domenica 24 novembre 2013

Alla ricerca del sole: Grignone

Tira e molla, porca miseria, questo meteo è un po’ bastardo. Ieri ci siamo adeguati a lui prendendo ciò che cadeva dal cielo e pestando ciò che era già caduto. Oggi si vuole qualcosa che sia panoramica, di ampio respiro, non limitato a una visibilità a 100m e dove la consistenza della neve permetta di salire. Il solo angolo del Nord Italia dove ciò pare possibile, è il lecchese (ci sarebbe anche la Val d’Aosta, ma il portafoglio se ne avrebbe a male). 
Sul Grignoneson già stato con Marco per la salita invernale, e la ricordo una bella salita, panoramica, e allenante (che ridere quando ripenso a Marco che a metà strada realizza che 2410-723=1700m circa), perché non tornarci?! Oggi ci torno con Riccardo. Ammettiamo che il ristoro all’Alva, poco lontano da dove partiamo, è un buon incentivo. La giornata di ieri senza un obiettivo raggiunto chiede vendetta.
E così partiamo su asfalto dal Colle di Balisio, con Riccardo che alla vista della cima esclama “Vacca quanto è lontano!”. Ovviamente è falsa modestia, abbiam fatto ben di peggio. Speravo in un innevamento maggiore, perché così il primo tratto fa un po’ cacare, ma pazienza. D’altronde viene dalla nostra che c’è un meteo migliore del previsto, e il freddo non si sente così tanto. Le cose si mettono bene.
La meta è già solitamente affollata di per se, oggi che c’è la complicazione della neve non assestata altrove temevo trovarne anche di più, ma forse è il nostro orario di partenza che ci evita la ressa.
La prima parte di percorso resta insinuata in una vallettina che mantiene le temperature frizzanti, e sebbene il nostro corpo ci chiede di spogliarci (e lo accontentiamo) il ghiaccio per terra ci lascia con le orecchie dritte e i piedi cauti. La quantità di gente passata ieri ha pressato per bene quei pochi cm di neve rimasti, e fino al Pialeral siamo già pensanti di mettere i ramponi a scendere!
Finisce il bosco e si apre il panorama sulle montagne che fanno da contorno alla Val Sassina. Purtroppo, escluso lo Zuccone Campelli, vedo cime e non so cosa siano, spero aver nominato correttamente le foto. C’è una montagna che ci incuriosisce, una pala innevata perfetta, scoprirò essere il Sodadura. Non si vedono sci alpinisti, e non si vedranno per tutta la giornata: evidentemente la neve è poco, e quando è tanta non ha fondo. 
Il cielo è ancora velato, il sole illumina a pieno certe cime e lascia scure le altre, creando un gioco di luci fatto di bianco e azzurro sulla neve che copre i monti. Dal Pialeral la salita è evidente, così come la traccia e qualche omino che sale: il campo sta per aprirsi a spazio pieno. Bah, non sembra siano 1000m di dislivello, non sembra nemmeno così ripido, invece al ritorno guardando dall’alto l’impressione sarà un’altra.
Riccardo è carico, io proseguo con calma per scattare qualche foto e assaporare il vento gelido che adesso ci fa dimenticare il caldo patito prima: meglio non fermarsi o fermarsi per poco, inutile vestirsi, so che dopo la salita farà un effetto antitetico al wind chill. Accidenti, qui parecchi passi finiscono con una scivolone all’indietro a causa della durezza della neve e del fondo sdrucciolevole. Ma teniamo botta.
Si abbandonano anche gli ultimi arbusti sparsi che riparavano dal vento e ostruivano la vista, e ora la meta appare davvero vicina, o meglio, senza difficoltà perché a vista. Si sta aprendo una voragine nello stomaco, mii che fame! Arriviamo al Bivacco che non compare sulla cartina, e al riparo dal vento ci rifocilliamo a dovere, pronti per ripartire verso il pendio finale e la cresta sommitale.
Si incrociano signori e signore di sessant’anni, chapeau! C’è chi sale coi ramponi, ci sono i primi che scendono, io e Riccardo continuiamo solo con scarponi, ormai il passaggio precedente ha creato dei discreti gradini, anche se alcuni passi sono un po’ lunghi e certi tratti un po’ farinosi. Ma non ci si può lamentare, è chi ha tracciato ieri che deve essersi fatto una bella fatica!
Incontro così Lady, una cagnolina di piccola statura ma dal fisico robusto, sale seguendo il suo padrone, superando i gradini più alti con dei bei saltelli. Mi chiedo come faccia a non aver freddo: a parte l’essere quasi fino alla pancia nella neve, sul pelo delle zampe ha delle palle di ghiaccio solido che devono pure avere un certo peso paragonato alla stazza della belva mignon.
Mi giro spesso ad ammirare le cime che si scoprono, salgano, quelle più alte dietro quelle più basse che man mano le sovrastano rimettendo a posto quelle che sono le reali dimensioni. È un po’ come riequilibrare i fatti, e l’osservare la natura e questi giganti che inseguono l’ordine delle cose e mi mostrano che ci si può arrivare a questo ordine, mi fa pensare che anche io posso raggiungere l’equilibrio e la pace. In cima questa sensazione sarà certa, sceso a valle tutto tornerà come prima.
Ed eccomi mettere i piedi in cresta, il sole ci inebria in pieno già da un po’, meteo migliore del previsto, cercavamo il sole e lo abbiamo trovato. Il panorama si apre anche a ovest, seppure le cime più alte siano coperte: ma so che ci sono. La cresta è davvero estetica, non sarà affilata per nulla, ma lato lago ci sono delle belle cornice che danno la sensazione di essere più alto della realtà.
Arriva anche Ricky, e così la salita prosegue verso la cima, che ci aspetta più a sud. Osservo la cresta di Piancaformia, un obiettivo di questo inverno, ma forse più che la via di salita dovrei studiare la via di discesa. Infatti fotografo bene il cartello della Via del Nevaio, che però sembra indicare solo il cielo che poi si tuffa in un ripido vallone. Chissà, oggi poi con le cornici che ci sono non è che abbia molta voglia di arrivare sul bordo e sporgermi, lungi da me!
Ecco la croce, la vedo, bella bianca come si vedeva anche da valle, lei come il rifugio sono coperti da neve ventata pressata ghiacciata. Il rifugio non è come certe foto che si vedono, ma è spettacolare anche lui. Il gestore cerca di liberare dal ghiaccio tutta l’elettronica intorno al rifugio affogata da esso, mentre noi ci dirigiamo verso le panchine fuori dal rifugio per sederci e mangiare un po’. 3h45min la salita, tempo davanti ne abbiamo per arrivare a casa a un’ora decente. 
Il sole scalda bene (finché non ti esponi al vento di nord ovest), c’è solo da stare attenti alla neve e ghiaccio che si scioglie dal tetto e cade. Beh, Riccardo deve stare attento anche a Lady, che con occhi dolci punta il suo panino. Spettacolo di giornata. Il mio amico guarda verso valle, “oddio quanto è lontana la macchina!”.
Sarebbe bello stare qui delle ore al sole caldo, che tra poco andrà via però, ma tocca scendere, tornare alla croce per fare qualche foto e scambiare quattro chiacchiere con un matto. Qualche cornice è più apprezzabile scendendo in questo verso, meglio starne lontani. E anche guardare da sopra per dove siamo saliti mostra che non era così dolce il pendio da risalire. Fantastico, allenamento per le zampe.
Anche la discesa comporta una certa fatica. Rimanendo nella traccia di salita, oltre che rovinare i gradini di chi sta salendo, si scivola sulla neve pressata, il che non è molto divertente. Optiamo allora per la neve fresca, ma qui vai giù fino a metà coscia, e per fare il prossimo passo tocca risollevare la gamba per intera. Ah, che bella la neve, fa tornare bambini! Ma la giornata sta per finire..
Per fortuna il sole ha sciolto quel ghiaccio che in salita ci faceva temere la discesa, anzi poi nel bosco sarà fango e poltiglia: sempre da stare attenti a non scivolare, ma non più così critica la situazione! Solo che la mancanza di neve rende il rientro ancora più noioso, ci si conforta  pensare all’Alva dove ci rifocilleremo a dovere.
E sudanti e puzzolenti (solo ora Riccardo mi dice che la cipolla doppia mangiata ieri sera lasciava una certa scia alle mie spalle) arriviamo alla macchina, guardando indietro dove eravamo lassù poche ore fa. Bye bue Grignone, a presto per una salita un po’ più alpinistica.

Qui altre foto.
Qui il report.

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