domenica 30 settembre 2012

Wild Altissimo, dove non osano i camosci


Doveva essere un giro probabilmente palloso, fatto giusto per fare della gamba e sfruttare questo weekend nonostante le avverse condizioni meteo. In una zona un po’ selvaggia del Baldo, alla ricercadell’orso, ma pur sempre sul Lago di Garda, ultra frequentato e quindi turistico. E invece..
 Percorriamo l’odiata gardesana che il sole ancora non si vede, ma le nubi minacciose si. Ci gustiamo una pasta comprata poche ore fa mentre ero fuori con amici (stanotte ho soggiornato nel mio letto giusto 1h30) sulla riva del Lago di Garda, mentre osserviamo ragazzi che si mettono la muta per poi fare kitesurf o qualcosa del genere: il commento è “ma chi glielo fa fare con sto freddo e vento”, senti da che pulpito..
Poi invano cerchiamo di salire fin dove la cartina dice che sia possibile, fin verso quota 350m, giusto per guadagnare un po’ di dislivello (c’è da arrivare ai 2071 della cima dell’Altissimo di Nago, e essere a Carpi per le 19). Gira di qua gira di la, vediamo due cinghiali, ma questa strada è inaccessibile in auto: si parcheggia pochi metri sopra il lago, i 2000m di dislivello a questo punto sono assicurati..
Poi si parte nel bosco. Per fortuna la temperatura è quasi perfetta (la perfezione non esiste) e ciò ci consente di non sudare come dei trichechi. In più il sentiero sale lento lento.. Beh questo ci rompe le palle, perché più sale lento, più km e tempo saranno da percorrere! E ovviamente in giro per questi sentieri non c’è nessuno..
Ogni tanto dopo qualche tornante, il diradarsi momentaneo del bosco ci regala scorci sul Lago di Garda, ma io penso già alla fattibilità di percorrere questo sentiero in MTB, aggressive. La vista del ricovero sul sentiero 6 è desolante, che schifo e che decadimento, peccato. Ma come, si scende?! Ma quanto ci mettiamo a fare sto giro?! Sto già calcolando i tempi alle tappe che ci consentano un rientro nei tempi stabiliti.
Finalmente si inizia a salire più ripidi, era ora, anche se il fango che troveremo appena prendiamo il sentiero 8, ci costringerà a delicatezza nel muoversi. Fango sul Lago di Garda?! Prima volta che lo vedo. Il sentiero 8 sulla cartina è puntinato, ma vista la zona in cui siamo questo non mi preoccupa, sarà comunque tutto ben tracciato e segnato. Ed eccoci capitare su una cengia esposta: inizia il wild.
Questo lato dell’Altissimo è impervio, pareti di roccia, cenge erbose esposte, canaloni ecc. Anime vive solo le nostre, più i camosci. Ci guardiamo intorno e capiamo che salire verso l’alto non sarà da semplici trekker, perché l’asprezza del luogo è piuttosto ragguardevole. E infatti iniziamo ad avvistare camosci, sintomo di poca gente che passa di qui, anche se il sentiero è ben segnato. Ci ritroviamo in un canalone da salire un po’ su ghiaione merdoso, un po’ su erba umida lunga, un po’ su sentiero.
Il canalone si restringe e alla nostra sinistra una parete rocciosa strapiombante piscia acqua. Segni CAI procedono sotto di le verso l’alto, una traccia non segnata sulla destra percorre una tranquilla cengia, ma che non si sa dove vada, io giungo davanti a un grosso masso che da lontano vedevo riportasse una scritta un po’ sbiadita: mi avvicino e scopro che è un teschio con le ossa incrociate e una freccia verso l’alto. Noi dobbiamo andare verso l’alto..
Ma si dai, i segni CAI son nuovi, il teschio è vecchio, andiamo, nel wild! Marco fatica sui gradini terrosi più alti di lui, ma ci divertiamo, abbiamo dato un pizzico di pepe a un giro che doveva solo esser lungo. Poi giungiamo al bivio tra sentiero delle Mandriole e 8: il primo dovrebbe salire più ripido e arrivare a nord della cima, il secondo più tranquillo e giunge a sud della cima. Andiamo sul primo se vogliamo fare un anello!
Ma già da qui vediamo che i segni sono rari e sbiaditi, dall’altra parte nuovi. Due camosci ci osservano da sopra, proprio dove sembra passare il sentiero delle Mandriole (altrove è troppo impervio): scappano verso l’alto, poi tornano giù, ci passano vicino per fuggire verso ovest. Perché son scappati? L’orso? Impervio? La dove non osano i camosci, noi saliremo.
E il pizzico di pepe diventa una buona abbondanza, qui si fatica, saliremo su 45-50° di pendenza, sul roccete, erba bagnata, terra, mica comodo! Ma ci godiamo il sole che illumina le pareti rocciose della sponda ovest del Lago di Garda. Tanto indietro di qui non si torna, perciò saliamo. E nonostante il tempo perso a cercare una traccia, un passaggio, l’equilibrio, si sbuca fuori sui prati e boschi di mugo a nord dell’Altissimo.
Ci districhiamo nei mughi alti e nell’erba possente per cercare il sentiero che sale al rifugio, che troviamo dopo un po’. Marco è cotto, gli prometto una birra su in cima per alleviare le fatiche. L’esultanza è alta nello scorgere il tetto della struttura, anche se purtroppo le nubi han preso possesso della cima e il panorama è tipico da pianura padana autunnale.
Birra alla goccia, panino e poi giù, che il tempo stringe, e finora il meteo è stato clemente. Usciamo dalle nubi e già si fantastica sui 4mila da salire la prossima estate: ma si può non essere mai sazi? A Bocca di Navene iniziano gocce grosse, per fortuna c’è una tettoia, mi ci rifugio sotto, giro l’angolo e vedo una cuccia con una catena che ci entra dentro..via da qui!
E la merdosissima discesa gardese inizia: pendenza, sassi smossi, ghiaia taglia grande, rocce scivolose, terriccio infimo, e piove. Col mio ombrello non manco di stile, ma Marco mi deride “la prima cosa che insegnano a escursionismo è avere le mani libere!”, però non mi voglio bagnare, o meglio, non voglio bagnare la macchina fotografica. Invidiamo i due che scendono sparati in bici, bardati di armature (e ci credo cazzo, guarda che discesa!).
Verso quota 1000m saluto Marco, voglio scendere veloce per andare a mettere gli scarponi nel Lago e poter dire “dall’ acqua del lago di Garda alla cima dell’Altissimo”. Due o tre ruzzoloni su questo sentiero infimo non me le evito,anche perché corricchio con l’ombrello in una mano. La pioggia si attenua, poi scoppia un bel temporale, adesso sì che piove!
Dai dai, è quasi fatta, ma cosa vedo?! Il biker che porta giù la sua bici a spinta perché ha forato: pazzo, ma cambia la camera d’aria! Non ce l’hai? Altro che pazzo, scemo! Scopro che dall’auto all’acqua del lago ci sono 30m di dislivello: faccio la mia minchiata, foto con gli scarponi immersi nell’acqua, e risalgo ad aspettare Marco. Temporale finito, esce quasi il sole, è tempo di pizza e birra cazzo!

Qui altre foto.
Qui relazione coi tempi.

sabato 29 settembre 2012

Come veri falesisti: Le Balze

Per cercare uno spicchio di posto dove non piova, finiamo nella romagna, esplorando zone mai frequentate. E così finiamo a Le Balze. Immancabile sosta colazione, dove al bar il proprietario dice che è tornata un sacco in auge questa falesia, che adesso è frequentatissima. Vedremo, tanto gli diciamo che ci vedremo più tardi per la birra (ho già avvistato la Leffe sul bancone..)
Ma entrando nella carareccia d’accesso, non c’è una macchina..boh. Ci avviciniamo alla parete che ho trovato, non c’è nessuno (ma un sacco di lamponi) e si nota una frana vistosa, oltre che varie spaccature nella roccia: non sembra tanto sana. Leggiamo i nomi delle vie all’attacco: sui fogli di Nicola non c’è nemmeno uno di questi nomi, ma la parete è spittata. Però il fatto di leggere alcuni nomi all’altezza o sotto dei massi..mmm! Due escursionisti confermano che i settori dei fogli di Nicola son più giù.
Ma Nicola parte lo stesso, su l’”Innominata”, tutta placca, tutta fatica e gridolini ma la porta a casa. E io intanto esploro, faccio foto (ma è tutto staccato questo masso!), raccolgo lamponi. Poi parte Davide, fatica anche lui ma la porta a casa. Poi vengo costretto a salire anche io, ma avrei preferito andare nei settori della guida: un po’ di ferrata per cercare di chiuderla presto e spostarci dove sappiamo cosa arrampichiamo (a casa scopriremo che questa via è un 6b).
Adesso sì che si ragiona: giungiamo ai primi tiri, “Montando Daniela” arrampicata in fessura non si può non salire. E troviamo altra gente, allora è già più tranquillizzante. Cazzo, adesso sì che mi diverto, si vede e si sente! Turno di Davide, che si gode anche lui Daniela (chissà se Daniela gode).
Nicola la snobba e sale “Imprinting” a fianco: 20+20m, corda da 70, dai che ci stiamo! E invece c’è da sbellicarsi nel vedere Davide che sale con Nicola che scende, due contrappesi! Così Davide inizia la salita che porta a termine in un batti baleno: nettamente più facile che quel tiraccio maledetto di placca di “Innominata”! Altro gioco dei contrappesi perché Davide finisca coi piedi a terra. È il mio turno, che gusto un tiro di 40m!
Nicola dice “beh se questo è un 5c, allora possiamo provare un 6b!”: in esplorazione trova un 6a che gli garba, “Panorama”. E la falesia si vendica, c’è un abisso tra il 5c di prima e questo 6a! Già alla partenza ruga un po’, “Nico, sali in spaccata” “no, sali girato spingendo di schiena” “ma andate a cagare, dopo ve la fate come vi pare quando tocca a voi!”. Ma anche questa è nel sacco, e io me lo guardo da sdraiato su una roccia, come un vero falesista.

E da sdraiato sulla roccia, come un vero falesista, faccio sicura a Davide che sale a sua volta: d’altronde da sdraiato sono un peso morto perfetto, non mi smuove nessuno! Poi viene il mio turno: che bel tiro! Beh, tutto da secondo, ma diedro, placchetta, camino, strapiombo, e tira di qua, e spacca di la, e spalla questo qui, che gusto! D’altronde Nicola mi fa sicuro sdraiato a sua volta..
Prevista una giornata di pioggia quasi ovunque, riusciamo quindi a rimediare in questa falesia caruccia, in una giornata diversa dal solito.

Qui altre foto.

domenica 23 settembre 2012

Alla ricerca della Guglia del Rifugio

Dopo la memorabile giornata di ieri, oggi ce la si vuole prendere più in polleggio, una vietta di 4-5 tiri. Ieri sera a cena i piani sono cambiati almeno tre volte, stamattina a seconde del meteo cambieranno ancora, e in seguito verranno stravolti proprio a causa del meteo. L’importante è non seguire la risposta di qualcuno alla domanda, “allora ragas c’sa fom ?” “a’s’inculom!”, no veh.
Se non fosse per la sveglia di Nicola dimenticata all’ora del giorno prima (3e30), sveglia con calma alle 7 (non dormivo così tanto da tempo): fuori è come ieri, tappeto di nubi sotto di noi e cielo quasi sereno. Giù dal letto balzo solo io, gli altri hanno una spinta paragonabile al lunedì mattina di fronte a una giornata di lavoro..
Roberto e Gianluca decidono di attaccare lo Spigolo Piaz alla Delago, “così non ci rompi più le palle” mi dicono: buon per voi, farete la scelta migliore della giornata! Noi altri si opta per scendere al gardeccia e andare a fare tre vie diverse, una per ogni cordata, alla Gugli del Rifugio, che dalle immagini delle guide appare davvero carina e interessante.
L’avessimo mai fatto.. Le nubi si alzano, riesco a scattare qualche bella foto alla Emma e alle Torri offuscate, noi scendiamo, quindi dovremmo migliorare la visibilità, e invece ciccia.. Le nuvole restano a un’altezza poco sopra il Gardeccia, il che non ci permette di vedere la nostra guglia. Ci incamminiamo sul sentiero panoramica del per il Rifugio Vajolet. Usciamo dai mughi, scorgiamo una mandria di mufloni (il maschio ci guarda minaccioso), conto i tornanti (“al quinto tornante prendere a destra) ma non scorgo ometti.
Saliamo, guardiamo la cartina, “ma la Guglia del Rifugio è per di la”, però boh, ci fa andare a sinistra. Ma d’altronde la guida diceva di prendere un sentiero con indicazioni diverse da quelle che abbiamo trovato. Maledetta nebbia, non si vede un cazzo. Beh, la cartina sarà giusta. Cammin cammina, non si vede nulla, solo lo zoccolo delle pareti, arriviamo a un canale, una corda fissa, un ombra laggiù: salgo per andare a vedere mentre gli altri triangolano, studiano, fanno una briscola.
Ci arrivo sotto, ma non è lei. Questo è un paretone massiccio (un po rotto) con un bel naso, piatto sopra, alto una 60ina di metri. Altri vengono a vedere, Enrico, Luca e Fabio decidono che è meglio tornare al rifugio (“Ah noi abbiamo fatto una via così composta: primo tiro affettati misti, secondo tiro canederli, terzo tiro polenta”), Mirko e Nicola provano il GPS. Inizio a canticchiare "Rotta per casa di Dio", mai canzone più azzeccata.
No no, torniamo indietro, ci siam fidati della cartina e invece c’era da fidarsi della guida! E mentre torniamo sui nostri passi, Luca ci fischia e urla “è qui la guglia!”, sono andati in esplorazione prima della “Via del Ristoro”. E alla fine ci arriviamo, da tutt’altra parte rispetto a dove siamo andati. Adesso le nubi si sono alzate fin oltre la cima della guglia, ma non credo che anche senza nubi avremmo riconosciuto la foto della guida, dalla direzione di avvicinamento non si capisce la tridimensionalità della struttura.
Beh, ci siamo, adesso bando alle ciance e armiamoci! Il socio di Mirko parte sullo Spigolo Maestro con Mirko che gli fa sicura. Nicola parte sulla Via dell’Artista, appena a lato. Ma mentre Mirko sale come secondo, Nicola ostia come primo: un IV+ così duro?! Forse la giornata è storta, abbiam perso tempo e sappiam già che non potremmo finire la via ma calarci dalla prima o dalla seconda sosta, se no facciam tardi e a casa ci menano.
Il diedro è sporco, un sasso mi arriva sul pollice sinistro (ahia!), Nicola mette giù un chiodo, fa fatica a proteggere. Mirko si è già alternato al socio e sale sul loro secondo tiro (Mirko salterà ben due soste, concatenando quindi tre tiri!). Non ci credo, Nicola che azzera, inizio ad avere paura.. ma siam qui, sulla pista da ballo, quindi balliamo. Ma il freddo alle mani è già forte, il sole assente, esce giusto un minuto prima che parta, e si sente la differenza.
Tocca a me. Partenza croccante, ma si va, forse Nicola l’ha letta male. Ma salendo constato che non è mica banale sto tiro, roccia marcia a destra e sinistra, un diedro-camino che non si capisce se salirlo come spigolo, come diedro, come placca, come camino. Intanto c’è da scompisciarsi a sentire il socio di Mirko che innervosito dal freddo cazzia Mirko che sale troppo, e cazzia Nicola quando prodigandosi per aiutare, ma da ripetitore ai messaggi di Mirko che il suo socio non sente. Che suocera.
In maniera goffa salgo sul terrazzino intermedio di erba. Ma che schifo di tiro. Ok, sto facendo fatica, ma è davvero brutto: marcio, in proteggibile, con intermezzi di erba e terra. Arrivo in sosta, non c’è bisogno di parlare o discutere molto: è tardi, mani ghiacciate, il prossimo tiro sono almeno dieci metri sull’erba piena di detriti, ma che si faccia chiavare l’artista, giù in doppia. Speriamo solo che questo pino mugo secco regga..
Spartiamo il materiale da lasciare giù, io il cordino e Nicola la maglia rapida, e via giù: già la doppia è un emozione, poi ricordo quella al Sirotti dove il Machard dovevo stringerlo invece che mungerlo, e qui siamo su un mugo secco.. Arrivare giù è un bel sospiro di sollievo! Poi scende Nicola, gli chiedo “ma non recuperi il chiodo che hai messo giù?” (il martello ce l’ha solo lui) “no no, vedrai che chi sale di qui mi ringrazierà, per due euro posso lasciarlo li” “2 euro, guarda che due euro li costa la maglia rapida, un chiodo saranno quasi dieci” “cosa?! Apsetta che guardo se riesco a tirarlo fuori!” ma è piantato troppo bene.
Poi scendono anche Mirko e socio, ce ne torniamo verso il Gardeccia, dove panino e birra ci tirano su il morale. Mi preoccupa solo non vedere ancora Gianluca e Roberto, ma alle 14e45 arrivano felici e contenti, la loro giornata è andata molto ma molto meglio della nostra: mi confessano che “alla prima sosta avrei messo giù la maglia rapida per la calata, ma non potevo continuare a sentirti dire <<oh ma sai che è bella la Delago?!>>”.
L’altro strudel di Roberto ci aspetta al parcheggio, le ultime risate insieme, qualche foto di gruppo, e le due auto si separano. E così finisce scemando un bel weekend di aggiornamento pratico: alla fine per un motivo o per l’altro “chi se ne fotte dell’aggiornamento, arrampichiamo!”

Qui altre foto.
La relazione..che la metto a fare, per un tiro?!

sabato 22 settembre 2012

Gorilli nella nebbia e in parete: via Fedele alla Punta Emma

Weekend di aggiornamento Istruttori Scuola Montanari: programmata da tempo, ma il freddo previsto scombussola tutti i piani. Noi cinque ci giravamo mail da una settimana fantasticando della est del gigante Catinaccio, come bimbi davanti al lecca lecca, con io che speravo di riuscire a partecipare (grazie sorella), ma il giovedì alla riunione, tutto scende un po’..
Ma ci siamo, sono le 4 al parcheggio e ioMirkoGianluca Nicola, Roberto, riusciamo a partire: la frase emblema dell’altra sera è stata “se fossimo bravi quanto siam carichi, avremmo già scalato l’Everest”, quanta verità e saggezza in questa perla di Gianluca. Un’altra macchina partirà un’ora più tardi con Luca e socioEnrico e Fabio, l’altra macchina ha deciso che c’è troppo freddo e se ne andrà a Ledro domani: un aggiornamento strano, che finirà più come un weekend di arrampicata, ma anche questo è aggiornamento!
All'arrivo al parcheggio degli impianti però, il morale è un po’ sceso: c’è nuvolo. Ma per Dio, salendo col servizio taxi scopriremo che si tratta di nubi di valle (come più volte ho detto per caricare la ciurma, visto che l’avevo letto sulle previsioni meteo) e arrivati al Gardeccia intravediamo le pareti gialle dolomitiche, dai c’andom! In realtà ce la prendiamo comoda, inutile correre per poi soffrire il freddo, ma io scalpito.
Saliamo più veloci delle nubi, e questo ci permette di ammirare una foto da cartolina: le cime dolomitiche sopra un tappeto di nubi, con il sole che ancora non è piena potenza e quindi da un effetto di luce soffusa. Già questo merita il viaggio. Beh, più o meno.. Scorgiamo la nostra meta, Punta Emma, bel torrione roccioso che appare piccino a fianco della bestia catinaccio, ma si tratta in realtà di pur sempre di 400m di arrampicata.
Al Vajolet, dove pernotteremo, lasciamo i secondi zaini, e intanto le nubi ci raggiungono: siamo gorilli nella nebbia ormai. E ci siamo. Stavolta non ci mettiamo molto a trovare l’attacco della via, o meglio a essere d’accordo che sia questo. Io e Mirko siamo in cordata insieme, poi glia altri tre ne formano un’altra: noi partiamo per primi, e io per primo: la vista del chiodo mi conforterà notevolmente sul fatto che la via sia davvero questa!
Ma la roccia, freschina.. Urca! Dopo pochi metri di contatto con la dolomia le mie dita sono già insensibili: gustoso afferrare la roccia senza esser sicuro di averlo fatto bene, ma più si indugia peggio è. Agli altri grido “oggi c’è da fidarsi delle mani, non dei piedi, perché non si sentono più!”. E concludo il primo tiro, che parte già alla grande con un IV e qualche passo di IV+: ma oggi siam troppo frenetici, niente può fermarci!
Pian piano le nubi si alzano, lasciano il posto al sole che inizia a scaldarci bene a modo, tantochè io resto quasi in maglietta e temo la scottatina al coppetto. Alla faccia di chi temeva il freddo! Anche la roccia si scalda, e tutti gli altri tiri saranno ”sensibili”; solo nel camino finale, dove il sole non arriva, e in cima, dove il vento arriva eccome, ci sarà un po’ di fresco. Ma nel complesso dal punto di vista meteo e temperature, fantastico.
Mi inizio già a divertire un sacco. Come al solito non si prende troppo sul serio l’arrampicata (e forse per questo siamo lenti, o comunque meglio crederlo) e si scherza, si ride, si fa gli asini in parete. Ridiamo nel pensare agli escursionisti che passano sul sentiero sotto di noi che congiunge Gardeccia e Vajolet e sente queste bestie dire porcate e sparare cazzate. Poi presto arriva Luca e socio (che verso metà parete sarà al pari di me e Mirko), e le cazzate aumentano. Ma senza questa componente di ilarità, non sarebbe la stessa cosa..
Il terzo tiro mi preoccupa alquanto (ci alterniamo, quindi a me toccano i tiri dispari, a Mirko i pari), girà un po’, sono 40m con solo un chiodo alla fine, perciò ho ben paura di perdermi. Intanto mi proteggo su una clessidra di vendetta su quella del tiro precedente di Mirko: almeno la sua era verticale, la mia è addirittura orizzontale.. Ecco il chiodo, che conforto, ed ecco la sosta, fiuuuu. Che spettacolo, tutto verticale sotto di me, tutto esposto, tutto bello. Bel posto, bella compagnia, bella via.
Alla terza sosta iniziamo ad affollarci, Mirko mi raggiunge e parte, poi arriva Luca e infine Roberto: tutte e tre le cordate. Osservo Mirko sudare sul quarto tiro, e la cosa inizia a preoccuparmi: lui è molto più bravo di me, perciò se fa fatica lui.. Ma alla fine ce la farò! Riesco ad abbandonare la terza sosta prima dell’arrivo de “mi presento son l’orsetto ricchione, e come avrai intuito adesso ti..”, l’uomo a cui non voltare mai le spalle.
L’orologio scorre, ma il divertimento insito in me non me ne fa accorgere: siamo nei tempi per finire la via senza le frontali, ma ben più lenti della relazione. D’altronde è la mia terza via in Dolomiti, la sesta in ambiente, spero in miglioramenti futuri!
La quinta sosta è da brividi: la relazione parla di chiodo e cuneo, quando arrivo vedo solo un chiodo e poco sopra altri due..ma senza occhiello, spezzato. Oh ma che bello! Poi scorgo un bel metro più su un altri due chiodi: uno che esce due cm, e si muove un pochino, un altro che pare essere più fuori che dentro e che balla l’hip pop. E dopo c’è il tiro col V-. Ah, e il terrazzino su cui si sta è piccolo, scomodo ed esposto. Non vedo l’ora di abbandonare questa sosta.
Starci in tre è da contorsionisti, Mirko per fortuna supera agile il sesto tiro, così che posso abbandonare questa brutta sosta! La parte finale del tiro, dove c’è il passaggio chiave, è da leggersi come un traverso, non come una salita dritta, e detto fatto si giunge a una bella sosta con anelli di calata, ora si che son tranquillo!
E adesso tocca a me, il camino finale. Camini e diedri mi piacciono assai, ben più della placca: non essendo buono ad arrampicare infatti, prediligo l’uso delle mani, coi piedi non sono bravo.. Poi cazzo, il camino è sempre emozionante: chiuso in tre lati dalla roccia, ma dietro, sopra, e soprattutto sotto, solo aria, vuoto, da vertigine. Ma questo camino va salito delicato, è un po’ sporco, e porca vacca mi viene un tuffo al cuore quando faccio cadere qualcosa.
La guida del Bernanrdi prevede un tiro di 50m con uscita dal camino, ma verso la fine dello stesso trovo due anelli di calata: non posso certo dire di no a questa bella e comoda sosta, che tra l’altro mi concede delle belle foto panoramiche. E poi non voglio rischiare di smuovere troppa roba con tanti metri di corda fuori: qui servirebbe lo spazzacamin. Così mi fermo qui, e chiamo il mio compagno della giornata, che ben presto mi raggiunge e prosegue verso l’uscita.
Dietro di me Luca, che una decina di metri sotto di me deve aggrapparsi a uno spuntone per permettere alla cordata da tre di superare il passaggio ostico: Luca si accoppia con Punta Emma. Mirko trova il modo di far sosta da qualche parte nel colatoio, e così posso partire anche io scavalcando Luca e socio (sosta comoda, ma mica un salotto). Ah peccato, ormai siamo fuori, la giornata volge al termine, e io sono insaziabile.
Eccoci fuori, ma ci aspettano ancora un centinaio di metri di colatoio per uscire in cima. Saluto Mirko e salgo per tutta la lunghezza della corda, tanto qui è I e II: il problema sono i detriti che si muovono. Cerco di esser delicato delicato, di cercare di stare sempre e solo sulla roccia, anche se ciò comporta passaggi più difficili (beh mica del V!). Accidenti, riesco a mettere giù più protezioni adesso che in via!
Recuperato Mirko a spalla, optiamo per una salita in conserva lunga e buonanotte, se no ci mettiamo una vita a fare dei tiri, e lo stomaco reclama cibo, oltre che la gola acqua. E così si arriva in cima, con un bel panorama, un bel venticello e un bel fresco visto che il sole ormai è sparito dietro al Catinaccio. Ecco le Torri del Vajolet (dove scorgiamo delle cordate, tra cui probabilmente quella composta da fabio e Enrico), il Catinaccio d’Antermonia, le pope, la Marmolada, i Dirupi di Larsech, l’Agner, le Pale di San Martino, il Lagorai, Cima d’Asta, il colosso del Catinaccio (che sulla colata nera presente sulla nord, ha dei bei grappoli di ghiaccio!).
Arrivano anche Luca e socio mentre noi ci rifocilliamo e vestiamo, e adesso sparare due cazzate è ancor più semplice. Gli altri tre ci metteranno un po’ ad uscire, ma la nostra preoccupazione (nel colatoio è volato giù un bel masso) si placa quando li vediamo uscire.
Le insidie non sono finite, per andare a cercare la doppia di discesa c’è da scendere ripidi e poi fare un traverso esposto proteggibile solo da un capo. Luca si stufa di aspettare (è il primo sceso) e quando io e Nicola arriviamo all’anello di calata (siamo i due ultimi), sfila le sue corde: simpatico! Attrezziamo di nuovo e la doppia e via giù come il vento.
Ed eccoci giungere a uno dei momenti più ilari della giornata. Nicola chiede a Mirko di infilare la corda nello zaino, Nicola si abbassa un po’ per facilitare il compito a Mirko, “no Nico, ce la faccio stai così” “ma no dai, mi abbasso un po’” si china e “ahhhh la mia schiena”!
E via verso il Rifugio Vajolet, ripartizione del materiale tra le cordate, una veloce cambiata e poi la cena è servita. E si parla già di cosa fare domani, sconvolgendo più e più volte i programmi maturati in dieci minuti di discussione.
Via Fedele alla punta Emma nel sacco, avanti un'altra!

Qui altre foto.
Qui relazione coi tempi.
Qui foto di Nicola (anche in vendita).
Qui la nostra relazione.
Qui  video di vetta.