venerdì 24 agosto 2012

Finiamo in bellezza: spigolo della Delago

Ultimo giorno delle vacanza alpinistiche di quest’estate. E per chiudere in bellezza, scegliamo un’altra via di arrampicata: criteri della scelta (come per le precedenti), una via facile, con soste attrezzate (non abbiamo chiodi e martello), divertente, bella, in una zona da scoprire. E direi che lo spigolo Piaz alla Torre Delago corrisponda a queste caratteristiche. Poi, dopo aver letto sulla guida del Catinaccio un po’ di biografia del grande Tita Piaz, come non rendergli onore a questo diavolo?!
Colazione dei campioni: ieri i biscotti sono finiti, quindi ci siamo presi un po’ di paste quando siamo scesi dal Ciavazes: quattro a testa, e mica pasticcini.. Va beh dai, tanto di avvicinamento da farne ce ne un po’, si smaltirà! L’anno scorso fecimo un bellissimo trekking in questa zona, partendo a buio da Muncion, salendo la strada asfaltata per il Gardeccia, proseguendo per il Passo Principe, salita al Catinaccio d’Antermonia (panorami a 360° spettacolari), discesa al Lago d’Antermonia, Passo di Lausa, Passo delle Scalette, rientro al Gardeccia dove abbiamo approfittato del servizio bus. Oggi saliamo col servizio bus, se no arriviamo a Natale.
Ci sentiamo strani, al parcheggio e nel bus ci siamo solo noi con imbraghi apparecchiati di tutto punto e corda, mah. Mi scoccia sempre un po’ essere osservato dai montanari della domenica come se fossi un marziano. Voglio dire, in mezzo alle dolomiti sono io che dovrei sentirmi a casa, non voi gente di città che una settimana all’anno calza gli scarponi per scendere dalla funivia e fare 100m per arrivare a pranzo al rifugio.
L’avvicinamento alla fine ce lo mangiamo: la voglia di andare ad arrampicare, di prendere contatto intimo con la roccia è talmente grande che in men che non si dica siamo all’attacco. E giungiamo così al terrazzo dove c’è la prima sosta (il primo tiro di I misto II lo percorriamo in scioltezza sciolti), e già qui sembra di essere sul marmo.. Sappiamo che è una via molti ripetuto e quindi unta (la guida consiglia di portarsi la magnesite), meglio scalarla prima che sia levigata come una lavagna!
E così si parte: parte Riccardo, davanti a noi una cordata da tre, altre molto più in alto, tutto sommato non siamo imbottigliati nel traffico, e dietro di noi non scorgiamo nessuno, meglio così. Vedo Riccardo già impegnato su una placchettina.. Non è difficile, ma il grado di levigatura degli appoggi obbliga a un movimento delicato e controllato.
Poi tocca a me, e diventa subito aereo. Siamo sullo spigolo, a sinistra il vuoto, sopra il cielo, che figata. La delicatezza è d’obbligo, appoggia il piede li, ma l’aderenza è scarsa visto che è tutto liscio, ma la manetta è alta, ci vuole un passettino intermedio, un saltello. Un leggero cambio piede con la protezione 5m sotto. Brividi.
Fa freddo, mannaggia, giù un caldo e adesso abbiam quasi freddo. Ma presto ci scaldiamo, non per il sole, beh un po’ anche per quello, più che altro per l’adrenalina: sempre esposti, sempre col vuoto alla nostra sinistra e un po’ anche a destra, e poi per il divertimento.
Poi eccoci, siamo in cima alla Torre Delago. La via è corta, ma ci siamo divertiti un sacco. La vista è imprigionata dalle restanti torri intorno. Altra voglia di arrampicare, ma c’è da tornare a casa, sigh. Speravamo avere il tempo di salire una via già spittata giù sotto il Rifugio Preuss, ma con la fila che c’è sulle doppie non ne avremo il tempo.
Memori della corda incastrata, e leggendo sulla guida che le doppie qui possono farsi a 20m, scendiamo con una corda unica, niente nodi e tutto liscio. Quasi a ogni sosta dobbiamo aspettare la cordata che ci precede, ma fa parte del gioco. E così siamo alla bassa, di nuovo. Alziamo lo sguardo su questa Torre che si staglia verso il cielo. Mi viene da pensare ai primi salitori, senza il nostro materiale, senza le soste e le doppie attrezzate, siamo delle pippe in confronto.
E giù verso il Rifugio Vajolet, saltando sui sassi, superando gente in difficoltà su ogni piccolo scalino di roccia. Birra fresca, panino con più imbottitura che pane, e preso il bus per tornare al parcheggio lasciamo con malinconia le terre alte. Si ritorna a valle, vacanza finita, e si pensa già alla prossima.

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giovedì 23 agosto 2012

El Ciavazes quase ce ciava! Via delle Guide

Ci risiamo, ci abbiamo preso gusto, si arrampica. Ma prima tocca spettare che si asciughi.. Già perché stanotte ha piovuto parecchio, e seppur la parete sia a sud la via che ci siamo preposti sta all’ombra. Così al mattino decidiamo di farci un giretto per negozi, ignari della coda che poi ci toccherà fare in auto.. Maledetto traffico della Val di Fassa!
E così finisce che attacchiamo la via tardi per i nostri standard: alle 12e30! Davanti a noi una cordata a tre di ragazzi dell’est. Osservo la parete. Data la mia inesperienza su roccia “non addomesticata”, la cosa che mi spaventa di più è non trovare la via (vogliamo fare la Rossi-Tommasi): non disponendo di chiodi e martello non possiamo nemmeno improvvisare una sosta nel caso di smarrimento della via. Perciò, non essendo questo uno spigolo, sono un po’ perplesso.
Primo tiro della guida ignorato salendo a piedi tra erbetta e roccia facile, poi sosta e ci si arma di tutto punto. Stavolta parte Riccardo, e meno male, così i tiri più duri se li sbriga lui. Prima di partire ho pensato bene di fotografare le pagine della guida con la via, così non serve tirare fuori dallo zaino la stessa più volte.
La giornata è buona, la cordata davanti a noi nonostante sia a tre va abbastanza spedita, oppure siamo noi lenti, chissà. Beh, poi a molte le soste siamo insieme, non è che ci scappino, tantochè a un tiro addirittura mi dicono, in un inglese precario, “restate li, la sosta è stretta, massimo due persone”. Ragazzi, non piace a nessuno stare scomodi, ma nemmeno prendere l’acqua!
Già, perché con sto caldo tutti i pomeriggi sono a rischio temporali, e non è bello. Ma oggi non sarà il caso, meglio così. Arriviamo al tiro chiave, e il loro capocordata si vede che fatica alquanto, poi non trova nemmeno la sosta, tantochè ci chiedono se conosciamo la via: “eh no”. Io già da un po’ di essere finito altrove, visto che non mi pare che la descrizione sia rispecchiata, poi quello lassù trova la sosta.
Parte Riccardo, fatica un po’, poi lo vedo che tira il cordone dietro alla sporgenza: bene, mo’ lo faccio anche io dopo! Il passaggio, preceduto da un cuneo di legno ancora in posizione, non è mica comodo, e capisco il perché del cordone! Mi sembra un po’ tirato questo tiro.. e anche quello che dopo tocca a me mi fa scalpitare. Ma ci divertiamo, come sempre, come bisogna.
La sosta prima dell’uscita è sotto un bel tetto: meglio, ci ripara dai sassi della Cengia dei Camosci. Va Riccardo, traverso delicato, sul quale dopo mi alzerò troppo, costretto a scoprire quanta forza ho nel bidito sinistro.. Poi troverò Riccardo appena sotto l’uscita, ad approfittare di una sosta all’ombra per non stare al sole. Vado io allora su quella che diventa l’ultima lunghezza, vagando alla ricerca di una sosta che non trovo, e che farò di fortuna.
Finita, vorrei stringere la mano a Riccardo, ma saggiamente mi dice “quando siamo alla macchina”. Quante stelle alpine sulla Cengia dei Camosci! E tra i buchi della roccia al altro del sentiero, una marmotta a distanza ravvicinata mi tramortisce col suo fischio, bast.. Ci aspetta un divertente passaggio angusto, che ravviva la discesa, che poi non ci presenterà particolari difficoltà.
Dopo le doppie, un altro incontro con un roditore, per nulla timoroso di noi che si lascia avvicinare. Osservo la parete, chissà che via abbiamo fatto. Ma adesso è ora di correre giù al supermercato, per comprare i canederli per cena! Cocente delusione: comprati nello stesso posto, cucinati nello stesso modo, si disferanno completamente durante la cottura..tristezza.
Adesso da casa, leggendo e cercando le vie vicine alla Rossi-Tommasi: mmm, la Via delle Guide corre alla sua destra, e ricordo che all’uscita l’ometto era a sinistra invece che a destra. Leggo la relazione a partire dall’ultimo tiro. Beh, direi che intorno a metà parete siamo finiti su questa! Cerco un immagine: no, è proprio dall'attacco che siamo andati su questa via! E ovviamente, la via su cui siam finiti è più dura.

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mercoledì 22 agosto 2012

Alla scoperta del Latemar

“Che facciamo domani?” la domanda della sera prima. Non facciamo in tempo a organizzarci per trovare una via di arrampicata, la sera piove un po’, perciò meglio fare l’altro trekking che Riccardo vorrebbe solcare: alla scoperta del Latemar!
E così sia. Itinerario preso da gambeinspalla, che ci fornisce questi due dubbi/difficoltà: il rientro (su sentieri non segnati avventurandosi un po’ nel bosco) e la durata (9h30-10), vedremo! Il primo lo si risolve allungando un pochino (ino ino) il giro, il secondo non ha soluzione se non il bivacco nel bosco! Ma partiamo.
Arrivare al luogo designato per l’abbandono della macchina è già di per se una complicazione: ZTL a Moena, ma solo in certi orari (riusciamo a entrare, ma a che ora potremmo uscire?!), e districarsi per le vie del centro non è semplice. Ma ce la facciamo, e così ci mettiamo in marcia per un sentiero che parte davvero bene come pendenza! Quasi 800m in un’ora.. Ma da Forcella Peniola si gode un panorama e dei paesaggi appaganti e rilassanti.
Verde, tanto verde di prati, ma anche bianco, bianco di roccia: il verde del relax e il bianco dell’azione! Sappiamo che il dislivello non è ancora a metà, perciò meglio rimboccarsi le maniche, o i pantaloncini, e riaprtire. Così scopriamo un paesaggio abbastanza selvaggio, un sentiero poco marcato, nessuna vista di attività umana e di umani. Che bel posto. Poi altra piacevole scoperta, una roccia variegata.
Alla Forcella Piccola del Latemar troviamo ometti mulatti: già perché per metà sono di sassi bianchi e per metà di sassi scuri, credo roccia vulcanica. E ora via verso il divertente sentiero 18, sempre in quota, senza il verde dei prati, e con le mani da usare ogni tanto. Ci iniziamo a rendere conto che il giro è davvero lungo, alla nostra sinistra non si è ancora aperta bene la Valsorda, dalla quale dovremmo scendere (a meno di ritirate..). E su questo sentiero la roccia bianca è ogni tanto interrotta da colate marrone scuro, che visione insolita.
Ed ecco la croce dello Shenon, unica cima che dovremmo toccare oggi, perciò andiamo, è a due passi. Laggiù un elicottero rotea nell’etere, sembra impegnato in un’operazione di soccorso, brutta storia. Poi invece ci viene incontro, e nonostante ci passi davvero lontano, parte un vento pazzesco! Altra scoperta.
Scendere al Bivacco Rigatti è davvero tortuoso e brutto, ma ci tocca, i Campanili sono la che ci aspettano, e siamo curiosi di scoprirli. Ma a posteriori direi che quel tratto non è il più bello del giro. Il tratto ferrato è breve e discontinuo, nessuna parte aerea, nessun salto nel vuoto, insomma mi aspettavo di più! Ma abbiamo fretta e voglia di arrivare alla Forcella dei Campanili per il panino..
Dalla forcella, dobbiamo solcare un piccolo paesaggio lunare per la successiva ripida discesa in Valsorda. Una fortunosa fontana ci rifocilla l’arsura. E poi è un altro divertente districarsi tra piccoli canyon in mezzo a torrioni di roccia contornati da verde, canyon variopinti: ma quanti tipi di roccia diversa ci sono?! Bello bello.
E si torna al caldo.. Finché nel bosco non tira vento, l’afa è tanta, uff! Ed eccoci a Malga Valsorda, adesso c’è da trovare il sentierino disperso nel bosco, adesso viene il difficile, proprio verso la fine (beh, fine, dalla descrizione dell’itinerario, come tempi siamo a 3/4). Ma per fortuna notiamo due persone abbeverarsi alla fontana di fianco alla malga, gli chiediamo indicazioni e ce le danno abbastanza accurate. Poi metterle in pratica sarà un’altra cosa, ma riusciremo a farcela, per fortuna!
Il rientro sembra infinito, poi ecco scorgere il cartello del sentiero CAI ufficiale che deve riportarci all’auto! Ma, ci mancava solo questa, una scalinata bella lunga, e le nubi nere che si addensano. Ma alla macchina arriviamo in tempo per iniziare a sentire i tuoni, e vogliosi di torta e birra corriamo poi verso il centro di Moena!
Alla fine invece delle 9h30-10 che dava il sito, ce ne abbiamo messe 7h30..

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martedì 21 agosto 2012

Facendosi una Pera di Roda di Vael

Io per queste vacanze ho avuto (mi sono preso) il compito di studiare la traversata del Rosa (qui, qui e qui): adesso in Val di Fassa sta a Riccardo sciorinare gli itinerari che auspica da tempo. Oggi quindi si sale la Roda di Vael, partendo da Pera di Fassa.
L’anno scorso durante la nostra vacanza in dolomiti, in una settimana girammo un sacco, calcolando oltre 9mila di dislivello complessivi, un sacco di cime di 3000m (Civetta, Pelmo, ..) e partendo sempre a buio. Quest’anno “tola dolsa”. Più o meno..
Alla partenza non vediamo la nostra meta, e meno male, rischieremmo di accorgerci che è tremendamente lontana.. Si parcheggi di fianco al cimitero: brutto auspicio, ma almeno c’è la fontana! E nel bosco si sta abbastanza freschi..finché non si inizia a sudare! È dal gran Paradiso che non camminiamo più, non mi dispiace riprendere: la voglia di scoprire è tanta, la voglia di mondi “lontani” cresce.
Ma che succede?! Arriviamo a un bivio: il giro del Ciampedie. Ma sei volessi arrivarci diretto senza girare come una trottola?! E invece no, il sentiero diretto non si trova più, e tocca percorrere un semicerchio..grr. Ma quando arriviamo ai primi rifugi (già fin troppo popolati), il Catinaccio si apre davanti a noi..la dolomia.. Incontriamo due suore, vietato comportarsi male..finché siamo sotto la loro vista.
Dai dai, non c’è tempo da perdere! Il sentiero prosegue bellino, un bosco piacevole, roccia qua e la. Giungiamo sotto strane conformazioni rocciose che assomigliano alla Pietra di Bismantova ancora spigolosa. Poi si aprono i pratoni sotto la est della Roda di Vael. Ma che sete! Arriviamo al Rifugio Roda di Vael, e al gestore del Pederiva chiedo se ci siano fontane: “no, ma se vuoi riempire le borracce vai pure in bagno che è potabile”, davvero gentile. Mangiamo qualcosa e siamo pronti a ripartire.
La cartina da una ferrata per salire e scendere dalla Roda di Vael, ma Riccardo mi ha detto che è una ferrata facile, perciò per essere più leggeri e agili (e dare posto alle borracce) non abbiamo l’attrezzatura per la ferrata. Ma tanto ultimamente le facciamo molto in slego, perché con le distanze che percorriamo la velocità è importante. Quindi mentre tutti quelli davanti a noi si vestono e imbracano, noi tiriamo dritto. La prima parte ci obbliga a un passaggio stretto in camino con scala, poi evitiamo di prenderla larga per tutta la cresta del Masarè e puntiamo alla cima. Ma qui ci aspettano una ventina di metri belli esposti e faticosi su roccia verticale: figata!
Poi si corre verso la cima, scoprendo sempre più panorami e gruppi dolomitici: il Latemar coi suoi Campanili (e Riccardo “anche li mi piacerebbe andare, ma c’è un giro lungo”), il Catinaccio, la Marmolada, le Pale di San Martino, il lungo Lagorai, la cicciona Cima d’Asta. Ma soprattutto, la delusione Lago di Carezza: io che pensavo che fosse disperso nei boschi! E invece a lato della strada..dddd.
Dall’alto Riccardo si rende conto che forse il giro che ha pensato è un po’ lungo: scendere di la, passare da quella parte, rimontare di qui e passare di la.. Accorciamo un po’. Vorremmo scrivere due cose sul libro di vetta, ma non è rimasta una sola pagina vuota o un buco libero in quelle piene: mai visto un libro di vetta finito.
Via giù dalla cresta nord, anche lei attrezzata ma senza passaggi di forza o verticali. In molti ci chiedono se si scenda anche dall’altra parte e come sia: ma avere una cartina e o una guida no?! Un signore sulla 60ina coi suoi amici ci pone le stesse domande e ci fermiamo a rispondere, quando a un tratto ci dice “beh, ma mentre parliamo attaccatevi coi moschettoni al cavo..ma non ce li avete! Scellerati, non dirò niente alle vostre madri, ma andate giù, ciao”. Gente che inizia la ferrata a mezzogiorno, sotto il sole con questo caldo: pazzi.
Scorgiamo pareti in ogni angolo: dopo la prima via dolomitica di ieri, che voglia di salire e arrampicare ancora! Invece ci accontentiamo di una bella camminata oggi (ravvivata dalla ferrata), che prosegue prima al cospetto della est della Roda di Vael, e poi tagliando sotto le guglie e rocce che ci separano dalla valle del Gardeccia. Poca gente lungo questi sentieri, possiamo sbizzarirci a fare gli asini! Ma, cosa vedo..una marmotta gignate! Bianca! Pietrificata! Sarà di certo una marmotta gargoyle..
Temiamo i nuvoloni e i temporali, e per questo fino ai primi rifugi di stamattina non ci fermiamo a mangiare il secondo panino. A questi rifugi è il festival dei trekker della domenica. E io che concepisco la montagna come un momento di pace e silenzio..va beh! Però almeno l’ambiente offre panorami aggiuntivi che stamattina non abbiamo visto..
Scendiamo, e ci ritroviamo immischiati in questo maledetto giro del Ciampedie! Ma memori di stamattina, tagliamo per una pista da sci, e evitiamo di girare come dei pirla in cerchio. E così scopriamo un lato del gruppo del Catinaccio che l’anno scorso abbiamo sfiorato, e saliamo una cima che a una proiezione organizzata dal Cai di Carpi anni fa mi mostrò per la prima volta un filmato di arrampicata su dolomia. Bene così!

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lunedì 20 agosto 2012

Buona la prima (dolomitica): Spigolo del Pollice

Dopo la Val d'Aosta, lasciamo Marco in stazione a Domegliara per il ritorno a casa e la successiva partenza per la vacanza con la morosa. Io e Riccardo alla volta delle Dolomiti, Val di Fassa. Troviamo un campeggio libero, faremo base a Pera di Fassa, ma il giorno dopo cazzeggeremo in giro per paesi per ambientarci. Poi il lunedì partiamo alla grande per la nostra prima via dolomitica!
E via verso il Passo Sella, per iniziare a vivere queste montagne davvero a contatto. Arriviamo presto, vogliamo evitare l'affollamento della via (come dice la guida, “è una via in cui si fanno molte conoscenze”) e l'avvicinamento rigorosamente a piedi! Ma non abbiamo considerato la funivia..e così alla base della parete ci raggiungono le prime cordate salite con mezzi meccanici.
Ci mettiamo un po' a trovare l'attacco, non ci sono spit a vista, e bisogna leggere la montagna e le figure della guida. Capiamo l'attacco troppo tardi, quando già arriva gente, e così non partiremo per primi. Ci prepariamo, io calzo le scarpe per scaldarle (la salita è stata calda, ma adesso qui fa freschino) e alla mia domanda “chi parte?” quella carogna di Riccardo “beh parti te, hai già le scarpe”.
Primo tiro divertente, qui è facile, ma le protezioni a distanza di 6m una dall'altra infondono un timore psicologico notevole. Poi la musica cambierà, perché oltre alle poche protezioni, poi sullo spigolo vero e proprio saremo anche in bella esposizione! Che figata.
La guida diceva anche che è una via dove si becca del freddo anche quando fa caldo, per via dei venti che salgono dal lato nord del Sassolungo, e infatti si sta bene. Cordate davanti a noi avanzano, ma la via non è difficile da individuare, si va sempre sullo spigolo, su dritti ed esposti. Ci alterniamo nei tiri, in modo da essere veloci e da divertirci entrambi. Prima di partire per il prossimo tiro, il capocordata davanti a noi esclama “questo è il tiro più bello di tutte le dolomiti!”, ben venga.
Arrivo a un punto dove sono sicuro di aver visto gente sostare, ma non vedo nulla, e temo avere poca corda per arrivare alla prossima, in più ho rinviato corto e c'è da tirarla al corda..faccio una brutta sosta su un abbozzo di spuntone. Riccardo arriva e mi dice “ma perché non hai usato quei chiodi li per fare sosta?”, che svista..
Si sale si sale, ci divertiamo un sacco, sempre aerei, sempre esposti, alcuni passaggi mica facili, qualche protezione qua e la e arrivo in cima (l'ultimo tiro tocca a me). Adesso non bisogna sbagliare.
La discesa è quasi tutta a corde doppie, ma qui Nicola nella sua ripetizione ha avuto notevoli problemi a trovarle, e la cosa ci spaventa. Riccardo tira fuori la guida e inizia a ripassare. C'è da disarrampicare un po' per trovare il primo anello, ma dove? Poi arriva Christoph Hainz, Riccardo me lo dirà solo dopo che era lui, con due clienti, che alla mia domanda dice che ci si può calare anche dalla sosta, senza traversare.
E così facciamo, altra doppia intermedia e giungiamo alla sella tra Pollice e Indice. Adesso traversino unto e esposto, con poche protezioni, e chi va? Tocca a me.. Via anche questa, e arrivo all'ancoraggio dell'altra doppia, sulle placche del Palmo. Scruto dove sono le altre cordate per capire dove sia il prossimo ancoraggio, e le vedo laggiù. Ci sarà da camminare un pochino sul palmo.
Ecco l'altro ancoraggio, adesso ultima serie di doppie e siamo a posto. Ma come ha fatto Nicola?! Forse quando la fece lui erano meno evidenti, certo che non deve essere una bella sensazione non trovare la via di discesa..
Ma all'ultima doppia, tragedia, il nodo si incastra mentre tiriamo giù le corde. Tira e molla, dai qualche frustata, ma sembra ben incastrato. Porca vacca. Per fortuna ci sono altre cordate che si calano: urlo, sbraito, sbraccio a quello che si sta calando per chiedere di sbloccare il nodo. Non capisce, mi guarda, ci riprovo, poi finalmente sembra capire. Dopo un po la corda scende, meno male!
Pollici alti per lo Spigolo del Pollice, davvero bella via, da farsi. E noi portiamo a casa anche questa esperienza. Scendiamo appena in tempo prima che si scateni un'acquazzone, e poi rimaniamo imbottigliato nel traffico in ingresso a Canazei.. E per cena, specialità della casa, canederli in brodo di wurstel!
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