Ci ritroviamo solo in tre per andare a
provare una nuova falesia, anche in preparazione al Riprendiamoci di Vista organizzato dal CAI di Carpi. Sotto il Forte di San Marco (che domina la bassa Val
d’Adige, all’altezza di Tessari) si ergono pareti calcaree che
hanno spinto qualcuno a chiodare vari settori. Data la nostra
scarsezza, non possiamo far altro che cercare di arrampicare sul
settore A, quello più a Nord.
Trovare il parcheggio è già dura. La
guida non è proprio chiara, entriamo nel paese citato, via su per
quella via che sembra giusta, avanti un po’ ALT! Divieto d’accesso.
Dietrofront. Sali per un'altra via, ma dove cacchio va? Torna giù,
prova qui. Prova la. Chiedi a un muratore che parla solo in dialetto,
prova a seguire le sue indicazioni (“ma voleva dire piazza o
paese?”), chiedi ad altri due muratori, “dalla casa rossa sali
su”. Vai, chiediamo a un’anziana, “su di la”, ma è dove
siamo stati al primo tentativo. Sfondiamo il divieto d’accesso e
pare il parcheggio giusto.
Su gli zaini e via. Scollina sul
crinale da dove ammiriamo la Val d’Adige, l’A22 e la ferrovia,
wuau. E adesso? Sinistra o destra? Ma andiamo verso nord, il nostro è
il settore più a nord. Si ma dove. Siamo già sul crinale, non mi
pare si possa scendere qui. Va beh, andiamo. Ometti, ok. Stiamo più
bassi del crinale su tracce di sentiero, perché non possiam mica
arrampicare sul cielo. Poi diventa una cengia esposta, mah. Poi la
cengia diventa attrezzata. Sopra di noi nessuna traccia di spit,
sotto nemmeno. Mah. Vai avanti, la cengia da attrezzata diventa anche
bella esposta, va beh. Mi pare un po’ strano come avvicinamento.
La cengia finisce, Nicola prova a
scendere a esplorare, ma se già da su non vedevamo spit, non penso
che adesso possa trovarne. Marco torna indietro per il sentiero che
rimane sul crinale. Ma secondo me c’è da andare avanti. Proviamo a
vedere: la cengia prosegue, senza tratti attrezzati, pur sempre un
po’ esposta. Cammina cammina, Nicola mi segue, io avanzo, finché
non gli urlo il nome di una via, “Giuseppina?!”. “Sì, va bene,
vado a chiamare Marco!”
Mentre Nicola va a cercare Marco, vado
ancora più avanti del settore A, scoprendo una bellissima formazione
rocciosa. Uno strapiombo giallo grossissimo a forma sferica, con
sotto un grottone (beh, più una rientranza) gigantesca, dove l’odore
di stalla e le numerose cagate, fa capire che sia consueto riparo di
bestie ungulate. Ma che bella ma che bella. Proseguo la cengia, mi sa
che si possa tornare sul crinale anche di qui.
Oh, arrivano gli altri due, dopo ore di
avvicinamento, invece che poche decine di minuti, ci si mette
l’imbraco e si sale. Deve essere una falesia poco frequentata, la
roccia è bella pulita, e ci divertiamo su questi monotiri gradati
alla base IV, IV+, V. Certo che il V di Allegria è bello tosto..
Arriva l’ora di andarsene, dopo 3-4
monotiri a testa (uno giù fa sicura a due che salgono), decidiamo di
uscire facendo una via intera. C’è un bel caldo, e si arrampica a
petto nudo, una goduria. E la birra al bar sarà un’altra super
goduria con questo sole ottobrino che scalda abbuco!
E veniamo all’etimologia della
parola, “Nicolata”: partire all’esplorazione di un posto nuovo
(esplorazione finta, perché le descrizioni ci sono, quindi si
dovrebbe trovare tutto bene; posto nuovo solo per chi parte, in
realtà ben famoso a molti) e metterci il quadruplo del tempo per
trovarlo, partendo da un girovagare in auto (eventualmente con
coordinate gps caricate sul dispositivo, errate) e continuando a
piedi, ritrovandosi invece che su un comodo sentiero, su qualcosa di
croccante (una cengia esposta, una calata in doppia), per poi
fermarsi ogni tre per due cercando qualcosa che è chiaro che non ci
sia.
Qui altre foto, per gentile concessione
di Nicola.
Sto ancora ridendo.
RispondiEliminaIn effetti hai colto la mia essenza :-)
Grazie ragazzi per avermi fatto una pubblicità così grande...se venite a trovarmi alla baboroulotte ci sarà sempre una birra per voi. Grazie ancora.
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