domenica 26 maggio 2019

In memoria di Tom

Non sono molte le persone che lasciano il segno in quella di altre: Tom è stato per me una di queste. Che sia chiaro, non eravamo amiconi, non scalavamo insieme, non ci sentivamo se non saltuariamente con qualche commento su Facebook.
E allora cosa vi sto raccontando?
Tom era una persona genuinamente semplice. Semplice, non banale. Anzi, eccezionale nella sua semplicità. Chi ha visto il film sulla sua storia (girato quando era ancora vivo, durante il suo progetto “Starlight and Storm”: la scalata delle 6 più impegnative pareti nord delle Alpi, da solo, in inverno, in un solo inverno) può capire cosa intendo. In una scena l’intervistatore gli pone una domanda che poi lui riprende nella sua risposta: “Who am I? I am me.”
La prima volta che l’ho visto, non sapevo chi fosse. Ero in campeggio in Val di Fassa col mio amico Riccardo, a zonzo per vie normali e scalate (facili), e una sera a cena mi disse indicando uno degli angoli più appartati del campeggio “Oh ma hai visto chi c’è? Tom Ballard!” “Chi?”. Lo abbiamo visto solo una sera, e di sfuggita: schivo e timido lui, un po’ anche noi, tutti e tre probabilmente più impegnati di giorno a masticare dolomia e di sera a cercare riposo. Era più facile vedere e scambiare qualche battuta in uno stentato italiano o in un maccheronico inglese con quel simpaticone di suo padre.
Più tardi mi documentai. Più tardi lessi delle sue imprese: prima di “Starlight and Storm” non si trovava nessuna notizia al suo riguardo, nonostante la classe, le ripetizioni e le nuove aperture di vie. Ma a lui non fregava nulla di farsi notare, di farsi pubblicità: a lui interessava scalare, solo quello. Niente fanfaronate, niente interviste. Rimanere silenzioso e vagabondare liberamente per le Alpi a bordo di uno sgangherato furgone con suo padre (“We don’t have a home. We put our home into a white van.”), fermarsi e innamorarsi (e non solo delle Dolomiti) in Val di Fassa.
Sponsor? Abbigliamento performante? Tom era un mago del riuso e del cucito per ripararsi abbigliamento e zaini. Attrezzatura all’ultimo grido? Tom era per così dire..un discepolo della Terrordactyl. I chiodi? Fabbricati anche loro nel capanno a suon di martello. “It’s not what you have, it’s what you do with what you have.
Questo era Tom: vita semplice e pura. Criticabile? Certo, ma molto invidiabile per noi che ce la complichiamo con mille paranoie e problemi. Tom era la dimostrazione che si può vivere così: non che sia facile, ma si può.
Finalmente arrivarono gli sponsor. E mi immagino il suo sbigottimento di fronte a un funzionario de La Scarpa (tanto per dirne uno) che gli bussa al telo della tenda e gli dice che vorrebbero averlo in squadra: “Who? Me?”. E gli sponsor, che tu lo voglia o no, portano notorietà per avere loro pubblicità.
Seguirlo era diventato più facile. Ma ancora non lo conoscevo, e l’impressione che mi dava era di essere un forte alpinista sì, ma umanamente duro, cupo, forse pure supponente: vuoi perché inglese (lo stereotipo è quello), vuoi perché data la bravura se lo può permettere. Sta a vedere che adesso si monta la testa, pensavo erroneamente.
A ottobre 2015, per caso misi su Google il suo nome, saltò fuori una serata che aveva tenuto a Canazei l’estate prima, e pensai “perché non provare a chiamarlo a Carpi?”. Mi misi all’opera, era la prima volta che tentavo di fare qualcosa di simile: proposi la cosa in sezione, scrissi al comune di Canazei per sapere a chi potermi indirizzare, mi passarono un contatto per arrivare a lui, e pian piano ecco fatto: 05/02/2016: serata al CAI di Carpi con Tom Ballard.
Spero che molti dei lettori abbiano avuto la fortuna di assistere a quella serata.
Lo ospitai nell’appartamento dove convivevo con la fidanzata che avevo a quei tempi. Venne con la sua ragazza, Stefania, e mi scusai perché a disposizione avevamo solo un letto singolo per entrambi: mi rispose che non c’era problema, che in montagna dormiva anche sui sassi, e che quindi gli stavamo già offrendo una suite. Prima della serata mangiammo tutti e quattro una pizza in compagnia, insieme alla persona che alle serate gli faceva da spalla (Virna) e di Primo (l’allora presidente del CAI di CarpI). Dopo la serata, ci andammo a bere una birra in compagnia di altri istruttori, tutti giovani: ci trovammo così in un contesto molto più informale, in cui venne fuori la sua semplicità e il suo essere terra terra. Tra le varie gag ricordo bene quando, dopo avergli raccontato a sommi capi di cosa mi (e ci) accadde sulla Verte, mi guardò e disse “What stupid thing”. Per poi alzare il bicchiere e fare un brindisi al poterlo raccontare. Per la cronaca, poco dopo, gli riproposi la sua stessa frase in seguito a una delle sue “stupide cose” che aveva combinato.
La mattina dopo, a colazione, dovetti lottare strenuamente per accaparrarmi biscotti e paste prima che le divorasse tutte lui. Con Stefania se ne andò in treno: mi offrii di accompagnarlo in stazione (che distava poche centinaia di metri e solo un paio di svolte): “Dai, se mi oriento in montagna, dovrei arrivarci in stazione!”. L’ultimo tratto per arrivare in Val di Fassa lo avrebbero compiuto autobus.
Quelle poche ora passate insieme mi lasciarono il segno. I pregiudizi che avevo erano del tutto sbagliati. Tom era un ragazzo, che come noi aveva dei sogni, delle speranze, la voglia di vivere, di vivere felice. A differenza di noi, aveva realizzato il suo sogno di vita: scalare. Scalare e basta, vivere una vita più che umile, dedicata solo alla montagna. Quella vita che molti di noi (tutti?) reputano impossibile, era possibile: vivere di poco e con poco, fare senza dire troppo, esser felici dell’essenziale. “Being in the mountains is very natural to me. I don’t see myself anywhere else”.
Lo stesso anno mi recai al Trento Film Festival, anche per vedere il film dedicato alla sua storia. Tanto quanto semplice è il protagonista, tanto semplice il titolo del film: “Tom”. I registi sono stati davvero bravi e il ritratto che ne viene fuori è davvero il suo. Varie sono le frasi simbolo di questo film-documentario.  Oltre alle citazioni che ho già utilizzato, un’altra, stavolta di suo padre, è: “You have to do what you want. Tom never wanted to be anything else, for as long as he can remember, but a climber. And that's what he is.
Semplicità e purezza d’animo.
Poi venne il Nanga Parbat. Era scontato che Tom prima o poi andasse oltre le Alpi: la sua classe gli poteva aprire tutte le porte e far salire tutte le cime. Quello che non credevo sarebbe stato possibile, era che Tom potesse anche cambiare il mio modo di ragionare.
Sono una persona spiccatamente razionale. Il mio segno zodiacale (per chi ci crede, non io), la mia formazione scolastica e professionale, la mia attitudine, spingono a far prevalere in me il cervello sul cuore (chiaramente non quando si tratta di avventure e problemi amorosi, non sono mica un robot). Quando lessi che Tom e Nardi non davano loro notizie da qualche giorno, pensai e sperai che fosse solo questione di batterie scariche o qualche cavolata del genere. Quando i giorni aumentarono, il mio cervello già sapeva cos’era successo, ma il mio cuore riusciva a mettere a tacere in modo categorico l’organo della ragione. Era una dura lotta in me, che diventava più aspra man mano che passavano i giorni. I messaggi di incoraggiamento ai suoi cari e la pubblicizzazione della raccolta fondi per le operazioni di recupero erano le sole cosa che potessi fare. No, un'altra cosa potevo fare e invece hanno fatto in pochi: stare zitto. Evitare la morbosa condivisione sui social di quei titoloni di giornale, scritti da gente che manco sà cosa sia una piccozza, delle interviste a opinionisti la cui carriera alpinistica tocca il culmine con la salita a Punta Rocca (in funivia). Non mancavano neppure gli alpinisti di spicco a dire qualche bestialità, quando invece l’unica cosa da fare era sperare, aver rispetto delle persone in ansia per loro, e rimandare certe considerazioni una volta conclusa la vicenda. Addirittura, e di questo bisogna ringraziare la società che ha fame di questo pane marcio, giornalisti che hanno travisato le parole di personaggi di spicco, aizzando le “fazioni” di “se la sono cercata”, “inseguivano un sogno”, “spiriti liberi”, “che sia da monito per i prossimi”. A condire la rabbia si aggiungevano la guerra e permessi di volo che hanno ostacolato le ricerche, le diatribe tra la compagnia aerea e chi doveva sborsare il denaro, i soccorritori che invano aspettavano l’arrivo dell’elicottero, e il maltempo.
Il cuore continuava a sperare. Il cervello si limitava a documentarsi sui canali ufficiali, a filtrare le balle che venivano scritte e condivise sui social. Poi, dopo due settimane, dopo una giornata di arrampicata demoralizzante ma lieta per averla condivisa con un amico, arrivato all’auto la prima cosa che lessi sulla pagina di una fonte ufficiale fu “ricerche sospese”.
Boom.
Il cervello sussurra al cuore “mi dispiace, ma te l’avevo detto”.
Ciao Tom, non ti dimenticherò.

PS: le citazioni in grassetto sono prese dal film “Tom” di Kottom Films, acquistabile qui: ne val la pena.

1 commento:

  1. Bel contributo! sei stato fortunato a conoscerlo e hai fatto bene a chiamarlo a Carpi. Alla fine ha scelto un mestiere dove il rischio era tanto, peccato perché avrebbe potuto fare tante altre belle cose, come del resto sua madre ai tempi

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