domenica 29 gennaio 2012

Monte Vioz, 3645m: dove tutto iniziò

In questo weekend vissuto al livello del mare, ne approfitto per sistemare e riordinare un po' di cose, tra cui delle foto. E mi torna in mano quella. Sto per metterla in un cartone da posizionare poi in un angolo dentro l'armadio, ma poi ci ripenso. Cazzo, è la foto dell'inizio. Scattata sulla cima sulla quale iniziò la mia passione per la montagna, prima solo vista come un momento faticoso che però appassionava persone che frequentavo, e allora mi adattavo. E mi fermo a riflettere.
Erano nemmeno tanti anni fa, il 2007 scopro oggi ripescando nell'hard disk la cartella con le foto di quella giornata. In compagnia della mia allora ragazza (saltellante ben più di me sui sentieri e con ben più esperienza) e di suo padre (vecchio lupo di montagna), destinazione Monte Vioz, 3645 metri sul livello del mare, un'immensità per me a quei tempi. Monte sempre e solo ammirato già dall'appartamento di vacanze in cui stavamo, nonché da molte altre angolazioni durante i vari trekking. Oh quanto è alto e lontano!

Non credo nelle frasi "non dimenticherò mai.." ma adesso mi sento di dire che non dimenticherò mai la commozione provata quando raggiunsi il Rifugio Mantova, nemmeno 100m sotto la vetta. Nella fatica del momento non mi guardavo intorno, mi trovai a contemplare il momento all'improvviso, non me ne resi conto della reazione a catena che stava per manifestarsi. C'era pure la banda ad accoglierci, nemmeno a farlo apposta, la magia cresceva sempre più, e rapidamente.
Era un mare di nubi verso la Val di Sole, perfino la Presanella riusciva appena a sbucare da quella coltre. Mi voltai verso il lago del Careser, mi spostai un po' dove non c'era nessuno, in modo da sentirmi solo in mezzo a tutto ciò: piansi, mi sembrava di essere sul tetto del mondo. In fondo era il punto più alto che avevo mai raggiunto. Ma se non ci fosse stato quel mare di nubi non sarebbe mai stata la stessa cosa. Anche ora la commozione torna un po' a farsi sentire.
Salimmo in cima per poter ammirare le 13 cime, magnifico, sentivo che volevo di più, volevo salire ancora, volevo riprovare le emozioni provate poco prima. Ghiacciai, cime, fino a quel momento non mi era mai importato nulla di quel mondo, a dir la verità non lo conoscevo neppure. Cosa mi ero perso, 24 anni della mia vita senza conoscere tutto ciò. Ma forse non era troppo tardi. In quel giorno si accese una fiammella, che l'anno dopo sulla Presanella (mia prima alpinistica, con guida alpina) diventò un fuoco, che mi arde ancora dentro. E per sugellare le prime imprese, nel 2010 con Riccardo e Marco tornai proprio al Vioz, per la Traversata Vioz-Cevedale, prima alpinistica da soli.
Camminammo un po' verso Cima Linke, non volevo più andarmene, volevo scoprire, avevo fame di spazi infiniti. Scendemmo a rifocillarci al rifugio, dove una mia svista divenne episodio di scherno della mia goffaggine: in tanti si sono fatti, si fanno e si faranno, grasse risate sull'accaduto (e io, autoironico come sono, gli facevo, faccio e farò compagnia): presi la zuppa al rifugio, la più buona che abbia mai mangiato (la magia della giornata??) e nell'ingordigia di metterci tutto il formaggio grattugiato che c'era, presi la formaggiera e la capovolsi sopra il piatto: peccato fosse formata da due parti senza incastri. E insieme al formaggio, la parte della formaggiera che le mie dita non tenevano, si zuppò nella zuppa.
Che ricordi. A distanza di più di 4 anni sono cambiate tante cose. Salii sul Vioz da conpleto ignorante e principiante, vestito alla bene e meglio, abbigliato allo stesso modo con cui andavo a vendemmiare e scarponcini estivi della Quecha. Oggi faccio il fighino con la roba della Montura, NorthFace, ecc (beh, vesto ancora Decathlon anche!), ma lo spirito del bambino che scopre qualcosa di nuovo, è sempre lo stesso. La fame di scoprire e provare nuove emozioni. Sarà anche per questo che continuo a sentirmi sempre un ventiquattrenne.

A Roberto e Erica devo l'aver preparato la legna che poi accese il mio fuoco, gliene sarò sempre grato: anche se non pensavano che le fiamme avrebbero assunto certe dimensioni. E così la foto in questione, prima grezzamente incollata all'armadio, viene incorniciata e appes adegnamente al muro.

Qui qualche altra foto della giornata.

domenica 22 gennaio 2012

Vaio dei Colori, just for polpacci

Trio inedito oggi, per riempire una domenica di bel tempo: io (nonostante la giornata di ieri e nonostante in due notti abbia dormito 7 ore) Gianluca (che dopo averlo tentato ha infine ceduto) e Filippo (che confortato dalle condizioni del vaio ha deciso di esserci). Destinazione Vaio dei Colori, c’è poca neve ma dicono sia in condizioni, e avendo fatto lo scorso sabato il Vaio Bianco sono abbastanza tranquillo.
Via allora, scegliendo di prendere il Vaio seguendo il sentiero, perché da giù giù dal ponte so bene troverei intoppi che vorrei evitare. La giornata non è nemmeno fredda, la neve non durerà molto. Dal parcheggio i miei compari mi chiedono un po’ di indicazioni visto che ormai sono abbastanza esperto della zona, e dopo aver esposto che scenderemo dalla vagina vengo deriso per il termine coniato. Ma stranamente capiscono subito a quale chiazza di neve mi riferisco!
Partiamo assetati di pendenza, e presto arriviamo alla sella caratteristica col sigaro, dove Gianluca prende la traccia che però porta al Vaio Mosca! Una volta che vi lascio davanti, guarda cosa mi combinate ! Scherzo.. Fortuna che un gruppo che ci stava dietro ci richiama e ci fa scendere. Intuisco già l’affollamento che ci sarà sul Vaio!
Arriviamo infine all’attacco, dove inizio a maledirmi: la macchina fotografica dopo 10 foto mi dà già memoria piena.. che strano. Vuoi vedere che.. Ma porco boia, ho lasciato la sd nel pc, porca di quella, e il Vaio rimbomba di imprecazioni! Gianluca, ti romperò le palle per fare delle foto..
Forza polpacci, si sale, e tristemente constato che la prima volta che ho percorso questo vaio c’era ben più neve, ed era il 2 giugno 2010! Il Vaio è davvero affollato, nessuno è legato, e si chiacchera un po’ tra tutti. Il tratto attrezzato è ben scoperto (l’altra volta era coperto) e ci impegna più che i 50° su neve, ma nulla di che! Continuo a maledirmi per l sd nel pc.
Attacco discorso con un veronese solitario, che dopo un po’ mi dice “ma allora è tuo il report che ho letto ieri”. Che soddisfazione.. Sali sali arriviamo ben presto all’uscita, e non pago della salita mi dico “ma perché non uscire dritti?!” e via su qualche metro ben più pendente dell’uscita a sinistra, 75° con delle rocce, un bel misto adrenalinico. Esco per primo (ci abbiam messo un'ora), sotto di me ci sarà un bel po’ di gente, e dopo esser fuori constato un errore madornale di tutti: sono tutti in fila indiana. Cade il primo è li porta giù tutti, 11 persone! Fortuna vuole che va tutto bene, uff! Continuo a maledirmi per l sd nel pc.
Alla bocchetta menziono che “scenderemo per la vagina”, e chi sta intorno capisce subito a cosa mi riferisco: allora non era così azzardato il mio paragone. Proporrò ai cartografi il nome per quel posto. Decidiamo di finire la giornata così, niente Cima Carega, via verso la bocchetta Fondi, dove ben 8 camosci corrono dal basso (vallone dello Scalorbi) verso la bocchetta, e in men che non si dica sono al Boale Mosca, e tutto senza ramponi e picca! Voi sì, mica me.. Continuo a maledirmi per l sd nel pc.
Oggi la birra non scappa, e in maniche corte la sorseggiamo sulle panchine del Rifugio Campogrosso, constatando che le veronesi.. mmm, certe carrozzerie!

Quando poi in macchina si finisce sull’argomento “mondo femminile” è il delirio: certe perle che qui non ripeto perché nel contesto del discorso ci stavano benissimo, ma qui.. sarebbero fonte di maledizioni da parte del soggetto del discorso! Che poi tanto ogni discorso finiva con “però le donne hanno quella cosa che..”

Mi sto ancora maledicendo per l sd nel pc.

Qui altre foto (quasi tutte per concessione di Gianluca, di cui ho piazzato il copyright)

sabato 21 gennaio 2012

Battesimo on ice, più Weisshorn (il piccolo)

Ci siamo, è giunta l'ora di provare una cascata di ghiaccio, vera, non quei 2 metri trovati a scendere dal Foppa. Siamo io (dopo un’abbondante dormita di ben 2 ore dopo l’uscita con amici!), NicolaMirco, e le nostre picche che friggono di voglia più di noi, destinazione Bletterbach, con in più il duplice motivo di vedere un posto per il prossimo corso di A1 avanzato. Ma..che succede..nevica?! Porco boia, sta a vedere che il meteo ci incula anche stavolta. Già usciti dalla A22 vediamo tutto biancuccio in alto, mmm..
Parcheggiamo e verso 8e30 nei pressi della chiesa di Redagno di Sopra e ci incamminiamo. Non fa nemmeno freddo, ma dopo sotto la cascata sarà tutta un'altra cosa! La neve fresca è poca e spassosa, i panorami sono disturbati da un po' di nubi basse e altre medie, ma il sole si vede che sgomita per uscire, e uscirà!
Scendiamo in questo famoso e geologicamente interessante canyon, è troviamo un corso che impegna una bella e larga cascata: qui non c è posto. "Scusa, sai se più giù c'è qualcosa?" "Sì, due, ma una ci sono passati in 15, l'altra non credo si sia formata", bene, saliamo. Inizia la ricerca di un posto libero, come al parcheggio della coop alla vigilia di Natale. Quella dopo è occupata da 4 persone. Quella dopo da altre due cordate. Sta a vedere che non troviamo nulla! E questa non si è formata, e quella non è salda. Cammina cammina dentro questo canyon, vedi una parete piena di cascatelle ma tutte strapiombanti e che non toccano terra, curva a sinistra, e ci appare..lei!
Via via, finché non c è nessuno, imbrago, casco, corda, pappa, e arrivano due altoatesini che si piazzeranno di fianco a noi. Ovviamente parte Nicola, che quando mi dice che ci vorranno 3 ore mi scoraggia un casino: così tanto?? Ogni 3 metri pausa riposo, ma è così faticoso?! E giù blocchi di ghiaccio, Mirko colpito alla coscia e palla sinistra, ma il freddo attutisce! Arriva alla sosta (ma non lo si vede da giù), e strani movimenti di corda fanno capire a me e Mirco cosa stà succedendo..
Bene, è ora, si parte. Nicola ha valutato che la cascata sia un quarto grado, non male come battesimo dice. Dimenticando completamente la tecnica (un passo centrale, l altro piede di lato, poi il piede messo centrale di lato) penso solo a salire, ed effettivamente è una faticaccia, ma è adrenalinico! Picca qui, rampone la, esco e vedo il mio mentore, è fatta, ma ha fatto una sosta intermedia! Un altro tiro ci toccherà, ma non mi dispiace.
 Arriva anche Mirko, che poi tira il secondo tiro, non senza difficoltà e superando il passagino chiave in modo elegante, composto e da manuale. Poi va Nicola e poi io, che a metà, riesco in un numero che pochi possono vantarsi di esser riusciti: piccozzo la corda! Non la rampono, ma proprio ci pianto la picca a metà, che si conficca davvero bene tra i trefoli. La estraggo e penso: meglio non volare adesso..
Esco e sono davvero contento, alla fine due ore e quaranta per finire la cascata. Via nel canyon verso monte, risalita alla nostra destra per andare a prendere il crinale che sale sul Corno Bianco. Non sappiamo se ci staremo coi tempi, ma la volontà di toccare quella croce è alta, e i due compari sono più vogliosi di me.
Usciti dal bosco la neve si fa meno portante e io davanti sono costretto a districarmi tra i mughi, ravanare, affondare e tracciare. Grazie a questa neve almeno Mirko troverà altro sollievo per la botta presa (visto che si trova spesso sotto fino al cavallo nelle mie peste). La croce è lì..ma è sempre lì!
Avvicinandoci alla zona rocciosa capiamo che il canale che si fantasticava di percorrere (ma che si sperava il sentiero evitasse, per risparmiarmi fatica) sarà invece da percorrere. Una 50ina di metri in cui anche lì vado giù fino all’inguine: le gambe oggi ringraziano! Ma alla fine..ecco che si tocca la croce!
Peccato non ci sia un cielo sgombro, ma il Latemar e il Sella sono lì a farsi ammirare. Ore 16e10, c è chi alle 21 doveva andare fuori a cena, allora giù a crepacollo! Alla prima sosta cibo e acqua inizio a calzare la frontale, che ci servirà visto che torniamo all’auto alle 18e30. Non c è tempo per la birra, che verrà sostituita con una coca cola in autogrill: no comment please!
Ma che tramonto che ci godiamo..

Gran bella giornata, prima esperienza da cascatista che mi fa ancora preferire i canali, ma lo stuzzico è palpabile. Ora resta da accorciare la corda piccozzata!

Qui le mie foto (beh, alcune di Mirco e altr di Nicola, con in basso il loro nome)
Qui le foto di Nicola

sabato 14 gennaio 2012

Vajo bianco, feeling coi mughi

Dovevamo essere in mille a attaccare qualche Vajo del Carega, ci ritroviamo io e Marco (la mail di Mirko del venerdì alle 21 la leggo solo sabato alle 19..). Dopo esser rientrato all' 1e30 con una nebbia non male, alle 4 sono sveglio, con la stessa nebbia, che ci farà trovare il casello di Rolo chiuso, primo imprevisto. Al ritorno chiederemo alla casellante “Ma perché quando c'è nebbia Rolo chiude?” “eh, perché qui c'è più nebbia” ma rispondimi che non lo sai invece di dire 'na caata!
Giornata soleggiata ma fredda, e tutta la prima parte fino all'uscita del vajo sarà all'ombra.. Ma i polpacci caldi scalderanno anche il resto del corpo!

Partiamo speranzosi, arriviamo in auto fino al passo di Campogrosso, risparmia già qualche centinaia di metri di salita. Arriviamo al ponte da cui partire..eh sì, perchè vogliamo trattarci bene, perché partire dal 158 quando puoi partire fino da basso?!
E via, a quota 1300 si inizia a salire dentro uno spoglio Vajo dei Colori.. Ognuno prende la sua strada districandosi tra i sassi grandi e grossi, io mi cerco i passaggi meno semplici, son troppo carico!
E appare il primo ostacolo.. e lo superiamo: inizia il feeling coi mughi.
E appare il secondo..e coi mughi c'è intesa.. E arriviamo così all'incrocio col sentiero 158, da dove si può dire inizi il Vajo vero e proprio (se non altro perché da qui è più facilmente in condizioni), e poi ci infiliamo dentro un incassato Vajo Bianco. Che bello starsene e salire su belle pendenze, coi polpacci che fanno stretching, su una striscia di neve dura larga al massimo un paio di metri e con torrioni di roccia che ti sovrastano a destra e sinistra..
Ed eccoci al terzo intoppo, la caratteristica fessura tra montagna e masso incastrato..ma senza neve son cazzi! E allora saliamo dritti, Marco parte, seguito dal veneto che insieme ai due amici sfrutterà le nostre peste (offrire una birra almeno?!). La neve qui è pessima, farinosa, sotto roccia liscia, i ramponi non mordono un cacchio..ma ci sono i mughi! E scoppia l'amore, li spremiamo come mammelle: speriamo non ci mollino o son cazzi. Dietro marco e il veneto mi faccio una bella doccia.
Usciamo da questa parete azzerata sui mughi (chiara la soddisfazione di marco) e torniamo nel Vajo: da adesso solo salita, a parte una deviazione dentro un vajo che ci costringe a una discesina niente male per tornare dentro il nostro.
Sbuchiamo nella parte finale, costante pendenza, Marco si ferma a far fare un po' di stretching ai polpacci perché non li sta tirando abbastanza. Dietro noi i tre veneti riappaiono..ma sono solo due, dov'è il terzo? Urlano “tutto bene” ok.
Usciamo trionfanti (beh peccato per l'uscita che si appiattisce inve che impennarsi), un po' di foto stile “Ringo people” ma ne verrà solo una..uffà!
Non resta che scendere, una pausa cibo alla Boccehtta dei Fondi, e da lì anche la discesa è bella ripida! Tutto allenamento! La Presanella ci aspetta..sarai nostra! Coi miei tempi stringenti discutiamo tutta la discesa se faremo in tempo a pigliare una birra o no.. Concordiamo che siccome voglio prendere il libro di Bellò, entriamo al bar, ordiniamo due piccole, le tracanniamo alla goccia (che non è che sia un grande sforzo) e poi partiamo. E così fu.
Ohibò, dopo Foppa e Recastello, il Vajo bianco è in saccoccia! Preghiamo tutti per la neve, di questo passo forse prossimo weekend si può fare il Vajo dei Colori e o quelllo dell'Acqua, e poi si calzano le scarpette!

Qui relazione tecnica
Qui foto

domenica 8 gennaio 2012

Carrrrrrega, per chiudere in bellezza


Last day da disoccupato/ferie forzate, devo sfruttarlo. Assolutamente. Non trovando nessuno che venga con me, devo ripiegare su un bel trekking, altrimenti ci poteva stare un vajo dei colori.
Resto sulla zona carega, perché l'Appennino me lo sono già girato abbastanza, l'ultima volta sono rimasto traumatizzato dal vento, e andare più lontano la mia auto non me lo permette (quella spugna).
Beh decido di restare sulla bacinella (perché “Carega” non sta per “sedia”, ma per “catino”, “bacinella”), partendo dal Rifugio Boschetto salire alla Cima Carega, poi vedere se riuscire a fare anche qualcos'altro, a seconda dell'ora, e poi scendere per il sentiero che passa sotto il Plische partendo dallo Scalorbi.
Appena il bosco mi permette di scorgere la parte alta del gruppo, che desolazione: quanta poca neve. Tutti i mughi scoperti, questo non è anno per scialpinisti! Il meteo è splendido, zero nubi, zero vento (almeno all'inizio), un bel caldino al sole che poi diventerà un bel caldo e basta!

Riesco ad arrivare in cima molto prima di quello che pensassi, l'altimetro segna 1135m di dislivello in 2h15, non male! Il twix della vetta me lo mangio al Fraccaroli, mentre mi vesto e mi rampono. Poi su in cima, e da li decido di scendere per il valon campobrun, salendo poi un po' tutte le cime di strada e guardando giù nei vaji che vorrei salire (facciamoci del male!).
Gira gira, scorgo il vajo Mosca (o Hypermosca?), salgo Cima Mosca (dove scopro di non aver attivato sull'altimetro la funzione “calcola solo salita”, che pirla), salgo la cima successiva, niente Obante perchè ho paura di non fare in tempo (e non c è traccia). Tutto sentiero da non avere vertigini, su neve , con a lato la possibilità di scendere a cannone verso valle, basta scivolare, tratti in cresta, e tratti davvero sottili, salite e discese ripidine. Ma nulla di chè.
Nonostante la poca neve è comunque bello, il sole mi sta cuocendo, per fortuna ci ho pensato e mi sono tolto il paraorecchie Barilla, se no domani sarei inguardabile (e iniziare il nuovo lavoro preso per il culo..)!
Un servizio fotografico ai Vaji del gruppo Zevola-Tre Croci, in attesa che Nicola mi dia i libri di Bellò per farmi una cultura (e iniziare una lista di quelli da voler fare!), e arrivo allo Scalorbi. Minchia se ho fatto presto, ci stava anche l'Obante! Va beh..
Allora scendo per dove volevo, sarà tutto ultra ghiacciato! Sentiero interessante, un bel single track in MTB di sicuro! Incrocio un camoscio, che vorrebbe scappare, ma anche lui ha paura a scendere, troppo ripido anche per lui. Provo la tattica dei cavalli “ohhhh” dolce per farlo sentire tranquillo, così passo senza che lui si suicidi.
Arrivo all'auto con un bel anticipo, potevo davvero salire l'Obante..next time! Quanto vorrei una birra, ma anche quei due aranci che si sono fatti un viaggio sino alle orobie e poi al Bondone andranno bene (la birra me la sparo a casa!).

La pacchia è finita, si inizia a lavorare, per la gioia dei miei amici invidiosi! Ma la ruota gira per tutti paolo e Gianluca..

Qui  altre foto.
Qui relazione tecnica.

sabato 7 gennaio 2012

Tre Cime del Bondone in invernale, buona la quarta


“io non dovevo essere qui” lo dico spesso oggi, dispiace ancora per la ritirata di ieri, ma alla fine è stata la cosa giusta da fare. E così salto in corsa sul treno che va a tentare il giro delle Tre Cime del Bondone, che per ben tre volte non sono riuscito a finire.
La prima volta eravamo troppo inesperti, e dopo essere saliti a Cima Verde per il tratto attrezzato, la cresta verso il Doss ci spaventò. La seconda, col CAI, si reputò non il caso dal Cornetto proseguire verso il Doss. La terza, tirava un vento patagonico. Oggi come andrà?
Partiamo allegramente, e appena si scorge il Doss in tanti storcono il naso..incute già timore! Alla prima difficoltà, il travesro sotto la roccia poco dopo la staccionata alla fine della cresta dei Cavai, in molti decidono che così può bastare e tornano indietro. Un altro ci abbandona poco dopo aver visto la salita finale al Cornetto, ma un altro ci raggiunge di corsa dopo essersi fatto prestare i ramponcini.
Cornetto raggiunto, con qualche lieve difficoltà dovuta alla scarsità della neve, e alla non consistenza della stessa. Bei panorami su Care Alto e Brenta.
Scendendo pieghiamo verso il Doss d'Abramo, tra mille dubbi, ma dopo un altro passagino arriviamo sotto la parete, dove c'è il tratto attrezzato: è facile, si può andare. Nel secondo devo ravanare un po' per liberare il cavo metallico, ma anche qui fattibile. Gli altri sono un po' meno sereni, ma si fa.
Raggiungiamo la croce, che suoniamo allegramente e poi “ma dove si scende?” “eh, hai visto quel cavo metallico poco fa? Da li” e mo' son dolori. Anny è attrezzato, Samantha anche col mio materiale, Dave usa l'altro mio imbraco e un set artigianle che gli faccio sul momento, Brigo un bell'imbraco di emergenza col mio cordino raggiante, io e Gianluca giù temerari senza niente. E così, dopo un po' di sospiri, siamo giù, andata!
Trottiamo adesso galvanizzati dall'impresa verso l'ultima cima, dalla quale la parte di gruppo rimasta giù ci vedrà (“pronto, sì siamo noi quelli in cima, ciaoooooo!”). Così finalemnte riesco in questa concatenazione!
Si scende per il bosco, che bello, una varietà di paesaggi e ambiente in così pochi km.. Seguo le tracce di una bestia, perchè ormai ho capito che le bestie non sono stupide, seguono il sentiero! Arriviamo alle auto con la luna che fa capolino.
Immancabile birra al tavolino dove si racconta le gesta compiute per cavare la pellaccia da quella roccia unta di neve. Si ringrazia per la grappa offerta dal bar (che già da mezzora avrebbe voluto chiudere), ne avrei bevuta una boccia intera!
Al ritorno la mia testa si mette in off, non percepisco il viaggio in autostrada..

Giro delle tre Cime del Bondone, buona la quarta!

venerdì 6 gennaio 2012

Le Orobie pareggiano il conto cacciandoci


È sera, la sera prima della partenza per un nuovo weekend orobico dopo quello ottimo passato con Marco a dicembre. In quell'occasione siamo saliti al rifugio Brunone a buio, accolti alla fine fuori dalle nubi da una luna stupenda, una luce esagerata, e il giorno dopo un'ascesa al Pizzo Redorta quasi perfetta. Spererei in una ripetizione visto che stavolta con noi c'è anche Gianluca e Nicola.
È la sera prima della partenza, e inaspettatamente sento che piove. Ma cosa piove???? Le previsioni davano sereno al mio paese. Guardo ilmeteo, vedo che per qualche motivo del vento ha spinto le nubi che stavano oltreconfine verso la pianura, passando per le Alpi. Ohi.
La mattina è bella, qualche nuvolone ma tutta roba alta, il Cusna che risplende, si parte. Forse un po' tardi ma si parte. Il navigatore dovrebbe facilitarci nel trovare la strada giusta, e invece cerca di farci salire al Passo del Tonale: me ne accorgo, ma comunque 30minuti li perdiamo. E così siamo a due segni premonitori.
Carichi di entusiasmo e di viveri (si è deciso di trattarci bene per cena, pasta liofilizzata, pane ai cereali fatto in casa, panettone, biscotti, parmigiano, e 1,5l di Nero d'Avola imbottigliato nella plastica per l'occasione: anche se abbiamo il telefonino, siamo delle bestie, ma delle bestie che si trattano bene) ci incamminiamo verso le 13 abbondanti. Ma il meteo non è buono, ma va bene, finché è coperto va ancora bene. Buono è invece il colore della mia maglietta che litiga col sensore ottico della macchina fotografica di Nicola.
Sarà questo o no il sentiero, “guardiamo la cartina?” “ma no da qualche parte porterà bene 'sta traccia”, andiamo andiamo e arriviamo all'osservatorio Mastana. Ma è già da un po' che nevica. Ma perché nevica? Non doveva! Ma porca.. E forse proseguiamo troppo lenti: ok risparmiarci per domani, però.. Su un sasso una scritta “sentiero invernale curò” ci dice che siamo sulla strada giusta: avanti.
La neve fresca non è tanta, ma sufficiente a rallentare animo e corpo. Nevica, minchia se nevica. Calziamo i ramponi, dopodiché le tracce che avevamo seguito finiscono, ops. Cerchiamo e ravaniamo, scorgiamo dei camosci che scendono, alla fine troviamo qualche bollo rosso, e nell'incertezza è lui o non è lui (il sentiero) arriviamo sotto la parete dove scorgo bolli rossi e cavo metallico, quota 1645. Ma sono quasi le 16. Decisione, dietrofront. Potremmo passare di certo una bella serata a “bever magner e capir un cas” al rifugio, ma chissà se arriviamo prima delle tenebre (ed è tutto coperto e nebbia su), chissà se non ci smarriamo di nuovo, poi domani con sta neve il canale (la meta era il Recastello) molto probabilmente non si fa, troppi chissà, andale. Giù, peccato.
Arriviamo alla macchina che ormai è quasi buio, e diamo sfogo alla nostra fame e sete con un po' della roba che avremmo dovuto consumare nel freddo locale invernale del Curò. Col Nero d'Avola i miei commensali non fanno tanti complimenti, prima si lamentavano fosse troppo, adesso non ne resta! Bestie!
Mentre consumiamo si avvicina un bergamasco guardia forestale che ci interroga su cosa abbiamo fatto ecc. Le tracce che salivano erano sue, ma come ha detto lui stesso “Pota, quando ho visto i camosci venir giù ho capito subito, non sbagliano un colpo loro! Doveva fare nuvolo oggi, non questa nevicata”.
Le Orobie pareggiano il conto col sottoscritto, uffa.

Foto: volete le foto? Non ci sono! Io ne ho scattate poche per conservare la batteria, invano! E quelle scattate non sono un granché. Velo pietoso anche sulle foto.
Qui quelle di Nicola

lunedì 2 gennaio 2012

Ogni tanto bella televisione

Da quando con la coda dell'orecchio avevo sentito Fazio che menzionava una puntata speciale dedicata alla montagna e al più grande di tutti i tempi, aspettavo con trepidazione questa puntata.
Che Tempo che fa, 1 gennaio 2012
Poco da dire, meglio vedere la puntata. Personalmente ho provato invidia quando Paolo Rumiz ha parlato del suo primo incontro con Bonatti. E devo dire che ho capito di essere sulla strada giusta quando sia Rosanna Podestà che Messner parlvano della montagna, esprimendo concetti più sul come viverla che sul come vincerla, su una certa filosofia che regola le cose, e nella quale l'uomo può solo tentare di incastrarsi.
Ce ne fossero di più di puntate del genere (magari non solo come ricordo di qualcuno!).

Per quanto riguarda la morte del grande, rimando a un mio articolo apparso sul Notiziario Novembre Dicembre 2011 del Cai di Carpi (mi hanno gentilmente invitato a scriverlo, ma non è stato per nulla difficile), che qui sotto ripropongo. Ma prima, una bellissima risposta data da Rossana Podestà a un'intervistatore dopo la morte di Bonatti:
Intervistatore: «Qual è il regalo che conserva di lui?»
Rossana:«Nessun oggetto: Walter non era uomo da entrare in un negozio a comprarmi qualcosa. Ci regalavamo la nostra vita l’uno con l’altro: è questo il regalo più bello che ci siamo fatti».

E ora il mio articolo.
In ricordo del Mito
La mia carriera alpinistica è iniziata tardi, almeno secondo me (lui era già sul K2), ed è naturale in una propria passione cercare delle orme da seguire, imitare, o meglio invidiare viste le mie (ragionevolmente) limitate possibilità.
E col passare degli anni ho trovato questa persona in Walter Bonatti. Lui aveva tutto, tecnica, tenacia, filosofia di vita, forza, testa. Certo, una persona la conosci davvero solo dopo molti anni, e se questi sono passati a contatto diretto, non certo leggendo solo i suoi libri, le sue storie, o ascoltando e leggendo le sue interviste. Ma più passava il tempo e più questo mi sembrava un grande, il migliore. Ultimo alpinista del vecchio stampo, quelli che per intendersi percorrevano l’avvicinamento in bicicletta, usavano il materiale che avevano (forgiato dall’amico che faceva il fabbro magari) o che si costruivano (erano semplicemente senza soldi), si spingevano verso limiti in cui potevano contare solo sulle proprie forze e volontà, e non come oggi su materiali portentosi, telefonini e elicotteri di soccorso.
Mi appassionai alla storia del K2, aveva allora 24 anni, la sopravvivenza a un bivacco senza tenda a più di 8000 metri, messo in trappola da quelli che dovevano essere i suoi compagni di avventura (un tradimento che chi si lega in cordata può immaginare cosa voglia dire), una meticolosa e proterva negazione dei fatti realmente accaduti al ritorno a casa, anni di combattimento legale e morale per salvaguardare la propria dignità, senza mai mollare, finché finalmente 50 anni dopo gli viene data ufficialmente ragione. 50 anni dopo. 50 anni di lotte. 50 anni in cui resta coerente nel modo di comportarsi e relazionarsi col pubblico e le istituzioni.
Compresi la decisione di passare alle solitarie dopo il disastro del Bianco, nel quale impotente vide morire compagni di cordata storici, e altri trovati nel mezzo della bufera, riportando gli altri superstiti in rifugio, senza aiuto alcuno, se non la sua tremenda forza di volontà; aveva allora 31 anni!
Grandi disgrazie, oltre a quelle di una vita normale, che intaccano una persona nel profondo, e con le quali un uomo normale si sarebbe abbattuto. E invece no: rimbocchiamoci le maniche, cambiamo un po’ il modo di fare, ma avanti.
La decisione di abbandonare l’alpinismo quando era ancora giovane, appena rientrato trionfalmente dalla prima solitaria invernale alla Nord del Cervino, per darsi all’esplorazione di posti sconosciuti, con mezzi azzardati, per il puro gusto di farlo: 20 anni passati praticamente su un altro pianeta.
Un grande, è sempre riuscito a voltar pagina, e in quella nuova ha scritto sempre un racconto migliore. Fino alle ultime interviste, dove dichiarava:
«Non mi sento di avere 80 anni se penso all’intensità con la quale ho vissuto, credo di averne 200, per il resto mi sento come un quarantenne»
Questa è una persona che valeva la pena incontrare nella vita, magari per i monti, scambiare quattro chiacchiere, ma non come si farebbe con un borioso divo del cinema o di un irruento gruppo musicale, no. Parlare con un maestro di vita vissuta. Peccato che questo non potrà più accadere. In ogni caso, grazie di contribuire (e non solo di aver contribuito) all’ardere della mia passione alpinistica, di questo te ne sarò, certo come tanti altri, sempre riconoscente.
(Per chi lo conoscesse appena, leggetene).

domenica 1 gennaio 2012

Alternative new year's day

Venerdì mattina, un sole che va e viene, e quando va fa frio, un "allegro" venticello, bipedi carichi come muli, zaini che in altezza sovrastano le nostre cape, ma si parte con lo spirito alto. Quest'anno l'ultimo dell'anno sarà davvero alternativo: un soggiorno in un rifugio non gestito, dove quindi dobbiam portare su tutto noi, a piedi con 2h di cammino, e poi fare (la fortuna di avere un ottima e volenterosa cuoca, non ha prezzo nemmeno con mastercard).
Era da un po' che avevo la voglia di qualcosa del genere, e quando ho ricevuto l'invito da Samantha ho drizzato subito le orecchie: dopo essere riuscito a far saltare sulla barca anche Sacco, la decisione era confermata. E quindi eccomi qui, venerdì mattina, a conoscere questi nuovi compagni d'avventura per il primo giro di trasposrto viveri su alla baracca.
Salita e poi giù per tornare a casa e ripartire il sabato mattina, con un altro giro di viveri di prima necessità: vino e formaggio.
Trillalero trillalà, dopo gli ultimi arrivi all'imbrunire siamo al completo: Rifugio Rio Pascolo (nel vallone nord dell'Alpe di Succiso), 17 persone e due cani, bottiglie non si contano, cosi come l'impressionante quantità di cibo.
Una maratona a tavola, con gente che dalle 13 alle 24 si alza solo due volte per pisciare, altra che trova buona qualsiasi scusa per brindare e aprire una boccia nuova, altra che inizia il countdown con largo anticipo nella speranza di finire a letto presto (beh di sgobbamento per portare su la roba ce ne è stato, naturale essere belli cotti), un cane castrato con più ormone di Califano, tante grasse risate.
 
Un brindisi di mezzanotte sotto un cielo stellato, non si può dire silenzioso perchè immagino che nell'arco di 5km tutti gli animali siano scappati indispettiti, ma comunque una sensazione di pace, serenità e relax che solo questo ambiente può dare. Se poi ci combini il sano casino di un gruppo di amici, il mix è perfetto. Non sarà capibile dai più, ma no ho questa pretesa.
 
E la domenica, per chiudere in bellezza, dopo un'abbondante colazione un giro largo largo per tornare all'auto, ma che non ci risparmia l'ennesimo spuntino (che di "ino" aveva poco) su una comoda panchina al sole. Diciamo che chi trasportava il cibo avanzato nello zaino voleva liberarsi un po', e che così tutti ci siamo appesantiti tanto!
L'ultima parte di sentiero ci riserva qualche trappola, in cui tutti augurano a tutti di cascare, ma dove invece tutti passanno indenni: eh si vede che ormai tutto il bere è stato assorbito e metabolizzato!
Peccato solo esser stato imprigionato da questo maledetto rafffreddore, frutto del Cerro Prado, che mi fa sempre sentire rincoglionito e non libero di respirare e ridere. Per non parlare poi dei ruscelli rossi che a cadenza regolare di qualche ora scorrono dalle narici ("ma come faccio a prenderti sul serio col fazzoletto nel naso?!")

Un anno che inizia bene, sotto il buon vecchio "bever, magner e capir un cas!": speriamo continui!

Grazie a tutti della compagnia, e alla prossima!