domenica 23 febbraio 2014

Usciva dal cassetto: Canale Centrale e Traversata Giovo-Rondinaio

Ognuno ha dei sogni nel cassetto, sono questi che ci spingono a migliorarci, allenarci, istruirci per raggiungerli. L’attesa per il loro compimento sembra sempre infinita, e quando riesci a realizzarli la differenza tra questa infinità e i pochi secondi, o minuti, o ore di realizzazione, sono nulla rispetto all’infinità, è matematico. Possono poi essere sogni che nel momento del concepimento sembrano astronomici, sembra di chiedere la luna, poi di fatto col passare del tempo e col crescere delle competenze la loro realizzabilità aumenta sempre più, ma non per questo perdono fascino. Il fascino nasce col concepimento degli stessi. 

Era marzo 2010, sul giornalino del CAI usciva un articolo di una bella alpinistica compiuta da Nicola e Mirko sul Giovo: in quell’istante nasceva il sogno. Non ero nemmeno un alpinista allora (forse non lo sono nemmeno adesso, ma almeno mi ci sono avvicinato), il corso A1 dovevo ancora iniziarlo, e quelle foto, quel racconto, quella poesia mi rimasero impresse. Ambivo anche io una giornata così a fare quello. 

Sono passati quattro inverni da allora, ogni volta il sogno mi sfuggiva. Beh di certo il primo inverno non sarei stato tecnicamente pronto, poi quando (forse) lo ero non c’erano le condizioni. Non volevo rischiare che il mio sogno fosse oscurato da una meteo mediocre, condizioni buone del tracciato ma panorama nullo causa nuvole. La realizzazione doveva essere una giornata perfetta. Poi capii che la perfezione non esiste, però nemmeno accontentarsi del mediocre. 

Si pianifica il weekend: sabato scorso nonostante l’essere in mezzo alle nuvole, i miei amici hanno trovato condizioni ottime nel canale sinistro, questo mi fa ben sperare, anche se so che l’Appennino è una brutta bestia, a distanza di un giorno cambiano le condizioni drasticamente, ma davvero. Però dai.. Poi ci si mette la meteo, tra venerdì e sabato previste nevicate, tocca spostare la gita a domenica, quando verrà anche più freddo e ci sarà una giornata di sole. Bene bene! 

Un corno. Nevica più del previsto. Il rifugista ci smonta, nella telefonata di sabato sera ci dice che le condizioni chissà quali saranno, ha nevicato, neve fresca, se viene freddo stanotte si trasforma, ma chissà. Che fare? Sciogliamo gli ultimi dubbi con una preghiera, proviamo ad andare, mal che vada arriviamo all’attacco, se non ci pare in condizioni, saliamo per la cresta nord e facciamo la traversata. 

Sono le 2e45, ritrovo al parcheggio. Dopo aver dormito un paio d’ore scarse, per la gioia di quel gufo di Nicola scopro che mi tocca guidare, Gianluca non se la sente, la fatica inizia subito. Poi la seconda parte cambio pilota con Marco. Arriviamo al parcheggio, luna e stelle, freddo insomma (a casa avevo visto -4°C alla stazione online). Abbiamo fatto prima del previsto, perciò ci cambiamo con calma, con Gianluca che si lamenta “ma che sport del cazzo che facciamo, quanto si stava bene a letto”, colazione scadente con thermos di caffelatte e panini al cioccolato artificiali.. 

Sono quasi le 6, lasciamo la macchina e ci incamminiamo al lume della nostra frontale. Il parcheggio affollato, e con non tutte le auto coperte di ghiaccio, mi fa temere di trovare la ressa: da un lato è di conforto, vuol dire che in tanti han valutato che si può salire, dall’altro è sempre una rottura avere qualcuno davanti, si allungano i tempi e si rischia la roba in testa. E invece, saremo solo noi nel canale, e sulla cresta incroceremo solo due persone salite da tutt’altra parte. 

Sono sminuito, le aspettative basse per l’esito della giornata sono d’obbligo per non rischiare di farsi prendere dalla smania e rischiare più del necessario. Me ne sto nelle retrovie, lascio davanti Marco e Gianluca, quest’ultimo conosce bene l’avvicinamento. Sotto la conoide valanghiva calziamo i ramponi e ci mettiamo in assetto da salita, manca solo la corda. 

La neve non è proprio buona, una ventina di cm di fresca sopra, sotto dura cemento o bagnata: ma siamo in una zona di accumulo e su pendio aperto, potrebbe essere tutto diverso nel canale e sul crinale. La cascatella, che le guide danno come salibile in quanto ghiacciata, piscia acqua, ma me l’aspettavo. Subito cerchiamo il frizzante con un saltino di misto, avanti.
Il sole non riesce a illuminare la zona: nubi nefaste stazionano sopra l’Appennino modenese-pistoiese, il cielo è colorato in modo variopinto di toni caldi e di toni grigi, un’alba particolare e insolita. Giungiamo sulla Borra dei Porci, una sorta di cengione sopra il bosco da percorrere alla ricerca dell’attacco del canale che più ti aggrada. Circa sopra di noi un canale è visibile, ma non è il nostro, dobbiamo traversare verso sinistra. 

Notiamo segni di scariche recenti, questo è un bel fatto, può voler dire che ieri il Giovo ha avuto il tempo di scrollarsi di dosso un po’ della neve fresca caduta, ciò ci conforta. Ma il traverso inizia a rivelare quello che ci potrebbe aspettare: fino alla caviglia (abbondante) di neve fresca da pestare.. Sono le 7, siamo sotto il canale. 

L’estetica del canale centrale al Giovo è notevole, per questo è probabilmente uno dei più percorsi, oltre al fatto di essere facilmente riconoscibile dalle sponde del Lago Santo. Sale dritto, incassato, di solito presenta dei salti di ghiaccio, oltre a un lato sinistro sul quale le colate sono abbondanti (come quantità, non come qualità), e per finire, spit dove far sosta. Spit di cui oggi non vedremo nemmeno l’ombra, coperti dalla neve o dal ghiaccio, non si sa. 

Passo davanti per battere un po’ traccia io, al ritorno in auto ci sarà da sbellicarsi dalle risate quando Gianluca al telefono inizierà a narrare a Nicola “eravamo alla base del canale, Andrea è passato davanti, in pratica ci ha detto in modo tacito “dai levatevi dal cazzo, siete troppo lenti, ci penso io e state dietro””. Riporto questo siparietto perché quando tra un paio d’anni rileggerò questo post, non voglio scordarmi delle grasse risate suscitate da questa forzata descrizione dell’accaduto. 

Saliamo fin sotto quello sperone roccioso per legarci, una sola mezza è sufficiente per una legatura a Y oggi. Poi..si parte, parto. Un paio di fittoni basteranno credo, vista l’abbondanza di neve e il fatto di sapere della presenza di spit, non credo saranno necessarie altre protezioni. Di certo vogliamo essere veloci, questa neve fresca, le temperature non proprio basse ci invogliano a uscire dal canale il prima possibile. 

La salita è faticosa, si affonda su neve mica tanto consistente. In previsione del primo saltino, mi sposto a sinistra a cercare uno spit o un chiodo sulle rocce, ma non trovo nulla.. Infilo un cordino nello spuntone semi orizzontale e riparto, torno dentro il canale. Uno sguardo all’insù, l’uscita non è mica lontana, ma vedo un saltino presto. 

Di nuovo sulla sinistra a cercare qualcosa sulle rocce, ma sono ricoperte da ghiaccio (scarso) e neve. Giù un fittone e via verso il primo passo delicato. Il saltino di per se non è tanto ripido, ma il mio piede scava un buco e..vedo nero, ovvero sotto è cavo. Delicato coi piedi, feroce con le picche, supero il passo. Spero che per gli altri due sia rimasta abbastanza neve!
Penso che non sto scattando nemmeno una foto. Uno degli itinerari che agogno da più tempo, e non sto facendo nemmeno una foto. Speriamo che i due bischeri sotto qualcosa facciano! Ma mi rendo conto che abbiamo tutti fretta di raggiungere l’uscita. 

Prima che Gianluca e Marco raggiungano il saltino vorrei mettere giù qualcosa, cerco di nuovo sulle rocce, ma nulla. Proviamo con una vite da ghiaccio, ma ho lasciato tappini e salsiccia di plastica.. Fanculo, niente vite. Ultimo fittone che ho, tac. Ma è psicologico, e sono in vista di un altro salto. Sarebbe bello far sosta anche ma non ne vedo la possibilità, e prediligiamo la velocità oggi. 

Eccoci al secondo salto, ma prima riprovo con una vite da ghiaccio..e ruzzola giù il tappino arancio, chi se ne. La vite entra, sembra anche bene, non che ciò mi rassicuri, la cosa importante è non volare. Saranno non più di quattro metri, ma sono piuttosto delicati.. Neve inconsistente, sotto non si trova nulla di buono, oppure crosta su roccia che si stacca a guardarla. Da sotto non capiscono perché procedo così cauto, ma poi capiranno! 

Riesco a mettere giù un’altra vite, penso “per fortuna le ho prese, con tutta la neve che c’è pensavo non servissero!”, in realtà pensavo anche che saremmo saliti con meno difficoltà! Il terreno spiana lentamente e riesco a uscire, che sollievo. Anche se ora tocca agli altri due.. Gli urlo di dirmi qualcosa prima di arrivare sul delicato, almeno mi preparo una bella piazzola per una sicura a spalla. 

Arriva il momento, ma cavolo, sono meno orizzontale di quello che speravo.. Scalcio coi piedi, mi creo un po’ di spazio e isso su gli altri due, prendendo un freddo becco al ginocchio che poggia sulla neve.. Vedo spuntare Gianluca, dopo un po’ Marco, è fatta. Quasi. 
 Il patema d’animo lascia ora spazio a una tranquillità maggiore. Al di la del fatto di aver superato o meno le difficoltà tecniche, ci certo abbiamo superato i pericoli oggettivi maggiori. Sembra quasi una metafora: nel canale incassato imprigionati dalla paura e da un senso di voglia di uscire, ora in spazio aperto con la pace dei sensi e la calma e la contemplazione di ciò che ci aspetta.
 Non si scorge anima viva, solo noi, noi la neve e l’Appennino invernale. La prossima cima, e quella ancora più in la. Nubi filacciose passano dal versante emiliano a quello toscano, assomigliano a quelle che avevo ripreso su Punta Buffanaro (qui), ma qui la luce è ben diversa. Un filmatino per rendere l’effetto. Il sole è ancora offuscato da quelle perfide nubi che sostano solo qui sopra di noi. Il vento soffia, come sempre qui in Appennino! Osservo le mie muffole: tanto caldo non fa se palline di neve ghiacciata continuano a restare attaccate.

Bene, ora c’è la seconda parte, la traversata fino al Rondinaio, questa non dovrebbe presentare pericoli o problemi, vedremo. Intano, verso la croce del Giovo, che Gianluca e altri sabato scorso hanno cercato invano in mezzo alla nebbia.. Verso quella foto che ogni lunedì a lezione di yoga vedo incorniciata nello spogliatoio, foto dove Mirko marcia su un pendio ghiacciato verso una croce bianca spumosa. Una foto che fino ad oggi mi ha ricordato un sogno che avevo nel cassetto, e che domani mi ricorderà un sogno realizzato. 

Ed eccoci alla croce, un bel panorama sul crinale circostante. Non ci sporgiamo verso il Lago Santo, salendo abbiamo notato delle belle cornici, meglio non solleticarle. Vediamo due che ci vengono incontro dalla cresta opposta della montagna, sono saliti per uno dei canali dell’Altaretto. Qualche foto e via che si inizia  la seconda parte dell’itinerario. La traversata Giovo Rondinaio non è difficile, poi so’ che è già tracciata da ieri. Mi ricordo solo di un punto in cui c’è da stare un po’ attenti, la parte attrezzata per scendere dalla Grotta Rosa: in realtà ce ne sarà un altro ben più delicato, ma ce ne accorgeremo. 

Slegati, liberi, col cielo alla portata del tocco di un dito, gioiosi e goduriosi di questa giornata dal meteo ideale per starsene su una cresta in montagna, trottiamo allegramente per queste schiene dei nostri monti, tanto banali d’estate, quanto pieni di sorprese d’inverno. In men che non si dica siamo a quello che ricordo essere il tratto con la catena, ma la catena si vede, non è coperta come Nicola ci aveva minacciato. La si sfrutta per calarci quei pochi metri per proseguire il nostro viaggio. 

Vivo già la tristezza della brevità della cosa: in base ai tempi di Nicola di quattro anni fa, a mezzogiorno probabilmente saremo già all’auto, a metà giornata.. Ma ne val la pena. Si prosegue per dolci pendii e spazi aperti, il sole sempre dietro alle nubi, la nostra fame che aumenta. Ai piedi dell’Altaretto troviamo la nostra salle a manger, qui il vento si placa e lo spazio è ampio per scrollare lo zaino e aprirlo alla ricerca di vivande. E intanto, il sole esce glorioso dalle nuvole che lo tenevano imprigionato. 

Si sale su questo monticciolo e di là..boom, che discesa ripida! Allora è questa quella di cui parlava Nicola, non quella la dietro! Eh mica male ‘sto passaggio.. Beh passaggio, saranno anche 50m di dislivello da perdere, su inclinazione di 55°-60°: seguiamo le tracce che hanno cercato di stare un po’ vicino alle rocce di cresta, probabilmente per trovare qualche appiglio e appoggio su qualcosa di più consistente della dama bianca.
Con calma scendiamo, e giungiamo a un passo talmente ventoso che scappiamo via subito! Ma prima di proseguire, un’occhiata al punto chiave della traversata. Il continuo susseguirsi di sali scendi non ti fa rendere conto di quanto stai avanzando, di cosa ti aspetta due minuti più in la, è una continua sorpresa, è uno scoprire un angolo diverso dopo averne appena apprezzato il suo predecessore. È solo l’Appennino. 

Ma ora il Rondinaio è la davanti a noi, assediato da orde di sci alpinisti, e davanti agli occhi abbiamo l’ultima parte di cresta simil misto, che ci riserverà ancora qualche passaggio esposto, ma di pochi passi davvero, prima di mettere saldamente piede su una colata bianca continua. Colata sulla quale e dalla quale vedo parecchie tracce di sci, discese su bella polvere pare, oggi la neve è meglio per le aste che per i ramponi, mi mancano gli sci, ma la soddisfazione è alta. Qualche sguardo all’indietro per controllare dove stanno i miei amici, mi fa apprezzare l’eleganza della cresta percorsa. Con Gianluca che continua a dire “sembra di essere a 4mila”, beh non esageriamo (questo e questo vuol dire essere a 4mila). 

Ed ecco la seconda croce della giornata, che con mio stupore è davvero sommersa! Ricordo che la croce del Rondinaio è bella lata, io saltando non riesco a toccarne il legno orizzontale: oggi ci sono seduto sopra! Ora, se fossimo dentro una valle non mi meraviglierei di trovare un metro e mezzo di neve, ma qui su una cima di crinale esposta al vento patagonico appenninico, mi stupisco eccome. Appena arrivano gli altri due, altra foto di vetta (con bacino a Marco per farmi perdonare). Altra contemplazione di panorama, dal Cimone all’alpe Tre potenze, al Giovo e al bacino del Lago Baccio. 
Ma sono solo le 10e30 “raga, andiamo fino al Rondinaio Lombardo?” e senza troppo mugugnare anche Marco e Gianluca acconsentono a prolungare un po’ la giornata, si vede che godono anche loro di quest’ambiente e vogliono goderne ancora. La cresta qui è davvero facile, si vede essere ben percorsa. Do un’occhiata alla est del monte appena superato, documento per un amico, poi sul nuovo percorso che ci aspetta, cercando di salire ogni dosso senza lasciarmi scappare nulla, a rischio di trovare roccette e neve poco consistente.
Ammirando il bacino del Lago Baccio, osservando un sacco di persone che a quest’ora ed esposti al sole salgono canali, le tracce di una lepre che provetta alpinista come noi ha percorso la cresta che ora stiamo solcando, giungiamo sulla terza croce di oggi. Ora si che la giornata è alpinisticamente conclusa. Una gran bella giornata. 

Scendiamo per un tratto bello ripido puntando dritti il bosco, nel quale poi occorre districarsi ed evitare i blocchi di ghiaccio che cadono dagli alberi in fase di abbronzatura. Il casco l’ho tolto e tac, un bel ciocco sulla mia zucca vuota! Arrivati sulle sponde del Lago Baccio, si torna al fragore della civiltà, dopo qualche ora “dispersi” nella nostra essenza. 

Evitando gli sci alpinisti arriviamo alla macchina, tutti carichi e felici, ci cambiamo per poi poter andare a rifocillarci al Rifugio Vittoria, sempre gentile nel fornirci indicazione sullo stato dei percorsi della zona. Birra da ¾ (anche se la matematica dice che sono 2/3!) e salsiccia con polenta. Gli altri due non lo sapevano di quanto ci tenessi a questo giro, ma vedo che lo hanno apprezzato un tot anche loro. 
Gianluca la sera scriverà “Spesso mi capita di chiedermi quali sono i motivi che mi spingono a rischiare la vita per … cosa alla fine? Poi guardo le foto di giornate come questa e tutto diventa chiaro. Non c’è bisogno di aggiungere altro.”, lo dicevo anche io qui. Io sulla mia pagina scriverò “e un altro sogno dal cassetto esce e si esaudisce. non proprio come lo desideravo o come mi aspettavo, ma va bene così. d'altronde l'attesa e le aspettative falsano sempre la realtà, e spesso sono più emozionanti del compiersi stesso: anni e mesi sono un'eternità rispetto a quelle poche ore. Beh è andata, son contento. grazie”

Un sogno è uscito dal cassetto, ma se ci guardo dentro..oddio quanti ce ne sono ancora!

Qui altre foto.
Qui video.
Qui report.
Qui il report da qui tutto nacque.

domenica 16 febbraio 2014

Esplorvagando in Val Venegia

Dopo una scomodissima notte in tenda (il materassino non era sufficiente sul fondo di ghiaccio del parcheggio) è ora di alzarsi nella speranza di poter fare qualcosa. Non piove e non nevica, di certo non splende il sole, prepariamo la colazione e siamo pronti per rimettere gli sci ai piedi, dopo aver riguardato e provato il buco nella neve scavato per niente.. 
Dal parcheggio prendiamo il sentiero, con cartelli sommersi dalla neve, ben presto siamo sull’autostrada che porta a Malga Venegia. Cartelli dei parcheggi che escono appena appena dalla coltre nevosa, una palla di risalita questa, tantochè appena posso vado a cercare di pestare della neve fresca a lato strada. Poco tempo e siamo sotto la pioggia, ci vestiamo, ma che caldo.
Ecco già la malga, uffa, così presto.. Tiriamo dritto verso la Venegiota, ora sferza anche il vento, ma sulla piatta traccia che prosegue siamo al riparo, e dalla calura mi spoglio. Non si trova pace sulla termoregolazione vs bagnato oggi.
Le nuvole lasciano uno spiraglio di vista, bassa, verso il fondo della valle, tutta per noi, non c’è nessuno, anche se il parcheggio si era popolato..chissà dove sono andati quelli. Ecco che appare il Canale dei Burelloni, sogno proibito di Gianluca, che devo ammettere dal vivo è meglio che in foto! Speriamo solo di passare distante dalla sua parete, che finire sotto la neve non ne ho mica tanta voglia!
Malga Venegiota è bella sommersa di neve, salgo sul tetto per fare lo scemo, ma non mi spingo così su. Meglio ripartire finchè la meteo non peggiora definitivamente. Il bosco si dirada, passiamo sopra un ponte che è talmente coperto che non si distingue, a lato della funicolare per rifornire il Rifugio Mulaz, e poi si apre lo spazio selvaggio davanti a noi.
Piuttosto piatto, piuttosto nebbioso, piuttosto nevoso (neve sparata negli occhi), piuttosto solitario: sembra una spedizione ai poli! Non si vede la fine della valle, si cerca una debole traccia giusto per non rischiare di perdersi e finire chissà dove, ma inizia a diventare difficile, il vento ha soffiato e ha nascosto, soffia e nasconde.
Manca poco di dislivello, ma chissà quanto di sviluppo. Finalmente si inizia a risalire, ma ben presto, tac, in mezzo alla visibilità nulla. Mi sa che è meglio tornare indietro.. Ormai ci stavamo credendo di farcela, ma meglio una bastonata qui che su una bella cima!
Cercando di non affondare nella neve, togli uno sci e preparalo, rimettilo, togli l'altro e fai uguale, e tac, pronti! L’unico pezzo di vera discesa è questo, dove ci divertiamo pure. In seguito diventa un falso piano fino alla macchina: un falso piano nel senso che tratti di leggera discesa si intervallano a tratti di piatto dove tocca spingere come dei mongoli per mandare avanti.
Mo che fatica, e che strazio! La traccia tartassata dalle ciaspole è un terreno sconnesso su cui le aste ballano, e le nostre gambe non sono ammortizzatori efficienti come quelli dell’auto. Incrociando un altro con gli sci, mi verrebbe da dirgli “torna indietro finché puoi, dopo ti tocca spingere” ma è con la moglie con le ciaspole, fatti loro.
Tornati a Malga Venegia, per allungare la giornata si potrebbe pensare di ripellare, salire questo pendio e farsi una discesa..ma piove, che due balle, bagnarmi come un pulcino anche no, quindi vai di spinta all’auto e bona. Oggi è stata una sci-escursione, non certo una sci-alp.
Il weekend alla ricerca di qualcosa da fare, finisce come era previsto finisse, con poco di fatto ma con risate e relax, il nostro relax, fatto di fatica, appagamento dalla natura, e divertimento nella solitudine della montagna. Ci prepariamo il pranzo in un altro parcheggio, un’ora per preparare quel c…o di risotto pronto, e si torna alla quotidianità. Speriamo il prossimo vada meglio.

Qui altre foto.
Qui report. 

sabato 15 febbraio 2014

Nelle Pale bianche: Cima Bocche (quasi)


“Chi ha il pane non ha i denti”, ma porca miseria, weekend libero e la meteo cosa fa? Il solito scherzo. Non si può sfruttare a pieno il tempo orologico disponibile, ma non demordiamo e decidiamo di partire lo stesso, useremo l’occasione per starsene un po’ lontano dal mondo e allenarci.
Ore 4 si parte, io, Riccardo, e i nostri sci, destinazione Predazzo e oltre. Sfogliando la guida e sotto i consigli di persone più esperte, l’itinerario scelto è abbastanza sicuro rispetto al grado di pericolo valanghe che incombe, speriamo solo che la meteo regga fino a farci scendere: poi stasera qualcosa ci inventeremo, truna, ombrellone, tenda o auto.
Fugace colazione trovando l’unico bar che apre alle 7 in questa valle di dormiglioni, decidiamo di parcheggiare dove è possibile allungare il giro, portandolo dai 1000m scarsi di dislivello a poco più di 1200: avremo gli sci ai piedi, ma lo spirito è sempre il solito..
Parcheggiato al centro forestale, con nostro stupore ci siamo solo noi, mah. Ci prepariamo e ci incamminiamo, sorbendoci qualche centinaio di metri a piedi prima di poter scivolare sulla neve, che più su dovremmo trovare a metri. Intanto qui qualche lastra di ghiaccio ci strozza l’entusiasmo facendoci ballare per non cadere per terra.
La forestale sale lentamente, ma il silenzio, la neve sugli alberi, la calma, il relax, sono massimi. In realtà la calma è tutto un dire: la montagna e i suoi elementi sono pur sempre una forza potenziale pronta a scatenarsi all’improvviso, ma finché dorme la si accarezza volentieri come un gatto (in realtà, è una tigre). Incrociamo alcuni alberi abbattuti dal peso della neve, ma la neve caduta dopo permette di scavalcarli con una leggera spinta, chissà se a scendere toccherà saltare?!
Qualche scorcio in mezzo ai pini permette una fugace vista sul Colbricon, scoperto ma fumante di neve spinta dal vento, e sulle Pale, queste invece con la corona di nuvole. Il sole appare orgoglioso raramente, ma non dispiace visto che la temperatura permette comunque una bella sudata! Gli abeti sono chiusi dalla neve come un ombrello riposto in un angolo; oppure gli mette un cappello in cima. La neve modella e addolcisce ogni asperità. Che carina la neve.
Si lascia la forestale, si segue la traccia che si inerpica in mezzo a un bosco più fitto (ci sarà da fare lo slalom tra i tronchi a scendere) e lentamente si dilegua lasciando lo spazio aperto dei prati sotto Malga Bocche: si pregusta già la discesa da essi.. E si gusta il panorama, per nulla limpido ma affascinante: Cima Burelloni (dove sta il cuore di Gianluca), il Cimon de la Pala, il Castellaz illuminato da un sole che non si sa da dove arrivi, tutto il Lagorai. Ma quanto viaggiano forte le nuvole, che vento deve esserci!
Secondo me c’è da andare di la, ne sono sicuro ma titubo lo stesso.. Iniziamo a scendere nella valletta a est della Malga, ecco i primi due umani di oggi, chiederò a loro se è corretta la direzione, ma prima che possa aprir bocca “quella lassù è Malga Iuribrutto?”, ecco siam messi bene, non sanno dove sono. Prendo le redini del gioco, inerpichiamoci per il bosco per salire sul crinale.
Questo bosco pende, scendere da qui non sarà facile. Spero solo di non fare come la scorsa volta, se oggi ci mettiamo 4 ore a salire, non voglio metterci 7 a scendere! Sali sali e spunta sul crinalone, affamati da bestia, ora meglio mangiare qualcosa, così i due altoatesini ci superano e tracciano un po’ loro. Che panorama, mozzato a metà dalle nuvole ferme a 2500m. Azz, ma la nostra cima sarebbe 2700..mmm chissà se ce la facciamo!
Con questa luce non è proprio evidente la conformazione del terreno, ma il pendio è blando, per questo abbastanza sicuro dalle slavine, e per questo lungo a livello di km. Ma andiamo bene, e anche qui pregustiamo la discesa su questa schiena ampia e soffice. Alle nostre spalle la montagna si popola di altri sci alpinisti.
Il vento inizia a spazzare anche noi, ma non demordiamo a continuiamo nella nostra ascesa, senza però vedere la cima che si nasconde nel cielo lattiginoso, uffa. Un tratto crostosa mi fa già pensare alle cadute che ci farò sopra e il male che recheranno visto il terreno duro..vabbè. Ma la vedo sempre più grigia.
Talmente grigia che anche gli altoatesini davanti a noi frenano, titubano, non sanno se continuare o meno. Li raggiungo, si stanno mettendo la giacca, è chiaro cosa pensano di fare. Oh proviamo, siamo qui, salgo qualche metro. Ma non si capisce dove sei, a destra e sinistra c’è un pendio che se ci finisco dentro data la mia grande bravura e destrezza, scendo fino a Falcade rotolando. Bene, a 120m dalla cima, si scende.
Via le pelli, su la giacca, e pronti alla discesa! E che discesa, che sciata, che gusto.. Qualche bella caduta su cuscini morbidi, ma nei quali lo sci si pianta, e rialzarsi non è così comodo.. Galleggiare, galleggiare, galleggiare, wow! Sembra quasi che sappia sciare..ma è merito di pendenza e consistenza della neve, non mi illudo. Incrociamo parecchia gente, ora tutto si è popolato.
Ed eccoci a quello che temo essere il tratto arduo: il bosco. Ma in realtà data la quantità di neve presente, si riesce a sterzare abbastanza bene, e nel caso ci si aiuto col braccio a monte che tocca quasi la neve.. Scendiamo schivando i pini, che spasso. Poi troppo presto tutto finisce, siamo nel prato sotto la malga, alla quale per risalire tocca rimettere le pelli. E siamo al sole, mannaggia, non poteva uscire prima? Piccola illusione, in realtà lassù soffia a ancora vento e le nuvola non lasciano la cima.
La Malga è assediata da un uscita di qualche CAI, il ricordo di stamani della desolazione e solitudine è ben lontano ahimè. È la fame che è bella presente! Dopo aver risposto alle domande incuriosite di un ciaspolatore (che poi resta al nostro fianco senza più fiatare, mah) sbraniamo i panini. Una bella pausa per assaporare ancora di più la sciata fatta, ora so che non sarà così piacevole, ma soprattutto più dura. Ammiriamo ancora un po’ il paesaggio, ora che anche il Cimon de la Pala si scrolla di dosso le nubi per qualche secondo.
Il pendio sotto la malga che riporta nel bosco è quasi frenante tanto la neve è bagnata. Poi si entra nel bosco, ma Riccardo scende troppo, io lo seguo, ora tocca tornare sulla traccia più su, passando in mezzo a pini che scaricano neve a più non posso! Le valanghe scendono dagli alberi..
Si torna sulla forestale, e qui meglio farsi prendere dalla velocità, o nei tratti piani tocca spingere, che palle. Qualche sobbalzo sui pini sdraiati, e poi l’incontro ravvicinato con un capriolo che scende spaventato, spancia contro un cumulo di neve, e continua una corsa faticosa nella neve su cui non galleggia. Noi sì.
Cercando di tenere gli sci ai piedi più a lungo possibile, poi tocca sganciarli negli ultimi 300m, troppo piatta e poca neve la strada. Soddisfatti siamo alla macchina. Ora resta da decidere come affrontare la notte!
Dopo un giretto a Passo Rolle, poi al parcheggio della Val Venegia, una birra a Predazzo e torniamo al parcheggio della Val Venegia, che domani useremo per tamponare la mattinata con un giro esplorativo. Intanto si scava nella neve per crearci un riparo: è imminente l’arrivo di una perturbazione che dovrebbe portare un po’ di neve, vogliamo mangiare e dormire riparati, e sfruttare l’occasione per una simil truna.
Scaviamo nella neve, nel parcheggio ci sono muri di 2m, un bel loculo per dormire e mangiare, anche se quelle due tonnellate di neve che dopo saranno sulle nostre teste mi fanno un po’ paura. Ormai il buco è finito, e mi accorgo che..abbiamo dimenticato i copri sacchi a pelo! Ricordandomi quella volta al Ventasso, impossibile dormire senza..
Pace e amen, dormiremo in tenda e mangeremo sotto l’ombrellone da pesca che mi sono portato dietro, tanto non fa freddo (gulp), sono senza guanti. La luna ogni tanto sbuca dalle nuvole e ci abbaglia, fosse stata persistente il giro della Val Venegia si faceva adesso! Niente cinema in tenda, troppo stanchi, si va aletto sperando domattina il meteo regga per poter fare un giretto, poi a casa.

Qui altre foto.
Qui report.