Siamo alla fine di settembre. Oddio,
saremmo in realtà a metà, ma tra impegni vari futuri, sentiamo che
la stagione arrampicatoria dolomitica è quasi finita prima ancora di
iniziare. Occorre porre rimedio e sfruttare tutte le cartucce rimaste
nel fucile. Una è già stata malamente sprecata sul Cimon de la Pala, vediamo se questo weekend riusciamo a sparare e centrare
il bersaglio.
Nicola come sempre fantastica parecchio, ma stavolta non spara nemmeno
troppo alto. Destinazione passo Sella, un fiore di cinque vie alla
mano che corrono su Prima e Seconda Torre del Sella (e quante ancora
sappiamo essercene su questi pilastri di roccia). Il meteo dovrebbe
essere ok, solo un po’ freschino e onestamente, chi più chi meno,
sottovaluterà questo aspetto.
E già riuscire a fare colazione sembra
un’impresa (io a casa ho già fatto un round, che non si sa mai..):
il posto che agognava Nicola apre alle 9, quello che troviamo non ha
ancora niente di dolce, sono poi le 7e30 mica le 4 di notte! E per di
più il gestore, dopo averci chiesto dove andiamo e dopo la nostra
risposta, ci chiede “andate con una guida?”. Buon auspicio. E a
Ortisei ci sono 4°C. Brrr.
Parcheggiamo, già qualche cordata ci
precede, ma mica detto che vadano dove andiamo noi. Al sole si sta
discretamente, ma i guanti sono un accessorio che ha poco
dell’opzionale. Ci vestiamo, armiamo, e andiamo. Io in cordata con Davide,
l’altra cordata è composta da Nicola, Gianluca e Marco.
Piuttosto carichi, non sarebbe male dopo lo Spigolo Steger, salire
anche il Diedro Kostner. Un passo alla volta.
Eccoci alla locomotiva, ecco anche del
vento, mii che frio, seguiamo il sentiero e siamo all’attacco. Un
po’ titubanti che sia davvero quello giusto, cerchiamo e brighiamo,
così arriva altra gente e ben presto ci troviamo in coda, dietro due
cordate (una che ci ha chiesto il permesso, l’altra che è proprio
passata davanti senza colpo ferire).
Parto io, ma il primo tiro è
un’eresia, quattro passi e poi si cammina quasi. Ma va bene per
prendere confidenza con la roccia: con la roccia fredda, perché lo è
davvero. E i guanti non li potrò tenere a lungo. Siamo al sole, ma
esposti al vento. In realtà solo per ¼ dell’arrampicata avremo il
sole a favore a scaldarci, per il resto, ombra e vento. E le mani se
ne hanno a male.
Segue un tiro un po’ più piacevole,
ma siamo sempre su difficoltà contenute, e meno male, perché
domenica scorsa a Sant’Ambrogio in falesia mi sono demoralizzato
parecchio. Oddio, sarebbe da chiedersi se i gradi dati sono reali,
stretti, larghi, di certo la disomogeneità rende ambiguo ogni numero
e lettera attribuita ai tiri di quella falesia.
Nel gioco dell’alternanza, ora tocca
a me, e l’arrampicata si fa più interessante. Si fa anche
faticosa, mamma mia, la corda deve aver girato da matti, e devo
trascinarla dietro. Ormai trascina per trascina, messo piede sulla
larga cengia, tanto vale fare il tiro alla fune e fare sosta sotto il
tiro successivo, evitando cosi un tiro intermedio che è un traverso
da camminare. E da qui vengono delle splendide foto a chi sale, con
sullo sfondo il Sassolungo, e a chi è già arrivato, con sullo
sfondo la Marmolada.
Oh evviva, ora dovremmo calcare un
famigerato tiro unto, ma non sembra così male. Parte Davide, con
calma, poi Nicola che briga un po’ ma supera anche il suo amato
strapiombetto. Ma Davide si ferma in sosta troppo presto, e questo ci
farà perdere un po’ di tempo aggiungendo quasi un tiro in più
alla nostra arrampicata (quello che abbiamo risparmiato sul traverso
della larga cengia). Nota dolente, una sosta bella all’ombra e
esposta al vento che soffia da nord. Ma che freddo fa!
Bene, è ora del tiro chiave, che
probabilmente abbiamo sottovalutato un po’ tutti. Diciamo che un
IV+ oltre la metà di noi lo giudica alla propria portata, ma ancora
non sappiamo quel termine “unto” quanto voglia significare. Marmo
di Carrara con un’innaffiata di olio d’oliva!
Parto io, inizialmente anche bene sulla
paretina sopra la sosta, ma per andare a prendere quel naso dove
traversare verso destra il piede è obbligato a una placchettina
levigata inclinata. La guardo, mi guarda, la pesto, la lascio. Le
mani non trovano delle prese buone. Chissà quanto ci sono rimasto a
pensare, a provare, giù, su, destra, sinistra, basta mi decido che
anche se scivoloso, quell’appoggio è l’unica cosa che c’è.
Metto il piede, carico, torno giù. Per un paio di volte, poi mi
butto e via, supero il naso. Oh che liberazione. Ma non è finita.
Sono più comodo ora, ma c’è un
traverso verso destra sull’altra faccia dello spigolo per nulla
banale: niente mani e sotto di me l’abisso. Davvero molto esposto
questo tratto, adrenalinico! Ohhh..e via, metto piede sotto il
diedro, uff che liberazione. “Che liberazione” lo penserò almeno
7-8 volte su questo tiro, ogni volta pensando che il passo appena
compiuto fosse l’ultimo difficile. Eh se, finché non si arriva in
sosta..
Parto per il diedro, è abbastanza
chiodato, ma non voglio azzerare, e non sempre è possibile. Sarei
curioso di capire quanto tempo sono rimasto su questo tiro. In realtà
nemmeno tanto, ma per certi aspetti mi è parso un’eternità, per
altri un battito di ciglia. Certo il giorno dopo sentirò i muscoli
di spalle e schiena belli “duri” per tutto il tempo che sono
rimasto appeso. Accidenti quanto è unto questo tiro, mani e piedi, è
impressionante. Lo Spigolo della Delago in confronto è una rugosità costante.
Nicola mi segue, sgugna, ma mentre sono
nel diedro è meglio che mi stia lontano. Sento gli altri ridere, è
a cavalcioni sul naso del traverso, che classe! Studio il passaggio,
prova così, prova colà. C’è poco da fare, appoggi obbligati,
appigli quasi, e tutti superusati dalle ripetizioni precedenti. Mi
apro un po’ a diedro, che esposizione ragazzi! Mi capita pure di
raccomandarmi “ehi, tenetemi in due!”.
Ce la faccio, supero la parte dura
(come detto prima, dopo ogni passo duro vivo nella speranza che sia
finita la parte chiave, e invece trovo sempre un altro passo ad
aspettarmi), e guarda che bello questo anello di calata! Adesso sì
che è fatta, meno male, non è mica stato semplice. Con questo grado
di levigatura della roccia, altro che IV+, anche V+!
Ma adesso viene il bello. Io son fuori,
gli altri quattro no. E infatti dopo poco che Davide è partito,
Nicola preferisce diventare il mio secondo secondo, e quindi finisce
che facciamo cordata a cinque. Non posso biasimarlo, un freddo cane,
le mani che non si sentono e non sai mai se fai presa bene sulla
roccia o no, piedi sul marmo.. Ma che ridere a pensarci! Almeno
questo “portare su tutti” mi ha poi fatto vincere due medie
offerte..
L’ultimo tiro è una passeggiata
verso la cima, da dove però si gode un bel panorama: dalla Marmolada
al Sassolungo passando per il Catinaccio. Ci ricompattiamo tutti, una
mangiatina, e poi si decide che ormai è troppo ardi per tentare
anche il diedro Kostner, che sta li a guardarci. Ah, ma presto mi
rivedrai!
Apertura ritardata per la stagione
arrampicatoria dolomitica, che si conclude nel migliore dei modi
davanti a canederli e birra!
Qui altre foto.
Qui il report.
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