sabato 23 febbraio 2013

Una fresca decompressione: Monte Baldo

Quando ce vo’, ce vo’. Bisogno di spazi liberi, natura, aria fresca, freddo, fatica fisica, rilassamento mentale. Ne avevo bisogno. E questa esigenza così forte in un weekend così meteorologicamente scarso sarebbe stata difficile da soddisfare. Ma se sono andati su Marte, si può tutto nella vita.
Parto nemmeno troppo carico, a letto si stava bene, ma dopo starò ancora meglio. So che non troverò il sole, ma dalle previsioni dovrei comunque essere nella finestra meteo in cui il cielo sarà nuvoloso, dovrebbe poi iniziare a nevicare nel pomeriggio. Ma io nel pomeriggio conto essere già in viaggio di ritorno. Via che si parte. Ma già prima di calzare gli scarponi capisco che la giornata sarà di sorprese: ha nevicato bene stanotte, e le strade non sono pulite ma ghiacciate. Mi tocca montare le catene. E va beh.
Dal parcheggio la meta appare già, e appare coperta. Ma il cielo è pulito, verso ovest le cime sono illuminate dal sole: ieri facendo lo zaino ho guardato gli occhiali da sole e mi son detto “ma cosa li prendi a fare?!”, ora son quasi pentito di averli lasciati nell’ armadio. -5°C, ma parto come al solito vestito di intimo e maglietta, tanto c’è da sudare per salire. Rispetto alla prima uscita dell'anno, l’ambiente stavolta è invernale, ben innevato, con una spanna di farina sopra uno strato duro. Ottimo per sciare, meno per ciaspolare (in traverso si scivola sempre).
Vedere il Care Alto irraggiato dal sole mi fa ben sperare che potrei addirittura abbronzarmi oggi. Piano a cantare vittoria: lassù è sempre avvolto dalle nubi.. Salgo seguendo le tracce di sci alpinisti che mi precedono, davanti a me 4-5 persone, mentre scenderò ce ne saranno un bordello in salita. La temperatura inizia a far formare i primi ghiaccioli sul pizzetto: in realtà non ci avevo pensato che oggi avrebbe fatto freddo, ma son comunque attrezzato.
Raggiunta circa quota 1550, piombo dentro le nuvole. Già da un po’ aveva pure iniziato a nevicare, poca roba, ma con le temperature che ci sono i fiocchi si fermano su tutto ciò su cui posano, senza sciogliersi. Ma va bene, che me frega, meglio se oggi le condizioni sono avverse, mi temprerò di più e mi godrò di più il rientro al calduccio oggi pomeriggio. Intanto i ghiaccioli sulla barba aumentano.
Passo davanti a qualche sci alpinista, poi inizio a lasciare la loro traccia perché zigzaga troppo, e in questo modo sono troppo soggetto alla ciaspola a valle che scivola: meglio salire sulla massima pendenza! E così facendo, tagliando le tracce e tenendomi sotto la funivia (altrimenti c’è da perdersi in questa scarsa visibilità) arrivo al rifugio Fiori del Baldo. Visibilità 20m, nevicata in corso, il termometro appeso allo zaino che segna -10°C (ma è pur sempre un po’ vicino al mio corpo caldo e sudante), e adesso il vento che schizza dalla Val d’Adige si sente in tutta la sua potenza. Sarà dura.
Parto deciso verso nord, in salita verso il Chierego, ma noto che la traccia desso la faccio io. Nessun problema, solo..non so dove vado! Bianco sopra, bianco davanti, a destra, sinistra, sotto, sono ubriaco. Pesto ma non so cosa, non so quanto devo alzare il piede, faccio fatica a tenere gli occhi aperti per il vento che mi tira queste pallottole di ghiaccio negli occhi. Hard. Ma c’è il filo spinato che mi separa dai ripidi versanti (e le probabili cornici) del versante est del Baldo.
Quindi proseguo, pochi metri ma davvero tosti: la fascia della Barilla non riesce a mantenere l’orecchio sopravento caldo (vento a 40-50km/h, wind chill -25°C!?!), sento che devo essere diventato bello bianco. Ricordo la salita al Cimone e la foto scattata che a posteriori mi fece pensare “cazzo, un’altra mezzora così e avrei avuto qualche congelamento!”: appena arrivo al Chierego mi vesto prima di continuare. Un metro di neve fresca si intervalla a lastre di marmo. Al Chierego scatto qualche foto alla mia faccia che deve esser un bijoux, ma a casa scoprirò che lo era davvero tanto! Metto la giacca al riparo dal vento e provo a ripartire verso la cima. Tempo ce l’ho, ci ho messo 1h40 ad arrivare qui.
Già, ma non si vede una fava, e adesso non c’è nemmeno il filo spinato che possa orientarmi. Il vento tira dalla Val d’Adige, quindi non riesco nemmeno a guardare in quella direzione. Non ho nessuna voglia di mettere il piede in fallo, perciò dopo qualche tentativo, torno giù e buonanotte. Tanto le mie ore di decompressione le ho fatte, mi sento già molto meglio.
Scendendo trovo alcuni che salgono, per un attimo penso di tornare su seguendoli, poi mi vien da pensare che è stupido far la pecora. Via via, prima arrivo giù e più cose posso fare oggi a casa. E nel pomeriggio il meteo è previsto peggiori, ok la bufera di neve mentre cammino, ma non mentre guido. Nevica nevica, tira vento, invece che seguire le tracce preferisco seguire i tralicci della funivia, visto che si vedono così bene. Giù dritto, ma questa pendenza con questa farina sopra uno strato duro mi fa sciare anche a me!
Urca quanta gente sale adesso.. Si vede che oggi questa è l’unica possibilità relativamente sicura di una gitarella all’aperto! Che bello tutta questa neve. Esco dalle nubi e scorgo un accenno di sole verso valle. Entro nel bosco e tutti gli alberi carichi sono uno spettacolo. Continua a nevicare, ma il sole inclinato verso sud non è coperto dalle nuvole, quindi effetto magico. Calore per irraggiamento? No. Mi fermo a fare una foto e una sventagliata mi spara nel coppetto la neve che prima era attaccata sul ramo sopra di me..brrr.
Arrivo alla macchina, mi quanto è presto, ci ho messo un’ora a scendere. Quanta gente che sale, quanta gente che parte anche adesso. E che macchina che è il corpo umano: dopo essermi acclimatato alle temperature rigide in alto, adesso posso mettermi a petto nudo come se fossi in spiaggia. E mentre lo faccio, sento qualcosa.. Mi guardo allo specchio, toh! Un bel tarlocco di ghiaccio sulla barba è resistito fino a qui!

Qui altre foto.
Quirelazione.

domenica 17 febbraio 2013

Seconda uscita corso AG1: Cascate del Bletterbach

Col rodimento ancora di ieri, oggi sappiamo affrontare una giornata di freddo, noia, e ancora freddo: ma va bene così, l’abbiamo scelto noi e mi fa piacere partecipare attivamente a questo corso nuovo e quasi innovativo per il CAI di Carpi: corso AG1.
Per essere sicuri (più sicuri) di prendere il posto sulla cascata facile e larga e iniziare ad attrezzarla, ioRobertoMirko, Gianluca e Cristian (allievo mattiniero) partiamo un’ora prima degli altri, ovvero alle 4. Ma ne varrà la pena, o meglio, sarà uno sforzo con uno scopo! La partenza a un orario del genere ha una grossa pecca: la colazione è servita a Nogaredo est, non in un bel bar di paese.
Arriviamo al parcheggio e una telefonata di Nicola ci rivela che non è molto il tempo che ci distacca, ma tanto loro devono ancora fare colazione.. Quindi partiamo armati come muli, due corde a testa, e che corde: i canaponi del CAI. L’avvicinamento me lo ricordavo più breve, ma è godibile dai. Il freddo nonostante i -6 del termometro della macchina, non è così pungente.
Ci caliamo nel canyon tramite le scalette, e scorgiamo la prima cascata. Mah, sembra duretta, però dalle indicazioni dateci dal grande capo dovrebbe esser qui. Sbrighiamoci ad attrezzare, anche perché prima finiamo e prima possiamo spicozzare allegramente tra di noi prima che arrivino gli altri: una mezzora di sollazzo prima del corso. Mentre io e Mirko attrezziamo, Roberto esplora e ne trova una più facile: ok andiam la, disattrezziamo e appena arriviamo a prendere il posto alla cascata semplice, arriva un altro corso: per un pelo!
Bene bene, abbiam tirato giù due corde, ci leghiamo in fretta e furia con le nostre mezze per tirare qualcosa prima che arrivi il corso, siam li con le picche in mano, e..arriva la cavalleria. Rimetti al cinturone le picche e inizia a fare lezione.
Nicola è davvero preparato e bravo nello spiegare, si è prefissato una buona scaletta di argomenti e di pratica. Meglio vestirsi a questo punto, ci sarà da star fermi! Intanto Nicola per dimostrare come si fa, si fa quasi due tiri, e io e Mirko a pensare invidiosi alla vendetta di domani.. Attrezzate ci sono tre salite: una a sinistra lunga 35m, una a destra sui 15m, e sopra quest’ultima (c’è un pianoro) parte un bel salto verticale di 12m.
Gli allievi si rivelano davvero motivati e preparati. Eseguono gli esercizi che Nicola propone, fanno domande, partecipano. Quando è ora di salire davvero, vanno spediti e senza troppi freni. Chi sale più in alto e che più in basso, ma tutti vanno. Considerando che c’è chi viene solo da un AR1, non è male. Davvero motivati, sicuri, senza timori, e con buoni risultati. Chapeau.
Brutta storia l’elisoccorso che inizia a girare sopra le nostre teste, e che dopo qualche ricognizione si abbassa di fianco a noi (azzo che spostamento d’aria) e poi cala il verricello. Il malcapitato pare che se la cavi con poco o nulla per fortuna!
Siamo già rassegnati a una giornata da ginecologi: lavoriamo dove gli altri si divertono. Ma verso le 14, una volta che tutti i corsisti han salito il tiro “lungo”, “posso salire io, mi fai sicura?”. Evvai, un po’ di divertimento a noi anche. Mi spoglio (prevedo scaldarmi bene) e parto. Inizia a nevicare, perfetto. Cerco i passaggi un po’ più duri, ma mi rendo conto che le ore fermo e le scarse aspettative mi condizionano. Parte alta al cardiopalma, visto il rumore vuoto e il tonfo rimbombante che sia picca che ramponi fanno.
Sceso lascio il posto agli altri istruttori, che finalmente possono sollazzarsi anche loro (beh, in realtà qualcuno già prima aveva salito il salto verticale nella parte alta a destra. Cosa che adesso faccio anche io. Oh le.
Si fa una certa ora, i ponti di neve sopra il ruscello abbiamo già constatato che stanno crollando, sarebbe ora di andare. E la nostra auto parte per prima alla volta del parcheggio, dove arrivo in tempo per iniziare già a sistemare le mie cose e mettermi a petto nudo (meglio nudo che bagnato di sudore!): -4°C, ma si resiste (per ora).
Ripartiamo senza birra, purtroppo è tardino e almeno tre di noi preferiscono tornare a un’ora il più decente possibile. Alla prossima uscita, occorrerà recuperare questa birra mancata. Così come il dislivello non salito..

Qui altre foto.
Qui le foto di Nicola.

sabato 16 febbraio 2013

Il Brenta invernale, Val d’Ambiez: tentativo Cima di Ghez

Se non si possono salire canali perché non in condizioni, si può andare in esplorazione addentrandosi in uno dei gruppi montuosi più suggestivi del trentino: il Brenta. Così come stiamo facendo col Lagorai, esplorato recentemente qui e qui, è giunta ora di scoprire in veste invernale anche questo angolo delle Alpi. E che angolo..
Dopo una doppia colazione siamo finalmente pronti per incamminarci in questa valle poco frequentata: così almeno dicono le guide, e così sarà visto che in tutta la giornata non incontreremo altro che camosci. La strada è innevata fin dall'inizio  ma pestiamo una buona traccia. Vediamo fin da subito una cima, che sia la nostra già? Mmm, difficile, non sembra così lontana. E invece scopriremo esser lei, ma la vicinanza è un inganno, visto che ci sarebbe da girarci intorno.
Saliamo con foga, il tracciato è lungo, il dislivello è importante, ma la voglia di arrivare in cima tanta. Ma non riusciamo a resistere alle pause per scattare qualche foto. Goulotte varie alla nostra sinistra, il passaggio in una bella e suggestiva forra, il silenzio. Canali, pendii, creste, non sembra così repulsivo il Brenta d’inverno, io che temevo fossero tutte guglie rocciose impossibili senza ferrate. Ma le cime davanti a noi respirano vigorosamente, talmente a fondo che sono annuvolate. E noi cerchiamo il sole..
Arriviamo al terzo ponte, dove dobbiamo abbandonare il tracciato sentiero che prosegue verso il Rifugio Cacciatore, per deviare verso malga Ben. Laggiù la conca del Rifugio Agostini, scruto una possibile via di salita alla torre che si vede e che credo sia Cima Ceda. “Ricky, adesso inizia il bello”, ovvero iniziamo a tracciare. Già, perché dopo l’ultima nevicata nessuno si è avventurato in questa direzione, e anche con le ciaspole affonderemo fino oltre la caviglia nella neve fresca e fredda. Ma intanto riesco ad ammirare le Crone, che versanti ripidi, che canali incassati: ci sarà qualche via la???
La salita ci scalda, il sole è fioco fioco dietro alle velature del cielo, e comunque siamo ancora all'ombra del bosco. Una volpe deve aver percorso tutto il sentiero che adesso stiamo solcando noi, le sue tracce sono ovunque. A Riccardo dico “guarda te, deve aver girato un casino in questa zona, ci sono tracce a zigzag ovunque, forse cercava da mangiare “ e la sua risposta è logicamente stupefacente “di certo non era qui per un trekking”.
L’ambiente è davvero suggestivo, la solitudine del luogo ci fa vivere la montagna nella sua pienezza. Le stronzate che diciamo fanno riecheggiare le nostre risate nella vallata. E inizio a vedere i camosci, ovunque, una decina laggiù, cinque o sei lassù. Prima del ponticello di legno ci fermiamo al sole a mangiare qualcosa, che ce ne è bisogno: a breve ci aspetta la parte più bella giornata, 1000m con pendenza media a 40°, un buon allenamento! E poi il panorama dalla cima.. Ma le Crona han messo il cappello, e il sole che prendiamo è solo grazie all'inclinazione invernale dello stesso, perché sopra di noi solo nubi, e inizia a nevicare.
Proseguiamo con le ciaspole, scrutiamo altri camosci, e prima del canalone saliamo dritti per la massima pendenza: infilarsi così nel canalone non è una cosa che mi riempie di gioia, meglio che sfruttiamo i pendii che sopra hanno rocce, e le creste spelacchiate (ok che siamo a sud, ma pensavo ci fosse più neve!) e la neve un’altra volta. Ok pericolo 2 oggi, ma pensiamo che “il miglior alpinista è quello che ritorna a casa”.
La massima pendenza si rivela pendenza buona, con le ciaspole siamo al limite, e la neve pare bella dura qui, o almeno c’è un bel crostone duro. Ma al primo spiazzo dove possiamo fermarci senza rischiare di rotolare verso il basso, cambio gomme e si montano i ramponi. E inizia il traverso per andare a tagliare la valanga e salire sulla sinistra del vallone. E il ravanamento ha inizio.
Ci si intervalla da consistenza dove si affonda “solo” fino alla caviglia, fino a tratti in cui si traccia un corridoio nella neve. Inizio a temere che la giornata non finirà come ci si aspettava. E la nevicata che prima sembrava solo polvere, assume dimensioni più ragguardevoli. Camosci ci osservano ovunque dall’alto, uno di questi resta li con la sua faccia sbigottita almeno un quarto d’ora: ma che vuole?!
Finito il traverso, riprendiamo a salire, ma la ravanata non si ferma. I bastoncini un po’ aiutano, ma spesso non sono un appoggio sufficiente. Tratti di neve goduriosa dove rimpiango non avere la picca in mano coi ramponi che mordono famelici, si intervallano a tratti dove i ramponi affogano sotto un metro di neve. Abbiamo già capito che non ci arriveremo oggi in cima, ma almeno vogliamo superare questo tratto che non ci fa vedere la cima per poter osservare cosa ci avrebbe aspettato.
Cerchiamo le chiazze erbose affioranti, quelle siamo sicure che ci sorreggono! Riccardo opta per tagliare verso una cresta mentre io sono salito dritto per dritto: l’ultimo tratto se lo fa a gattoni per aumentare la superficie di appoggio a terra..che classe!. Eccoci a un cambio di pendenza dove questa si addolcisce: Riccardo si sdraia sulla roccia, io mi osservo in giro, i camosci ci osservano.
La situazione è chiara: il ravanamento ci ha fatto perdere un sacco di tempo, è quasi mezzogiorno e siamo a quota 2050, con la cima a 2700, nevica, il meteo sappiamo che nel pomeriggio è previsto in peggioramento, la cima è coperta e quindi il panorama sarebbe più che scarso. Si torna giù e amen. Peccato, mi ruga, volevo friggermi i polpacci oggi, ammirare questa dolomia imbiancata, scrutare nuovi itinerari. Ma pazienza, occorre che vada male ogni tanto, oppure si rischia di diventare troppo spavaldi.
La discesa di questo tratto, seppur cerchiamo di prenderla più a sinistra, resta ripida e intervallata da neve compatta e farina. Arriviamo alla valanga a palle che stava a metà traverso, e li ci divertiamo a giocare a bocce con le palle di neve dura smossa dalla slavina, filmandoil ruzzolare delle stesse: bisogna anche divertirsi con queste vaccate. Camosci sulle alte creste continuano a osservarci: mi sa che di gente d’inverno non ne vedono tanta ‘ste bestie..
Pausa cibo nello stesso luogo dell’andata, dove un sole ci scalda nonostante un venticello che si è alzato e una nevicata che continua interrompendosi a tratti. Diventerà copiosa una volta finita la pausa pranzo, fino al ponte del bivio. Ripercorriamo così la forra, osservando meglio le formazioni di ghiaccio ai suoi lati: le cascate verranno domani col Corso AG1 del CAI di Carpi, ma così mi aumenta l’acquolina.
Discesa lunga, come ci si aspettava, ma intanto sappiamo che la prossima volta potremo percorrerla anche a buio che non ci si perde. Nei pressi dei candelotti di ghiaccio pendenti sulla strada, iniziamo a fare i distruttori della situazione, tirando sassi e pezzi di ghiaccio già crollati, verso le candele ancora attaccate. Momento fanciullezza.
Alla macchina il termometro segna 6 gradi, urca che caldo. Un po’ depressi decidiamo di scendere  verso Arco: ci consoleremo con una birra, un gelato, e qualche acquisto. Ma questa cima, ci rivedrà presto..

Qui altre foto.
Qui l'’itinerario.
Qui  il report.

sabato 9 febbraio 2013

Montagnards e Appeninisti: Canale Ovest Monte Gomito

L'Appennino, questa bestia tanto mansueta d'estate quanto severa d'inverno. Chi si aspetterebbe di trovare certi itinerari qui? Beh, dopo il Canale dei Bolognesi al Corno alle Scale ormai me li aspetto, anche se non credevo di poter trovare un'altra sfida simile. E invece il buon Montorsi e Fabbri con la loro guida, ci svelano un sacco di segreti di questa bestia. Il problema è solo trovarli in condizioni. Solo.
Nicola, con Mirko, si è già avventurato poco tempo fa su questo versante per tentare la salita dello stesso canale, ma gli è andata male: troppo magro e per questo ha valutato che fosse un altro il percorso da seguire. Ha già voglia di ripetere il tentativo, e io, Gianluca e Roberto gli facciamo da complici. Che arduo sacrificio.. Oggi speriamo vada meglio, ragionando un po' il freddo che fa dovrebbe aver giovato. Previsti -15° a 1500m..
Arriviamo al parcheggio delle piste: da qui si parte. La sola pecca di questo itinerario è questa, la condivisione con le piste della Val di Luce. Alle 7e30 siamo in cammino, per fortuna non ci sono gli sciatori, e ciò rende il paesaggio meno casinista. Abbandonando le piste e iniziando a salire il pendio alla base del canale, si inizia a ravanare. Mmm, condizioni buone, speriamo su sia meglio! Ma così ci scaldiamo presto, quale -15°, la fatica scalda, eccome!
Sali sali, entriamo man mano nell'imbuto, sopra roccia, ma dove si andrà? Non sarà facile. D'altronde, io una difficoltà del genere su ghiaccio e misto non l'ho mai affrontata. Qualche cascata sì, ma se no canali e vie alpinistiche di AD. Oggi qui c'è un D/D+, e in cordata siamo io e Gianluca, quindi due “alla pari” come esperienza, nessun esperto. Speriamo bene, la carica è tanta, e d'altronde la testa è già al Couloir Couturier. Questo è allenamento.
Ci si lega non ci si lega, ma dai saliamo a quello spiazzo li. Nicola e Roberto si son fermati più in basso, io e Gianluca saliamo di più. Poi è ora di fare sul serio. Ci si lega e via, sopra di noi il primo salto ghiacciato, poi chissà cosa c'è. Nicola mi affianca, e dice “l'altra volta qui sopra era tutto secco, e siamo andati li a destra per prendere la cresta”, “cioè, in pratica non avete fatto nemmeno un metro del canale!”.
La neve è migliorata, a tratti si sprofonda bene, a tratti in punta di ramponi. Salto ghiacciato delicato visto l'esile strato di acqua solida che ricopre le rocce sottostanti, e poi altro tratto di pendio nevoso. E siamo nell'anfiteatro ghiacciato.. Questo è un ambiente davvero spettacolare, sembra di essere..in montagna! Peccato girarsi e vedere alle proprie spalle e sotto si se gli impianti da sci..
Sostiamo su fittoni, io ne uso uno di Nicola, che per confermarmi che i suoi tengono ci si slancia per bene..fiducia! Intanto gli faccio notare “Nico, ho messo giù più protezioni di te, tiè!” “si ma il primo tiro lo avete fatto in slego voi!” Sopra di noi l’anfiteatro presenta numerose possibilità di salita. Chiaramente Roberto e Gianluca sceglieranno quella più difficile, ottima scelta! E come al solito il picconatore Gianluca mi farà dolcemente scivolare un blocco di ghiaccio addosso, stavolta sul petto: quasi asportato il capezzolo sinistro, e una botta di mancanza di fiato per qualche secondo. Rischi del mestiere.
Il tiro di Roberto e Gianluca è forse il più bello, delicato sul ghiaccio con movimenti al limite della tecnica insegnata e poi pendio di neve bella dura. Infatti con Nicola commetto “peccato, il tiro più bello lo fan loro” e lui “eh no, c’è la goulotte finale”. Arrivo in sosta con le mani ghiacciate, sento già li le lacrime di dolore per quando si scalderanno. Ma ho visto anche la goulotte finale, e la voglia di ripartire è tanta!
Via che si va, scaldate le mani, scaldati i motori, pronti alla finale! Nicola è sicuro che con un tiro di corda usciremo, mah, mi sembra un po’ lungo.. Delicato traverso iniziale e poi la rampa è sopra di noi: pendenza buona, roccia strapiombante sulla destra, la fine della montagna sulla sinistra, uno scivolo nel vuoto sotto di me, e le cornici sopra di me. Uauh! Saliamo davvero con calma questo pezzo, anche perché la neve si intervalla da molto buona e molto shittosa. Che stronzo l’Appennino, ma si può? A distanza di un metro una variabilità di condizioni così esagerata! Penso a quello che si dice dell’Aguille Verte (obiettivo di giugno):"sulla Verte si diventa montagnards”, Rebuffat. A Nicola gli dico “ok, la Verte, ma anche in Appennino si diventa alpinisti mi sa!”
Dio benedica i fittoni. Mai usati, oggi me ne mancano. Uno sguardo in giù, le corde scorrono, che bell’immagine. Che vertigini. La corda ormai è finita, e ci saranno altri 15 metri almeno. Nicola grida “Roberto, parti! Vai di conserva”. E io, urlo uguale. L’uscita si rivela complicata. Ultimi tre metri di neve inconsistente, farinosa, senza appoggi che reggano, e sopra a sinistra delle cornici. Picche inutili, meglio acquasantiere precarie ma che almeno scaricano un po’ il peso dalle gambe. Gambe, una sulla neve, la destra a cercare in spaccata a roccia!
E poi, la luce, fuori. Escono tutti, sono solo le 11, quanto è presto: tanto che la moglie di Roberto alla chiamata “siamo fuori dal canale” “di già?!”. Ce la polleggiamo mangiando e bevendo, i -10° del termometro non si sentono, oppure sono io che ormai ho la pelle dura (non sulle mani però): Gianluca sembra una mucca la pascolo: tutti i fittoni li ha raccolti lui, e adesso fa un rumore di campane come un perfetto bovino che bruca avido.
Diretti verso la croce, che decido di scalare non appena siamo soli (la croce è metà di qualche utilizzatore dell’impianto appena sotto per poi partire per dei fuoripista): il solito cretino, ma ci sta. Osservo il crinale, e la mente corre alla traversata di quest'estate: nel 2013 cosa farò di analogo?
Decidiamo di scendere evitando gli impianti, quindi puntiamo alla valle che sta a nord ovest. Discesa in neve fresca, con parte finale che nasconde qualche buco dove cado fino all’inguine: ma perché solo io? Gli altri passano leggiadri e io che ho?!
Alle 13 siamo già alla macchina, alpinisti oggi appenninisti in mezzo a sciatori. Parliamo e diciamo cazzate come se fossimo da soli, ci cambiamo d’abito. Qualcuno passa, vede il materiale steso e commenta. Un maestro di sci ci chiede “ma eravate voi lassù prima?” “eh si, non credo che ci passino in tanti..”. Bella giornata, fisicamente facile, tecnicamente no: le fiducia per il grado che posso innalzare in montagna aumenta. Uno scenario di itinerari papabili si apre ai miei occhi, e ai miei sogni.

Qui altre foto.
Qui le foto di Nicola.
Qui relazione.
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