Lasciamo pur perdere la voglia di
rivincita sul bel meteo a nord, tanto non c’è scampo, andiamo in
Pietra e buonanotte. E siccome in macchina abbiamo quelli bravi,
Claudio, Mirko, Nicola, Paolo (in rigoroso ordine alfabetico onde
evitare battibecchi), io e Giorgio che siamo quelli scarsi optiamo
per la cara e vecchia Pincelli, ma con varianti.
Con sudore e A0 faticoso, riesco a
salire pian piano, e finalmente sono fuori. Ad osare di più, bella
variante, devo ripeterla, quando sarò più in forma. Vado a sostare
sull’albero lontano per essere un minimo comodo a recuperare
Giorgio.
Visto il meteo dei giorni passati, al
nostro arrivo al parcheggio della Pietra, la macchina si svuota di
sei persone e innumerevoli stronzate, e lo riempie, non c’è
nessuno (o quasi). Ci incamminiamo, Mirko e Paolo verso il Diedro
UISP, Claudio e Nicola verso la Via degli Amici, e io e Giorgio verso
la Pincelli.
Parte il mio amico, questo tiro lascia
sempre un po’ di perplessità, non è difficile, ma parte sempre
con della sabbiolina sui primi appoggi, il primo chiodo è alto, e
adesso ci sono pure quei sensori piazzati sulla roccia sopra di noi a
destra, messi a monitorare eventuali spostamenti onde prevenire nuovi
crolli. E con le piogge di quest’estate, è pure peggio, sporca di
terra fino su. È sempre un tiro che ti drizza le orecchie.
Con la sosta un po’ spostata a
sinistra, siamo sotto il placcone della variante mediana. In realtà
ci sono tre varianti, la più difficile a sinistra, la media a
destra, la più facile al centro: ovviamente saliamo al centro. E
delicatamente e con circospezione (sempre d’obbligo su questa
sabbia pressata) salgo seguendo a tratti la fessura che però non
sempre è un buon aiuto per le mani. Ma il tiro è bello e lungo, ne
vale la pena, potrei pensarci all’uscita del corso AR1 2014 del CAI di Carpi.
Alla sosta noto della pelle di
serpente, e mi chiedo come abbia fatto ad arrivare fino qui a
togliersela. Poi penso al fatto che questa montagna è tutta bucata..
Oddio, usciranno serpenti da tutti buchi! Altro animale che mi fa
letteralmente cacare sotto è il corvo che si lancia in picchiata al
mio fianco mentre arrampico: taglia l’aria con un sibilo che la sua
apertura alare pare kilometrica! E sono bizzarre (e anche loro un po’
rumorose) le decine e decine di rondini che svolazzano su tutta la
parete alta saltando da un settore all’altro.
Siamo carichi, perché non metterci
dentro anche l’uscita diretta? Una delle ultime volte che sono
venuto in pietra ho visto qualcuno uscirci, ha detto che non era
facile, però dai, oggi c’ho voglia di mettermi in gioco. Parte
quindi Giorgio per quella che sarebbe la variante alta, quella che
per me è ormai un must a ogni corso AR1, ma dopo i due passi
strapiombanti (IV+ e V) invece che salire la placca-diedro a
sinistra, va dritto sotto l’uscita diretta.
Dritto è una parola grossa, sia lui
che io (forse io di più) semplifichiamo il passaggio passando più a
sinistra, ma è comunque una bel passaggio. Ed è strabiliante anche
come possa trovare più difficile il passaggio della variante alta da
secondo, che da primo. Ma questa è un’altra storia.
Eccomi qui, alla nostra terza sosta,
sopra di me un diedro bello liscio e aperto, coi chiodi belli in
fuori (nel senso verso l’esterno del diedro) e distanti: azz,
speravo fossero più vicini, avevo ipotizzato una mungitura se mi
trovavo in difficoltà, ma siamo in ballo, balliamo.
Parto deciso, primo chiodo, poi inizio
a titubare: mi manca un passo, se prendessi coraggio poi sarebbe
fatta. Sarebbe fatto questo passo, poi ce ne sarebbero altri. Intanto
alla base della parete si è formato un gruppettino di spettatori:
Mirko e Paolo appena tornati
dalla loro via, e Riccardo con Lollo. Tutti a incitarmi..a modo loro.
Ecco anche lui, una foto, un po’ di
rifoccilamento e poi che si fa? Dai, andiamo a fare la Oppio, che ho
un conto in sospeso: fatta qualche mese fa con Paolo, non me la
sentii di tirare l’ultimo tiro, e visto che il compagno di allora
aveva concatenato secondo e terzo, io alla fine avevo tirato solo il
primo. Oggi voglio fare secondo e quarto, che sono i più duri.
Ripassiamo sotto la base della Pincelli
e notiamo Mirko e Palo impegnati sulla variante mediana, noi dritto.
La linea della Oppio è davvero dritta, la roccia si è aperta, si è
divisa, lasciando una fessura per vedere il cielo con un po’ di
anticipo. Davvero estetica, e anche in via il cielo non manca visto
che la maggior parte dell’arrampicata è tutta bella esposto col
vuoto sotto il culo.
Anche qui parte Giorgio, così posso
fare i tiri che mi han fatto paura la scorsa volto. Sale guardingo e
ad un tratto gli cade pure un friend, “vai tranquillo, lo prendo
io, ho visto dov’è”. Vado io adesso, e di nuovo questa
sensazione di fare più fatica da secondo che da primo, uffa.
Nella parte stretta, struscio lo zaino
a modo, finché non si sente qualcosa che inizia a cadere, e allora
devo urlare “scarpe!”: già, scarpe, non sasso, sono le mie
mythos che uscito dalla Pincelli ho staccato dallo zaino e non
rifissate bene. Sto arrampicando con le scarpette nuove, ma nel
dubbio del dolore ho portato anche loro, che adesso giacciono alla
base della via. Dopo svariate fecondazioni di roccia, si arriva alla
sosta bella scomoda, come la ricordavo.
Dopo aver filato e rifilato le corde
(arrivando in sosta non si sa dove passi, poi le corde sono buttate
su un terrazzino e poi spostate) riesco a partire. Poche mani, pochi
piedi, chiodi alti e distanti. Sospiri e sospiri, e la mano che si
alza verso la quercia, come un giocatore di basket che sta per
schiacciare all’ultimo secondo per il punto della vittoria: ah,
adesso resterei qui a penzolare come una scimmia, ma meglio
proseguire.
Dopo qualche altro passaggio croccante,
arrivo alla sosta in mezzo al guano, ben più comoda della
precedente, ma più sporca. Siamo dentro la spaccatura nella roccia,
la visione che abbiamo del mondo circostante si restringe a pochi
gradi di apertura verso le colline.
Arriva Giorgio, che poi supera senza
troppe difficoltà il terzo tiro, reso un po’ insidioso dalla cacca
degli uccelli bella abbondante su questo tratto. L’anello cementato
della sosta da però sicurezza, anche se pure questa è piuttosto
scomoda, ma mai come la prima..
Ed eccoci, altra bestia nera. La
partenza del quarto tiro è abbordabile, ma poi già si complica per
un passaggio in strapiombo dove l’esposizione è davvero tanta. Ci
penso, tentenno, ma qui voglio salire senza barare, e ci riesco. Ora
è tutto in “discesa”. Eh no, c’è qualche altro passaggio
ostico prima di riuscire a raggiungere la sosta sulla sommità.
Vedendo gli orizzonti aprirsi verso
l’alto, non ci capsico più nulla, parto sparato a uscire verso
sinistra, cerco la sosta, vedo un alberello, poi vedo la vera sosta,
a destra: scendi e risali. Cerca di comunicare col mio compagno, ma
non sente, vento. Passiamo alla comunicazione a strattoni di corda.
Ah, che soddisfazione aver superato pulito la via!
Ci si reca al rifugio della pietra,
dove arriviamo che Mirko e Paolo sono già li che bevono, e deridono
per la figuraccia fatta sull’uscita diretta, ma pazienza. Prima
scappo alla base della Oppio a riprendere le mie Mythos, poi evo.
Nicola e Claudio? Oh mio dio, saranno incrodati. Quasi, dopo un po’
arrivano, ma la via è stata diversa.
Qui altre foto.
Qui report.
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