, ma si vedesse qualcosa sarebbe meno scottish!
Arrivo a una bella sosta a spit con
anello di calata, occupata però da uno dei ragazzi piemontesi. Salgo
ancora un po’, così accorciamo i tempi, ma almeno ci rinvio qui.
Poi torno giu ad allungarlo perché fa troppo attrito. Si continua
nella nebbia e sotto una debole nevicata, col sole dietro un velo di
nuvole.
Il ghiaccio diventa bello spaccoso, le
viti non danno per nulla fiducia, le rocce sono lontane per cercare
di fare sosta, due maroni. Ogni tanto una scarica di neve
dall’alto..ma siamo ancora sull’ordine di spindrift “ingrassati”.
Sento Gianluca che mi informa di avere
poca corda, ma una sosta a viti è impossibile, devo arrivare alla
roccia. “5m!” sta a vedere che ci tocca andare in conserva..mi
odierà per tutta la vita! Poi per mezzo miracolo arrivo a uno
spuntone dove trovo uno degli orobici, che parte appena prima che io
attrezzi la sosta al suo stesso modo: uno spunto basso, che devo
tenere ben trazionato col mio peso o il cordino si sfila. Metto un
friend a “tappare” la fuoriuscita, ma cerco con i piedi di stare
basso.
Una delle soste più scomode della mia
vita, con le ginocchia piantare nella neve al freddo, il gigi per il
recupero basso e faticoso. E giù scariche. Sopra di noi a sinistra due
meringoni (
Vaio dell’Uno
remember), alla loro sinistra scendono scariche di neve che sono una
via di mezzo tra spindrift e valanghine (
Verte remember), alla loro
destra l’uscita verso la terza parte della parete Nord. E il meteo
non migliora.
Inizio a valutare la ritirata. Scendere
in doppia possibile? Forse, ma non fino alla base. La terminale
sarebbe da superare in conserva. E la sotto di certo le scariche sono
ingrassate dalla restante neve che raccolgono in parete. Davanti a
noi abbiamo almeno due cordate che conoscono la discesa, alla vetta
manca poco e il resto è “facile”, la discesa sarà tracciata
anche da chi ha fatto la normale e chi ha fatto il Gervasutti. Meglio
salire.
Ogni tanto avviso chi sta sotto che
arrivano delle scariche di neve, Gianluca mi raggiunge, lo sento che
si lamenta dei polpacci, ma gli dico che ora tocca a lui proseguire.
Il ghiaccio ormai è appoggiato, solo l’uscita dal canalino
potrebbe essere un po’ ostica, ma è un passo. Io è meglio che
tengo la sosta “bassa”.
Parte, si incrocia un po’ coi ragazzi
piemontesi, altre scariche di neve ma sempre sulla sinistra, lontane
dalla nostra salita. Supera il passaggio, è fuori, va a cercare un
buon punto per sostare: intanto un po’ di scariche scendono anche
sopra di me, poco spassoso, ma sono ancora piccole. Sol che usciamo
da qui.
Tocca a me, parto bello contento e
felice dell’imminente uscita. Arrivo al canalino, sarebbe anche un
bellissimo passaggio, non fosse che adesso le scariche scendono anche
da qui! E una lieve, e un’altra, e poi una bella grossa, proprio
mentre sono in posizione a 85° (era più facile a destra, ma da
secondo ho pensato “perché no?”): giro la testa perché non
respiro con la neve in faccia, che non si ferma, un flusso lento, di
poca portata, ma temporalmente lungo!
Abbasso un braccio alla volta per
svuotarlo dalla neve accumulata, scuoto il capo, vacca bestia quanto
mi sento pesante! Merda, ma sono su una corda sola, quella su cui è
passato lo sciatore.. Sol che finisca.. Chi sta sopra di me, mi
avvisa che sta finendo. Svelto come un gatto, piede su roccia,
trazione su neve (a cercare quella buona) e via fuori!
L’uomo delle nevi esce dal budello,
in piena parete. I ragazzi piemontesi sono subito lì, Elena (credo,
spero ricordarmi il nome) dopo una foto che se la ride mi fa “oh,
scusami, a vederti così è simpatica la scenetta, ma solo ora
capisco che non devi aver passato dei bei momenti” “vai
tranquilla, ora ci rido anche io, prima no”.
Raggiungo Gianluca, sopra di noi sempre
grigio, due ombre in mezzo alle rocce di destra, meglio non passare
in piena parete a sinistra. Sai che c’è? Tiriamo fuori l’altra
corda, i guanti buoni e i fittoni, vaffanculo. Passa un po’ di
tempo, scariche alla nostra sinistra continuano a scendere, ma noi
saliremo stando a un po’ a destra, vicini alle rocce, dove gli
accumuli dovrebbero essere minori.
Riparto io, il tiro finisce e poi si va
in conserva, protetta con fittoni di dubbia tenuta. Raggiungo uno
spuntone coi tre ragazzi, sfrutto un loro cordino per la sosta. Non
fosse per il meteo e tutto ciò che è successo poco fa, sarebbe
anche una salita tranquilla. Sarebbe, oggi direi di non lo sia.
Gianluca arriva, non si sa da dove
visto che è avvolto dalla nebbia, poi riparte e continuiamo come
prima, si inizia con un tiro e si prosegue in conserva, proteggendosi
quando possibile. Meno male abbiamo portato i friends! La corda
finisce, parto anche io, lui chissà dov’è, la visibilità è
inferiore alla lunghezza delle corde. Ah eccolo, sosta a prova di
bomba su uno spuntone esagerato. Ma la rinforzo con un altro.
“oh ma sta cazzo di cima dov’è?”
resta da fare un traverso, anche lui facile, ma oggi l’impegno
psicologico è ben al di sopra delle attese. E adesso abbiamo pure il
vento che ci sferza. Proseguo io, un friendino poi più nulla,
affascinato dalle piccole guglie granitiche proseguo verso una
crestina nevosa che sfocia sull’uscita del Couloir Gervasutti,
forse era meglio salire quello oggi.
I tre piemontesi mi suggeriscono di
stare più basso, eseguo, faccio sosta che la corda è al pelo della
lunghezza. AH ecco, quello deve essere il torrione sommitale, quella
la paretina con del 4c che avrei voluto salire ma che è meglio
lasciare perdere. Recupero il mio amico, dai ormai è fatta! Siamo
quasi sullo scherzoso adesso. Ma non dire gatto..
Arriva, scende facendo passare la corda
in mezzo alle rocce come protezione veloce e arriva sulla cengia:
prosegue a cercare un punto migliore. Lo raggiungo, il vento inizia a
rompere le balle, sento che la mia barba sta accumulando una discreta
dose di umidità solida.
“siamo pochi metri sotto la cima,
quelle saranno di sicuro le tracce di discesa, però dai, 5 minuti e
siamo su!”, mi concede la salita. Pochi metri, ma oggi sembrano
tanti. Pendio nevoso e poi a destra su rocce consumate dai numerosi
passaggi, vedo la madonna! Quella di ferro, non quella in modalità
“fantasma”. Uno spit per recuperare il mio amico ed è fatta.
Vetta della Tour Ronde! Ma quanto ce la
siamo sudata!
Non si vede una fava, nevica e tira
vento. Non abbiamo bevuto per tutta la salita, scendiamo qualche
metro e beviamo perché così ci stiamo disidratando troppo. So che è
tardi, ma non credevo così tanto. Le 16! Due boccotti a una barretta
e via giù verso la cresta alla ricerca delle tracce.
Il vento lavora, fischia se lavora, e
rompe le palle, fischia se rompe le palle! Ogni tanto, ma più ogni
che tanto, la visibilità da 30 passa a 150m lusso per noi che
possiamo capire un po’ meglio dove si va. Già perché il vento
cancella le tracce di chi ci ha preceduto a una velocità spaventosa,
e ora ce l’abbiamo tutto in faccia. Il ghiaccio sulla barba
aumenta: se provo a mangiare qualcosa, ho le mascelle bloccate.
Le tracce nella cresta nevosa finiscono
e scendono tra le rocce, neve e ghiaccio verso sinistra, la direzione
è giusto, ma alla faccia dei 40°! Parecchi tratti li scendiamo
faccia a monte, neve pessima , un po ghiaccio, e un vento che non ti
permette di guardare verso valle, sono un mix perfetto per una
discesa scomoda.
Vedo un cordino di calata, ma le
tracce, vistose fin qui, proseguono giù, sembra non troppo
complicato: evitiamo la doppia. Sembra infinita questa discesa,
un’epopea! La roccia sembra finire, la pendenza sembra calare, ne
siamo contenti, ma sbagliamo alla grande. Prima in qualche momento
laggiù avevamo visto delle figure, ora non più.
Ora siamo su neve bianca, immersi nel
grigio nuvole, frustati dal merdoso vento. Vento che cancella le
tracce, visibilità pressoché nulla, cerco di essere svelto a
seguire quel poco che vedo per scendere fino alle ciaspole, dopo ci
sarà il pistone di stamattina li, e saremo tranquilli.
Gianluca mi chiede spesso se vado alla
cieca o se seguo qualcosa. Se fossi alla cieca mi pianterei dove sono
ad aspettare che rischiari: pensare di avventurarmi su questo
ghiacciaio tormentato non è il massimo dell’aspirazione. È
inconfondibile il passaggio sopra alcuni crepacci, avviso il mio
amico che si solidifica al suolo prima del mio passaggio.
Ma uno non lo vedo e ci finisco dentro!
Per fortuna poca roba, gamba sinistra a penzoloni, la destra che non
si sa come ha i ramponi frontali piantati in qualcosa, le picche che
davanti a me cercano qualcosa di solido. Ne esco a gattoni.. Uno
scorcio e vedo le ciaspole, la direzione è giusta.
Circa. Stiamo seguendo una traccia,
l’unica, che taglia più in alto verso destra. In un punto non la
vedo più, poi riappare, sospiro di sollievo. So che le ciaspole si
allontanano sempre più, sento già il mio amico che dice “le
lasciamo poi li”, ma io “No dai, ci andiamo, si fa presto”. Ci
allontaniamo sempre più, ora le vedo belle lontane, dalla parte
opposta del rifugio. Le lasciamo li, ci torniamo poi domani.
Finalmente, ma davvero finalmente,
arriviamo nella zona in cui sappiamo esserci il pistone, ma anche
quello parecchio cancellato. Ci avviciniamo, dovremmo essere fuori
dai pericoli maggiori, ridiamo dell’abito invernale che hanno
assunto le nostre facce e i nostri vestiti!
Ma tutto il rientro è fatto affondando
fino a caviglia o ginocchio nella neve, una fatica.. Due sci
alpinisti risalgono con noi verso il Flambeaux, ci si da una mano a
orientarci (si ironizza sulla mia barba), poi ne vedremo altri tre
ben dietro di noi. Due al rifugio ci confesseranno essersi riusciti a
orientare grazie al punto fermo rappresentato dalle nostre ciaspole!
Gianluca è cotto, la risalita è
un’agonia. “oh ma io sprofondo!” “ma come è possibile Gian,
io peso più di te, ho uno zaino il doppio e sono davanti!”. Inizio
ad adottare la strategia di Moro: conto 30-40 passi poi mi fermo 25s
a riprendere fiato. Nemmeno io sono una rosa, anche se in realtà il
fastidio maggiore è la spalla destra, forse lo zaino oggi era
regolato male.
La salita spiana, ma ancora ce ne è un
po’. Dai forza, alleluia, la pista del gatto delle nevi! Ora sì
che è finita. Rientriamo al rifugio lungo una strada che sembra
dieci volte più lunga di stamani, dove solo ora notiamo un tratto di
risalita.
Alle 18e47 siamo al Rifugio Torino,
Gianluca “questa è di gran lunga la giornata più faticosa che
abbia mai vissuto, tra impegno fisico e psicologico non ci ha mollato
mai”. Cerco di scrollarmi il ghiaccio dalla barba ma non è facile.
Al rifugio troviamo Omar e Tarcisio,
due chiacchiere mentre uno si cuoce i tortellini e l’altro si
dirige verso la sua tenda, mentre noi ci spogliamo di tutto per poi
infilarci in fretta a tavola. Li ritroviamo i tre ragazzi piemontesi
che non avevano programmato di passar li la notte ma scendere in
funivia, solo che..la montagna non l’ha concesso.