sabato 22 febbraio 2020

Ritorno alle Orobie: Couloir dei ratti

E venne giorno di tornare in Orobie: montagne crude, che non si regalano nulla e ti fanno faticare notevolmente prima di concedersi a te. Dopo innumerevoli tentativi, dopo mesi e mesi finalmente io e Flavio riusciamo a combinare la possibilità di ritrovarsi a fare qualcosa insieme. Flavio, l'orobico conosciuto alla Tour Ronde, un'altra di quelle gite in cui ho bruciato una delle mie sette vite. Flavio poi rivisto in altre occasioni, compresa un'altra dove ho spuntato un'altra delle mie sette vite. Ué Flavio, sarà mica che porti caia come Nicola?
Intanto oggi scopriamo se ho nelle gambe il dislivello che mi propone il ragazzo dall'intercalare "Pota" e "Figa". Il couloir dei Ratti l'avevo già tentato due anni fa, ma per preoccupazioni meteo desistemmo. Oggi la giornata dovrebbe essere perfetta e in effetti così sarà. Ci incamminiamo dalla località Grumetti partendo subito con un piccolo vertical, giusto perché le Orobie devono subito farti vedere chi sono. Sulla successiva forestale tre enormi valanghe devono essere attraversate per proseguire. Quando albeggia ci troviamo nel cosiddetto scarico, anche lui sentiero infido ricoperto di ghiaccio e neve, e che in tutta la sua pendenza ci fa sudare nonostante le temperature fresche.
Al parcheggio abbiamo trovato altri tre ragazzi amici di Flavio con il quale abbiamo condiviso la salita. Giunti al Rifugio Curò loro si fermano a fa fare colazione al sacco nel locale invernale, mentre noi dopo una rapida sosta per mangiare un boccone partiamo subito. Dall'ultimo tentativo ricordavo che poco dopo il rifugio si dovesse tagliare verso destra, ma il mio Cicerone non sembra così sul pezzo e per errore andiamo un pochino troppo avanti per poi ritornare indietro sui nostri passi.
Il paesaggio non è certo invernale come dovrebbe essere in questo periodo, ma almeno lo è molto di più di quello che ho visto in altre scorribande nelle mie zone negli ultimi mesi. Si sale, si avanza, seguendo le tracce cancellate dal vento. Arrivati a una sorta di selletta ecco che scorgiamo la nostra meta. Gli altri ragazzi ci raggiungono e proseguiamo insieme, senza troppa fretta ma neanche con troppa calma.
Ci infiliamo nel couloir dei Ratti senza nemmeno legarci, le condizioni di innevamento hanno abbassato le pendenze e quindi le difficoltà: il salto ghiacciato è corto è appoggiato. L'itinerario è comunque molto piacevole con il paretone roccioso alla propria sinistra e in alcuni tratti un bellissimo panorama alla propria destra. Redorta e Coca completamente al sole e noi completamente all'ombra con pure un po' di freschetto.
Ridendo e scherzando si continua a salire, usciamo dalla parte stretta per ritrovarsi su ampi pendii. La neve non è che sia proprio ottima, ma vecchie tracce l'hanno pestata un po' rendendola salibile.
Giunti alla sella Fabio Flavio si mette a cavalcioni su essa e aldilà riesco a scorgere il traverso dell'effettiva re: non è che sia molto piacevole, e infatti anche quando ci saremo dentro il bergamasco proseguirà con fare guardingo e circospetto.
Gli ultimi delicati passi ci depositano nel canalone Nord e con lo sguardo all'insù vedo che ce ne sono ancora di metri da macinare per arrivarne al termine. Salita costate dove ci alterniamo a darci il cambio: non sono messo così male rispetto agli altri quattro puledri allora..
Sbucare fuori dal canale significa abbandonare l'ombra dello stesso e finire al sole: sole e caldo, panorami ampi ma ancora un po' di fatica per raggiungere la cima tra rocce sfasciumose e una bella cresta nevosa.
La giornata è stupenda. Il panorama dalla cima è ampio e spazia ovunque. Laggiù la parete del Monte Rosa e dalla parte opposta il Monte Baldo. Solo gli Appennini non si mostrano a causa della foschia della Padania. Questo spettacolo merita una cospicua pausa, e anche la fatica fatta finora merita un cospicuo rifocillamento. Si vede qualcuno sul Monte Gleno, ma altrimenti siamo solo noi cinque le uniche persone a perdita d'occhio.
Come temevo, la discesa si rivelerà più complicata della salita. Scendere per la Val Cerviera non se ne parla non essendo tracciata ed essendo tutto al sole, il che vuol dire con una neve pessima che ci farebbe soltanto faticare e rischiare la pelle sui traversi un po' di ripidi (e nei buchi!). Infilarsi nel canale, guardare in basso e vedere che..ok non essere verticale ma non è nemmeno una passeggiata. Ci vorrà un po' di tempo, almeno per me. Assetto da gambero e via a scendere cercando di sfruttare le peste già presenti ma non sempre riuscendoci per l'inconsistenza della neve.
Mi ritrovo così a essere palesemente il più lento, costante e inesorabile, ma lento. Flavio mi aspetta mentre gli altri tre se ne vanno a cercare il caldo del sole più a valle. Interminabili minuti faccia a monte poi finalmente, quando la pendenza spiana, posso girarmi e iniziare a corricchiare. Al sole ci ricongiungiamo con glia altri tre bergamaschi e ci spogliamo prede e vittime dell'irraggiamento solare.
Il resto della discesa è una chiacchierata, spesso mio malgrado in un idioma incomprensibile: chiacchierata dolce fino al rifugio, e poi una sfasciumosa e brulla discesa per quello che è il sentiero invernale di accesso al Rifugio Curò. Torniamo così alla macchina dopo 10 ore abbondanti e un po' di metri di dislivello. Come diceva Flavio ieri "questo sì che è uno di quei giri che ti appagano e ti fan dire che oggi sì che hai sgambato!".

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sabato 8 febbraio 2020

Un inconsueto Monte Prado: Canale a Z

Le rocambolesche avventure le venerdì pomeriggio a districarsi tra malati e cene, ci porta alla composizione del trio Andrea, Federico, Luca, e a finire in Appennino con ramponi e piccozza. L'inconsueto comincia già con l'avvicinamento: Luca vuole salire in macchia fino alla sbarra, quasi una bestemmia per le mie gambe. Solo una volta tentammo di farlo per questioni di corso, e tra l'altro, non finì neppure benissimo
L'altro aspetto inconsueto è l'orario di partenza: con Luca abbiamo contrattato di ritrovarci alle 6:30 a Gatta, il che vuol dire che la frontale posso pure lasciarla a casa. Con queste premesse, e dopo aver percorso l'interminabile strada ghiaiata è un po' sconnessa che porta alla sbarra di Rio Lama, ci incamminiamo con la proposta, sempre di Luca, di imitare i fungaioli che tagliano tutti i sentieri possibili per tirare dritto verso la Valle dei Porci senza passare per il passo di Lama Lite.
Inconsueta e anche la quantità di gente che c'è in giro con le nostre stesse mire: al parcheggio c'era già una macchina e ne è arrivata un'altra con quattro persone, e infine nella Conca dei Porci conteremo almeno altre 16 persone divise in varie cordate, che vista la (nn) quantità di canali in condizioni a disposizione porteranno ad avere la fila sia sul Canale a Z che sulla Clessidra. L'erboso avvicinamento ci costringe a tallonare e lavorare di punta sul paleo rinsecchito per raggiungere finalmente la zona delle nevi continue. Messi i ramponi ci dirigiamo verso d'attacco del Canale a Z: titubanti fino all'ultimo se salire questo o la clessidra alla fine optiamo per questo perché già altre cordate si dirigono verso la clessidra, col dubbio di un paio di tratti secchi che ci toccherà superare in qualche modo.
Parte Federico. Il primo tiro non presenta particolari difficoltà: uno scivolo di neve ghiacciata continua a 45-50 gradi, che si impenna un pochettino solo verso la fine raggiungendo la base del muretto chiave della via. Ma l'essersi legati alla base è stato provvidenziale perché nella zona della sosta non saremo stati sufficientemente comodi. E pensa se la picozza mi fosse caduta lì invece che all'attacco: non l'avrei ritrovata più. Cosa succede a dimenticare le longe a casa: tutt'oggi sarò "zoppo" a dover stare attento costantemente di non perderle.
E mentre in sosta ci scambiamo le corde in modo da far passare davanti Luca, un'altra cordata giunge alle nostre spalle. Luca parte per quello che potrebbe essere il tiro chiave, visto che dopo pochi metri incontra un muretto di neve deforme con un fronte che si sta staccando e scivolando giù (non certo oggi che la neve è tutta bella dura, ma se dovesse venire una bella botta di caldo qua si stacca tutto). Picca picca rampone rampone, picca picca rampone rampone e il parmigiano (o parmense?) sale, scomparendo ai nostri occhi quando la pendenza si abbatte. Speriamo solo che riesca a superare quel tratto di erba e mirtilli che si vedeva da basso, sennò rischia di toccare a me.
E invece no, 55 metri di tiro non bastano per superare il tratto di giardinaggio. E in effetti quel tratto mi ricorda qualcosa: io infatti questo canale devo averlo già percorso tempo fa senza sapere che fosse lui, e proprio quel tratto che oggi è completamente in erba, l'altra volta che era mezzo in erba mi aveva dato da fare. Nascondendomi tra l'altro la sorpresa una volta superatolo: pendio ripido con poca neve e tanti mirtilli su cui arrampicare. Beh, ma Luca sai cosa c'è? Fatti te anche questo tratto, poi fai sosta più su e io faccio l'ultimo tiro per portarci fuori dal canale. E Luca da vero iron-appenninista non si fa scappare l'occasione di andare a picozzare e ramponare terra ghiacciata, incastrarsi nelle mirtillaie, ma soprattutto piantare sto fenomenale warthdog (che per estrarlo durerò più fatica che ad arrampicare). 
Io e Federico osserviamo la fantasiosa sosta del nostro amico: fantasia che ha i giorni contati visto che anche lui sta per tuffarsi nella famiglia caiana. Io invece osservo lo scivolo nevoso che mi spetta di tirare. Nettamente migliori le condizioni rispetto all'altra volta, ma è già piuttosto chiaro che non riuscirò a mettere giù nemmeno una protezione: c'è solo neve, ma di certo non abbastanza per mettere giù un fittone, anche perché mi serviranno per fare sosta. E infatti va così, salita tutta d'un fiato con un momento di pausa verso la fine quando l'uscita si impenna per gli accumuli presenti, pregando che la qualità della neve non peggiori, come di solito fa a ogni uscita di un canale. Preghiere che vanno in porto, neve ottima in tutto il tratto, sbuco ed è sole. Pianto due fittoni che secondo me oggi potrebbero reggere anche una 500 (magari quella di una volta, non il modello nuovo).
Intanto Federico arriva e mi esclama "cavolo, non mi ricordavo che fosse così", frase che io interpreto come un "Beh, ma dai, è alpinismo, e oggi non c'è neanche da patire così tanto freddo" ma lui mi fredda con un "stavo parlando della andare in montagna". Ed eccoci tutti fuori, ci ritroviamo sui pendii finali che formano la cuspide del panettone Monte Prado, tra tintinni di materiale e vociferare di altre cordate. Si trotterella verso la cima dove ci adagiamo per una paciosa sosta culinaria. L'idea poteva essere di spostarsi al Sassofratto e fare un canale facile in slego, ma gli orari rischiano di essere troppo tirati.
Preso un po' di sole, scendiamo per il Vallone situato tra Monte Prado e Sassofratto osservandone rispettivamente il versante Est e il versante ovest, per poi proseguire a caso seguendo il ruscello e poi andare a incrociare il sentiero. Pensando di far prima giungiamo fino al Rifugio Segheria per poi risalire verso il parcheggio. Chissà se oggi 10 km li abbiamo fatti: ma 10 o non 10, la birra media (da 0,2?!) a Villa Minozzo ci aspetta.

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