Combinare
tutti gli impegni, gli affetti, gli amici, il tempo, le condizioni, il meteo,
dura la vita. Le idee di tutti erano altre, il Gran Paradiso la terza scelta
per alcuni mentre io manco lo prendevo in considerazione (ci ero già stato), ormai si stava
già votando per due giorni distinti su roccia, e invece alle 20:15 della
domenica sera si decide che tra poco più di 12 ore si parte per la Val d'Aosta.
Inaspettata partenza per inaspettata meta.
Il meteo in
miglioramento, report confortanti, prossimi weekend occupati (chi più chi meno,
chissà quando ci si rivedrà), da 5 finiamo a essere in 3 (e poi in vetta in 2
ahimè), tutto piuttosto turbolento. E io con la scottina su pancia e cosce del
giorno prima in piscina.. Si parte con aspettative basse, uscendo a Quincinetto
per evitare il salasso dell'autostrada valdostana.
Eccoci al
parcheggio, nasce il dilemma ciaspolatorio: le prendiamo o no? Fosse per Gianluca potrebbero
bruciare all'istante, però chissà. Alla fine optiamo per prenderle, così il
brontolone parte col suo zaino carico prima di noi. Io e Giorgio ci mettiamo in mise estiva, troppo caldo,
più del previsto, e il buon nostro amico ci ha pure lasciato le corde. Opto per
non prendere la terza picca.
Alle 15
siamo in cammino, con io che volevo partire prima per il timore dei temporali
pomeridiani, che per fortuna non ci saranno. Poche auto al parcheggio, ma il
gestore aveva detto che il rifugio era pieno, chissà cosa intende per pieno.
Una marmotta in camino all'inizio della salita ci strappa un sorriso. Che
sudata ci aspetta!
Non è ancora
chiaro quanti tornanti stiamo facendo, lo capiremo domani, ora abbiamo
l'eccitazione nelle vene per la salita di domani, ci crediamo cazzo, la giornata
è annunciata buona come meteo! Però non posso non osservare i mosaici di pietre
dei terrapieni che compongono il sentiero di salita, sassi in orizzontale e in
verticale, una pazienza e una maestria nel posarli..
Andiamo con
calma, lo zaino pesa e non vogliamo cuocerci per domani. Il futuro vicino, e
osservando le cascate dall'altra parte della valle, che ora sono liquide, ma
chissà se d'inverno sono solide, sogno un futuro un po' più lontano.
Raggiungiamo Gianluca poco prima della fontana Malga Lavassey, dove due bei
sorsi di acqua gelata ci danno la sveglia!
Usciamo dal
bosco, e dopo qualche altro metro di salita, la bestia si staglia di fronte ai
nostri occhi: che eleganza. E che grigino..speriamo poterlo evitare, almeno in
parte, quel ghiaccio. Io dei tre sono quello che questa salita non l'aveva mai
messa in cantiere, ma gli altri due l'avevano nella "to do list",
chissà come gli pompa il cuore adesso che lo vedono!
Due
stambecchi fanno da guardia al Gran Paradiso, gli passiamo vicino ma non si curano
di noi. Il sentiero zigzaga prendendo quota molto lentamente, che palle, inizio
a tagliare per salire un po' più spiccio. Ma dov'è il Rifugio Chabod? Non dovrebbe mancare molto,
li c'è solo morena, deve essere su un luogo stabile..
Solo verso
la fine lo si vede, lassù, ultimi due tornanti e ci sono, ci siamo. In 2h10
abbiamo archiviato la salita. Sistemiamo il materiale alla carlona (toccherà
tornare a farlo) e usciamo a berci una birra vista Nord GP: in realtà io e
Giorgio non volevamo incamerare alcoolici, ma quel diavolo tentatore di
Gianluca ci convince. Inaspettatamente nessun temporale, ma meglio così.
Siamo
affamati, ma la cena tarda. Gente ce ne è poca, quasi tutti con gli sci, con
uno spallaggio che mi rifuiterei, una guida con cliente domani salirà la nord,
solo noi? Strano.. Data la nomea di questa parete si dovrebbe essere sempre in
tanti, a meno che non ci siano le condizioni. Vedremo. Intanto Gianluca si
sdraia a riposare sulla panchina.
Usciamo a
prendere un po' d'aria, due passi per digerire la mangiata e pisciare all'aria
aperta, nonchè per ammirare il posto, la parete, il tramonto. Si va a letto,
tra poco è un altro giorno, speriamo un ottimo giorno!
Drriin, tutti in piedi, la colazione è già sul tavolo in modalità self
service, ma prima di iniziare a mangiare esco a vedere che aria tira: porca
puttana che caldo fa! Il cielo sereno è una lontana utopia. Il termometro
dentro il rifugio segna una temperatura esterna di 6,9°C: inizia a tutti un
giramento di palle.. Mangiamo taciturni, mosci, l'eccitazione di ieri sfuma.
Inaspettatamente meteo e temperatura non come ci si attendeva.
Proviamo a
partire, siamo qui, vediamo. La guida e il suo cliente (Ezio e Albert) sono un
15 minuti davanti a noi. Ben presto iniziamo a pestare neve, e che neve: i
report del 30 e 31 maggio parlavano di un ottima neve portante in
avvicinamento! Le ciaspole sono rimaste in rifugio, abbiamo preferito optare
per una salita svelta, anche se vorrà dire penare in discesa.
E visto il
cielo nuvoloso e le temperature, addio rigelo, si affonda. La luna illumina in
modo irregolare le forme, ma la sostanza è che si affonda quasi ogni passo,
iniziamo a vederla dura. Sognando la morena ci si arriva sopra, un po' di
sollievo essere con del marrone sotto, finchè Gianluca annuncia "Ragazzi
non sto bene, ho il vomito, devo aver mangiato qualcosa che al mio fottuto
stomaco non è piaciuto".
Brutto
colpo, ci dispiace, ci offriamo di tornare indietro con lui "ma non se ne
parla, provate a salire, eccovi le mi viti". Le viti. Lo sapevo. In
macchina abbiamo fato il conto, ne abbiamo 13! Una doveva restare in auto..
Proseguiamo
con la mente al nostro amico: il mal di stomaco passerà, speriamo anche il mal
di non esser salito. La neve adesso ogni tanto tiene, ma non ci sono tracce dei
giorni precedenti, solo quello dei due davanti a noi. Un po di luce inizia a
farsi varco nel cielo, ma le nuvole sono davvero minacciose. Due palle.
Ora siamo in
campo aperto con la parete davanti a noi, oltre a un bel seraccone sulla
sinistra. Raggiungiamo Ezio e Albert coi quali scambiamo due battute e ci
alterniamo a tracciare il proseguo della salita: l'unione fa la forza, e
stamani ne serve.
Dopo una
risalita dalla pendenza un po' più accentuata è ora di legarsi e mangiare
qualcosa, oltre che vestirsi. Ok che fa un caldo boia per la stagione (siamo
partiti con delle previsioni che parlavano di uno zero termico a 3100m, al
rifugio ci hanno detto 4000m, misteri), però presto saremo in parete, un po' di
vento, nebbia, nubi basse, ci sta prepararsi al peggio. Sono le dita che porca
miseria patiscono un freddo becco!
Io e Giorgio
siamo più lenti e rimaniamo indietro, con questa parete davanti a noi ma che ci
mette un'infinità ad avvicinarsi a noi. E l'approcciarsi a lei la rende sempre
più ampia: da lontano appare piccola, da sotto tutto cambia. Anche per il fatto
che non ne vediamo il termine visto che si perde nelle nuvole.
Finalmente
siamo alla crepaccia terminale, dove i nostri due compagni di qualche ora si
stanno adoperando a passare. Il passaggio della terminale è sempre un momento
di concitazione: oltre al pericolo intrinseco (va beh che in realtà sai che
c'è, la vedi, la puoi gestire) è una sorta di porta su un altro mondo, varcata
questa vai verso la cima.
Ezio e
Albert la passano e partono spediti per la cima: il piano e gli accordi erano
di alternarci alla tracciatura, ma con tutta la nostra buona volontà non
riusciremo più a riprenderli. Ok che adesso la neve migliora vistosamente,
anzi, averla un po' morbida che permette di fare un gradino di discrete
dimensioni per il piede, risparmia i polpacci (che poi per quel poco di
ghiaccio che dovranno affrontare, fischieranno abbastanza).
Apriamo la
porta anche noi, uno sguardo verso l'alto e..ora si pedala. Questa giornata mi
ricorda la Tour Ronde, esperienza che non vorrei assolutamente ripetere. Infatti valuto e
rivaluto se proseguire o meno: la traccia di discesa dovrebbe essere bella
marcata, orde di scialpinisti e ciaspolatori stanno salendo (gli abbiamo visti
prima) e saliranno e salivano. Davanti a noi abbiamo una guida che sa il fatto
suo e traccerà e aiuterà nel caso. Poi oh, finita la parete è una cresta
affilata, non si può sbagliare.
La frase che
mi verrà rinfacciata per tempo indefinito "Giorgio, io vorrei uscire
presto da qui, adesso andiamo", e così in 1h40 dalla crepaccia all'uscita.
La salita parte su neve, la pendenza è quella al limite per andare a quattro
zampe o a due, ma cerchiamo il più possibile di andare a quattro per
risparmiare forza nelle gambe.
Ci teniamo
sulla sinistra, vicino alle rocce quando arrivano, lo avremmo fatto comunque,
il fatto che poi chi ci sta davanti ha seguito la nostra stessa idea ci
conforta. Qualche pausa per riprendere fiato, per stirare i muscoli, non per
ammirare il paesaggio circostante in quanto la nuvolosità la fa da padrone
ahime. Solo guardando in giù si può vedere per qualche km.
Scorrendo a
fianco delle rocce si inizia a vedere qualche grigiore di ghiaccio, ma questo è
ancora nulla. Lassu si vede il seracchino della parete, e non vedendo l'uscita
cerco di sperare essa non sia lontana: fosse una bella giornata e fossimo certi
di neve portante in discesa, potrebbero esserci altri 1000m di dislivello, ma
considerando invece quello che abbiamo..
"Dai
Giorgio che manca poco", e ormai i due sopra di noi sono scomparsi, un po'
per la distanza che ci hanno dato e un po' perchè adesso siamo proprio ad
altezza nuvole. Optiamo per accorciare la conserva ora che scende qualche
sassolino e pezzo di ghiaccio smosso da chi sta sopra, col senno di poi scelta
non troppo corretta e al limite. Se ne approfitta per mangiare un dolcetto che
ho in tasca, ne lascio metà nella neve al mio amico"
Sì perchè
nonostante dal rifugio sembrasse si potesse fare tutta in neve, la parte alta
della salita è un leggero strato bianco con sotto il ghiaccio, a volte bello
duro anche! Ci si arriva e la gioia nel piantare le picche come si deve è
tanta: sembriamo degli uomini di Neanderthal che devono uccidere la loro preda
a colpi di clava. Si torna primordiali quando c'è in ballo la sopravvivenza!
Scopro le
viti da ghiaccio dai loro cappucci protettivi, ne pianto per proteggere un po'
questa conserva. Solo che il tempo che io la avvito, e che Giorgio la svita,
sono tutti tempi "morti" in cui "muoiono lentamente" i
polpacci": d'altronde mica ce l'ha ordinato il medico! Chissà come deve
essere il ghiaccio dei seracchi, chissà se quella benedetta montagna tra due
weekend sarà in condizioni..
Tra noi
non ci sono mai più di due viti, finito io di infilare la mia, Giorgio toglie la sua:
si dimostreranno contate esattamente e tarate sulla nostra lunghezza di corda
per finire la parte di ghiaccio della parete! Inizio infatti a vedere l'uscita,
o meglio intuire che ci sia visto che i colori sono monotematici: bianco neve e
bianco nuvola.
"Giorgio
ci siamo!" eccoci all'uscita, ora ci aspetta una bella cresta aerea e con
cornici, ma che non riusciamo ad apprezzare visto che la visibilità rende
difficile capire i confini tra cielo, terra e abisso. Lascio un altro dolcetto
a Giorgio, questa non visibilità non mi piace e vorrei arrivare alla madonnina
presto e veloce.
Bella
crestina, ben più lunga di quello che credessi, si passa per la vera cima del
Gran Paradiso e arriviamo a della roccia con cordoni per una piccola doppia. Da
un po' nevischia, da parecchio tira vento, dalla mia faccia si capisce quale sia il lato
sopravento e quale quello sotto. Vorrei solo sbrigarmi, e invece come al solito
banali manovre di corda ci portano via un fracco di tempo. La fretta poi non
aiuta a ragionare correttamente.
Riusciamo a
trovarci alla base di questo tratto che si poteva benissimo disarrampicare,
quando sentiamo un urlo dalla nostra destra: uno scialpinista saluta così la
madonnina che ora può toccare. Poco male, segno che siamo vicini alla fine
delle tensioni. Un tiretto protetto per una cengia di traverso sottile, e siamo
sotto la coda di gente che vuole salire.
"dai
Gio, visto che ci siamo sotto, vai su a toccare la Madonnina che io ci sono già
stato", e diamogli lo zuccherino a questo cavallo. Ma quanto tempo vola
via dato anche il traffico. Eccolo tornare, scendiamo verso il ghiacciaio, e
finalmente mettiamo piede sulla discesa. Ora posso quietarmi!
10e45, sete
e fame, acqua e twix e un po' di foto. Rischiare giusto ora che siamo sotto, si
scopre la cima. Va beh, amen. Ripristiniamo i nodi a palla visto che mi ricordo
di un ghiacciaio bello crepacciato e ci avviamo alla discesa. La discesa
dell'agonia!
Si scopre
si, ma fugace e poco. Ripiombiamo nella nebbia e Giorgio si mette su una
traccia definita ma che poi un po' si perde un po' si trova.. Riusciamo a
ritrovarla grazie a qualche sprazzo di visibilità, fino a essere ben sotto al
limite delle nuvole. Obbligo di spogliarsi e mettere gli occhiali da sole che
ora ciocca! Poche ore al sole, ma fatali.
Osserviamo
l'incombenza del seracco che sta alla nostra destra, vari pezzi di palazzo
pericolanti che invogliano a essere svelti. Sfioriamo crepaccioni. Osservo
un'apertura poco sotto di noi e penso "quel crepo probabilmente passa
lungo tutto il pendio", detto fatto, mi ci finisce una gamba dentro
"Giorgio, aspetta veh e accucciati", ma riesco delicatamente a
uscirne..
Il resto è
cronaca di una discesa affondando fino a metà polpaccio, bagnati fradici per la
qualità della neve, stanchini dal complesso della salita, accaldati da matti
per temperatura e sole. La parte peggiore sarà quando finirà il ghiacciaio, la
morena coperta da un metro di neve, dove spesso si affonda fino all'anca, e
uscirne non è facile. Chiedere a Giorgio (video).
Il rifugio è
la ma non si avvicina, si passa sotto un altro seracco, si inizia a vedere l
cresta rocciosa sfasciumosa della mattina, dai! Sosta per bere e slegarsi.
Iniziamo a sperare che il nostro buon amico Gianluca ci venga incontro con le
ciaspole, ma sappiamo che sarà al rifugio al sole a scolarsi fiumi di birra.
Ecco un po' di cresta senza neve, libidine!
Abbiamo i
pesci rossi nelle scarpe, ultimo traverso su neve osservando di nuovo la Nord,
e poi su sentiero! Ora si vola! Corro verso il rifugio con Gianluca li fuori
che aspetta e che chiede come sia andata, ma prima di tutto voglio sapere come
sta lui. Che caldo.
Ci si
spoglia e sbraga per terra tutta l'attrezzatura. Un vento gelido e le nuvole
obbligano a rimettere la maglietta, e poi il sole la fa togliere. Gianluca
ovviamente che è li da ore, non ha fatto un cazzo, deve ancora fare lo zaino
per scendere. Lo finisce prima di noi e si avvia a scendere, un quarto d'ora
prima di noi.
Voglia di
arrivare all'auto, mettere giù questo zaino pesante, mettere delle scarpe
asciutte, trovare birra e panino. Questi gli input che a me e Giorgio fanno
prendere tutti i tagli di discesa possibili. Non troviamo Gian, chissà dove sia
finito, inizio a pensare che con tutti questi tagli lo avremo perso.. Uff, e
lui ha le chiavi, va beh lo aspetteremo.
L'altimetro
segna quota 2000, ciò vuol dire che con questi tagli abbiamo saltato la fontana
dove probabilmente sarà Gian. Pazienza, via giù per le scale di Escher, che
tornanti da ubriacatura! Finalmente gli ultimi, si arriva al parcheggio
e,sorpresa! Baule aperto, Gianluca che si sta già cambiando.
Lo guardo
esterrefatto "ma come cazzo hai fatto te a essere cosi svelto?! Quando
vedi la carota della birra non capisci più un cazzo!". Scenderemo alla
ricerca di una merenda valdostana che ci verrà negata per incapacità del
barista, ma la birra quella no, ci sarà!
Bella salita
e parete e cresta, peccato non essercela goduta in fondo. Anche se penso sia
una rarità trovarsi su questa nord quasi da soli! La voglia di alta quota
sale..
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