Anche io sono strano a mio modo. Ogni tanto mi vengono in mente idee
strane di concatenamenti, traversate, .. Ma almeno queste bizzarrie le tengo
per me, e le vado a fare da solo senza tediare o sfondare di fatica altri.
Anche se a dire la verità quella di oggi non è ‘sta gran cosa, o almeno non
quella che avevo in progetto per questa stagione, ma era comunque un voglino
che avevo: concatenare tre vie ferrate del Carega, due delle quali non ho
nemmeno mai percorso, perciò novità!
Parto
nemmeno di buon ora, ma a letto si stava bene, e la serata precedente non mi ha
proprio portato riposato a questo trekking con ferrate. Due soste caffè lungo
la strada e una bottiglietta di coca cola (zero) aiutano la guida, oltre che
canti a squarciagola in solitaria (meglio..).
Come insegna
Marco grande, si parte dal Rifugio Boschetto, o meglio dalla Casa Forestale
poco sotto, dove mi accoglie una fontana secca: va beh che ha nevicato
quest’inverno, ma si vede che ormai la siccità la fa da padroni. Riempio lo
zaino e via partire, il tratto iniziale lo conosco bene ma voglio partire con
calma. Chissà perché, dopo dieci passi che l’ho pensato, lo scordo subito.
Litigo col
gps, vorrei prendere la traccia, ma lui non vuole prendere i satelliti, amen,
non ho tempo da perdere, vorrei finire il mio giro in tempo per concedermi
anche un pisolino. Un po’ di gente in giro c’è già, e la cosa mi scoccia:
speravo salire la Ferrata Biasin senza nessuno sopra, e senza nessuno che mi
guardi da sotto (non mi piace avere un pubblico). Arrivo al Passo Pertica che
gente ce ne è, ma sulla ferrata nessuno, allora vai!
Le relazioni
la danno dura ma breve. Han ragione. Almeno sul breve.. In ogni caso, visto che
per buona parte è strapiombante, su questa ferrata il set lo uso eccome, e con
entrambi i moschettoni! Bello il fatto che sia dotata dei cunei di gomma di
ammortizzazione. Osservo una via scorrere a fianco del cavo di acciaio e della
fila di gradini di tondini di ferro: che voglia di fare una bella via (ma
quanto non sono in forma!).
Bella
ferrata, qualche sguardo in giù mi rende l’idea della verticalità e perfino
dello strapiombo, passaggi dentro un camino dove lo zaino benché piccolo resta
eccessivo. Beh, 20 minuti e ho già finito: meno male ho altre cose in programma
oggi!
E una è
fatta, scendo diretto verso il Passo Pertica, per un sentiero carino, in mezzo
alla vegetazione, a volte fitta fin sopra la testa, e con qualche tratto con
cavo di acciaio. Chissà se al Passo Pertica è rimasto qualcuno che mi vide
partire e che dopo 40 minuti mi vede tornare. Uno sguardo al
Carè Alto, una sconfitta
non ancora sanata. Mmm, vedo gente che si prepara, meglio passare di corsa per
non avere nessuno davanti. E così inizio il sentiero alpinistico Angelo Pojesi.
Marco l’ha
già percorso, mi ha detto non essere nulla di che, vedremo. Intanto vedo altre
vie partire dal sentiero, e questo mi incuriosisce, dovrò indagare.
Inizialmente il sentiero è una cengia che taglia in traverso il versante ovest,
non troppo stretta, ma a sinistra scende bene ripida. Il cavo ogni tanto c’è,
ma è sufficiente da corrimano.
Entro in un
impluvio, e la voglia di Vajo si impossessa di me. Scruta in basso, scruta in
alto, oh ma quante uscite possibili, oh ma che lungo avvicinamento, oh ma che
voglia che il Caregone si riempia di neve (compatta!)! Davanti a me una coppia
che raggiungo ben presto e che mi lascia cortesemente passare. Che bello essere
su questo versante desolato e con pochi umani, e pensare alla folla che ci sarà
sull’altro. Peccato che poi toccherà mischiarsi a quella..
Il tempo non
ha più senso qui, solo con la montagna. Continuo, noto un camoscio arroccato
sulla parete rocciosa: che bestie queste qui, vanno dove io non mi sognerei
mai. Osservo dove prosegue il sentiero, azz: passa proprio sotto di lui! La
bestia mi ha visto, sarà meglio stia ferma o mi scarica addosso un sacco di
pietre. Passo veloce, incolume. Tra poco noterò altri quattro camosci al
pascolo, ma non mi accorgerò di esser passato sotto di loro finché non li avrò
abbondantemente superati.
La cengia
che spesso si segue si staglia verso il cielo quando si torna a infilare nel
prossimo impluvio, è affascinante. Arrivo poi nel canale da risalire, qui si
trova un po’ di cavo e finalmente si ricomincia a usare le mani. E a sognare
neve e ghiaccio. Oh, qui sì che si inizia ad avere la lingua fuori! Finora
tutto il Pojesi è stato percorso all’ombra, si stava bene, ma ormai l’uscita si
avvicina, la roccia fa posto all’erba, l’ombra al sole. E sbuco così cu Cima
Tibet, dove devo districarmi tra le pecore e cacciarle dal sentiero.
Due di loro mi osservano
come fossi un alieno, innocuo però. E anche un
video meditativo.
E due,
fatto. Meritata pausa beveraggio e mangereccia. Osservo il sentiero delle
creste, a lui è legato il ricordo di un giro invernale esplorativo in tempi non sospetti, che devo
ripetere. Laggiù Cima Carega, prossima tappa. E il Carega è sempre il solito:
dalla valle del
Rifugio Battisti salgono nuvoloni che rendono lo sfondo della cresta del Plische bella scura. Va
beh, tanto io tra poco scappo verso l’auto!
Ben presto,
con dei sali scendi, un po’ di roccia, e notando delle
stelle alpine, arrivo al
Rifugio Fraccaroli,
dove non mi fermo nemmeno un attimo e filo dritto in cima. Un’occhiata al
panorama, che però si sta tappezzando di nuvole, e via giù verso il prossimo
percorso ferrato. Ora non sono più da solo, di gente ce ne è parecchia in giro!
E anche sulla Campalani ne trovo: già in fase di avvicinamento sento il rumore
dei moschettoni su cavo e catene.
Mi rivesto
di imbraco, set e casco e parto, e nella fretta, bam! Ginocchio contro la
roccia, che male porca vaccona! Pochi secondi di stop e poi riparto, meglio
muoverlo presto! La ricordavo carina questa ferrata, e lo è. Nel camino devo
aspettare un po’ quelli sopra di me, che dopo mi lasciano passare. In realtà
questa ferrata mi fa piacere ripeterla perché poi vorrei salirla in invernale,
per poi proseguire sulla bella cresta che finisce al Fraccaroli.
Uscita dalla
ferrata, triade del ferro completata! Evvai! Tento una
super panoramica a 360°
dalla cresta, e mi viene! Ma ora basta, è ora di terminare. In realtà avevo
valutato se fare anche il Vajo dei Colori, ma il meteo qui si mette male (e
avrò ragione a posteriori) quindi accontentiamoci. Anche perché dalla partenza
dalla macchina non sono passate nemmeno 5 ore, mi sembra buono come tempo.
Scendendo
sul sentiero che più brevemente possa al Passo Pertica, noto una tizia in
salita vestita come d’inverno: pantaloni non leggeri lunghi, maglia a maniche
lunghe, guanti e addirittura berretta di lana (non paraorecchie, proprio
berretta!), ma come si fa.. Guarda e passa. Passa e mentre sono distratto vedo
con la code dell’occhio muoversi qualcosa vicino ai miei piedi, oh cazz! Sembra
proprio una vipera! Ma più timorosa di me, striscia presto nel cespuglio.
E non ci
resta che scendere, incontrando qualcuno che è appena sceso dalla Biasin. E
questo gruppo di persone che urla come dei matti per dialogare a distanza di
centinaia di metri, una cosa che non sopporto in mezzo alla natura, le grida
(inutili). Uffa, la pace del Pojesi è un lontano ricordo.
Scendendo un
pensiero serpeggia nella mia mente: arrivo alla macchina, mi è rimasto un
panino, compro una birra, picnico così e ci caccio una bella dormita all’ombra.
Ma non andrà proprio così.. Al
Rifugio Revolto ottengo l’accoglienza che stamattina non ho
avuto e che mi mancava: il cane pacifico del carega.
Finisco il
mio giro, mi guardo alle spalle e verso il Vallone di Campobrun si vede uno
scuro e delle nuvole basse che mi fanno pensare “tempismo perfetto! Ora a
casa!”.
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