sabato 27 luglio 2013

Facciamo due passi: da Passo del Cerreto a Passo del Lagastrello, 00 e GEA

Necessito di svagare la mente, di liberarla dai problemi e sfogarmi un po’. Forse non è questione di trovare risposta a certe domande, è piuttosto di non porsele per qualche ora. E allora via in Appennino.
L’anno scorso la grande traversata Appennino Modenese e Reggiano (73km, 5000m di dislivello o piu in 24h effettive) finì al Passo del Cerreto: non volevo rischiare di terminare in una zona che non conoscevo dopo tante ore di marcia: ero un po’ annebbiato. È ora di terminare ciò che ho iniziato.
Alla ricerca del fresco, me ne salgo sul al Passo del Cerreto la sera prima, dormendo così nel sacco a pelo (leggero eh), con una luna accecante. Al mio risveglio, paura! Un mostro alato verso il cielo, come non averlo notato quando sono arrivato?! Saranno brutti da vedersi, ma meglio loro che una centrale a carbone. Lascio il parcheggio che ormai un po’ di luce c’è, sarei voluto partire a buio, ma nel sacco a pelo si stava di un bene..
La prima parte del tracciato la conosco già, salita qualche anno fa con Riccardo fino al Monte Alto, e poi da li salito all’Alpe di Succiso, e la ricordo una bella rampetta e in seguito una bella cresta. Ma prima è il momento di godersi l’alba, il sole salire pian piano, illuminare le montagne intorno, vedere le rocce della salita al Monte Alto illuminarsi di rosso..
E corro il primo grosso e unico rischio della giornata. Un maremmano libero che mi viene ad abbaiare e ringhiare contro, facendomi sentire l’umidità del suo muso sul mio polpaccio. Non lo guardo, so che lo interpreterebbe come segno di sfida e sarebbe male, i bastoncini sono pure nello zaino.. Per fortuna mi lascia passare senza farmi sentire i denti. Se al ritorno becco il pastore gliene canto quattro..
Salita tosta che rompe il fiato, a valle l’afa annebbia tutto, meno male sono qui, dove c’è un po’ più fresco e tira vento. Ci sarà più fresco, ma la sudorazione mi porterà ad assumere 10l di liquidi in tutta la giornata..non male. Eccomi in cresta, e da adesso partirà la frenetica attesa dell’inverno, che riempirà di neve e ghiaccio i canali che osservo dall’alto scendere verso il versante toscano.. Acquolina in bocca!
Ricordavo tratti più esposti, ma occorre comunque stare vigili per non mettere il piede in fallo. Ed eccomi in cima al monte Alto. La luce è diventata strana, sembra il sole sia potente, ma il resto molto buio. Bevo e mangio qualcosa, poi via di corsa verso l’ignoto! Tipico crinale appenninico, con un cervo che scappa via verso i Ghiaccioni.
Arrivo in cima al Monte Buffanaro in tempo per godermi uno spettacolo inaspettato. Dalla toscana sale vapore, che si addensa vicino al crinale, crea una sorta di cappello esile esile sulle cime, che sta li, non si muove. Di fianco a me, lato est, però si muove questo cappello, e forma come una mano protesa verso il basso verso l’Emilia, mano dalle dita che si disfano pian piano, ma si riformano. A ovest, la mi ombra galleggia nel vuota, sospesa sulle nuvole, con un’aurea di arcobaleno intorno. Faccio almeno 20 foto, è troppo suggestivo. (filmato)
Poi la discesa dal Buffanaro, per nulla banale anche d’estate, figurati d’inverno! In seguito i tratti attrezzati sono brevi e per nulla difficili, un po’ esposti si, ma coma d’altronde tutta la cresta finora percorsa: d’inverno deve essere bella affilata, oppure piena di cornici! In lontananza scorgo due orecchie: è una cerva che se ne sta appollaiata su un balcone di terra. Meglio non disturbarla e passarle oltre.
Ecco un lago, non può che essere quello del Rifugio Citta di Sarzana, quindi ormai ci sono. Meglio dare un occhio alla cartina, che non si sa mai. Ok, ci sono, prossimi bivi sempre a destra, e così scenderò fino alla Diga del lago paduli, per poi tornare indietro per la pare “bassa”. Sì, oggi di km ne faccio, ma di dislivello mica tanto. No beh, aspetta, non avevo considerato che nel tornare indietro devo tornare fino ad almeno 1773 del Passo di Pietratagliata. Vedrò se salire anche all’Alpe di Succiso, ma non credo.
Incontro il primo essere umano, un pastore, ma continuo per la mia strada osservando l’Appennino Parmense, anche lui ancora sconosciuto. Rientro nel bosco, il sentiero prende direzioni strane, sarà corretto? Un po’ di titubanza, ma alla fine è giusto così. Un ruscello non segnato mi fa sbagliare un po’, ma mi ritrovo.
Alla diga cerco e trovo la fonte, meno male, una bella acqua fresca, ah ci voleva. Son le 9e30, 4h che sono in giro, non male. Ma c’è da rientrare.. Uffa, col caldo.. Ho voluto la bici, e mo pedalo. Il rientro è sempre una palla.. Almeno cerco di fare un anello.
Al Rifugio Citta di Sarzana scambio due chiacchiere con un ragazzo che lavora li che mi ha visto stamattina passare sul crinale. Mi cambio la maglietta e riparto, inizio a essere un po’ stanco. Ci sta. Proseguo nel bosco, un po’ di vento arriva anche qui, ma quanti Sali scendi sto facendo?! Dai che mi alleno.. Da lontano osservo la cresta sud dell’Alpe di Succiso, mii se è lunga! Mi sa che non ci salgo, meglio riposare al parcheggio, e poi andare a casa.
Dai Ghiaccioni mi aspetta l’ultima salita importante fino al passo di Pietratagliata. Osservo tre figure sul crinale che calcavo stamattina: allora non sono l’unico a percorrere lo 00. Ed eccomi al Passo, il cartello indica due ore alla cima dell’Alpe Succiso: ok che io ce ne metterei una, ma resta il fatto che questa deviazione mi ruberebbe almeno 1,5h alla giornata. No no, chiudo gli occhi 5 minuti e scendo, ammirando una bella goulotte sopra le sorgenti del Secchia.. C’è da esplorare!
Alle 13 sono di nuovo alla macchina, 32km percorsi in 7,5h, 1500m circa di dislivello, ma soprattutto, gran scorci appenninici, uno spettacolo di nubi che giocano con vento e cime, e qualche ora di relax. E dopo l’Appennino fast, domani l’Appennino slow, molto slow.

Qui altre foto.
Qui report.
Qui filmato del gioco di nubi.

domenica 21 luglio 2013

Sulla scia di Totò: Giordani e Vincent, po’ a ca’

Varchiamo emozionati l’ingresso nella valle di Gressoney: torniamo da te. Dopo la stupenda traversata dell estate scorsa (qui, qui e qui), ci sono rimasti alcuni 4000 facili da salire, e questo weekend sembra buono dal punto di vista meteo. Ovviamente al Mantova e al Gnifetti non si trova un buco nemmeno a pagarlo, perciò l’alternativa più plausibile sta nel Bivacco Felice Giordano: speriamo non trovarlo pieno.
Partiti il venerdì sera dalla bassa, a mezzanotte siamo a Staffal, dove piantiamo tenda a 1860m per dormire nella speranza che ciò un po’ di acclimatamento faccia. La mattina il latte non caldo di Riccardo ci da una fresca colazione. Lo scoprire che entrambi ci siamo dimenticati l’accendino per accendere il fornello (parlo della sera che verrà al bivacco per fare acqua) ci fa venire i brividi. In zona cesarini il bar apre, e la cameriera molto gentile mi “vende” un suo accendino, che il girono dopo gli riporterò. La ringraziamo ancora.
Primo impianto preso, giornata con sole, sappiamo nel pomeriggio potrebbero arrivare temporali, ma puntiamo a essere veloci ed efficaci: Punta Giordani e Piramide Vincent sono i due 4000 obiettivi della Giordani.
L’innevamento rispetto all’anno passato è nettamente migliore, non si vede ghiaccio sul Ghiacciaio d’Indren, sono immagini che fanno bene al cuore. Partiamo decisi alla volta della cima che vediamo già. Ok esser veloci, ma non vogliamo nemmeno strafare, stanotte toccherà dormire oltre 4000 metri, e chissà se il mal di montagna si farà sentire. Anzi, non se, ma quanto si farà sentire.
Seguiamo la traccia, la neve è buona e siamo carichi come delle molle. Davanti a noi qualche cordata, la maggior parte della gente sale verso i rifugi, e ci sono ancora scialpinisti. Verso metà salita le prime avvisaglie di peggioramento si manifestano: dal versante est sale qualche nuvola che rapidamente si dissolve. Guardo l’altimetro, sembra non andare mai avanti. Invece in due ore siamo in vetta.
Finalmente, il mio 17imo quattromila. Sapevo che non poteva essere la Verte, doveva esser per forza una cima un po’ del piffero. Perché come diceva Toto’ “essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta male”. E accidenti a come è andata sulla Verte.
Bella vista su parte della est del Rosa: che abisso! Un po’ di nebbia oscura il panorama, ma ancora è poco questo disturbo. Una cordata è alla base del gendarme da superare per salire alla Vincent, parlottiamo con due tizi in cima: quei due alla base del gendarme ci stanno mettendo un sacco di tempo, ci dicono aver fatto un po’ di fresca nei scorsi giorni, e che quindi probabilmente la cresta è delicata. Ma perché non traversare sotto la sud della Vincent e poi salire per uno scivolo di neve? Là ci sono pure dei paletti!
E partiamo così per un traverso sopra la terminale del ghiacciaio Indren, ripassare sotto una parete mi mette un po’ i brividi, ma la neve sopra di noi è poca, non c’è così caldo, non scarica nulla. Ma non ci sto tanto sotto a indugiare, cerco di esser rapido. Nei pressi del primo paletto inizio a salire, ma la neve fa un po’ cagare, si va giù fino al ginocchio, vado a cercare la roccia. E che roccia. Io che non volevo arrampicare, minimo del II lo facciamo.
La nebbia oscura la visuale, solo a tratti scorgiamo qualcosa, la punta Giordani, quanto siamo saliti, quanto manca alla fine, chissà. I paletti li abbiamo lasciati a destra, ma zigzaghiamo un po’ alla ricerca della miglior progressione. Poi ecco un bel ometto obeso, che segna il fatto che siamo vicini a qualcosa che non sia la variante “AR” (Andrea-Riccardo). Recupero Riccardo per poi proseguire sulla cresta nevosa, che appiattendosi ci fa presagire che la cima non è lontana. Ora le tracce di peste sono più marcate, ne sono confortato.
Riccardo è provato, e come non capirlo, alla fine ci siamo fatti una bella salita e in poco, e non banale nel tratto finale. Mangiucchio una barretta e ne lascio metà nella neve per lui. Poi avanziamo, le voci della gente in cima arrivano prima che possiamo vederli.
Tac, e siamo a 18. Il panorama non c’è, siamo nella nebbia, quindi che ci stiamo a fare qui? Una foto e filiamo verso il bivacco. I due ragazzi che erano sulla cresta del Soldato mi informano che hanno tentennato un po’ perché si era incastrato un friend.. Riccardo mi informa che per risalire quei 50m potrebbe morire 47 volte. Speriamo di no! Ogni tanto si scorge qualcosa, urca quanta gente in cima al Balmenhorn: speriamo non siano tutti li per soggiornare.. È la cosa che mi spaventa di più di oggi.
Ciuf ciuf, forza forza, due francesi ci sorpassano, loro ci salutano in italiano, noi in francese, bizzarro. Arriviamo al bivacco, ma i due francesi prima di noi: va beh, sono due, più due noi, ci stiamo. Ma dentro c’è già del materiale, roba sui materassi, non si capisce quanta gente ha cercato di prenotare il posto in questo modo. Beh amen, ci stringeremo! La fame è tanta, iniziamo a riempire le pentole di neve per poi iniziare a sciogliere lì’acqua, che lavoraccio e quanto tempo.
Ci prepariamo un risotto agli asparagi (pipì che puzza!) ma timoroso della mancanza di Sali minerali nell’acqua di fusione, esagero col sale, porca vacca che schifo! Siamo costretti ad allungarlo con dell’acqua..diventa un risotto in brodo. Riempiamo le borracce con Polase (forse troppo): più apro lo zaino di Riccardo, più cibo trovo! Arriva anche un altro italiano, ora siamo in cinque. E mancano quelli che han lasciato la roba. Intanto fuori arriva il brutto tempo.
Ci rifugiamo in alto a dormicchiare un pochino, in testa c’è già il martello pneumatico, ma normale, a 4165m di altezza: vedremo come va! Mentre dormiamo arrivano i tre polacchi che occupavano il bivacco, meno male che sono solo tre, ma fanno casino per dieci.
Il tempo passa noioso, un po’ fuori nevica, cerchiamo di riposarci ma invani, piuttosto usciamo a dare un’occhiata alle luci che si affievoliscono. Cerco di allieva ire le pene del cesso, ma nemmeno una pentola di acqua bollente riesce a sciogliere il tappo presente nello scarico: solo per stomaci forti. L’italiano ci confessa che se dice a sua moglie che ha dormito in bivacco, non lo fa più entrare in casa. Io non vedo l’ora di fare una doccia, forse anche due docce!
Ora di cena, facciamo un panino, e intanto sciogliamo altra acqua, bisogna bere! Col francese facciamo un esperimento per dare qualche dato alla scienza. Alle 20 invito i polacchi che sono ore che giocano a carte ad andare a letto, che io e Riccardo alle 2 ci alziamo, i francesi e l’italiano verso le 4e30. Io e Ricky ci offriamo di essere quelli che dormono giù per terra, se ci danno un materasso. Andata, così non rompiamo le balle a nessuno quando ci svegliamo.
Che dormita male. Ogni 15 minuti mi sveglio, un mal di schiena su questo “materasso”, sto stretto nel sacco a pelo, non posso girarmi di lato che mi viene il vomito, vorrei andare in bagno ma mi tira il culo uscire al freddo. Poi sento Riccardo, “non sto bene, ho il vomito” “Riccardo tranquillo, quando suona la sveglia vediamo cosa fare, se non te la senti andiamo giù e amen”. Driiin “no no, non ce la faccio”: immaginavo che la Dufour sarebbe stato dura farla (anche se l’italiano ci aveva confortato dicendo che ne aveva visti salire tanti oggi). “dai, ci svegliamo quando si svegliano gli altri e vediamo che fare”.
“Bonjour” “Bonjour” “Vous etes encore la?” eh sì, colazione con calma, gli altri tre partono, poi Riccardo mi dice “andiamo giù, non me la sento di salire al Margherita” “no problem Ricky”. Scendiamo ammirando il Monte Bianco che pian piano si illumina, il meteo non è bello come le previsioni davano, anche se non sembra nemmeno freddo come doveva essere. Una marea di gente sale, se ne vedono di tutti i colori, è agghiacciante. L’affollamento mi fa venire la nausea, ma questo è il parco giochi dei provetti alpinisti, ci siamo passati tutti.
Arriviamo agli impianti che devono ancora aprire, sono le 7e15. Pronti per scendere aspettiamo pazienti. Arrivati giù non ci resta che andare a fare colazione al bar dove restituisco l’accendino ringraziando sentitamente la barista, e filare verso valle con qualche sosta nei paesini alla ricerca di cibo (una bella focaccia con la cipolla) e birra, che ci scoleremo su una panchina del parco giochi.
Weekend finito prematuro, ma che ci ha insegnato tanto. E Quota 18 personale raggiunta, forza Totò!

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Qui relazione.

domenica 14 luglio 2013

A zonzo per il Lagorai: Cauriol e Castel d’Aie

Un’uscita al di fuori del nostro solito: si parte tardi, si torna tardi (beh, questo a volta succede), si parte con l’idea di dover usare solo le gambe. Eh lo so, il weekend sarebbe stato buono per qualcosa di più, ma sono ancora convalescente dalla Verte, probabilmente anche nello spirito, chissà. Il Lagorai darà spazi aperti per riflettere.
Partiti tardi temiamo già di scioglierci al sole, e invece il caldo non sarà nemmeno così angusto, complice un venticello fresco che permetterà al mio collo di diventare bordeaux. La partenza è da una prateria con annesso rifugio, malga, bestiame, automobili della domenica. Breve tratto nel bosco e la vista corre subito la in fondo dai Cauriol.
Camminiamo convinti, anche perché ok arrivare in cima al Monte Cauriol, ma quello è solo un passaggio, dopo il quale vorremmo allungare per aggiungere km e dislivello al giro. C’è da allenarsi. Arrivati nei pressi del bivio della Via Austriaca, prendiamo questa, in modo da compiere un anello e rendere il giro più vario possibile. Alla faccia del vario! Una pietraia maledetta!
Camminiamo sui pietroni, risaliamo perdendo il sentiero, e ben presto siamo al passo tra i due Cauriol, dove via Italiana e Austriaca si incontrano. Sono molto ignorante, ma se combino il fatto della prima guerra mondiale, di due vie con nazionalità diversa su un monte che non è certo un 8mila, capisco che qui si è fatta la storia.
Via dritti verso la vetta, dove arriviamo dopo due ore dalla partenza. Per fortuna Marco mi offre una piadina delle sue (io gli offro poi il dolce, non è che gli tolgo il cibo di bocca!) e ci rimpinziamo prima di partire. Il sole è alto, ma in giro un po’ di nuvolaglia c’è. Laggiù la possente Cima d’Asta col suo versante nord, che in invernale sarà da salire, dalla parte opposta Catinaccio, SassoLungo, Sella. Adamello and company sono avvolti dalle nuvole.
Giù al passo tentiamo la salita al Piccolo Cauriol, ma dopo poco desistiamo. Sentiero non c’è, gendarmi invece si. Vai indietro e scendiamo dal versante opposto dal quale siamo saliti, direzione passo Sadole. Ambiente tipicamente Lagoriano, prati e boschi a valle, pietre in cima, desolazione e un pizzico di selvaggio. Ma ancora non è niente. Osserviamo la parete del Piccolo Cauriol, sognando di aprirci una via.
Al Passo Sadole decidiamo che è troppo presto per tornare alla macchina, vogliamo fare il giro del Castel d’Aie, magari salirci in cima. E vogliamo farlo in senso antiorario: e invece finiremo a farlo in senso orario, meglio così. Marco davanti si ferma e mi propone di passarci io davanti per farmi qualche foto: peccato che Cima d’Asta è dietro, e le foto belle sarò io a fargliele! Quel pigrone.. Io con una macchina fotografica dei puffi, lui con quella bella, e le foto devo farle io..
Dubbiosi saliamo al Passo delle Aie, bello spettacolo dall’altra parte, ma sulla cartina di Marco il sentiero c’è, sulla mia no. Infatti partiamo, interpretando le curve di livello visto che traccia non ce ne è. Finiamo su pietraie varie, un po’ di neve, e poi saliamo decisi verso quello che dovrebbe essere il passo per scollinare di la. Ma chissà, molto dubbiosi, “torniamo indietro?” “no ormai andiamo avanti” e finalmente vediamo lassù qualcuno.
Lo incrociamo che scende, e vediamo il sentiero, che forse stava più alto, chissà (ma tanto il tizio è salito dall’altra parte, da dove noi scenderemo, e da dove avremmo voluto salire..): ha con se due cagnini, tosti sti cagnini a fare questa salita! Usando un po’ le mani (il braccio sta meglio di quello che temevo) arriviamo in cima, anche su questa.
Qualche foto veloce poi giù, Marco deve andare al concerto di Elio, e le nuvole non devono sopraffarci! La prima parte di discesa ci sorprende, come han fatto i cagnini a passar di qua senza finire in mezzo ai buchi tra i sassi?! (c’era una variante più in basso). Continuiamo a scendere, sentiero poco battuto questo, selvaggio e impervio, mica male! Ma dove si scende? Siamo su un crinale affilato.. Poi si scende.
Terminiamo il giro a un orario insolito per noi. Ma questo ci permette di goderci un po’ la pace del tardo pomeriggio (di solito ci godiamo la solitudine della mattina presto, o della notte). Si ringrazia Drudi che tutto il giorno ci ha fatto canticchiare la prugna.

Qui altre foto.
Qui report coi tempi.

giovedì 4 luglio 2013

Non siamo montagnards, ma almeno possiamo dirlo

È facile raccontare delle imprese che finiscono bene. Bisogna avere il coraggio di non vergognarsi di quelle che vanno male. Questa è una di quelle. Andata in questo modo, speriamo l'ultima. Almeno siam tornati.
Partiamo super carichi, il progetto è ambizioso, cinque giorni di traversata sul massiccio del Monte Bianco, con qualche tappa per nulla banale e itinerari ricercati e poco frequentati. Nulla di estremo comunque.. Saranno sei mesi che ne discutiamo, che affiniamo i dettagli, spigoliamo le relazioni, definiamo il materiale. Con tutto quello che abbiamo letto, ormai è come esserci già stati.
Il meteo è quasi dalla nostra parte, in questa pazza estate è la settimana migliore che si sia mai vista, e per questioni di lavoro non possiamo più rimandare. Si parte. Sappiamo che il mercoledì il tempo non è buono, ma a noi basta salire al Grand Montets e bivaccare per acclimatarci: poi al mattino dovrebbe rischiarare e potremmo partire per il Couloir Couturier.
Ma una serie sfortunata di eventi inizia il suo percorso. Esplode la frittata nella mia borsa, per un disguido ci tocca rifare i biglietti del bus per passare il traforo. Per pochi minuti perdiamo il bus La Palud-Courmayeur e tocca prendere il taxi. Arriviamo finalmente alla funivia (piove) e ci dicono che per le salite ha appena chiuso perchè su c'è brutto. Alla stazione intermedia non il rifugio è chiuso, e non ci sono modi di bivaccare. Andiamo all'ostello, e il tizio sbaglia a darci il codice della porta d'ingresso. Partiamo davvero male.
Ma non possiamo abbatterci, pensiamo a come regolare i tempi per stare dentro al nostro programma e ci saltiamo fuori. Gran abbuffata a cena e si va a letto nella speranza che tutta l'acqua che sta cadendo dal cielo non sia neve lassù.
La sveglia suona, piove ancora, ma tanto vale salire, mal che vada bivaccheremo e perderemo un giorno, ma almeno la Verte vogliamo salirla. Saliti con la funivia, scopriamo che invece c'è un sole della madonna, un panorama mozzafiato, ci eccitiamo come adolescenti. Dai che si va!
Ci prepariamo e via. Nessun altro ci segue, due ci precedono ma attaccano qualcosa che sta prima. Il bacino di Argentiere è spettacolare. Di fronte a noi svetta l'Auguille d'Argentiere, che bella. Ma tralasciamo tutto ciò, che siamo emozionati è chiaro. Siamo anche determinati. Forse troppo. Arriviamo in un paio d'ore alla base del canale, una grossa slavina ai suoi piedi, bene, vuol dire che ha già scaricato, e neve fresca stanotte ne ha fatta forse un cm qui, ovvero nulla di preoccupante. Dai che ce la possiamo fare. Dai che il sogno si può realizzare.
Qualche scarica intorno a noi, ma nelle zone di roccia, dove il sole che scalda la pietra fa poi sciogliere la neve che cade. Non ci riguarda, noi siamo lontani dalle parti rocciose. Parte Nicola a superare il muro della terminale, tre-quattro metri verticali dentro una rigola che piscia frammenti di neve di continuo. Ometto i particolari di orari, condizioni, temperature, perchè col senno di poi è facile dire che stiamo facendo una cazzata. Per come è andata siamo stati degli imprudenti, ma se fossimo riusciti a salire, saremmo stati dei grandi. Sottile la linea tra i due, dove pende dipende solo dall'esito. Ma la la storia non si fa ne coi se ne coi ma.
Nicola è legato con me, lo segue Roberto legato a Gianluca. La corda finisce e Nicola allestisce la sosta. Anche Roberto sosta, ma parto prima io di Gianluca. Salgo, e nella rigola è tutto un bagno, porca miseria, sol che questa nord vada all'ombra. Lo raggiungo e parto subito, qui non c'è tempo da perdere, meglio salire in fretta.
Giù un fittone, salita delicata e atletica nella rigola, ma poi esco da questa perchè non mi piace stare molto in questo imbuto. Giù un altro fittone, Ginaluca sotto di me sale anche lui, avrò 25m di corda dalla sosta. Poi mi sento urlare qualcosa del tipo “occhio!” guardo su, scarica di neve, veloce passo a sinistra per evitare la sua strada, mi rannicchio, sento qualcosa passarmi sopra ma poco, il grosso mi pare scenda a destra di me, penso “l'ho schivata, speriamo la schivino anche giù” e poi tutto finisce, mi sento strappare dal basso con una forza a cui le mie picche e ramponi non possono opporsi.
Rotola giù, vengo mescolato come un mazzo di carte, ho il tempo di pensare “è finita” ma ne ho davvero tanto di tempo. Non mi passa la mia vita davanti, penso solo “cazzo, è finita” e poi in un momento di lucidità “sì però un colpo secco, morire asfissiato o assiderato è lungo e sofferente”. Sento che la velocità cala “dai che ne esco cazzo”, ma poi riprendo a scendere, non ci capisco più niente, sapere quanto sono sotto, come son messo, chissà. Capisco che mi sto fermando, capisco che sono ribaltato a testa in giù, tiro in alto verso il cielo una gamba (l'altra è bloccata, non so il perchè).
Una maschera di neve in faccia bloccata da casco e occhiali non mi permette di vedere e aprire gli occhi, neve nelle orecchie, non so se son sotto o fuori. So solo che sono messo da cazzo, in una posizione scomodissima. (adesso ometto i particolari, perchè riguardano le altre persone) Sento Gianluca vicino a me parlare, Roberto sotto di noi, entrambi non mi danno buone notizie sulle loro condizioni, ma almeno parlano. Dov'è Nicola?! Non si sente, cazzo mi cago a dosso. Riesco a liberarmi del casco, adesso vedo, son messo malissimo, gamba sinistra piegata con piede ingrovigliato dalle corde di Ginaluca e Roberto, mano destra ingrovigliata dalle corde sempre loro e dalla dragonne delle mie picche, lo zaino che mi impossibilità a muovermi. Che brutti momenti. La faccio breve. Riesco a liberare il braccio sinistro dallo zaino, prendo il coltellino, taglio le corde che mi bloccano, ma non riesco ad alzarmi, Ginaluca è libero ora, scende da Roberto che sta chiamando i soccorsi, ancora nessuna notizia di Nicola, che probabilmente è rimasto su, le mi corde mi tirano verso l'alto, impedendomi di rialzarmi. Ce la faccio, ma non riesco a far nulla comunque per capire come stia Nicola.
Gianluca scende a recuperare lo zaino, Roberto sta fermo che è meglio, Nicola mi tira le corde, arriva l'elicottero.
Tralasciamo le dinamiche successive. Siamo vivi, siamo felici di ciò. Roberto verrà operato il giorno dopo al malleolo, costole rotte, guancia tumefatta e varie botte. Gianluca una gran botta al collo, graffi e botte. Nicola 4 punti al polpaccio per ramponata, bruciature alle mani e collo per la corda, botte varie, dito insaccato. Io due punti al braccio per ramponate, botta alla chiappa con sensazione di formicolio alla coscia da giorni, collo e botte varie. Chi di noi tre ha saltato “volando” la terminale, ha un bel trauma da impatto di atterraggio. Ma siamo vivi, e per questo siamo contenti.
Il resto della storia sarebbe noioso ai lettori, ma resterà vivido nei nostri ricordi. Così come tutti i particolari omessi nel racconto di cui sopra, alcuni perchè personali, altri perchè tecnici, altri perchè la cosa importante è poter esser qui a raccontare.
Speriamo rimetterci tutti in sesto, e tornare presto a solcare le alte quote.

PS: se qualche lettore dovesse affrontare il canale in questione, potrebbe ritrovare un po' di materiale. Una piccozza, vari chiodi da ghiaccio, una macchina fotografica, una corda nuova di zecca tirata dalla sosta fin sotto la terminale, varie ed eventuali. Se ce la volesse ridare, gliene saremmo grati.
Coulori Couturier, tentativo, siamo vivi

Qui altre foto.
Qui relazione sul forum.