domenica 25 settembre 2016

Sgusciando nella dolomia: Col Toronn, via Hurschka

Obiettivo di oggi: via lunga, facile, con avvicinamento e discesa comodi, panoramica, al calduccio, dalla medio-facile individuazione, e..da vedere se la mia amica regge lo stress di una tale lunghezza e ore in parete. Avevo già addocchiato questa via proprio per una situazione del genere, e oggi..eccola!

Dopo il giro in mountain bike di ieri temevo che oggi avrei avuto i quadricipiti a pezzi, invece sto benino: è solo il sonno che ammazza, in due notti ho dormito quello che dovrei dormire in una.. Ma data la lunghezza della via e la voglia di non tornare a mezzanotte a casa, la partenza è presto: alle 3. Colazione in autogrill dato che qualcuna ha dimenticato le brioche a casa..

Arriviamo a Passo Gardena che albeggia, e lo spettacolo rinforza ancora di più l’emozione di ritrovarsi di nuovo in questo paradiso dolomitico, che magari oggi sarà anche meglio di agosto (meno gente in giro, meno traffico, …). Preparato lo zaino (l’auto è stata riempita alla rinfusa) al fresco (ma siamo fiduciosi che in parete il sole ci coccolerà), ci si incammina.

La giornata mi ricorda un po’ la Via Adang, ma spero oggi faremo prima! Si sale e cammina in mezzo a prati la cui dolcezza si combina perfettamente a questa luce calda del sole che sorge dietro Tofane e Pelmo, creando un’armonia che riappacifica lo spirito e allenta le tensioni che inevitabilmente si provano quando ancora ci si trova in “avvicinamento”.

Districatici nel mare di mughi, che come un’armata silenziosa, numerosa, fitta, estesa, protegge l’accesso alla via che vorremmo attaccare (e usando questo verbo, il gioco di parole diventa quasi perfetto), un ultimo ghiaione ci separa dalla parete. Che poi parete uniforme non è, la via sarà un viaggione tra sì pareti, ma poi guglie, camini, spigoli, creste, un intricato sistema di dolomia verticale.

La prima parte della via offre un percorso ben segnalato da cordini già in loco, alcuni dentro clessidre trapanate. Ora i puristi grideranno allo scandalo, ma preferisco una clessidra trapanata con un cordino a uno spit: anche perché devo ammettere che in certi tratti troveremo della roccia lavorata che potrebbe permettere protezioni “personali” (e integreremo infatti), ma in altri è talmente compatta che..non c’è scelta.

I primi tiri scorrono veloci: parto io e con Stefania ci alterniamo. Il sole fa un po’ il timido, la nebbia che sale da valle e un leggero venticello creano un leggero disagio, ma rimaniamo con intimo e maglietta sopra: uno spettacolo a livello termico.

Quel “roccia buona” della relazione del Bernardi mi aveva preoccupato da casa, invece troviamo una roccia che potrebbe quasi definirsi ottima! Finchè resti in via naturalmente: su L3 vado troppo a destra e mi ritrovo su uno strapiombetto friabile per nulla simpatico. Ma oggi c’è da pedalare e pensarci poco, se no usciamo con la frontale.

Un noioso L5 di trasferimento è il preludio a un pepato L6: il camino stretto. Tocca alla mia amica, che non vedo nel momento clou (peccato!), ma che odo: parolacce, maledizioni, tintinnii vari di materiale. Alla fine le urlo di togliersi lo zaino se non riesce a passare con quello addosso, e così fa e passa; ovviamente io che sono più grosso sia di corporatura che di zaino, farò lo stesso, e sarà la prima volta che mi capita di salire con lo zaino appeso all’imbraco!

Dai che abbiam perso troppo tempo su questo tiro! Il prossimo cerco di salirlo in rapidità anche se forse si tratta di quello più continuo sulla carta. La mia amica mi fa rotolare dalle risate quando scopro che passa di fianco alla S8 ma senza vederla (anello cementato): in realtà lì per lì rido poco, perché poi mi tocca ricercare la via, ma siccome la trovo presto, poi rotolo.

Rotolo meno quando, volendo salire il più possibile, quasi concateno i due tiri successivi, e la corda.. oh issà! Tiro alla fune con la montagna: vinco io, ma ai supplementari! Un altro tirello (sul quale inizia a notarsi che le protezioni già in loco scarseggiano sempre più), e poi il trasferimento per giungere ai tiri finali. Passo davanti alla sosta senza vederla, poi torno indietro e la trovo: la vendetta della mia amica.

Continuiamo in alternata: parte Stefania, poi io per un bel tiro di fessura e diedro dove i friends e nuts servono eccome! E si finisce sulla bella cresta articolata, un altro tassello di questo labirinto dolomitico. Erroneamente, e accidenti a me, esclamo “Ste, chissà quale di quelli spigoli ci sarà da salire per me alla fine, sembrano mica facili!”: non sono loro infatti..

Concordiamo di concatenare i prossimi tiri, così da velocizzare, e se la corda finisce si va in conserva protetta. Finisce, e quindi parto. Ma non avanza.. Messaggi urlati, poi vado avanti lasco per vedere che succede e..”Ste ma che fai li?!”, la trovo che sale una cengia bassa, sporca, terribile, che porta a quegli spigoli che vedevo, ma che da qui non mi sembrano logici. Infatti, una volta in sicura, avanzo un po’ e vedo la sosta da tutt’altra parte. E due sono le soste non vedute!!

Vado alla vera penultima sosta, recupero la mia amica e mi appresto al tiro finale. E se finora la roccia era quasi ottima, qui pare di scalare su bicchieri di cristallo: mamma che caga, movimenti versioni bradipo, gran tastamenti di appigli e appoggi e a volte ”ripensamenti” su quelli toccati. Ma alla fine trovo l’anello cementato, e ci siamo. Recupero Stefania, e meritata foto di via! 600m di sviluppo, non male.

E infatti la mia amica è bella stanca, non fisicamente ma psicologicamente, e ci sta benissimo! Arrivata in sosta odo di nuovo una frase simile a quella sentita dopo il primo tiro di Tiziana "non sono mai stata così felice di vederti!”.

Pochi passi e possiamo goderci il panorama dalla cima del Col Toronn: vastità dolomitiche che mi portano alla mente un sacco di ricordi (vastità=AV2, ma anche tante vie salite qui in zona), ormai mi sento a casa qui.

Va bene godersi la giornata ma..è tardi. Ci abbiamo messo 7h a salire la via (che potevano essere 6 se non ci fossimo impantanati in certi passaggi, ma amen) ma dopo lo spuntino e il cambio abito ormai sono le 16: telare!

La discesa comincia un po’ sporchetta e delicata, senza una traccia precisa ma si può navigare a vista; poi una volta che si mette piede sul sentiero, è tutta roba facile verso il Passo de Crespeina, e poi giù a corricchiare sulle scale di legno, dove anche la mia amica scopre che “ma si fa meno fatica corricchiando”.

Risalita al Passo Cir, passaggio nelle guglie di dolomia, e sentiero verso la Baita Jimmy (da evitare, carissima!). Si taglia poi per prato dove vedo cose che voi umani..Stefania che corre. In 1h dalla cima siamo già all’auto, abbiamo così il tempo per festeggiare la giornata con una doverosa birra.

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Qui la guida.

sabato 24 settembre 2016

MTB the return: Ponale e Punta Larici

Rispolverare la mia vecchia e cara Kona mi fa un certo effetto: rimetterla sui sentieri di montagna a sudare in salita e sfrecciare in discesa mi riporta indietro di anni (tipo il lontano 2008, ogni weekend in mtb, e in autunno che non mi entravano più i jeans.. in zona cosce). Oddio, in realtà un pochetto l’ho usata, ma sempre e solo in pianura: un leone in gabbia.

L’occasione me la offrono Mattia e Roberta, dopo un po’ di inviti finalmente accetto: meteo splendido sabato, ma freddino per arrampicare e..ci stà variare un po’ di attività e conoscere nuove persone. Bell’alba ammirata dal casello, e poi il furgone parte per il Lago di Garda, Massimo e Sergio li incontriamo lungo la strada, Gloria è già la.

La giornata non parte certo alla “Nicola-style" (colazione in autogrill), ma il giro parte alla "Gianluca-style”: dopo 2km di bitume per avvicinarsi allo sterrato, siamo fermi al bar: sulla carta per trovare Gloria e il suo ragazzo, nella realtà per un altro pezzo di colazione (e ben venga visto che c’ho fame!).

Fatta una certa, si parte per la panoramicissima Strada del Ponale, che forse ho già percorso nel mio trascorso di biker, ma chissà: non la ricordo. Una salita su fondo sconnesso ma non troppo, che mi ricorda quanto sia confortevole l’ammortizzazione dietro. E intanto penso “chissà se ho ancora un po’ di gamba e fiato, che so bene che la bici in salita in montagna è uno degli sforzi più intensi e prolungati che abbia mai vissuto!”.

Tra chiacchiere, seguire Mattia, schivare i passanti, gli altri biker e alcuni che già scendono, il tempo passa veloce e la respirazione passa da naso a bocca. I quadricipiti si sentono e pure i glutei hanno il loro da fare. Me gusta! E quando verrà la discesa.. ok, sono un cacasotto, però mi soddisfo l’adrenalina personale.

Gli scorci sul Lago di Garda sono innumerevoli, così come iniziano a esserlo i tornanti su asfalto, ma “la salita dura viene dopo, conserva energie” ma io non ricordo come si faccia, e in questo momento la testa è in modalità “bambino che si diverte”, ovvero tira senz’usta.

Dopo la fontana di Pregasina, la salita assume tutto un altro aspetto. Mi torna alla mente Erica quando la portai a fare un giro che a un certo punto mi disse “Ma perché? Perché devo fare tutta questa fatica in salita in bici, che a piedi farei prima?”. Mi torna in mente le impennate ai 2km/h sulle pendenze davvero ripide. Dai, cerca di tenere duro e sali, sali fino a scoppiare di fatica!

Raggiunta la nostra meta, Punta Larici, dove ci ricompattiamo prima di dirigerci insieme al “secret spot”: punto panoramicissimo sul Lago di Grada, oggi un po’ meno per via della foschia, ma “ogni biker almeno una volta nella vita deve venirci” e fare la foto con la bici in mano.

Passeggiatina sul sentiero verso una vecchia galleria, e poi è ora di abbassare la sella e mettersi in modalità..discesaaaaaaa! Beh, io me ne guardo bene dall’esagerare che c’ho paura e sono arrugginito, Massimo giù sparato, Mattia per i tagli nel bosco. E i miei freni..che si cuociono! Dio benedica il guard rail che mi ferma dopo aver frenato coi piedi (ma questi non bastavano a fermarmi prima del dirupo).

Pause per ricompattarci (e io nella speranza che i freni riacquistino la loro caratteristica principale: frenare) e giù di nuovo per quella che in salita temevo fosse noiosa da scendere, e invece la parte bassa si rivela un bel bike park! Meno male il giro è finito, perché di nuovo devo usare i piedi per fermarmi, no good!

Meritato e affamato pranzo alla Pizza&Burger per concludere come si deve il giro, e una rilassante passeggiata sulle sponde del Lago di Garda a Torbole: a 33 anni, la prima volta che passeggio qui! Bel giro senza una gran tecnica e tanti km, ma ottimo per (forse?) riprendere un’attività che avevo lasciato a scapito dell’alpinismo (non basta una vita per fare tutto). Grazie alla compagnia!

Qui altre foto.

sabato 17 settembre 2016

Piuttosto che niente: Una Placca per Achille

Non si può certo dire che ci si aspettasse una giornata di sole e un’arrampicata entusiasmante, però un po’ di speranza c’era: meteo incerto ma buona finestra al sabato, e quindi perché non tentare? Tentiamo, e a momenti facciamo un buco nell’acqua pauroso, che diverrò un buchino.

Già in prima collina, il meteo è pessimo: nuvoloso e piove. Arrivati al Passo di Campogrosso non piove più, ma nuvoloso, nebbia, freddo e vento abbondano. Il “cane del vicino” che tutto sapeva, ci saluta. Vabbeh, ormai siamo qui, facciamo un giretto a piedi a vedere il nuovo ponte che salva la Strada del Re, pranzo veloce al Rifugio Campogrosso e poi Mywall.

Man mano che si cammina lo scenario migliora, e sul ponte non ci fanno salire perché..non si capisce, ci sarà gente più importante di noi. Sfogliando la guida mi torna in mente quella via facilotta, non certo quella che speravo salire oggi, ma più di così non possiamo fare. Almeno si evita la resina e si scala su roccia vera.

Via verso l’auto, ci armiamo di tutto punto (avrei in mente una concatenazione, ma che non si farà, troppo freddo) e torniamo sui nostri passi, scorrendo sotto il Baffelan, sotto il Primo Apostolo, ed infine sotto la placca di un avancorpo del Secondo Apostolo. Tutta spittata, pace, oggi va così.

Primo tiro che mi congela bene a modo le mani su una roccia per nulla bagnata (salvo qualche chiazza) ma davvero freddina: il sole non vuole uscire, e man mano che si sale il vento trova maggiori spazi per farci rimpiangere il calduccio del letto (o del divano).

Stefania va per il secondo tiro, e io che mi maledico per essermi spogliato delle maniche lunghe alla base della parete. Dai dai, muoviamoci, che sembra si apra e magari ci sta il concatenamento.

Il terzo tiro è quello più duro, che poi è tutto un dire siccome gli altri si camminano quasi. C’è anche una roccia che peggiora un po’, che da bella compatta torna ad essere la classica del Carega, e ciò aggiunge un pizzico d’attenzione in più alla progressione. Ok, non mi sento più l’indice destro.

Stefania portami in cima che voglio vestirmi! E gli ultimi 20m scorrono veloci, ma alle mie dita sembrano lunghi.. Foto di via, niente Mars perché non ce lo meritiamo oggi, la consapevolezza che pensare di arrampicare ancora è da masochisti, e con due doppie siamo di nuovo alla base. Due doppie con la seconda di grande sbroglio per la mia amica.

Stavolta un giretto sul ponte non ce lo nega nessuno. Bellino dai! Ora siamo al sole, ma non deve far pensare che si stia bene come temperatura: si cammina per scaldarci! Veloce panino al Rifugio, birra piccola divisa a metà perché, di nuovo, non ce la meritiamo e comunque stasera ne abbiamo altra che ci aspetta, e..a valle con la voglia di arrampicare.

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domenica 11 settembre 2016

Il calduccio invano cercato: Sas Pordoi, via Gross

Terzo giorno, terzo passo, terza meta rinomata, sempre da soli. Dopo il Passo Gardena colMur de Pisciadu, dopo il Passo Sella con la Seconda Torre, oggi siamo al Passo Pordoi per il Sas Pordoi. Tutte mete prestigiose da inserire nel proprio CV alpinistico, oltre che belle salite. Oggi poi abbiamo deciso questa meta per salire uno spigolo sud, ovvero stare al sole e al calduccio: sarà il giorno in cui abbiamo preso più freddo. 

Un po' per rientrare a casa a un'ora decente, un po' per non trovare traffico in via, e tranquilli che il sole ci scalderà, alle 7e15 siamo già in cammino. Colazione al fornellino e niente caffè al bar perchè apre troppo tardi. Si sale sulla scivolosa scalinata in legno, un sacco di fango ci preoccupa: ma quanto ha piovuto qui ieri? Le pareti però sembrano asciutte. 

Una bell'alba sul Catinaccio, ma il bello deriva dalle nuvole che offuscano il sole: andare via! Una spelacchiata Marmolada, un biker che ci segue con la bici in spalla, i camosci lassù, e il quadretto è fatto. nessuno che arrampica, solo più tardi ci raggiungeranno due cordate che però saliranno un'altra via. 

All'attacco un timido sole ci scalda, ma dura poco. ben presto salgono le nebbie da valle, il cielo si annuvola, inizia il vento, e noi ci geleremo anche le dita: alla faccia del "facciamo una via al caldo". Riccardo parte e lo vedo titubare un pochino, il che mi preoccupa. Titubare ma non certo fermarsi, lui viaggia. 

Magici diedri. Anche oggi me ne tocca uno bello tosto, che strapiomba man mano e obbliga a usare quegli arti superiori belli intorpiditi. Devo ammettere che inizio ad averne abbastanza e aver voglia di caldo: altro che birra a fine gita, ci vorrebbe una cioccolata. 

La via è bella, peccato sia sovrastata dalla funivia. Riccardo parte per il terzo tiro con il mezzo meccanico che ha iniziato la spola continua su e giù, ma almeno è silenziosa, per quello che può. Siamo sul tiro più duro sulla carta, fatto questo siamo a posto. peccato che questa frase ce la ripeteremo spesso, ogni sosta fino alla penultima. 

Su L4 navigo un po' nel giallone, si sale dove si vuole su questa parete dritta ma ben ammanigliata che è un piacere. Un piacere finchè trovi la sosta, e io qui inizio a faticar eun pochino, poi finalmente eccola, anche se di spit non ne vedo. Ma deve esser questa. 

Traversino per Riccardo, e poi su dritto di nuovo. Le difficoltà su questi primi tiri sono piuttosto costanti, non eccessive ma costanti: ergo, sommando il tutto si sale arrampicando seriamente. E il vento e il nuvoloso e il freddo, non aiutano di certo. 

Speriamo di essere in via, ma il mio tiro mi pare logico. Solo che passato il traverso non trovo la sosta: cerca avanti, torna indietro, nulla. Guarda su per interpretare il prossimo tiro ma mi pare lo schizzo non torni per nulla. Una bella clessidra consumata mi fa però pensare di essere nel posto giusto. 

Mentre il mio amico sale il prossimo tiro, inizio a temere di prendere il temporale anche oggi. E chissà se siamo sulla via giusta, qui c'è un labirinto di parenti, o almeno così pare. No no, niente paura, interpretiamo correttamente la roccia piuttosto che lo schizzo, e ci saltiamo fuori. 

Dopo il tiro di Riccardo, il mio sale ancora un pochino per poi traversare nettamente sul facile verso sinistra: comincio a risalire un canale ma di nuovo la corda tira un casino, e dire che ho allungato i rinvii. Si vede non abbastanza. Due chiodi mi salvano, faccio sosta (solo dopo ne vedrò un terzo). 

Sembrerebbe che ormai dovremmo essere in vista del mostro metallico, e Ricky mi conferma ciò pochi metri dopo esser ripartito. Altra conferma è il detrito che la corda fa cadere, tutto quel II grado sommitale che ci dovrebbe portare agevolmente alla fine della via. 

Invece sul tiro che spetta a me, posso complicarmi la vita e prendere di petto alcuni risalti, giungendo a qualche metro anche di IV, giusto perchè non ne ho avuto abbastanza: prima non ne volevo più, ora che stiamo per finire invece ne voglio ancora! 

Sosto sulla cresta, Riccardo mi raggiunge, forse qualche goccia scende, lui lo vedo arrivare con già le scarpe da ginnastica ai piedi. Sale poi svelto verso la funivia, dove, come da richiesta, sosta direttamente sui pali della stessa, e fine della giornata arrampicatoria. 

Gente che ti guarda come tu fossi un marziano. Mangiamo e beviamo qualcosa alla svelta mentre ci cambiamo e mettiamo a posto la roba, nella paura del temporale che incombe. Due chiacchiere con due ragazzi romagnoli che ci hanno raggiungo dopo la Via Maria, ma dobbiamo scappare giù. 

Gente che si stupisce nello scoprire che oltre alla funivia esiste anche un sentiero per scendere verso il Passo Pordoi, miracolo. Scivolando sulla ghiaia, in un batti baleno siamo alla macchina: sistemazione del material e casino di tre giorni a far ei vagabondi delle dolomiti, birra e panino e si scende verso casa. Fine dell'estate? Speriamo di no!

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