sabato 31 ottobre 2015

Un fresco sabato plaisir: Spigolo Soldà al Cornetto

Le temperature e la stagione ormai inoltrata richiedono qualcosa che sia al sole. La voglia di plaisir richiede qualcosa che sia corto e non difficile. La voglia di passare comunque una giornata in montagna richiede qualcosa di vicino. la voglia di riempire occhi e polmoni di spazio aperto richiede però di vivere una giornata piena. Le Piccole Dolomiti fanno al caso nostro. 
Dopo una mediazione sull'orario di partenza che vede insolitamente me dalla parte del "facciamo più tardi dai", ci ritroviamo io e Stefania a imboccare l'A22, l'autostrada dei monti. Colazione e mentre albeggia saliamo a Passo Campogrosso, osservando i versanti rocciosi delle montagne infuocarsi come mai mi era successo in via mia, passando in rassegna tutte le sfumature possibili. ma la macchina fotografica è nel baule.
Alla via scegliamo di unire anche un trekking ad anello, perciò parcheggiamo direttamente al Passo di Campogrosso e imbocchiamo il sentiero che costeggia il versante ovest del Sengio Alto. Una passeggiata in piano tra faggi (fantastico quello che neunisce tre), e poi si sbuca in una radura, dove la vista di linee rigide sulla superficie di una pozzanghera fa sperare in un inverno di ghiaccio.
Intanto lo spigolo del Cornetto è già la che prende il sole. Si inizia a salire su tipico sentiero careghiano tra terra, rocce e mughi, per poi infilarci dentro alle gallerie del 176. Mi viene in mente Nicola che guaisce mentre si piega per entrare e percorrere questi cunicoli, alcuni dei quali davvero bui, e uno dei quali provvisto di provvidenziale carriola per la rimozione dei detriti, cautelativamente lucchettata ma..senza ruota.
Eccoci fuori, quasi in alto, con gli occhi all insù alla ricerca della nostra via. Giungiamo così al Passo degli Onari sferzati da un fastidioso vento, leggiamo la relazione e scopriamo esser andati troppo avanti, dietrofront. Si cerca e trova una traccia, si risale, ed eccoci sotto al camino del primo tiro.
Parte Stefania, per un tiro di patimento. Al sole si arrampica bene e confortevolmente, ma all'ombra no: e siamo all'ombra. Il camino non è certo difficile, ma con le dita gelate è un altra cosa. Le faccio sicura sperando solo che il tepore arrivi presto, finalmente mi dice che posso salire, scheggio! Ma tra dita ghiacciate e bacchette che si incastrano ("ah ecco perché sentivo quegli accidenti volare") arrivo su che devo fare una "pausa stufa" al sole.
Una volta caldo, o meglio, una volta meno freddo, parto per quello che mi han detto esser il tiro più sostenuto della via, e in effetti mentre lo si sale e una volta che lo si vede da S2..c'è il suo perché in questa affermazione. Un tiro bello verticale, ammanigliato ma con qualche tratto dove occorre spostarsi di qua e di la in traverso.. E la roccia delle Piccole mette sempre una certa soggezione psicologica vista la nomea che si porta dietro.. Chiodi ce ne sono, più di quelli che ci aspettava, e infatti questo mi fa dubitare a ogni ritrovamento di essere in sosta, ma no. Eccoli i tre che fan sosta.
Al sole si sta bene, ma tira vento. E il wind chill è pesantissimo a basse temperature, ma lo sentiremo bene dopo. Il passo in strapiombo di V del prossimo tiro ci fa optare per farmi rimanere primo di cordata, vado! Me ne avevano parlato come un "è solo un passo, una volta fatto non ti accorgi nemmeno di averlo compiuto": ma io da buon tempone, arrivato sotto al passaggio, provo a stare a sinistra, complicandomi la vita. Una volta su Stefania mi dirà "ma se salivi dritto era una cazzata".
Da S3 (che è su spit, visto che il mugo è secco) si potrebbe aggirare in traverso l'anticima e recarsi al proseguo della via evitando un tirello e una doppia: ma se Soldà è salito, saliamo anche noi! Facile ma esposto, la sosta è sul cucuzzolo, ottimo panorama ma siamo in balia del vento. Vento che mi aveva fatto abbandonare l'opzione Appennino proprio per non patirlo!
Le operazioni per allestire la doppia durano un tempo sufficiente per farsi venire i geloni, mannaggia. Intanto me ne osservo il panorama, sognando il bianco ghiaccio delle lontane cime, ma anche il bianco candore sul Baldo. Dai dai, basta vento e vai col sole.
Eccoci finalmente in mezzo ai massi dove si trova la sosta per far sicura su L5. Va di nuovo Stefania, sale i massoni e poi sotto la fessura, dove la vedo salire non troppo fluida: come io su L3, anche lei si è complicata la vita salendo in parete invece che aprendosi in diedro. Un po' per uno.. Intanto sento smartellare a fianco. Quando inizio a salire io sento che mi chiedono se mi trovo sulla Soldà: han sbagliato l'attacco dopo esser saliti con la Super Mario, avercene..
L'ultimo tiro è quello dove si cammina sulle uova. Uova che hanno le sembianze di sassi pronti a rotolare su chi sta sotto. Calma e delicati, a cercare la roccia salda a lato e metter protezioni che possano tenere la corda sollevata. Ormai in cresta decido che un nut voglio metterlo giù oggi: ed eccoci, lo piazzo, ci molla, riprovo, mi pare vedere una scintilla, ok.
Arrivo a 3m dalla croce di vetta che la corda non viene più, aspetto un po' che Stefania parta perchè voglio assolutamente sostare sulla croce. La recupero e sento che si ferma per un tempo lungo: ma che è?! Ah forse il nuts scintillante.. Le parole che non mi prendo dietro quando arriva in cima anche lei!
Panorama spaziale tutt'intorno, fame che viene placata e sole che scalda a dovere. Vacca che freddo patito in certi momenti!
Si scende "per l'unico sentiero che scende dalla cima", peccato che arrivati a un bivio c'è un cartello ma ne manca un altro. Così scendiamo troppo, convinto io che "ma no, se c'è un bivio con due sentieri deve essere indicato" (salvo vandali). Risaliamo, esploriamo, troviamo quello che ci porta alla Forcella del Cornetto, dopo un entusiasmante parete con catena.
Chiudiamo l'anello col sentiero di arroccamento, ovvero in mezzo al labirintico sistema di guglie del Sengio Alto versante est: gallerie (carriole con ruote!), panorami, finestre rocciose sulla valle, la pala del Baffelan che ancora ride di me perchè non l'ho salito, passaggi attrezzati dove la lunghezza delle mia gambe aiuta, mentre c'è chi annaspa..
Scendiamo per il Boale del Baffelan (accidenti, ho sbagliato, potevo proseguire e scendere di la), ultimi tratti non da escursionisti alle prime armi, catena finale e poi la strada diventa facile per birra e panino finale al Rifugio Campogrosso!

Qui altre foto.
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Qui relazione.

sabato 24 ottobre 2015

Dal Lago alla cima atto 3: Cima Valdritta da Assenza

Ci risiamo: dopo l'atto 1 e l'atto 2, ecco la terza volta che salgo su una cima del Baldo partendo direttamente dal livello del Lago di Garda. In realtà il terzo atto nasce poi dalla "scoperta" del Baldo Vertical Run che però non ho potuto nemmeno valutare di disputare in quanto occupato in impegni istituzionali. Da tempo agognato, oggi è la giornata giusta per provarci. 

Parto di buon ora, ma nemmeno troppo presto: non ho voglia di iniziare a camminare con la frontale. Una ricognizione automobilistica sulla Gardesana nei pressi del paesino di Assenza, non mi permette ancora di individuare la partenza del sentiero (è sempre stato difficile trovare i sentieri che partono nei paesi), ma trovo un parcheggio comodo. E visto che l'alba è ancora lungi dall'iniziare, mi concedo un sonnellino. Mi sveglio e mi accorgo che potevo evitarlo! 

Mi vesto, credevo ci fosse più freddo, ma nel mio zaino sono sempre pronto con un po' di tutto, comprese un bel po' di scorte di cibo, 3l di acqua e un gatorade. Posso anche bivaccare coi camosci! Scendo verso la piazzetta del paese e scopro che i macchina ero passato esattamente sotto il cartello del 654, che indica la partenza per l'ascesa al Rifugio Telegrafo, 2100 D+, data 6h dal cartello. In meno di 3h ci arriverò. 

Si inizia su stradina asfaltata in mezzo a muri che racchiudono piccoli giardini segreti colmi di olivi, si attraversa il paese di Sommavilla e poi si abbandona la civiltà inerpicandosi in mezzo ai boschi del Baldo. Ci rifletto solo ora, ma un'ascensione di un tale dislivello permette di vivere molti ecosistemi di piante uno diverso dall'altro e dipendente dalla quota. 

Il bosco ancora fitto permette pochi scorci panoramici sulle montagne della sponda ovest del lago che si illuminano lentamente. Assordanti invece gli spari che si odono. un po' di strizza quando sento intorno a me muoversi qualcosa, e vedere solo dopo parecchio tempo che si tratta di un cane. Anche se dalle dimensioni, dal colore, e dal luogo..mah, chissà se era un cane. 
Guardo poco l orologio, testa china e salire, ma arrivato a Malga Zovel, 900m D+, uno sguardo lo concedo e son ben lieto di averci messo solo 1h. Pratone panoramico sul lago dove vale la pena fermarsi un attimo a rifocillarsi, anche se non per molto visto che sono ancora in ombra e il sudore da fermo fa effetto frigo. Poi la vista del cacciatore con la doppietta in mano che passeggia fianco a me, non mi rende tranquillo. E oggi ne vedrò altri tre di questi!


Si riparte su un tratto di strada asfaltata, seguo i segni del BVR, si rientra nel bosco, che adesso è una faggeta colorata di giallo e rosso. In realtà da qui fino a su ho già percorso il sentiero 654, ma in discesa, ed è tutta un'altra cosa. Oggi ne apprezzo la scoperta dietro ogni angolo, ogni svolta, di un paesaggio leggermente diverso, un bosco che lascia man mano spazio alla roccia, che appare qua e la, prima con piccole placche nel verde e poi con belle pareti al sole. 

Ma io sono ancora all'ombra, e si sente, e si vede: brina rigida per terra! Scorgo dove salirò i prossimi metri, ma ancora della cima nessuna traccia. Tutta questa roccia, questo calcare vergine e tagliente mi insinua una voglia di arrampicare che faccio fatica a contenere: cerco di ricordarmi che il tempo stringe e di andare. Poi quando inizio a pestar neve, va beh ciao, datemi le picche! 

Scorgo il primo camoscio della giornata, il bosco che finisce e il sole che scalda i prati dove passerò a breve, finalmente del calduccio. La nord della Vetta delle Buse dove corrono alcune vie, e dopo tanto, ecco laggiù il Rifugio Barana: uno sguardo alle mie spalle mi rivela quanto sono salito e quanto sia blu l'acqua del Lago di Garda. Riprendo a camminare, da solo, verso il cielo. 

Eccomi al rifugio, avevo già valutato se fermarmi a prendere una birra, però saggiamente opto per la versione salutista e la evito. Guardo l'orologio: fin qui dovrei aver percorso il BVR, 2100 D+ e..in meno di 3h! Sono ben soddisfatto, allora la gamba c'è ancora, considerando che me la sono presa con un po' di calma, fatto foto, ecc. Andiamo in vetta. 

Cima Telegrafo, eccoci qua. Momento per mangiare qualcosa, bere, e godersi un po' di panorama. L'Appennino che galleggia sulla foschia della pianura, i giganti della Val d'Aosta, il gruppo dell'Adamello e del Brenta, e le Dolomiti piccine da qui, giganti quando ci sei dentro. 

Confermo in cuor mio parte del piano che avevo, ovvero arrivare anche su Cima Valdritta, la più alta del gruppo. Quindi via giu per la cresta e poi per il sentiero, costeggiando una conca a nord ovest bella bianca e coi camosci che brucano il brucabile. Ora il sole è bello carico. Incontro un signore al quale chiedo info di percorribilità dell' ultima parte del piano, la discesa per sentiero 5 e 7. 

Ed in men che non si dica (circa) anche Cima Valdritta è conquistata, e mi sento anche bene e in forma. Contentissimo. Per ora. Resto poco, che la strada a scendere è bella lunga! 

Scendo di nuovo alla Forcella Valdritta e mi inoltro in un terreno a me sconosciuto, ma non ai camosci che anche qui abbondano. Abbonda però anche la neve, la quale mi procura parecchi mezzi scivoloni alcuni dei quali salvati in extremis da una mano veloce a sostituire la gamba. Solo che, fa male il ginocchio. Inizia l'agonia. 

Mi godo e sogno altri lastroni di roccia da esplorare, chissà un giorno che vorrò fare l'alpinista serio. Breve risalita e il paesaggio cambia radicalmente: dietro di me la pietrosa Valdritta, davanti a me un bosco di mughi con un sentiero di radici e ghiaccio. E dei bei scorci verso il lago nord. 

Sognando lo Spigolo Bianco, vedo altri spigoli, paretoni, che emergono dal verde del bosco e come sirene mi invitano a metterci il naso, maledetti tentatori! Fantastica la roccialavorata che trovo in un tratto, paurosa la potenza dell'acqua! 

Rientro in mezzo ai faggi, ecco un bivio! Mangio qualcosa ma rabbioso per il dolore e per la consapevolezza che c'è ancora strada.. E che questo non è il bivio col sentiero 7! Ma eccolo che arriva finalmente, un miraggio. Ma è una staffetta di miraggi, e lo sarà fino all'auto.
Il bosco colorato d'autunno, la fugace vista sulle cime bianche, i camosci (così in basso?!), gli spari, tutto a far da cornice a questo scemo che oggi ha deciso di spaccarsi di fatica, e invece vorrebbe scendere in funivia. Altri mille metri di salita li farei, ma 500 di discesa no.
Finalmente arrivo all'incrocio con l'altro sentiero, passo sotto il traliccio come correttamente narrato dal signore lassù e poi la scelta: scendere rapido per poi farsi un pezzo di Gardesana, o prenderla più larga e stare più tempo su sentiero? La seconda ovviamente, che mi comporta anche una risalita. 

Sento fischiare, una sorta di richiamo per delle bestie. Vedo un cane da caccia, faccio rumore per far capire alla doppietta pazza che non sono qualcosa da abbattere. Lui esce dal cespuglio e alla radiolina dice ai suoi compari "escursionista!": mi assale un po' nervoso misto paura. Ma se questi qui sparano a qualcosa nel bosco, come fanno a esser sicuri di non beccare me? 

Continuo veloce, che bello un po' di salita, poi di nuovo discesa. Arrivo di fianco a quella che doveva essere una fortezza di guerra ricavata nella roccia: due spioncini e un tunnel per entrare. Entro o non entro? No lascia stare, ci manca solo ci sia qualche bestia dentro. E di fianco c'è l'Eremo di Benigno e Caro, ultima tappa.

Ma come non fermarsi a questa panoramica panchina? Un doveroso spuntino e qualche minuto di contemplazione. Poi ricomincia il calvario della discesa, a rallentatore: sono più lento a scendere che a salire, roba da matti. Odo il rumore della civiltà, rientro in mezzo agli ulivi che segnano il basso Garda. 
Un ultimo sentiero in mezzo agli ulivi mi riporta a Sommavilla, dove nello stesso punto c'è lo stesso gatto di stamani! Che come stamattina prende paura al mio passaggio (sarà mezzo sordo..). Passo di fianco all'auto, ma la foto da fare è quella con gli scarponi sul lungo lago: dal livello del Lago di Garda alla cima più alta del Monte Baldo, fatto. 

Ma oltre alla "performance" sportiva (di soddisfazione personale, perchè di gente più forte di me ce ne è a bizzeffe), è l'attraversamento di biotipi, paesaggi, viste, che ti appaga dentro. La varietà.

Qui altre foto.
Qui report.

sabato 17 ottobre 2015

Cercando l'asciutto: I Due Spigoli

Abbandonata l'idea delle Piccole Dolomiti causa meteo, si opta per Arco che dovrebbe assicurare condizioni migliori. Partiamo comunque presto, anche se durante tutto il viaggio sarà un continuo "Ma perchè siamo partiti così presto?" "Nicola, l'hai deciso te l'orario". Ancora è buio, e si esce dall'autostrada. 

E già prima di iniziare ad arrampicare, la scena che rende la giornata riuscita: arriviamo davanti alla pasticceria "La Bologna" per fare colazione, condizione necessaria per far alzare dal letto e certa gentaglia, ed è chiusa per ferie. Come nei migliori film romantico-drammatici, in cui dopo mille litigi, peripezie, sacrifici, l'innamorato sa di aver riconquistato la sua amata, di poterla riabbracciare, e la trova morta: in ginocchio davanti a lei, gridando un "noooooooooooooo" udibile fino alla capitale del Madagascar. 

Si ripiega su un bar a lato e ci dirigiamo verso Dro, puntando la via "Il profondo rispetto per l'Indria". Avevamo già notato un bagnato ben maggiore delle attese in giro, ma non credevamo così tanto. Parcheggiamo e optiamo per aspettare una mezzoretta, a vedere se esce il sole ad asciugare: pisolino in macchina. La sveglia suona, nulla è cambiato. 

Proviamo lo stesso a partire, avvicinamento breve, siamo all'attacco della via, niente sole, cielo coperto e parete bagnata. Anche la scritta della via combatte con l'acqua che la ricopre. Mi preparo a partire, a me spetta il primo tiro. Già, perchè il secondo ha già del VI, riservato a Nicola, unico che può salirlo. Io lo eviterei anche da secondo, ma con questa testa calda non c'è democrazia. 

Secondo passo e si sgretola la roccia sotto il mio piede. Ottima partenza. I prossimi passi senza mani su placca bagnata, banale se asciutta, insidiosa e da striscia marrone nelle mutande se bagnata. Oggi lo è. Eccome se lo è. Indeciso sui passi, provo la strada del cospargere di magnesite dove metterò il piede. Un tratto più asciutto lassù (dove infatti sarò veloce). In un tempo infinito raggiungo la sosta. 

Recupero Nicola, mentre osservo il secondo tiro. La parete dove corre il secondo tiro. La roccia dovrebbe essere calcare, ma dal colore sembra granito: il colore è dato dall'acqua che vi scorre sopra. Gocce continue, e infatti quando arriva il mio amico "Nico, a me non sembra igenico proseguire". Sopra poi ci aspettano diedri e fessure, il sole non accenna ad uscire, e qui non è solo la roccia bagnata, c'è quasi un ruscello. Ci si cala. 

Si torna all'auto, puntiamo alla zona dei Due Laghi, mal che vada si farà lo Spigolo Nascosto: sarebbe la seconda arrampicata di fila dove il "campione" (le virgolette nascondono un sacco di significati) si abbassa di grado! Infatti non lo farà, arrivati al parcheggio sfodera a mo' di spada la relazione de "I Due Spigoli". Ma va bene, oggi ero disposto a tirare delle madonne in Gianluca style. La salita nel bosco è resa rassicurante dalla presenza di funi e reti metalliche dimensionate per reggere la caduta di autoarticolati. Autoarticolati dalla parete.. Autoarticolati di calcare.. Autoarticolati, state dove siete. 

Eccoci all'attacco, e parto sempre io visto che dopo il VI di placca abbonda e io deficito. Ma la partenza non è che sia tanto banale, un bel passo in strapiombo con sopra delle gran prese svase. Inizio a temere che si farà notte se su uno dei tiri più facili ci metto tanto tempo. Che poi è molto da proteggere come via, è alpinistica (infatti incastro un paio di nut, e meno male che non li volevo!). Arrivo a quella che sembra una sosta, guardo il canale a sinistra, che schifo, sto qui. 

Nicola anche lui sbuffa un po sul passetto sotto, ma una volta in sosta sarà nel suo regno: la placca. I prossimi tre tiri infatti giacciono su una lavagna continua interrotta qua e la da qualche punto di debolezza della roccia, forse meglio definibili come "caccoline". Anche lui ha il suo bel da fare per salire, ma senza voli e senza resting supererà tutti i metri della lavagna. 

La via passa vicino allo spigolo, sotto il quale si finisce in strapiombo, e ciò rende la placca anche esposta, un tripudio di paure per me che sulle cose lisce (neve esclusa) non mi sento proprio a mio agio. Però..sì, bella è bella, ma qualche A0 non resisto a non farlo, anche perchè le temperature non sono per nulla confortevoli: si sente che questo angolo di valle è a nord. 

Al nostro fianco sale un'altra cordata, ragazzi dell'est immagino, sulla Via del Diedro che pare bella anche lei, ma un po' sporca visto quanto scaricano questi qui: meno male le nostre soste non sono in comune e siamo sufficientemente lontani dalla loro verticale. Il paesaggio, per chi ha il tempo e la disinvoltura di poterlo osservare, è suggestivo: lago sotto, roccia sopra, lo spigolo che cade nella valle a destra e il diedro che si alza colorandosi a sinistra. 

Eccoci a S4, ora posso salire io, alè! Il tiro si incrocia con quello degli altri due, devo stare attento a trovare il chiodo che indica che devo andare a sinistra, e quando lo trovo e vado lo slavo mi chiede "where you go?" e ci vuole un po' per spiegarsi che sta andando lui sulla sua via e io sulla mia. Traverso infimo ed eccomi alla sosta sotto il diedro. 

Dai che ne ho, posso tirare anche il prossimo! Il diedro da sotto pare poco propenso a essere salito con la tecnica giusta, lo temo molto placcoso. E invece sarà divertente, con friend che quando possono sono dei veri amici, appiglini che mi permettono di alzarmi e fessura che mi permette quasi una dulfer. Un albero da superare a sinistra, e poi di nuovo un po' di placca verso una sosta che mi fa vedere cosa ci aspetta sul prossimo tiro.. 

Il proseguo della via si presenta con un traverso verso sinistra con belle manette ma senza piedi, poi chissà. Si presenta anche con la vista di una corda lassù che mi fa temere ci sia una cordata bloccata. Nicola arriva e per prima cosa piscia, poi va, carico come una molla con un "oh, io provo a farla in libera", accidenti a lui. 

Il traverso visibile lo supera anche agevolmente, tutto di braccia, ma è dopo che viene il bello che non posso vedere. Armeggia con la corda, mi chiede di tirarlo su una e non sull'altra, mi dice che prova a passare, stai attento, no dai azzero, si capisce niente. Sol che ti muovi che ho freddo ed è tardi. 

Finalmente posso andare, e tutto mi è più chiaro. Il traverso è un boulder bianco, poi si sale con più difficoltà visti i pochi appigli, ma è quando tocca fare un altro traverso verso destra che sono dolori! La corda è fissa, ma dinamica e lunga una 20ina di metri. Nicola appollaiato in sosta che se la ride mentre io armeggio con moschettoni lunghi e corti cercando di azzerare e di vincolarmi agli spit. 

Una faticaccia! Con Nicola che mi incita e io che gli faccio cenno con la mano "stai chieto". Pare di essere un salame quando mi ritrovo vincolato con un rinvio in vita alla corda fissa, e con altri due lungi a due spit, uno a destra e uno a sinistra. Insomma, una roba che non centra nulla col grado della via, a mo' della cinque stagioni

Finalmente in sosta! E le imprecazioni (bonarie) abbondano. Ma son carico, vado a scalare il prossimo tiro, che chiaramente seguendo le indicazioni di Nicola, sbaglio. Salgo dritto, noto come è fissata la corda fissa di cui sotto, e proseguo a salire su rocce non tanto sane e sempre più verticali. Avrei pensato andare a destra, ma lui sotto "no vai dritto, traversi dopo".  E così mi trovo nelle sterpaglie e ghiaione. Fortuna che vedo per un soffio la sosta ben più a destra, e con passo delicato, tac, sei mia. 

Finalmente, ultimo tiro, ultimo spigolo, che Nicola sale svelto e che ben presto raggiungo anche io. Via finita con ancora imprecazioni bonarie sul tiro di A0. Ma vacca se è tardi, meglio sbrigarsi: il mio amico ricorda una discesa non tanto comoda e poco segnata, quindi sbrighiamoci. 

La realtà è che lui l'ha effettuata anni fa scendendo dal Diedro, ora invece si vede bene salvo qualche breve tratto. Si sale, si scende, si sale ed ecco il mitico tunnel naturale, quello che scommetto mi farà sognare, regalandomi i guaiti di Nicola! Ma mentre lo attraverso mi rendo conto che non è nulla di che.. 

Video. E invece, nonostante sia "facile" i gemiti riecheggiano nella Valle del Sarca. 

Un tratto attrezzato e ancora traccia di sentiero ci deposita poi su un sentiero più marcato, e dopo aver sbagliato un bivio, torniamo sui nostri passi alla ricerca di quello giusto, che infiliamo e ci riporta con un po' di corricchiamento al paese, e infine all'auto, tardissimo. Però una birra ci vuole, 5 minuti di reidratazione e poi a casa.

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