A ogni
montagna che scaliamo si legano inevitabilmente dei ricordi. Se non fosse così
non avrebbe nemmeno senso scalare. Ma ci sono montagne con ricordi più intensi
di altre, magari cime minori, ma dal legame affettivo alto. Per me, una di
queste cime, è la Presanella. Misero 3558, ma è stata la mia prima salita
alpinistica nel lontano 2008:
con guida alpina, con materiale da scarpinaro, ma con tanto di
quell’entusiasmo.. Entusiasmo che è cresciuto negli anni a seguire.
E già da
quella gita effettuata a mo’ di mandria che segue il capobranco (Italo) rimasi
affascinato da questa parete nord, che si lascia ammirare nella sua pienezza
fin dal Rifugio Denza, punto di partenza per l’ascesa della normale. Scivolo
Nord, la via più facile su questa parete dalle tante possibilità. Salita compiuta da Nicola nel 25/06/2009,
del quale lessi l’articolo sul giornalino del CAI, ammaliato dal suo racconto
sulla montagna a cui son legato. Questo scivolo decisi che dovevo salirlo.
Ma quando?
Ormai coi cambiamenti climatici in corso trovare questo genere di vie in
condizioni è sempre più complicato. Nel 2010 il corso di A1, corso finito tardi
per provare questa parete e esperienza ancora scarsa. 2011 fuggito via, anche per
un po’ di timore forse. 2012, il weekend giusto salivamo il Bishorn (e va più che
bene). 2013, ce la faremo? Nella lista to do list anche di Marco, programmata come
allenamento per il Bianco, ma sfumata visto il maltempo finora e per dare
priorità al Neri, previsto questo weekend. Ma il giorno prima della partenza il
Neri viene rinviato, su Facebook leggo che Bellò va a provare una via in
Presanella, e la pulce mi si insinua nell’orecchio.
Vuoi che sia
il momento buono? Non credo, le condizioni della neve non credo siano ottimali,
ma la pulce diventa un’idea, sul Neri non posso andare o quattro persone si
incazzano, le Orobie per Riccardo non sono fonte di ispirazione, mentre basta
dirgli “Presanella” e si infiamma. Non credo nel distinto, ma il caso sembra
guidarci verso la Val di Sole. Chiamo il rifugio, inaspettatamente aperto, mi
dice pure che la strada per salire ai pozzi Alti è pulita e agibile (la ricordo
una merda). La presenza di Bellò e amici fa presagire che si possa batter
traccia insieme e alternati, visto che dubito che oltre a noi ci saranno altre
persone. Serve altro?
Venerdì
mattina mi accorgo che nella mia cartella “Itinerari in progetto” nella
sottocartella “Presanella scivolo nord” non ho un documento word della
relazione..devo preparalo di corsa! Ore 19e40, Riccardo passa a prendermi dopo
aver mangiato qualcosa al volo, lo zaino era già pronto da giovedì mattina. C’è
anche Lorenzo, un
amico di Riccardo. Si parte. In ballo Recastello e Presanella, dritti in Val di
Sole! Sosta a Paganella Est per Magnum Bianco, caffè al ginseng e muffin, e le
montagne iniziano ad accerchiarci.
La strada è
pulita, ma la terra umida fa paura di scivolare sotto le gomme: se va male
monteremo le catene. Ma non va male, saliamo e verso 23e30 siamo già al parcheggio,
con nostra sorpreso bello colmo di auto! Non saremo soli, e ciò ci conforta
sulla scelta fatta, forse le condizioni sono buone. Non ho voglia di tornare a
casa con le pive nel sacco, proprio no. Decidiamo di dormicchiare una mezzora,
tanto è presto. Comodo dormire in tre su una Musa.
Ci
“svegliamo” per prepararci, e intanto arrivano altre auto, sono i vicentini. Fa
fresco, ma questa è una cosa buona, luna nuova e questa è una cosa cattiva ma
pazienza, spero in una buona traccia. Ormai pronti Bellò si avvicina, ci
salutiamo e presentiamo, saliremo fino quasi al rifugio insieme, scambiando
quattro piacevoli chiacchiere. Loro puntano una via ben più difficile della
nostra, ma la strada in comune la percorremmo insieme.
Ricordo il
sentiero di avvicinamento al rifugio, ritrovo la galleria dove tocca abbassarsi
fino quasi ad andare a gattoni, quella tettoia in lamiera che ripara i
viandanti che percorrono il sentiero da una cascatella allegra (talmente
allegra che la tettoia servirà a poco, e sia all’andata che al ritorno ci
bagneremo, al ritorno questo sarà un fatto piacevole, all’andata per niente),
la lingua di neve con la corda fissa.
Lingue di
neve ne troviamo parecchie, e le ultime centinaia di metri per arrivare al
rifugio saranno tutta neve, neve che non ci regge, e ciò mi fa paura. Ma siamo
in tanti, troveremo il modo di salire. E la neve che si scioglie riempie in
certi tratti il sentiero di una scorrimento d’acqua che lo fa assomigliare più
a un ruscello. Si testa la tenuta impermeabile delle scarpe.
Siamo
partiti che era l’1e00, siamo al rifugio alle 2e40. Credevo metterci meno, ma
abbiamo tempo. Durante la salita qualche boato di pietre in caduta libera sulle
montagne alla nostra sinistra ci ha fatto tremare, ma ora è il momento di
mangiare e bere qualcosa, ora si fa sul serio. Finché siamo comodi ci mettiamo
già in assetto completo da ghiacciaio, davanti a noi nessuno è già partito.
In marcia,
trovare la via iniziale non è facile, in realtà anche perché vado più a memoria
e sentimento invece che leggere qualche relazione, ma ci dirigiamo insieme a
Bellò and company verso la parete. Ci si alterna a batter traccia, perché ogni
passo si sprofonda una spanna, e si sente. Ma non ci si demoralizza, puntiamo
ad avere il biscottino dopo questi sforzi.
Intanto
compaiono altre lucine uscire dal rifugio, mentre noi cerchiamo di seguire le
varie tracce di sci e scarponi. Siamo davvero lenti, ma dovremmo aver tempo
sufficiente. Qualche sci alpinista inizia a superarci, e dopo un dossetto
compare la parete, debolmente illuminata dall’alba che avanza. Che spettacolo.
Ma, un momento, se l’alba avanza ho il sospetto che siamo un po’ in ritardo.
Ci separiamo
dalla cordata di Bellò, e puntiamo alla base dello Scivolo Nord, che in realtà
ancora non si vede perché dietro allo sperone dove passa la Faustinelli.
Davanti a noi avremo ormai una buona quindicina di persone, con altre che
arrivano, non saremo soli. Davanti a noi abbiamo anche la parete con tutte le
sue vie: che bella quella linea che sale in quella goulotte finale, granatina
Gully, se tornerò qui in Presanella, sarà per te.
Nelle pause
di salita ci voltiamo per vedere il Bernina e il Gruppo dell’Ortles Cevedale
illuminarsi pian piano al sole, con la neve che prima di diventare bianca
assume un colore roseo. Calziamo le ciaspole, coi ramponi è un’agonia, si va
giù a tratti fino al ginocchio, ma non è tanto quello quanto lo scivolare e il
perdere sempre l’equilibrio.
E con questi
mezzi denigrati dagli sci alpinisti, giungiamo alla base dello scivolo che sono
le 7. Le 7?! E io che puntavo a esserci alle 4e30! Ma il tempo è abbastanza
volato, faticato ma volato. Sol che il sole ormai illumina molto, siamo
accaldati dalla fatica e ora al sole anche dall’irraggiamento. Almeno una
decina di persone davanti a noi sono già in salita, altre cinque alla base
anche loro, altre arrivano.
Lorenzo e
Riccardo son stanchini, non che io sia una rosa, ma siamo a 3100m, manca troppo
poco per mollare. Eventualità che comunque a nessuno frulla per la testa.
Cambio ciaspole e ramponi, cibo (vai di latte concentrato), tiro fuori la
seconda picca (non fondamentale ma utile) e si va. E in questi momenti ti
accorgi come la stanchezza sia un fatto mentale.
Dag dal gas,
lo scivolo è tutto gradinato, la neve è discreta, la picca si pianta bene sia
di puntale che di becca: la linea sale a sinistra della rigola centrale, la
crepaccia si passa tranquillamente su un largo ponte di neve, lassù sulla
sinistra una bella cornice ci minaccia, motivo in più per salire in fretta. E
che cornici che abbiamo osservato sul resto della cresta Presanella-Cima
Vermiglio!
Preso
dall’entusiasmo mi si chiede presto di rallentare il ritmo, son d’accordo,
ormai siamo al sicuro. Accelero solo quando vedo scendere notevoli quantità di
neve al nostro fianco, insieme a pezzi di ghiaccio, il tutto tirato giù da due
sci alpinisti che han deciso di scendere da qui. Nessun problema sulla loro
scelta, ma almeno potevano aspettare che la gente finisse di salire. Una
ragazza davanti a me (il suo ragazzo è una sessantina di metri più su) esita un
po’, ma cerco di farle coraggio e da sprone: prima Sali, prima ci toglaimo da
questo slavinamento.
Sarà il
gradinamento e la quantità di neve ad addomesticarlo, ma credevo trovare un
canale un po’ più difficile. Non che non mi stia divertendo comunque! Ho già
dimenticato l’agonia dell’avvicinamento. Picca picca rampone rampone, picca
picca, rampone rampone e si avanza. Superata la cornice alla nostra sinistra,
mi sento un po’ più tranquillo. Divertente murettino un po’ più pendente per
uscire sulla cresta ella nostra sinistra, e ormai manca poco.
L’essere in
cresta ha due grossi vantaggi: tranquillità (niente ti può cadere in test,
basta stare lontani dalle cornici) e panorama. Ah già, e il tornare al sole,
che da sempre questa sensazione di rinascita. Che cornici che osserviamo, tanto
belle quanto pericolose. Alla vetta manca poco, stringere i denti e via andare!
E senza
preavviso, sbuchiamo a pochi metri dalla croce. 8e40, eccoci. Per me rieccoci,
dopo 5 anni, su
una via diversa, con una fatica diversa, con una preparazione fisica tecnica
psicologica diversa, con uno spirito diverso, con compagni diversi, e da
capocordata. Come direbbe Nicola, "questa volta è stata diversa".
E che
giornata. Ammiriamo in lungo e in largo le cime innevate, il Brenta, il Gruppo
dell’Adamello, il Bernina, le 13 cime e dietro di loro il possente Ortles e il
Gran Zebrù. Panorami strepitosi, non c’è vento, ci si può spogliare (metter gli
occhiali da sole) e mangiare con calma. Una cima da godersi. E ce la godiamo.
Si ride e si scherza, nel canale il fiato non era sufficiente a farlo, anche se
nell’ultimo tratto una gioia crescente mi ha spinto a fischiettare. Video.
E ora per
dove scendiamo? Nello scivolo abbiamo trovato uno che scendeva di li senza sci.
In cima sentiamo che la via è tracciata per la temuta Sella di Freshfield,
della quale ho un brutto ricordo: da li son caduto, e mi è andata bene, solo
qualche escoriazione al palmo della mano destra. L’altro brutto ricordo è
quello di Nicola, che non la trovo al primo colpo e si smarrì sulla via di
ritorno. Non ripetiamo nessuno degli episodi..
Riccardo
vorrebbe scendere per lo Scivolo, io farei la normale, tanto come tempi siamo
lì, e almeno facciamo una strada un po’ diversa. Oltre che riassaporare i ricordi
e magari incrociare Bellò che esce dalla sua via. Convinco Riccardo, che mi
perseguiterà per e prossime ore e giorni e mesi con “avevo ragione io a
scendere per lo scivolo!”.
Partiamo, e
iniziamo un po’ delicati su rocce affioranti dalla neve, ma seguiamo una
traccia che poi punta a percorrere vicino alla cresta che unisce Cima
Presanella e Cima Vermiglio, meglio non scendere troppo sulla Vedretta di
Nardis per evitare di risalire.
Il sole è
possente, il caldo vistoso e la neve man mano che scendiamo è sempre più di
merda. Si nota un sacco di neve a polistirolo, e questa rende tutto scivoloso.
Partiti tenendo i ramponi ai piedi, dopo poco li abbandono perché è un’agonia
scendere ogni passo fino a metà gamba. Di nuovo con le ciaspole, che sul traverso
sono una tortura per le caviglie visto che tendono a disporsi come il pendio.
La traccia degli sci non è abbastanza pari per poter poggiare dritti.
E scivola
qui e scivola la, ma questo traverso non è il massimo, cerchiamo di uscirne. Ci
ritroviamo a una progressione frontale con ciaspole su traverso, unico modo per
non scivolare verso valle. Amen, rientrare c’è da rientrare, non c’è scelta.
Noto uno sci spuntare dall’orizzonte: è qualcuno che sta spaccando una cornice
per poter uscire!
Sembrava
tanto vicina, e invece quanto è lontana questa sella! Tutto in traverso, una
martoriata di piedi impressionante, qualche scivolone frenato solo dal piantare
la piccozza. Quasi un’ora e mezza per arrivare fino alla sella, dove un cagnone
nero prima ci abbaia contro, poi viene a farci la festa. Ma quanto è diversa la
Sella di Freshfield rispetto qualche anno fa! Ora tutta bella coperta di neve,
poca roccia affiorante, si sale con le ciaspole.
Una foto
insieme con la cima conquistata alle nostre spalle ci sta bene. E intanto si
riposa. Anche perché non sembra, ma ne manca ancora. C’è una pestata generale
impressionante sulla neve, ma la traccia la prende larga per stare su un
crinale che evita la discesa sul ghiacciaio. Neve marcia, molle, bagnata, lo
zoccole sotto le ciaspole. Che agonia. Caldo, sete, un po’ di sonno.
Metri di
cornice su Cima Cercen, la parete nord della Presanella che ci riappare alla
nostra destra. Adesso ti sognerò un po’ meno. Adesso mi stai pure un po’ sulle
palle vista la fatica che stiamo facendo per scendere. E qui la psicologia pesa
tanto. D’altronde sono quasi 12 ore che siamo in cammino, quasi 17 che siamo
partiti da casa senza soste sostanziali e con una settimana di lavoro sulle
spalle. Ma tutto fa brodo, tutto fa allenamento, e col meteo e temperature
previste, se si voleva salire solo così si poteva fare.
Quante volte
abbiamo scherzato con la foto di Riccardo in discesa dall'Adamello, emblema della fatica e della
stanchezza che quel giro procurò su tutti noi. Ma siamo vicini al bis. In
discesa ci separiamo un po’, lorenzo si slega perché con le ciaspole fa un po’
fatica e non ci sta dietro, io e Riccardo vogliamo solo arrivare al rifugio per
rifocillarci e mangiare, filiamo giù nelle discese a crepacollo. Arriviamo al
rifugio e Riccardo si spalma sul cumulo di neve li presente.
Ahhhhhhhhhhh!
12e30, ci si spoglia, si mangia, beve e con calma si fa su la roba, la corda
ecc. Anche se dei nuvoloni avanzano, ce la polleggiamo un po’, che cazzo, ce lo
meritiamo! Tre quarti d’ora al sole e si riparte, ancora disperati, voglia di
mettere il culo in macchina e cercare avidamente una birra fresca, oltre che
magari un bel parco dove sdraiarsi e dormire un po’.
Anche la
neve per scendere dal rifugio è marcia, si sprofonda, un bel nervoso dare peso al
piede e sentirlo sprofondare a volte anche fino all’inguine. Lascio indietro
gli altri (i nuvoloni avanzano, e non voglio finire la giornata come un pulcino
bagnato), non vedo l’ora di spogliarmi all’auto, mettermi sulla panchina sopra
la macchina e dormire un po’ mentre aspetto gli altri due.
A qualche
tornante osservo di nuovo la signorina, adesso posso forse chiamarla signora
visto il rapporto intercorso tra noi. Ti ebbi, ti riebbi, e ti riabbierò!
Adesso la doccia sotto la cascata è ben più piacevole, ci ripasserei se non
fosse per l’attrezzatura. Incrocio persone che salgono al rifugio, anche se non
capisco cosa pensino fare domani che è previsto brutto tempo.
Ecco la
Musa! Ma la panchina è occupata, porca vacca.. beh, faccio presto, mi spoglio,
stendo zaino, pantaloni e imbraco al sole, e mi sdraio sui vestiti impregnati
di fatica. Ma quanti insetti ci sono, non durerò molto. E arrivano gli altri
due, son le 15, è stata una lunga giornata.
Scendendo a
valle ci buschiamo un bell’acquazzone, ottimo considerando che sono in
infradito e braghe corte.. E per colpa del tempaccio all’esterno, anche la
birra fresca non sarà saporita come al solito, è un peccato. Ma lo scivolo
l’abbiamo salito, forse uno degli itinerari che mi porto dietro come voluti da
più anni. È stata una faticaccia (non lo scivolo, il resto!) ma ne è valsa la
pena. Sotto il prossimo.
Qui altre
foto.
Qui video di
vetta.
Qui report.
Qui relazione di Nicola, quando la fece lui.
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