sabato 24 novembre 2012

Stavolta Grill ci frega meno: via La Luna Argentea

Fiducia a Nicola. La via proposta per questo sabato è La Luna Argentea, a Dro: difficoltà sostenuta sul V/V+, una passo di VII azzerabile, ma..è di Grill, e con Grill ho brutti ricordi.. Tuttavia la voglia è tanta, perciò vada per la luna, che tra l'altro è periodo che sia alta in cielo.
Ma la ricerca dell'attacco mi fa, anzi ci fa, già temere di tornare a casa con le pive nel sacco: la relazione parla di 10minuti di cammino, noi ormai siamo già a 20 e non vediamo il ghiaione con gli ometti. “Eppure siamo partiti dal campo sportivo come dice la relazione” “Nicola sei sicuro che sia il campo sportivo quello?” “si”. Oh che brutto presentimento! Torniamo sui nostri passi e dopo poco due climber ci dicono che dovevamo andare più avanti: infatti avessimo fatto altri 200m avremmo trovato.. Segnare: quando decidi di tornare indietro perchè pensi di essere troppo avanti, fai almeno altri 500m. Poi dall ultima sosta vedremo che il campo sportivo..era un altro!
Va beh dai, adesso ci siamo, e il sole ci ha già belli scaldati. Parto io per primo, in cordata con Paolo, poi Nicola con Davide. La peppa, partiamo bene con 'sto V+.. La via è lunga, è già tardi come orario, Nicola deve anche fare acquisti, il mio compagno di cordata so che è una bravissima persona, ma un po' suocera, ed è già li che mi dice “dai senza indugi, se sei in difficoltà azzera e amen”: tac, primo azzero e via andare.
La roccia sembra buona, abbastanza lavorata, e non c’è freddo (per ora, perché gli ultimi tiri all’ombra saranno un po’ tremolanti). Oggi son partito sapendo che probabilmente la via è al di sopra delle mie possibilità, perciò sono nella condizione di avere la mente libera da qualsiasi ansia da prestazione: perciò prendo quel che viene senza dover fare il supereroe. E così, andrà meglio di quello che mi aspettavo.
Nicola sale dietro Paolo, e già si sente urlare “croccante”. Ma cerchiamo di spicciarci, e seppur due cagate in sosta ce le diciamo, il mio compagno di cordata appena ha libera la strada davanti, parte. Per qualche lunghezza infatti avremo davanti la cordata che stava alla base prima di noi, ma che verso metà via prenderà il largo e non vedremo più. Avere qualcuno davanti aiuta se hai timore di perdere la via, aiuta parecchio.
Il secondo tiro contiene un traverso bello lungo finale, per fortuna con Paolo sono a vista e perciò non mi tira eccessivamente. Ma ora ritocca a me, per quello che forse è uno dei tiri più belli, il terzo: tutto lavorato ma senza maniglioni, nella parte finale un sacco di movimenti alla ricerca dell’equilibrio migliore, un’uscita “da boulder su volume”, ah ah!
Bella giornata, tersa più di quello che mi sarei aspettato, nessuno in parete salvo noi, e i rumori della strada e del paese non si sentono. Si sente però un bello “toc!” sul mio casco quando esso viene colpito da un sassolino proveniente dall’alto: God bless helmet. Il tettino finale del quarto tiro impegna Paolo, che dal basso non vede che c’era da salire sulla destra: ma anche quando toccherà a me, ci starà una bella azzerata, perché il traverso seppur breve fa sempre paura rispetto a una bella corda verticale!
Il tiro successivo è un po’ una minchiata per raggiungere una zona di parete un po’ migliore: mi fa capire che chi va ad aprire una via su una parete del genere deve farne di prove e riprove.. L’albero su cui si sosta è sano, ma l’esposizione non è tale da prendersi in serenità un the coi biscotti.. Anche il sesto tiro è abbastanza godurioso, se non altro la partenza. Davide e Nicola iniziano a rimanere un po’ indietro, ma ci recupereranno quando arriveremo sui tiri duri. In alo si inizia a vedere la Scudo Argenteo..
Ecco, adesso son cazzi miei. Una troppo veloce lettura della relazione, aver preso alla leggera la giornata (diciamo che mi era rimasto impresso solo quel VII dell’ottavo tiro come difficoltà per me assolutamente improponibile) mi riserva la sorpresa che adesso mi aspetta tirare un VI-. Un passaggio? Magari. Prima uno strapiombo, quindi un metro, poi un diedro continuo, parecchi metri. “Se non te la senti vado io” “No Paolo, provo, fosse una placca te la lascerei, ma un diedro ci provo”.
E viene il bello. Parto, Paolo da giù mi suggerisce “apriti, hai una bella lama/scaglia alla tua sinistra da prendere” “ah eccola, ok” “ mi ci traziono per salire qualche cm, poi sento che balla il tuca tuca, con oscillazioni di un paio di cm, non di mm, mamma mia che scago! “Paolo prendila te la lama!” Un passo dello strapiombo lo azzero, non posso farne a meno, sono rimasto troppo a pensarci, e preferisco tenermi un po’ di energie visto che dopo verranno passi duri.
E il diedro è li. Io e il mio compagno non siamo più a vista, e a volte la corda è pure un po’ dura: proprio adesso! E quanto è lungo ‘sto diedro.. In confronto il dulfer della Gervasutti è una passeggiata. Un passo con una mano decente, un passo senza un cazzo, si alterna così. E quando ci sono in mezzo, alla mia destra si sente un bel boato e Paolo “hai visto il frigo (un sasso di queste dimensioni) che è caduto?!” No Paolo, non vedo un cazzo adesso, vedo solo l’uscita da qui. Anche perché tante protezioni non ci sono. Un “yahuuuu” rivela a chi mi sta sotto che ne sono uscito!
E cucù, chi c’è di fianco a me adesso? Il famoso scudo argenteo. E sono convinto che questo sia il VII a vedere quanto sia liscio ed esposto (cazzo, sotto c’è uno strapiombo, se il primo o il secondo scivola qui, tocca fare un paranco, non c’è storia), e invece mi sbaglio, è più su: minchia! Paolo si gode anche lui il diedro, e mi fa i complimenti. Sono una persona modesta io, ma sono cosciente che in quei metri ho superato me stesso. Poi guarda la placca e anche lui ha un “cazzo se è liscia”.
Poi se la beve. Due o tre passettini un po’ delicati e supera tutto. Eh beh, lui è bravo, mica me. E deve rendersi conto della bellezza dell’esposizione di questo tratto visto che mi chiede di fargli qualche foto! Intanto Nicola boccheggia nel diedro sotto di me, che comunque supera senza troppe difficoltà. Paolo arriva su, adesso tocca a me superare questo scudo.
I chiodi sono troppo distanti per azzerare, merda. Parto, ma sono troppo alto, resto impiccato, paolo mi tira un po’ troppo e ciò mi rende parecchio difficoltoso mantenere l’equilibrio. No son troppo alto, non riesco a uscirne, Nicola mi passa un pezzo della sua corda e torno indietro. Qui si che ho scago, anche perché il mio compagno mi tira davvero troppo.. E il buon Nicola “certo che anche te con quelle ciabatte, le Mythos non sono proprio le scarpe indicate per questi passaggi”. Via riparto, azzero tutto, con l’adrenalina a mille. Non sarebbe nemmeno esageratamente difficile, ma l’esposizione fa veramente impressione, e coi 30m di corda sopra di me, se cado vado giù almeno 3m sotto lo strapiombo, e chi tira più su?!
Bon, è fatta, senza nessun tipo di eleganza, ma con della resa, e fanculo. Paolo mi aspetta sdraiato sulla sosta, comodo comodo. Adesso che inizia ad avere freddo, inizia anche ad avere una certa fretta “dai, adesso c’è quella rampa li, vai di corsa che tanto è tutto appoggiato” Sì, ma è comunque un IV, e con sotto l’immancabile strapiombo. Beh dai, si fa, adesso tocca a te!
Ed ecco il tiro duro, azzerabile solo da uno alto almeno due metri, che superiamo improvvisando una staffa con un cordino. Vedere Paolo in difficoltà (lo scazzo del freddo gli fa di certo perdere delle energie comunque), mi fa capire che io non ho speranze, azzero e amen, che comunque anche azzerare non è mica semplice. Poi però Paolo è andato a destra invece che a sinistra, finendo sulla sosta di un’altra via.
Ma per tornare sulla nostra non devo faticare troppo, si vede che non siamo di certo i soli a sbagliare traiettoria visto i passaggi unti e le tracce sulla cengia. Sull’ultimo tiro c’è una placchettina di V+ di qualche metro, e Paolo capisce bene che le placche non sono la mia passione “vedo che fai il bradipo, non deve essere troppo facile”, eh no, un po’ delicata, ma per me niente a che vedere con lo scudo! Ed ecco l’ultima sosta, è fatta! E non è ancora buio!
E dall’ultima sosta si vede anche il campo sportivo di Dro, quello vero, quello dove si doveva parcheggiare, quello dal quale si che sono 10minuti arrivare all’attacco. Dal centro di Dro invece è una mezzora. “Nicola, guarda cosa c’è la!”
Usciamo tutti dalla via, e con calma (troppa, poi quando iniziamo a sentire il fresco ci spicciamo di più!) ci spogliamo, scambiamo il materiale e mangiamo qual cosina. La luna è già alta in cielo, e la luce inizia a calare vistosamente. Questo versante è comunque una sassaia disumana, dopo delle nevicate non voglio nemmeno immaginare che pioggia di meteoriti! Si arriva alla macchina che ormai è buio, e un giretto nel centro di Arco conclude la giornata. Unica volta in cui non prenderò il famoso gelato di Arco, anche perché a malincuore trovo la gelateria chiusa, sigh!

Qui altre foto.
Qui report.
Qui e qui relazione della via.

sabato 17 novembre 2012

Vaji a secco nel cuore del Fumante: Pelagatta e Scuro

Io sarei andato volentieri ad arrampicare oggi, ma Marco sono ormai un paio di mesi che spinge per andare a fare il Vaio Scuro, in previsione di un attacco invernale armati di piccozza e ramponi (quella sì che è vita!): come posso dirgli di no? Ancora ricordo quando scendendo dall'ultimo giro in Orobie in auto mi disse a proposito della sosta al bar “ma mi avevate promesso che vi fermavate” con quegli occhi da cane bastonato, mentre io e Riccardo cercavamo un bar adeguato alla nostra eleganza (che poi trovammo poco dopo). Stavolta non posso che dirgli di sì subito. Però..mi studio un bel giro.
E così alle prime luci dell’alba ci incamminiamo dal Rifugio Revolto alla volta del Passo Pelagatta. Partiamo abbastanza alti per i nostri standard, ma oggi ho il coprifuoco e non posso sgarrare. Della neve cadute nelle deboli nevicate dell’ultimo mese sono rimaste solo sparute chiazze: chiazze marmoree viste le temperature rigide, ma pur sempre chiazze. Ho comunque messo nello zaino ramponi e piccozza, timoroso di accumuli di ghiaccio nel vaio, ma sarà tutto secco!
Al Passo Pertica si gode un bel panorama sul Gruppo dell’Adamello-Presanella, con le sue nevi autunnali illuminate di rosa dai primi deboli raggi di sole: spettacolo che avrò visto decine di volte, ma che ogni volta mi fermo a osservare e fotografare. Avanziamo a passo svelto verso il Rifugio Scalorbi, osservando le fessure e i canali del Plische, il Gigi, sognando un inverno ben più ricco dello scorso.
Al Passo Pelagatta ormai siamo belli caldi, il sole quando lo prendi ti rinvigorisce a giga bomba (quando sei all’ombra..brrr!). Già, ma perché siam qui? Non potevamo partire dal Rifugio Battisti? No no, noi siamo alternativi, ci piace il “famolo strano”: e metti che ci mettiamo meno tempo del previsto, col set da ferrata già nello zaino potremmo salire anche la Biasin, che sta da questo versante del Carega.
Dopo qualche indecisione su dove sia il sentiero, scendiamo. Azzo, io pensavo che il Vaio Pelagatta fosse quello da cui eravamo scesi dopo il Vaio Battisti, invece quello era il Passo Tre Croci.. La faccenda si fa un po’ ardua “Ma come, questo non mi sembra proprio un sentiero EE”, e Marco “ma va, infatti è puntinato sulla cartina” “ma è molto puntinato o poco?” “ i puntini sono tutti uguali..”. E così la variante di partenza si presenta tosta, in discesa su passaggi di III (o almeno II abbondante) su roccia friabile.
Marco mi minaccia se scriverò di ciò su fb o sul blog, ma io le bugie non le dico. “Almeno scrivi alla mia morosa che noi partiamo sempre con l’intenzione di un giro tranquillo, poi qualche strana variante ci frega”. Però deve essere bello con la neve questo vaio: incassato, stretto, logico. Scendiamo fino alla diramazione col Vaio del Pino “Attenzione, Vaio del Pino, Difficoltà alta” e mamma mia! A casa sul libro maestro devo guardare so’ha questo Vaio del Pino..
Se non fosse per il sentirsi continuamente soggetto alla follia omicida di cecchini sotto forma di sassi, sarebbe divertente e adrenalina questa discesa, ma questi cecchini incutono un certo timore, perciò meglio sgaggiarsi. E poi, che freddo cazzo! La roccia è gelata, adesso si sta già meglio, ma nella parte alta del vaio ormai stringevi i rari appigli senza capire quanto forte li stringessi.. 
 Adesso invece? Tratto di avvicinamento nel bosco, pestando foglie e in mezzo all’arancio delle foglie: un certo cambiamento di ambiente in pochi metri.
Oh, ed ecco il primo tratto attrezzato, quello che ci permette di scendere nel letto del Vaio Lovaraste: ma mentre aspetto Marco, un sasso cade dalla parete sulla sinistra orografica, dove poi dobbiam passare: “Marco, qui meglio esser svelti, niente indugi e poche foto”, e veloci come il vento (più o meno) scendiamo questo tratto. Nell’ultimo passaggio Marco si chiede perché sua mamma l’abbia fatto così corto..
Siamo sperduti in una delle zone meno frequentate del Gruppo Carega, la solitudine in mezzo a questa roccia che nasconde cecchini è pesante, fortuna che siamo in due. Peccato non vedere nemmeno una bestia, è strano, di solito si vedono smiliardate di camosci nella parte “antropizzata” e pratosa del Carega:  qui mi aspettavo intere mandrie!
Si sale ora per sfasciumi dell’imbocco per il Vaio Scuro: la salita si fa “da cercare”, vai un po’ a destra, vai un po’ a sinistra, cerca il passaggio più facile..o il più divertente! Oggi non c’è certo caldo, ma questo sole picchia coi suoi UV, e la pendenza e la fatica fanno il resto: mi pento di aver messo i Vertigo Light (e infatti ho già fatto il risvolto per far respirare i polpacci. Ed eccoci finalmente al primo tratto attrezzato del Vaio Scuro.
Che sia il Vaio Scuro non c’è dubbio: una targhetta alla base lo indica, non c’è scritta nulla, ma è tutta arrugginita e..scura. Marco parte all’attacco del camino iniziale, dove ringrazia sua mamma di averlo fatto così poco ingombrante: io infatti faticherò un po’ a uscire, ma mi divertirò sfruttando la parete alle mie spalle in spaccata.
Siamo incassati tra due pareti rocciose, di nuovo la mente vola al pensare di percorrerlo questo inverno quando sarà tutto ramponabile e piccozzabile: solo mi sorge il dubbio sulla facilità di avvicinamento, e in seguito mi sorgerà il dubbio sulla facilità di uscita e discesa.. Ma intanto godiamoci questa salita, fisica e atletica in certi tratti, solo di gamba in altri. Neve zero. Il buon Marco per fortuna qualche foto oggi me la fa, chissà che non riesca ad aggiornare la mia immagine del profilo.
Quale miglior momento per una confessione al mio amico? Detto fatto. Iniziamo adesso a vedere l cielo lassù, ma è un illusione, l’uscita è ancora lunga: già, perché finchè non saremo in cima all’Obante non mi considererò uscito. Guardo l’ora, mi sa che oggi facciamo solo il Vaio Scuro, il Pelagatta ci ha fatto perdere troppo tempo. Usciti dalla forcella, traversino sotto Punta Lovaraste, e si ammirano le dolomiti (ma dov’è la Marmolada?! Non la vedo..).
E dopo il traversino l’inconfondibile Porta dell’Inferno con il suo masso sospeso e l’Orecchia del Diavolo: un po’ di foto sciocche con io che tengo su il masso incastro, poi è ora di andare. Tutto merito di Marco e della sua macchina fotografica. Poi inizia un dedalo labirintico in mezzo a guglie, gugliette, passi, forcelle, pietraie, creste, di tutto, per giungere in cima al Monte Obante. È questo forse il tratto più bello della giornata, solitario, selvaggio, e a differenza del vaio è tutto “aperto” verso il cielo.
Rivediamo il Gruppo dell’Adamello Presanella: cazzo quel Carè Alto, che bello, che bianco, che triangolo. Una delle tre sconfitte del 2012, ma torneremo a misurarci con te, non temere mio caro. Questa visione rende ancora più dolomitica questa traversata, non siamo nemmeno a 2000m ma queste rocce, questa verticalità che ci sta intorno è inebriante, è invitante.
Finalmente scorgiamo un camoscio! Peccato non essere abbastanza veloce, o meglio, peccato che la mia macchina fotografica si inceppi, e non riesca a riprenderlo in cima a una guglietta stagliato verso il cielo con alle spalle la Presanella..
Ed eccoci finalmente al Passo dell’Obante. Tardino l’orario, e Marco è un po’ stanco, ma alla mia domanda “La cima è la, saliamo o andiamo diretti verso l’auro?” “e che cazzo, saliamo, siam qui!” via allora. Io ci sono già salito qualche mese fa, ma non dico di no, e poi il twix di vetta freme nello zaino. Improvviso una salita un po’ arrampicatoria, mentre Marco va sicuro per la via di salita normale.
E mentre sono li che penso alla domanda di Marco “ma non potevi salire per dove sono salito io?” e alla mia risposta “ma ci sono già salito sull’Obante, e conoscendo la via normale per scendere, per salire ho voluto rischiare” e non faccio in tempo a pensarlo, che mi caccio in trappola. Salgo su del II grado, ma dove tutto è marcio, arrivo su una bella lastra compatta..ma per arrivare sulla cima dovrei fare un salto di un metro e mezzo con sotto dieci metri di buco: torna indietro e salta dove è meno largo e profondo. Così che quando arrivo in cima Marco mi dice “beh, è un’ora che ti aspetto!”.
Pausa cibo, foto di vetta, con la macchina di Marco, e poi giù. L’avventura è finita, adesso solo prati, carrabile e sentiero. In prossimità dello Scalorbi Marco mi guarda e mi dice “Mi spiace dirtelo, ma lo sai che oggi te le avranno stuprate in ogni cantone le Orobie?!” eh lo so, dovevano esserci delle gran condizioni, sole e neve marmorea, ma purtroppo il tempo è tiranno, e oggi tante ore a disposizione non le avevo.
Al Passo Pertica guardo la Biasin, niente da fare, oggi non c’è tempo. Poi all’auto..tananana, Marco si toglie lo zaino e..”Dov’è la mia macchina fotografica?!” è rimasta in cima all’Obante, oppure al Passo dell’Obante quando Marco si è tolto lo zaino per prendere i bastoncini. Se qualcuno la trova.. Non tanto per la macchina, che è un cesso (a detta del padrone) ma per le foto dentro! Tra cui le mie..una volta che il mio amico me le fa!

Qui altre foto.
Qui i tempi.

sabato 10 novembre 2012

(Assalto alla) Prima Torre: via Diretta al pilastro della Guaita

La Romagna sembra l'unico pertugio dove non pioverà questo sabato, e Nicola dopo la falesiata alle Balze e la via a San Leo si è ormai affezionato alla terra della piadina. Perciò vai, indicaci la strada, pardon, la via! Sì ma..che via? 7a?! Sei matto? “Ma è solo un passo, e lo fai in A1” A1, cos’è?! Va bene, fidiamoci..
Partiamo da Carpi io, Nicola Mirko: a Modena ci troviamo con Christian, e dopo l’indecisione su dove lasciar l’auto (“dai mettila la che ce ne sono delle altre”, peccato che a un’ispezione ravvicinata quei quattro cadaveri fossero poggiati su mattoni..) partiamo alla volta del paese ostile, San Marino.
L’avvicinamento promette bene, o meglio, promette una buona nicolata: interpolando due differenti relazioni, viene fuori che inizialmente saliamo per sentierino, poi ci troviamo a salire dritto per dritto in mezzo al bosco sotto le pareti.. Ma alla fine ritroviamo il sentiero panoramico (che vorrei capire cos’abbia di panoramico visto che se nel bosco e non vedi una fava)e giungiamo all’attacco.
Pari o dispari chi parte, Mirko e Christian perdono e gli tocca starci dietro.. Dai che così ci divertiamo di più, noi siamo gli scarsi, almeno così in sosta si fanno due chiacchiere tutti insieme! Ma Nicola già fatica su questo tiro..come sarà sul terzo?! Siamo già li a pensare che ci toccherà usare la frontale per scendere.. C’è chi si prepara a chiamare casa per dire che non tornerà per cena..
Alla prima sosta pronti via, cambio e tiro io. Un po’ stretti questi gradi, sarò scarso io, ma fatico non poco. Inquietante arrampicare sotto quel masso imbragato, ancor più inquietante fare sosta al fianco di esso e con un punto di ancoraggio coincidente con un anello di fissaggio di uno dei cavi. Ma lì vedo già il passaggio duro..ci siamo. Nicola arriva e..”tira fuori l’altra staffa dal mio zaino va la!”.
Briga e briga e supera il passaggio duro, anche se poi anche il proseguo mi dirà non esser proprio banale, e infatti anche io me la suderò parecchio. La staffa lasciata in loco sarà provvidenziale, il resto sarà un bel tirarsi su di braccia! Ma tutto fa brodo.. I due sbruffoni sotto invece “togli pure le staffe, la facciamo in A0 noi”.
I tiri più duri sono superati, adesso si può iniziare ad arrampicare finalmente. E visto l’orario, sembra che lo scenario che si era delineato (discesa con frontale, litigata a casa con le mogli o future mogli per il ritardo) si sfuma pian piano..sarà per la prossima.
E un’idea mi gira per la testa.. Si vedono già le mura lassù, non possiamo uscire direttamente sul merlo delle mura?! Una bella sosta su spuntone.. Sarebbe una figata, ma sarebbe anche una multa assicurata. Bando alle cagate, iniziamo a partire, e avido di arrampicata seria, concateno i due tiri, per finire su una comoda sosta in cui mi siedo su un tronco di Leccio tagliato.
Nicola se la prende con comodo firmando il libro di vetta, e raggiuntomi mi ricambia il favore del concatenamento tirando tutto fino in cima: maledizione, e io che avevo concatenato proprio perché spettasse a me l’uscita.. Che poi, “io vado su e vedo cosa fare: se finisce la corda te parti”, ecco, un pezzettino di nicolata può rispuntare fuori!
L’ultimo tiro su muschio sdrucciolevole non è piacevolissimo. Mi attanaglia un pensiero: ma possibile che ci siamo solo noi ad arrampicare?! Chissà come mai.. I turisti (anche qui russi?! Ma basta..) che visitano le mura ci guardano straniti, e come a fenomeni da baraccone ci fotografano.  Poi Nicola, mentre facciamo su la roba, decide che deve escogitare qualcosa per ricordare questa giornata, e scivola incomprensibilmente ruzzolando qualche metro per fortuna dalla parte opposta della parete..andata bene!
Per finire la giornata ci facciamo una breve passeggiata per le mura, senza entrare nella torre alla vista dei tre euro di ingresso (tre euro possono valere una birra, siam pazzi?!), ma sgattaiolando verso la seconda, dove c’è il sentiero d’uscita. Si passa vicino a dei monotiri, e Christian, che ne ha, prova un tiro senza sapere cosa sia: solo quando si trova a metà mi ricordo di aver stampato anche le relazioni delle falesie: è su un 6a+ o su un 6c. “direi 6c dalla fatica che sto facendo!”
La discesa per sentiero ci rivela che scioccamente all’andata abbiamo sbagliato per 20m: avessimo proseguito quei 20m, trovavamo l’incrocio corretto col sentiero panoramico. Va beh, affoghiamo i dispiaceri in birra e piadina, dove i peperoni con vitello rimarranno argomento indiscusso del ritorno, insieme alle solite fantasticherie delle innumerevoli vie, cascate, cime, da fare prossimamente: “ok, adesso basta elencarne, abbiamo esaurito le domeniche del 2013!”

Qui altre foto.
Qui le foto di Nicola.
Qui report.
Qui qui relazione della via, in questo sito anche altre falesie della zona.

venerdì 2 novembre 2012

Orobicando, finalmente: Monte Madonnino

Unico giorno in cui il meteo dovrebbe concedere di ammirare la neve caduta nei giorni scorsi, e che facciamo, non ne approfittiamo?! Convinti senza nessuna fatica Marco e Riccardo (anche le loro picche e i loro ramponi dopo il Rosa avrebbero voglia di tornare a mordere) partiamo alla volta di Carona: Marco già veterano orobico ma ignorante della conca del Calvi, Riccardo verginello delle montagne di sassi che vengono giù con uno starnuto (cit. Marco M.).
Dopo qualche difficoltà a trovare la strada, alle 6e30 dopo 2h30 di auto ci fermiamo poco prima di Carona per un caffe macchiato, “le paste sono in forno, se volete aspettare 15 minuti”, cazzo se aspettiamo, fuori addirittura piove! Uffa, che il meteo abbia toppato così?! Speriamo migliori.. ma ormai siam qui, dopo una pausa più lunga del previsto giungiamo al parcheggio e ci incamminiamo.
Si ma che palle: giornata uggiosa, tutto nuvolo, la macchina fotografica che (quando non mi da “errore obiettivo”) fa tutte le foto con effetto nebbia: per forza, siamo nella nebbia! Non posso bruciarmi così Riccardo così, al quale ho narrato della magia di questi monti, che definisco come l'Appennino con sopra impiantato il Monte Bianco. Se continua così, son fregato. Ma non ci scoraggiamo, che raccontandoci due minchiate saliamo: ad esempio dei miei 5 paia di guanti che ho con me, “non si sa mai, una scorta..” “adesso capisco come mai hai sempre lo zaino pieno, hai anche gli scarponi di scorta?!”
Ma per fortuna la Lago del Prato qualcosa sembra aprirsi, vedo il sole, “la fine del mondo” come la ribattezza Riccardo per il contrasto di chiaro scuro laggiù. Dai spingi, partorisci questa palla infuocata cazzo! E intanto sfava..sfava il raccontarsi tante cazzate, tirare fuori tante massime sul momento, e poi non ricordarsele quando sono qui a scrivere..
La neve inizia a essere più uniforme, pensavo ne avremmo trovata di più, “se ci hai fatto prendere le ciaspole per niente..” mi viene detto.. Poi sbuca il gigante, il Grabiasca, il Poris, e dietro il Diavolo di Tenda. Se finora c'era la tristezza di un Appennino uggioso, bagnato, nuvoloso, adesso sembra di essere catapultati in mezzo a giganti di roccia..coperti di bianco. Mi sento sollevato, forse Riccardo e Marco vorranno tornarci di nuovo in Orobie!
Oh ma che bello. Oh ma che voglia. Eccoci alla diga del Lago Fregabolgia, lassù il canale del Cabianca. Dopo un 1 novembre passato (in un posto non proprio piacevole, per motivi ancora meno) a spulciare una guida del Bianco, la voglia di ramponare delle pendenze è tanta, ma oggi c'è da tenersi a freno, non ci sono le condizioni e probabilmente è anche pericoloso. Keep calm!
“oh, ma c'ho 'na fame” “si dai, tanto manca poco al rifugio” e quando ci arriviamo scatta il momento nudità: si sta troppo bene al sole per non togliersi la maglietta e farsi graffiare dal sole! Ci smangiamo qualcosa, esploro il locale invernale per un'ipotetica uscita del corso AG1 del CAI di Carpi, qualche foto scema a sfruttare l'onda di neve che cade dal tetto del rifugio, e poi ci incamminiamo di nuovo. Sì, ma dove?!
Siamo in un parco giochi, cime, canali, creste, c'è di tutto, ma non oggi. C'è anche il sole e il cielo, che si sono aperti nei loro colori più piacevoli. Oggi ci si “accontenta” di esplorare, di fare il giro dei laghi e rientrare quindi a Carona dall'altra parte. Ma sembra così incontaminata questa neve..sarà tutto da tracciare?! Beh, intanto arriviamo al passo, poi vedremo. Ci conforta vedere che non siamo i soli a prendere quella strada. E così lo spirito di squadra inizia a insinuarsi tra persone fino a quel momento sconosciute.
Già, perché un altro bello aspetto della montagna, quella vera, è una sincera solidarietà, un aiutarsi l'uno con l'altro, non come nella vita quotidiana. E così alternandosi li davanti, saliamo. La neve è bella ravanatoria, le peste vanno giù anche fino al ginocchio, e la fatica non è certo equamente ripartita tra quelli che sono davanti e quelli che sono dietro. Chi ci precede si ferma e ci lascia passare “oh meno male, se no ci toccava offrirvi una birra!”, e via su.
Ci chiedono “ma perché non mettete le ciaspole, potreste andare meglio”, siamo i soli ad averle, ma le teniamo sullo zaino “no, ma lo facciamo per solidarietà, e poi tanto ce le portiamo sempre dietro solo per appesantire lo zaino”. Poi quasi al passo Riccardo decide di provare, ed è come se avesse messo su le gomme da neve, tantochè decide di non seguire la pista che sto facendo ma di andare su di fianco.
Che spasso, ben tornato inverno. Quando poi vuoi farti sentire veramente..noi siam pronti.
Dal Passo Portula iniziamo a pensare che forse il giro dei Laghi è un po' troppo, poi onestamente se nessuno l'ha tracciato ci perderemo di sicuro. Quelli che son li con noi parlano di salire il Monte Madonnino. Si armano di piccozza e ramponi. E noi? Sapevo che sarebbe finita così. Partiamo da casa col “giro tranquillo” ma appena possiamo cerchiamo di mettere un po' di pepe! Che poi in Orobie, questo è un giro tranquillo.
Così della decina salita dal Calvi al Portula, in sei iniziamo l'ascesa al Monte Madonnino. Un assaggio di alpinismo, e noi ne siamo affamati. Davanti a noi un ragazzo, gli altri due restano defilati, e da metà salita chi sta davanti, giustamente, chiede il cambio. Mo' tocca a me! Ah che goduria, la fatica del cercare la via in mezzo a questi accumuli intervallati da neve gradinabile. Senza volerlo (più o meno) salgo per una variante delicata (non starnutire!) e dall'alto poi vedo che “Marco, passa di la, è più facile” mentre Riccardo invece si gusta il tratto “mi piace, c'è da pensare qui”.
Crestone finale che conduce in cima e ci siamo, balcone panoramico sulla zona. Non tira più nemmeno vento, ci si può godere la cima senza dover scappare verso posti più caldi e riparati. Ci si stringe la mano tra tutti e ci si chiede di scattare le foto di vetta. Bello bello, ma adesso giù che così al rifugio ci rimpinziamo la pancia di nuovo.
Al Passo Portula cambio treno di gomme, dai ramponi alle ciaspole, ma forse per scendere sarebbe stato meglio non metterle. Marco ognuno dei primi tre passi lo finisce cadendo. Ma anche noi, che cerchiamo la neve vergine in discesa, dobbiamo tenerci su, perché appena la punta della ciaspola affonda e si pianta, occorre frenare il passo di avanzamento per evitare il capitombolo!
Ma che bella questa neve che sinuosa copre dolcemente le discontinuità aspre dei sassi.
Al Calvi altro topless doveroso, accompagnato da una sana birra, che nei primi km di discesa farà il suo effetto facendomi sentire leggero leggero. Si potrebbe stare qui a dormire al sole, ma scendiamo perché sappiamo che sarà una lenta agonia la discesa, come quasi sempre. Almeno ci godiamo meglio i colori autunnali che stamani la nebbia ci nascondeva.
E la giornata finisce con un gioioso ritorno in auto, alla ricerca di una fontana prima per riempire la mia cassa d'acqua (per una settimana potrò bene acqua orobica a casa), poi trasformati in maranzi ad ascoltare il cd live dei Daft Punk, in seguito incastrati nella coda di san Pellegrino Terme, finalmente convinti a fare il pieno nella macchina, successivamente a scolarci una birra approfittando dell'aperitivo di un bar (“ma secondo me quando entriamo che puzziamo da far schifo, non vedono l'ora che ce ne andiamo”).
Le Orobie sempre più una certezza, spero Riccardo se ne sia innamorato anche lui, marco già lo era, prossimamente si spera di contagiare qualcun altro!

Qui altre foto.
Qui i tempi.