Martedì 29 maggio 2012 ore 9e04, un
giorno che resterà nella nostra memoria. Terremoto. Distruzione.
Vite in frantumi, oltre a quelle terminate fisicamente. Ma non sono
qui per parlare di questo, forse un giorno un post lo dedicherò a
questa tragedia, ma non adesso, adesso voglio tornare alla normalità.
Il terremoto lo subisco, non posso
oppormi, non posso minimizzare più di tanto i rischi. In montagna
invece, me la vado a cercare, studio previsioni meteo, scelgo
attrezzatura, arricchisco il mio bagaglio culturale al fine di
minimizzare i pericoli soggettivi. E l'avventura me la scelgo io. IO. Non la subisco.
Sono poi pur sempre in balia della natura, dei suoi elementi, il
rischio zero non esiste. Ma lo so, ne sono cosciente, e me ne drogo
di questa adrenalina. La cerco, non la trovo nell'ovetto kinder sotto terra.
Parlando un po' dei piani di riapertura
della ditta (ufficio tecnico da campo), dei piani per la sistemazione
della casa (mobili ecc, non mura, per quelle ci sarà da aspettare), decido che domani potrebbe essere
l'unica giornata che mi posso prendere del weekend, e il prossimo
chissà come saremo messi. Mi parte lo schizzo di tentare quel
progetto: non sono per nulla preparato fisicamente, mentalmente e
materialmente, ma non m'importa. L'avventura me la scelgo io. Poi
venerdì mattina presto, tre nuove scossette, basta, voglio levarmi
di culo per un po', tanto col terremoto bisognerà conviverci per lungo
temo.
Preparo ciò che non avevo preparato la
sera prima, e il venerdì a metà mattinata parto. Azzo, è già
tardi. E arriverò tardi. Pazienza. Sono a Pracchia (675m), e
partiamo già male (e tardi, 12e20), sopra di me solo nubi, nubi
grigie cariche di umidità. Parto sul sentiero 33, sul quale scorre
la GEA in questo tratto. L'amica GEA. La salita si impenna subito, e mi accorgo di
non essere in forma smagliante. D'altronde sono 3 notti che dormo in
tenda, 3 giorni che mi fiacco a sistemare casa, e sono reduce
dall'influenza. Salito di pochi metri, entro a piedi pari nelle nuvole:
già, a quota così bassa. E su tira vento. Male.
Non importa, continuo. Arrivato in
mezzo alle conifere inizia a piovere. Le conifere rispetto ai faggi
riparano meno dalla pioggia. Ma forse non è pioggia, è l'umidità
che si attacca alle cose, e che poi il vento tira giù. Fatto sta che
la visibilità è in media di 20m, e sono nel bosco. Chissà lassù.
Ovviamente ci sono solo io, chi vuoi che in infrasettimanale si metta
in giro con questo tempo?! Ma le previsioni meteo non erano queste..
Sorprendo uno scoiattolo che accortosi
tardi di me corre sull'albero tutto veloce. Passo poi sul sentiero 3,
e i faggi mi avvolgono. Sono molto alti questi faggi, e guardando
verso l'alto il gioco di luce in mezzo a questa nebbia è fiabesco.
Che strana sensazione. Ma me la sono cercata, quindi mi deve esser
bella, oltre che esserlo davvero: altrimenti sarei semplicemente un masochista.
Incontro 3 persone e un cane prima di
arrivare al Rifugio del Montanaro, un po' di vita. Ma nessuno sa o
capisce perché proprio oggi son qui, meglio, evito le solite
domande, oggi voglio stare lontano dalla pianura anche col pensiero
(ma non ci riuscirò). Finalmente esco dal bosco, con la speranza che
le nubi siano talmente basse che oltre i 1600m splenda il sole.
Invano.
Tira vento e l'umidità è tale da
bagnarmi. Se arrivato allo Scaffaiolo è ancora così, ripenso al
proseguimento. Sorprendo qualche ungulato con questa nebbia, ma con
la visibilità a 20m, escono presto dalla mia capacità visiva.
Arrivo al Passo dello Strofinaotio (1847m), e il mio ripensamento si
intensifica. Lo Scaffaiolo non lo vedo, solo il Cimone è scoperto:
la Toscana butta nubi che il vento alza, copre il crinale (quello
dove dovrei passare) e solo qualche centinaio di metri oltre si
dissolvono. passare il tempo dentro a questo grigio e bagnarmi così
non mi va.
Arrivo allo Scaffaiolo alle 16, faccio una
pausa per mangiare qualcosa,studio la cartina e decido di tornare sui
miei passi. Non proprio, perché ripassare nel grigiore precedente
non mi va. Il Corno alle Scale invece è scoperto, e ho voglia di un
po' di sole. Poi dalla cima posso scendere per il Segavecchia e in
seguito sperare in un po' di autostop o fare tutta quella strada
"gialla" a piedi. Che palle, però allenamento. E almeno
sto lontano dalla terra che trema.
Al passo dello Strofinatoio la
situazione è peggiorata, nubi anche qui a sprazzi e il Cimone tutto
coperto. Salgo vero la cima del Corno (1945), ma il sentiero di
discesa per il Segavecchia non lo vedo. Niente, proseguiamo, scenderò
per i Balzi dell'Ora, poi vedrò. Tanto posso anche fermarmi a dormire
in un bivacco, non mi corre dietro nessuno. Decido invece di salire
la Nuda (altro sole, e mi manca) e poi scendere per il 117. Dai tempi
delle tabelle devo spicciarmi se voglio arrivare al Segavecchia con
ancora della luce. E alla faccia dello spicciarmi, ci metterò la metà del tempo.
Cerco il cordino lasciato sul Canale
dei Bolognesi ma non lo vedo. Penso ad Al. Vedo questa parete, e
anche la nord, in versione tardo primaverile, hanno comunque il loro
fascino anche se non bianche. Salgo sulla Nuda e schizzo via per il 117. Rientro nel bosco, ma stavolta un bosco più piacevole, illuminato, con buona visibilità, asciutto. Arrivo presto al Segavecchia, alle 19, col gps che segna 24,4km, e
realizzo quanti km di asfalto devo macinare. Mamma mia. Mangio
qualcosa e mi avvio verso Pianaccio. L'asfalto è una fatta rottura
di maroni..
Arrivo al paese (ciao Enzo), poche anime, mi sa che
un passaggio sarà duro da trovare, guardo il pollice: adesso mi affido a te. Con la prima auto
faccio il timido e lo tengo in tasca, poi lo tiro fuori ogni qual
volta sento rumore di motore, ma sono pochini questi rumori. Niente, mando un po' di sms e faccio
qualche chiamata per passare il tempo. Svolto per la SP50 alle 20e45, e
finalmente qualcuno si ferma. Un ragazzo strano, anche lui un matto
una volta, a dormire sui tetti delle case in Grecia, o nei giardini
in Scozia, un utente interrail alla buona. Ma adesso ha la morosa e
un figlio, e tra l'altro la morosa stasera ha la cena del corso di
latino americani: a causa mia potrebbe scattare il litigio (lei ci tiene e lui è già in ritardo), ma lui
vedendomi mi ha voluto aiutare. Gli spiego il mio piano e dopo avermi
sconsigliato di proseguire ma di dormire da qualche parte, chiama la
morosa e me la passa "il tuo fidanzato sta aiutando un
terremotato" le dico. Arriviamo alla Pennola, chiediamo indicazioni ad alcuni passanti,
che quando vengono a sapere che devo arrivare a Pracchia mi dicono
"ma sai quanto è lontana?!".
Il buon uomo mi lascia poco sotto il
Rifugio Doccione: "ci sono i lupi, hai un coltello? attento
agli animali! dormi al rifugio e riparti domattina. No, ma ho capito
come sei te, te appena ti lascio giù riparti a piedi e non ti
fermi". Che imbecille che sono, non gli chiedo nemmeno come si chiama, ma dopo 5 minuti di chiaccherata siamo come due vecchi amici. Grazie dei km tolti amico, senza i tuoi mi sarei fermato di certo da
qualche parte o avrei chiamato l'aiuto da casa. La strada è una
forestale, non è asfaltata: da cartina la vedevo gialla, credevo una
strada ben trafficata dove poter sperare in qualche passaggio! Scendo
dall'auto che inizia a fare buio, capisco che sarà lunga e con la
strizza addosso, ma l'avventura me la scelgo io. E adesso inizia sul
serio. Metto la frontale.
Per un paio d'ore vagherò su queste
forestali in mezzo al bosco, senza abitazioni, con la luna quasi
piena che fa fatica a penetrare, tossendo e soffiandomi il naso più
volte del necessario per spaventare eventuali animali. Non che abbia
paura di attacchi di feroci bestie, ma anche solo un capriolo che mi
sbuca di fianco all'improvviso, sarebbe un bel tuffo al cuore! C'è
pure altra salita, devo riguadagnare quasi quota 1400m. Sol che
arrivo al Rifugio Cavallo.. Poi per un attimo una paura matta: arrivo
a un bivio, guardo la cartina, cazzo, ho sbagliato, ma dove sono
finito?! Qui? Oh cazzo, e adesso? Salgo su un albero e aspetto l'alba. E invece no, guardo meglio, sono
sulla "strada" giusta, fiuuu. Sempre con la strizza per
ogni rumore che sento, col coltellino aperto in mano (quel ragazzo
s'è messo a parlare di lupi in branco, linci, lotte titaniche con
gli animali, mi ha inquietato) riparto.
E poco prima di arrivare al Rifugio
Cavallo, che spettacolo. Esco dal bosco, sono su un crinale, verso
sud c'è un altro crinale dove le nuvole avvolgono come panna i
monti, panna montata dalla luna che le rende bianche e dense. Che
luce, riesco pure a fare qualche foto. Ma c'è sempre la strizza, sol
che scendo che arrivo al primo paese! Arrivo fino al Rifugio Cavallo, sono le 22e40, dove
due occhi di cervo mi guardano. Vorrei cercare la sorgente, ma fa lo
stesso. Dove c'è preda ci potrebbe essere predatore.. Via giù.
Ricomincio a vedere luci umane laggiù:
un'auto sale, poi scende, pollice sinistro alto ma mi ignora. Inizio
a essere stanco, sono le 23 passate.. Arrivo al "paese": 5
case, scorgo due sagome illuminate dalla luna in un giardino a fianco
della strada dove devo passare. Quanto cazzo sono grossi. Stringo il
coltello, tossisco forte, due grugniti e scappano via: che cinghiali
enormi! Non c'è segno di vita qui, case sì, ma nessun rumore.
Caprioli, cervi sparsi qua e la in abbondanza, ormai non mi
spaventano più, faccio parte come loro del bosco. Continuo a
scendere, quanto è lunga, mi pento del giro che ho fatto. Tutto
allenamento mi dico, forza. Devo arrivare alla strada a valle che da
Porretta Terme porta a Pracchia, li troverò bene qualche auto amica! Altrimenti sono altre ore di marcia, 3 ore almeno.
Arrivo su questa benedetta strada,
pochi metri e incrocio un'auto, azzo, va nella direzione sbagliata,
ma si ferma, mi chiede se serve aiuto "ma no, devo solo arrivare
fino a Pracchia": è l'1. "vuoi che ti ci porti?"
"mah, se lo fai ti ringrazio" e ti ringrazio assai Eros!
Quanti km mi mancavano ancora, mamma mia.. Due chiacchiere anche con
lui, che mi offre il divano letto di casa sua, ma andrà benissimo il
sedile coricato della mia auto, tanto stanco come sono! Lo ringrazio
di nuovo e dopo 5 minuti vado a letto, è l'una e mezza.
Che avventura. Scelta. Non subita.
Alle 6e20 mi sveglio, parto, mi fermo a
fare colazione in autogrill. Sto per tornare nella mia sfregiata
terra. Arrivo al casello di Carpi, un camion trasporta due container.
I miei occhi si fanno lucidi. Si rifanno lucidi.
Qui altre foto.
Niente report, non è il caso, non auguro a nessuno questa ripetizione, sopratutto con questo stato d'animo.
Bel racconto dell’ultima avventura di Andrea dove trasuda oltre al solito amore per la montagna anche il dolore per questa situazione subita.
RispondiEliminaVivere e lavorare nelle zone epicentrali e cercare nella nostra passione una piccola leva per scardinare la paura e tornare alla normalità.
I miei complimenti Andrea