Quando si
dice cogliere la palla al balzo. La voglia di ghiaccio, di drizzare una
stagione che ha visto pochissima o nulla alta quota. Meteo perfetto e
condizioni buone dai numerosi report. Ma su questo apriamo una parentesi.
La pulce
nell'orecchio ce l'avevamo già prima del report degli Alpinisti del Lambrusco, il quale
ha poi decretato un assalto a tutto l'assaltabile della parete nord del Monte
Nero, confermando anche la nostra prima intenzione. Tutte pecore? Forse, ma non
nel tono dispregiativo del detto popolare. Viviamo in un periodo storico in cui
la disponibilità di tempo e denaro non è così ampia. Di stagioni meteorologiche
che si stravolgono rispetto ai decenni scorsi. Quindi ritengo giustificabile
che se si viene a sapere che là puoi andare a colpo sicuro, allora ci vai.
L'assalto di
questi giorni consiglia di evitare i weekend per non essere in coda, coda che
potrebbe esserci anche in infrasettimanale. Decido quindi, viste anche le
ottime condizioni meteo (salvo le temperature), di giocarmi il bonus del giorno
di ferie da lavoro. Giovedì è la giornata scelta, mercoledì nel tardo
pomeriggio si partirà per dormire al Bivacco Invernale del Segantini.
Partiamo già
in ritardo, sosta a Comano Terme per una pizza e birra (io non volevo bere
alcool, ma Nicola mi ha costretto!), ed eccoci all'imbocco della Val Nambrone, valle che conosco
per un tentativo scialpinistico dell'anno scorso. Breve pausa messaggi per tranquillizzare i
propri cari e via su. Il dubbio sulla percorribilità della strada col mio mezzo
a quattro ruote si risolve abbastanza bene, e siamo a 2000m.
Carichi come
muli iniziamo la salita verso il locale invernale del Rifugio Segantini. Fa
caldo, salgo in braghe corte, speriamo che questo non infici sulle condizioni;
ma sono giorni che si leggono report di salite.. Chiacchiere e sbeffeggi sotto
una stellata magnifica: anche oggi ne vedo talmente tante che non riesco a distinguere l'Orsa
Maggiore.
Ultimi metri
su neve marmorea, un'allucinazione della vista di una finestra ci fa temere di
esser saliti troppo, ma l'altimetro non mente, e dopo qualche momento di
scompiglio e di scherno reciproco, eccoci al nostro ricovero per questa breve
notte. Qualche foto e via a letto, che sono già le 23 passate!
Suona la
sveglia, notte fredda nonostante tutto, e come dice Messner "il difficile
è uscire dal proprio tepore". Colazione fugace ma senza troppa fretta,
senza doversi limitare nel rumore che facciamo, senza paura di pestare le cose
di altri: siamo incredibilmente soli. Alle 4e30 siamo finalmente pronti, una
cordata salita dal parcheggio ci supera mentre qualcuno fa pausa toilette.
Saliamo alla
luce della frontale sotto un mare di stelle, seguendo i bolli della normale
della Presanella. Chiaramente abbiam fatto i cazzoni e studiato poco, e ciò
sarà lampante a breve. Neve sparsa, risalita sulla morena e poi sù dritti sulla
sua cresta: ma prima o poi dovremo scendere.. Intanto continuiamo a salire, con
calma, le frontali degli altri due non le vediamo da un pezzo.
Il dubbio
che stiamo salendo troppo si insinua tra noi, ma la pigrizia è tanta e si
continua nell'errore. Con le prime luci che invogliano alle foto, siamo
costretti a fermarci e guardare relazione e cartina: "..dopo 20min.."
e invece noi è più di un'ora che saliamo! Però dai, intuiamo (speriamo) che si
possa anche scendere più sù: ormai la luce ci permette di avere una profondità
maggiore di veduta, e troviamo un canale per scendere (dove c'è già qualche
traccia).
Ramponi ai piedi,
altre foto all'alba, e via che si scende. Sembrano secoli che non indosso
queste propaggini metalliche: era già stato emozionante preparare lo zaino
martedì sera, ora ancora di più, e tra poco la gran felicità! Scendiamo quindi
un tratto anche ripido, ci si tuffa sulla Vedretta d'Amola (bah, quel che ne
resta), osservando le tracce di chi si è infilato in questa valle prima di noi,
ma anche quelle di chi ci si è infilato più tardi!
Il sole
inizia a scaldare le pareti est di Cima d'Amola e in parte della Presanella,
siamo in paradiso. Ed ecco che traversando il pendio iniziamo a scorgere il
budello del purgatorio del Monte Nero, con chi ci ha preceduto poco più avanti
di noi. La risalita del pendio ha un po' di ravanata, ma non ci si lamenta.
Piuttosto mi fanno un po' paura gli spindrift che scendono dalle altre linee,
linee bellissime
Siamo alla
base, sotto al masso riparati da quello che arriva dall'alto. L'altro momento
psicologicamente difficile è arrivato: attaccare.
Parte
Nicola: io ho un timore reverenziale verso queste salite, e considerando da
quanto tempo sono lontano dall'elemento "acqua solida", voglio andare
con calma. In più voglio lasciare allo scalmanato la possibilità di divertirsi
il più possibile. Come ci si poteva aspettare, la corda finisce, si parte in
conserva per qualche metro fino a che non mi recupera in sosta. Il primo
muretto di ghiaccio arriva presto sotto la fame delle mie picche: goduria.
Riparto io,
fatto il primo salto ci aspetta un bel corridoio di neve racchiuso tra il
granito tonalite: sarà un crescendo di piacere, proporzionale alle difficoltà
che aumentano e a quanto ci incassa in questo ambiente. Saliti i 55m della
corda, osservo il mio amico seguirmi da basso. Sulla sinistra qualche
protezione si vede, ma è anche il corridoio di scarico di chi sta sopra, e per
questo una volta finito il materiale opto per far sosta a destra. Vacca se mi
diverto!
Nicola sale
i suoi primi metri ben al riparo grazie ai massi sulla destra, ma la sosta gli
è obbligata proprio sul lo scarico dell'alto (oh, che poi ci sta lo scarico
dall'alto). Osservo la roccia, e sogno il Monte Bianco. Sogno anche i friends
piccoli che non abbiamo raddoppiato nella nostra dotazione..
Da S3 uno
sguardo verso l'alto rivela che adesso il misto inizia ad affiorare, così come
la necessità di infilarsi in qualche ruga del Monte Nero per cercarne l'uscita.
Vado, ghiaccio troppo sottile per delle viti (grac, fresata la roccia), e
all'uscita dell'imbuto trovo roccia troppo friabile sulla sinistra: amen, poche
protezioni e altra conserva lunga, che sbucato sul triangolone di neve mi può
anche star bene. E così arrivo a far sosta sotto la ruga.
La nostra S4
è panoramica: un punto privilegiato per poter assaporare dove siamo, cosa siamo
e cosa stiamo facendo. Cime non lontane ma al sole, a differenza nostra che
siamo all'ombra. Un pinnacolo di roccia che prima sembrava altissimo è ormai
alla mia stessa altezza. Uno sguardo verso l'alto che ancora non vede la via di
uscita, anzi, vede che ora ci infiliamo nel budello.
L5 è per noi
il tiro più duro, infatti vedo anche chi ci sta davanti trovare qualche
difficoltà nel superarlo. Arriva Nicola, a lei il divertimento! E anche lui lo
vedo salire circospetto, cercare di proteggersi alla bene e meglio, e infine
giungere sotto il tratto roccioso verticale, la cui difficoltà è avere neve
farinosa sopra dove le picche fanno poca presa. Ma sale, supera, e sul finire
della corda fa sosta. Vado io, e forse grazie a qualche cm in più (e la corda
dall'alto?!) salgo senza annaspare troppo.
Una S5 un
po' (tanto) psico, ed ecco il masso incastrato caratteristico della via.
Nicola, vai pure ancora te! Non vedeva l'ora. Ma anche la placchetta spoglia
all'inizio ha il suo perchè, e obbliga a una delicatezza degna di Brentino. Si
toglie un guanto per metter giù un friend e poi "ma guarda te, mi è andato
del ghiaccio nel guanto!" e via ad aspettare dei minuti che lo estragga..
Poi giunto
sotto il masso lo vedo contorcersi in questa strettoia per muoversi e
proteggersi, e infine salire bene e sentirlo dire "ma era ben più duro
giù!". Non posso dargli torto, qui gli agganci di picca ci sono e sono
buoni, anche se le punte dei ramponi vanno a cercare impercettibili
protuberanze e buchi fantasma. Ormai superato questo è fatta.
Il budello è superato, la ruga più profonda di questa linea è salita,
ma anche la parte in alto sembra essere un bel parco giochi, tra neve dura e
rocce dove mettere le protezioni e trazionarsi con le mani e picche. Vado io, e
più salgo e più sento il cuore esplodermi. Sono quelle sensazioni
indescrivibili che mi pare inutile raccontare.
Finita la corda Nicola parte (dopo avermi rotto le balle per non aver
allungato a sufficienza le protezioni), ed è dura stare ad aspettare il tempo
che smonti la sosta, ho fame di salire! Ultimi metri con qualche passo su
roccia, ma sono già in vista della cornice, e adesso anche in vista del sole.
Esco sulla cresta, esco dal budello, sono in alto, sono libero, sono estasiato.
Recupero Nicola coi lacrimoni agli occhi, fiero della sosta approntata
col materiale rimastomi, eccolo che arriva. Eccolo uscire anche lui e godersi
il panorama. Una stretta di mano e un abbraccio reciproco che ci facciamo anche
a noi stessi.
La giornata è ancora splendida, quindi nessuna fretta di far su il
materiale, piuttosto di mangiare e bere e godersi il panorama. Giusto in tempo,
perchè tra poco delle velature offuscheranno il cielo, rendendo il vento che ci
sferza non più compensato dai raggi solari: fa freddo insomma.
La Presanella, la mia prima uscita alpinistica, è lì. L'Adamello, una
delle fatiche più bibliche è la. Il Care Alto, una delle varie cime che mi ha
cacciato ma una delle poche sulla quale non sono ancora tornato è laggiu. Le Dolomiti
dietro. La palestra del Baldo a lato. Mi sento a casa!
Siamo così
sulla Vedretta Nardis Orientale, lungo traverso a sinistra sotto un caotico
versante di pilastri di granito dall'aspetto poco saldo, e si giunge a un altro
tratto attrezzato per la risalita verso la Bocchetta di Monte Nero. Tutto ciò
rende la discesa meno monotona di quello che si temeva, ma anche più faticosa, divertente,
e ricca di sfottò e prese in giro reciproche.
Gradini e
cavi, una finestra verso il Brenta, e poi si passa di la, all'ombra, sopra la
Vedretta di Monte Nero. Discesa un po' più complicata e meritevole di
attenzione visto il cavo semicoperto, ma non abbiamo fretta, siamo qui per
goderci la giornata in pieno! Per respirarcela tutta!
Finito il
cavo, finite le difficoltà, camminatone su neve a volte non portante, in un
limbo virtuale tra le stagioni: l'estate che domina ancora l'orizzonte, un
debole autunno in questa ombra frigorifera. Tutto vista Brenta davanti a noi,
fino a giungere a una sorta di pianoro fatato, sul quale il tempo sembra
sospendersi. Finita l'acqua da bere.
Ancora giù
per il pistone, con le anche e i piedi che iniziano a dolere (non più abituati
a questi scarponi) ed eccoci arrivare dove stamattina abbiamo deviato per
scendere verso l'attacco. Alla luce del giorno vedremo più avanti le tracce in
basso.
Sulla morena
sembra di esser di nuovo al confine di due stagioni: a sinistra l'autunno con
le sue prime nevi, destra l'estate con
la roccia, terra, sfasciumi secchi. Via i ramponi, che ci leghiamo vicendevolmente
allo zaino, ognuno convinto che l'altro li abbia legati malamente. Dei versi di
rana richiamo la nostra attenzione: sono pernici bianche.
Di nuovo al
Segantini rifacciamo i nostri zaini, una volta per tutte in modo da arrivare
all'auto e poter partire subito, che è tardi! Ci fosse ancora luce ci potremmo
godere questo paradiso, queste visioni di cime, ma il buio ha già fatto
capolino, e di conseguenza la voglia di tornare a casa per bramare altre
giornate come questa
PS: grazie del bigliettino sull'auto. Nella salita avevamo una cordata
che ci precedeva, che abbiamo "redarguito" perchè almeno poteva
avvisare quando scaricava ghiaccio (normale che qualcosa si stacchi, anche se
si spera sempre nella delicatezza di chi sta sopra), e che gentilmente non
vedendoci più ci ha tenuto a sapere che stavamo bene.
Qui altre foto.
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