Giusto ieri sera ne parlavo con
Claudio, altro lettore alla serata di Maurizio di Malga Sorgazza
("50 sfumature di Ghiaccio").
Ma se ne parla da tempo anche tra noi amici, e credo un po' tra tutti
quanti quelli che si definiscono Alpinisti. Ovvero di quanto la
tendenza sia diventata essere un gregge di pecore: appena c'è un
report di qualche itinerario, tutti la!
Dopo la giornata e la seratadi ieri, la partenza non può essere troppo presto, e d'altronde non ce ne sarebbe il senso. Ma le buone speranze iniziano a scricchiolare fin dal viaggio in autostrada: un SUV davanti a noi perde due paia di sci, che per fortuna non ci trafiggono attraverso il parabrezza stile "Final Destination", ma ruzzolano sotto le ruote e per fortuna senza squarciarle. Poi gli autogrill imballati di gente che va ai mercatini, tantochè c'è da fare la fila anche per uscire, ma va beh.
Ritengo che questo approccio non vada
condannato, io stesso la più parte delle volte metto un cappotto di
lana bianca (in senso figurato), per una serie di semplici motivi:
soldi, tempo, risultato, cambiamenti climatici e ammetto anche una
certa dose di ignoranza. Ormai un weekend costa parecchi soldi e
tempo che si "ruba" ad altro/i, e quindi partire da casa
con l'incognita "salirò o non salirò?" non è un
risultato tollerabile. Poi i cambiamenti climatici che hanno
stravolto il normale ciclo delle condizioni delle pareti. E
l'ignoranza nel non saper prevedere con occhio clinico le condizioni.
Ma oggi non saremo pecore, però
nemmeno leoni!
Primavera scorsa per caso capitai su
una foto della parete nord dell'Hochferner: vacca che bella. Però anche dura.. Ci provai a
coinvolgere qualcuno, ma non trovai tempo fertile, almeno a quei
tempi (in futuro invece, lo andremo tentare!). Lì vicino però c'è
la più "facile" nord del Gran Pilastro, che deve essere
uno scivolone fantastico in ambiente di ampio respiro, isolato e
selvaggio. Insomma l'alpinismo che più mi piace.
Per una carambola di eventi, stavolta
trovo due che si lasciano ammaliare da questa stramba idea di partire
per tentare questa parete, Giorgio e Cristian. Valutiamo tutti insieme che la parete potrebbe essere in
condizioni in questo pazzo autunno, e cogliamo l'occasione anche per
sperimentare una notte in bivacco al freddo (e che freddo).
Dopo la giornata e la seratadi ieri, la partenza non può essere troppo presto, e d'altronde non ce ne sarebbe il senso. Ma le buone speranze iniziano a scricchiolare fin dal viaggio in autostrada: un SUV davanti a noi perde due paia di sci, che per fortuna non ci trafiggono attraverso il parabrezza stile "Final Destination", ma ruzzolano sotto le ruote e per fortuna senza squarciarle. Poi gli autogrill imballati di gente che va ai mercatini, tantochè c'è da fare la fila anche per uscire, ma va beh.
Entriamo nella Val di Vizze col
termometro che va in picchiata verso il basso, -1, -2, -3,..-7! Ci
fermiamo a prendere un caffe in una Gastof, dove ci accoglie una
teutonica settantene gufatrice. Adesso, a ben pensarci, Stephen King
deve essere stato qui quando gli venne l'ispirazione per Misery. A
parte l'aspetto fisico, che poteva anche essere abbinato alla figura
di una nonna cuoca tutta gentile e "mangia che è buono",
questa esordisce con un "oh state attenti, avete famiglie a casa
che vi aspettano, non morite, dahh", e parlando di quelli che
fanno sport estremi "beh quelli li normale che prima o poi
muoiano così, daaaa". Grattatina di maroni che consuma i
pantaloni.
Terzo tornante, yeppa! Ci siamo:
indipendentemente dallo stato della strada, non vogliamo proseguire,
preferiamo fare un po' più di fatica oggi, ma domani scendere qui
senza dover risalire al quinto. Ancora non sappiamo che non servirà
a nulla. Il sole fa il suo effetto, e io parto stile tutina lasciando
i pantaloni nello zaino, per non sudarli già ora.
Ci incamminiamo così sul sentiero in
mezzo al bosco, tiepido al sole e gelido all'ombra, e col terzo
cattivo presagio che incombe: dopo 10 minuti di cammino, mi giro e
"ragazzi, ma l'accendino chi ce l'ha?" e tutti a mani
abbassate. Azz, no accendino no acqua no pasta, che famo?! Per
fortuna Cristian ne ha uno in macchina che tra l'altro esaurirà il
suo carburante giusto per farci fare l'ultima accensione di fornello!
Abbandoniamo presto il sentiero 1 per
proseguire nel 7, nella speranza che domani scenderemo da lui. Le
prime avvisaglie di una temperatura davvero gelida in una parte di
valle che vede il sole tanto quanto il nord della Groelandia,
iniziano a paventarsi con pozzanghere e funghi di ghiaccio sparsi qua
e la. Fino a trovare interi metri di sentiero completamente off
limits senza ramponi: aggiriamo sopra e sotto, con Giorgio che
temerario tenta un passaggio finendo a guardare da vicino il suolo.
Uscendo dal bosco il panorama si apre
in due direzioni che catturano la mia attenzione: una è chiaramente
quella che punta verso nordest, verso il bivacco sul quale incombono
due bei ghiacciai serraccosi che prima o poi vorrei salire. L'altra è
verso sudest, dove una collana di colate ghiacciate addobba i pendii
di una montagna spoglia di neve. Voglia di ghiaccio..
Siamo ormai nel letto dell'ex fiume di
ghiaccio che ha scavato questa valle, un lontano ricordo di un epoca
in cui i nostri arnesi di acciaio avrebbero goduto a fondo, altro che
riscaldamento globale e innalzamento dei mari. Ma questo letto
conserva il ricordo del freddo, pungente, non ci si può fermare pena
l'ibernazione: osservo il sole che scalda e illumina i pendii un
centinaio di metri sopra di me, ma è lontano come i miei vent'anni.
Quel puntino giallo, la scatoletta di
tonno, è già visibile la in fondo, fermo mentre noi ci avviciniamo
a lui. Deboli e sporadiche chiazze di neve diventano sempre più
presenti, ma non diventeranno mai un manto continuo: bella storia per
il nostro avvicinamento, brutta storia per le nostre vite future.
Brutta storia anche notare delle impronte di scarponi davanti a noi:
fiduciosi di trovare un posto selvaggio in quanto non reportizzato,
iniziamo a temere di non trovare alloggio in "hotel".
Le montagne che stanno alla nostra
destra mostrano versanti solcati da qualche ruga nevosa, placche,
roccia che quando lavorata pare forte quanto Popeye a digiuno di
spinaci da mesi, e infine una bella cascata che sta pian piano
coprendosi di H2O solidificata. Insomma, tanta roba ma nessuna in
forma, e una stagione balorda che non si sa come affrontare. E al
tempo stesso, una voglia e una fame di alpinismo..datemi spinaci!
Servito il quarto presagio: il cimitero
dell Hochferner! Per la verità non solo suo, ma la maggior parte
delle croci piantate reca come luogo di morte proprio quella parete.
Va beh, noi, almeno per oggi, puntiamo alla più tranquilla Nordwand
del Gran Pilastro, se non finiamo in qualche crepaccio
nell'avvicinamento. O se non dovesse servirci la facoltà di volare
per superare la terminale.
Stacco un po' i miei amici senza
volerlo, mi fermo ad aspettarli coi miei dubbi sulla riuscita
dell'ascesa: logico e saggio avere sempre dei dubbi, "Il dubbio
è scomodo ma solo gli imbecilli non ne hanno" cit Voltaire. Uno
sguardo all'insù, e un piede torna davanti all'altro.
Si scende dal sentiero, che non è mai
salito al sole, si abbandonano i prati per scendere (e presto
risalire) su pietraie coperte da un velo bianco che a volte nasconde
un foglio grigio ghiaccio. La seraccata dell'Hochferner è sempre più
visibile, è sempre più invogliante. Come le sirene con Ulisse mi
stà chiamando, ma ho promesso a Cristian che oggi non l'ascolterò.
Cercando la strada migliore, seguendo
quando visibili i segni del sentiero, alcune peste di chi ci precede,
continua l'avvicinamento formato piccolo mulo (attenzione, mulo, non
asino!) al Bivacco Messner. La via più logica di salita deve fare i
conti coi tratti di accumulo di neve e coi tratti di ruscello
ghiacciato, a scapito della fatica: ognuno di noi prende una strada
diversa, uno dei punti di maggior bellezza dell'alpinismo.
Salgo e cerco il bivacco con lo
sguardo, salgo e studio la nord davanti ai miei occhi, salgo e noto
un canalino, salgo e noto impronte di salitori della parete agognata,
salgo e sento fame e sete che mi mordono: ma Giorgio almeno a una di
queste osservazioni ha la soluzione, panini. Quando arriverà.
Calpestando gli ultimi metri di una
morena che da l'impressione di poter volar via a suon di brezza,
eccomi finalmente al bivacco Messner, una scatoletta gialla con le
spalle protette da un macigno di tonnellate, un balcone sulla Val di
Vizze e sulla parete nord dell'Hochferner. Ripetitivo lo sò, ma su
questa parete ho lasciato gli occhi, e domani in questo angolino
delle Alpi lascerò un pizez e core.
Abbandono il mio menhir e aspettando
gli altri due sgattaiolo proseguendo la salita verso il terreno di
domani, dietro il bivacco: l'idea di oggi era anche quella di andare
ad esplorare buona parte dell'avvicinamento, in modo che eventuali
sorprese (ostacoli) fossero scoperte oggi e vi si potesse porre
rimedio tornando in auto e ripiegando su qualche altro itinerario per
poter portare a casa qualcosa. Ma salvo poche decine di metri e lo
studio di dove passare domattina, non si farà altro.
Arrivano in sequenza Cristian e
Giorgio, ci sistemiamo all'interno di un bivacco tutto per noi
(incredibile pensare di starci in più di 4 o 5), usiamo tutti i
letti per le nostre cianfrusaglie e vettovaglie, e finalmente giunge
l'ora dei panini! Giunge anche l'ora di iniziare a capire quanto
freddo patiremo nelle prossime ore. Ci si inizia a vestire.
Il telefono prende segnale, possiamo
avvisare a casa, prima di rimboccarci le maniche e metterci avanti
coi lavori: riempiamo di neve tutti i contenitori e sacchetti che
abbiamo, cercando quella più pulita, ma cosa vuoi mai, quella poca
che si trova è molto "minerale" anche negli accumuli.
Fortuna che ci siamo anche portati nello zaino anche 8 litri di
liquida, se no stasera saremmo rimasti fino alle 23 col fornellino
acceso.
Inaspettatamente il sole fa capolino,
sbuca dalla cresta rocciosa che ci faceva sentire ancor più isolati
e scalda le nostre membra che stanno chiedendo a gran voce "ma
che diavolo ci facciamo qui?!". Come nei migliori filmati di
alpinismo, ci sediamo sui blocchi che stanno sulla morena, a parlare
del più e del meno, come dei gladiatori che aspettano pazienti e
rilassati il momento di salvare la pelle contro i leoni.
Il sole se ne va sul più bello, quando
son lì ormai nelle braccia di Morfeo, riportandomi alla dura realtà
della spesa calorica per scaldare il mio corpo: oggi ho una fame
incontenibile. Ci rinfiliamo nel bivacco, una gabbia di Faraday che
ho l'impressione che non isoli altrettanto bene il calore quanto
l'elettricità: coi soli nostri tre corpi, la temperatura interna ed
esterna sarà sempre allineata.
Due chiacchiere, poi non avendo nulla
da fare optiamo per riposare un pochetto. Ognuno sul proprio
materasso, combinando varie opzioni: coperta da isolante tra corpo e
materasso o no, a letto vestiti o no. Giorgio russa già, Cristian
per nulla, io inizio a breve. Giunge il momento di svegliarsi, e di
sentire che freddo c'è e si è patito: per la notte occorre trovare
astuzie.
è ora di metterci all'opera con lo
sconosciuto rito dello scioglimento delle nevi. Un rito che
generalmente non richiede immediati sacrifici umani, ma solo nel caso
che venga mal eseguito può portare a effetti spiacevoli sul corpo
stesso di chi vi partecipa. Le candele accese non sono necessarie
all'invocazione del grande Dio del quale ci prefiggiamo di calare la
sete, ma sono utili per diminuire il consumo delle batterie delle
frontali e per rendere l'ambiente più "caldo" (dal punto
di vista psicologico, non certo reale).
Il fornello viene acceso col Santo
Graal accendino, recuperato in extremis e per botta di culo, la prima
neve introdotta nel contenitore all'avanguardia di Cristian, e man
mano rabboccata quando il volume del liquido intristisce il volume
del solido di origine. Possiamo ora farci un the rigenerante, e una
volta liberato il fornello, metterci la gavetta di dimensioni idonee
a contenere poi la pasta. Il rito continua, e l'attesa inizia ad
assumere connotati sfiancanti.
Finalmente l'acqua bolle, i batteri
possono decretarsi tutti morti! Ma sul fondo si osserva una certa
quantità di residui..minerali. Pur cercando la neve più pulita,
questo è quello che abbiamo trovato, e filtri non ci viene in mente
come farne. "Mamma, butta la pasta!"
Mentre lo chef Giorgio mescola con cura
la nostra prelibatezza di stasera, esco a dare un'occhiata alla
solitudine di questo posto, rimanendo ammaliato da una stellata
pazzesca, un buio pesto (non si distinguono i contorni delle
montagne) e un silenzio da non credere.
Dopo un'attesa interminabile,
finalmente la pietanza sembra sufficientemente morbida per poter
essere masticata senza sputare frammenti di dente: si svuota la
gavetta in altro contenitore per poter sciogliere l'acqua di cottura
della seconda portata. Come bravi fratelli, mangiamo dalla stessa
casseruola, con le stesse smorfie di disappunto quando mordiamo i
sassolini! Masticare con calma!
Tra una risata e l'altra, e varie cose
che stiamo imparando su cosa fare e non fare in queste situazioni,
altra lunga attesa e anche la seconda pietanza è pronta, mentre si
lotta per tenere viva una candela che non vuole saperne di rimanere
accesa. L'accendino non va più, ed è il panico. Come un piccolo
utensile può decretare la sconfitta di tre energumeni.
Per fortuna Giorgio ha nello zaino un
thermos: possiamo tenere acceso il fornello, sciogliere altra neve
per riempire borracce e fare il the per domattina, che un sorso di
qualcosa di caldo di certo sarà un ottimo modo per iniziare la
giornata. Solo che questa attesa sarà struggente. Tre tornate di
neve in scioglimento, interminabili, con le nostre teste che si
accasciano sul tavolo, i nostri animi distrutti che pensavano alle 20
di infilarsi sotto le coperte e invece nulla.
Abbiamo neve appena sufficiente per
fare tutto, ci si arrabatta per costruire un imbuto, e una volta che
le bottiglie sono tutte pronte si può andare a letto! Una frase che
a leggerla ci si mette pochi secondi, ma che è durata delle ore. Le
astuzie che ci vengono in mente per sopperire al freddo sono poi
poche: tante coperte, e guanti che passano dal coprire le mani al
coprire i piedi. Provo a mettere il passamontagna per sopperire al
freddo che avrò in faccia, ma questo mi soffoca: lo tolgo e amen.
Suona la sveglia! Nemmeno troppo
presto, visto che non vogliamo arrivare alla Griesscharte prima che
si veda qualcosa: dall'altra parte c'è un ghiacciaio che non
sappiamo quanto crepacciato. Ma nonostante siano solo le 4e15,
scendere dal letto è dura. Mi aiutano le risate che mi sfociano
mentre mi raccontano come sia trascorsa la notte: gli chiedo
"ragazzi, avete dormito bene?" "noi no, ma te si, hai
russato! Io (Cristian) che ti davo pugni da sotto e lui (Giorgio) che
ti diceva <<Andrea basta russare>>".
Il thermos ha fatto il suo dovere, il
the è bello caldo e la torta di Chiara finisce presto, seguita dai
biscotti di Cristian. Si esce dal bivacco, si abbandona il luogo
sicuro per avventurarci in una zona sconosciuta e ancora buia (niente
luna), si lascia quello che da "luogo scomodo, freddo e angusto"
è diventato in un attimo "il nostro nido".
I pochi passi fatti ieri, uniti alla
mia super frontale, si dimostrano utili a individuare il miglior
percorso di accesso alla forcella, seguendo quel poco che resta di
morena e poi tagliando il pendio, dopo aver messo i ramponi. La neve
è molto variabile, da bella dura e sprofondosa, sopratutto in mezzo
a blocchi di roccia dove quasi si incastra il piede.
Due frontali a valle ci fanno sentire
meno soli, ma son sicuro che non seguiranno i nostri passi, perciò è
una compagnia sfuggevole e che dura il tempo di pochi minuti
distanti. Ciò che invece ci fa sentire in compagnia di un mostro
gigante, sono i blocchi di ghiaccio vivo di fianco ai quali passano i
nostri piedi, blocchi staccatisi dal Griesferner, altra seraccata.
Scrutiamo nella notte le poche
informazioni visive incamerate ieri pomeriggio, riuscendo a trovare
la strada migliore per infilarci verso la forcella. Il GPS sembra non
andare, meno male, possiamo e dobbiamo fare senza. La risalita di un
pendio nevoso si dimostra un po' ostica per la qualità della neve,
che obbliga a cercare i tratti di pietraia scoperta quando ci sono.
Le impronte di una lepre mettono a
tacere quel senso dell'esser soli con roccia e ghiaccio che tanto
cerchiamo, ma che a volte ci opprime. Lepre che non è affondata come
noi in alcuni metri che sono stati davvero da "un passo avanti e
un passo indietro".
Con giusto le prime luci, più puntuali
di un orologio svizzero, siamo alla Griesscharte ma..con qualche
dubbio. Il panorama dall'altra parte è superbo, seppure
tremendamente secco! La Grosser Mesule troneggia, e quasi tutte le
rughe della parte bassa della montagna sono riempite da colate di
ghiaccio. Ci guardiamo un po' intorno, mangiando anche qualcosa.
Ma sarà la forcella giusta? Dalle
immagini che avevo non c'è dubbio, dalla logicità della salita
nemmeno, ma ora ci sarebbe da scendere un canalino che sembra di
almeno 100m (e infatti sono precisi precisi 100m di dislivello) e a
45°. Da vecchio saggio fifone esordisco con "ragazzi, bisogna
che ci preoccupiamo di non sbarrarci una eventuale via di ritorno se
poi non troviamo le condizioni: quindi da qui scendiamo solo se siamo
certi di riuscire a risalire".
Giorgio sale sulla cresta verso est per
vedere se non ci sia altro passaggio, che non c'è. Tocca scendere.
Qualche passo titubante faccia a valle e poi mi giro faccia a monte,
questo cambio di pendenza da + (la salita alla forcella) a – (la
discesa) così repentino non mi ha acclimatato. Presto mi giro faccia
a valle però! Mi guardo a destra e sinistra, il canale è esilino,
mi chiedo in tarda primavera come possa essere scendibile, e verifico
che si possa risalire. Chiaramente senza proteggersi, la roccia è
marcissima.
Siamo alla base del canalino, e diventa
chiaro anche a Cristian ciò che era già chiaro a me fin da casa: la
parete ancora non si vede, e quella cresta che vediamo ostacolare il
nostro ipotetico itinerario verso est, è da superare. E nel punto
più alto pare vedersi un punto debole, dove il ghiacciaio Roteckkees
va a mangiarsi la cresta rocciosa. Proviamo, io inizio a essere
dubbioso sulla nostra riuscita, ma ancora non dispero.
Giunge quindi l'ora di legarsi, meno
male ieri mi sono ricordato di fare il cordino da ghiacciaio. Non
sappiamo bene come possa essere questa tavolata bianca che ci si para
innanzi, ma vediamo bene che la parte bassa è uniformemente ben
cosparsa di buchi, e la parte alta vicino alle rocce presenterà di
certo dei bei buchi anche lì: in mezzo chissà. Ci sarà abbastanza
neve da tappare le trappole?
Da cartina so che il ghiacciaio vero e
proprio parte tra un po', ancora si tratta solo di nevaio, di certo
si inizia subito ad affondare fino al ginocchio nella neve. Mmmm non
mi piace! Va beh, proviamo oltre, ci tocca traversare nel verso più
sbagliato possibile il ghiacciaio Roteckkees (ovvero nel senso non di
massima pendenza) ma almeno questo può darci un'idea di quanto possa
essersi trasformata la neve visto che certi tratti saranno anche a
45°.
Scorriamo sotto la Rotwand, una
barriera rocciosa imponente e dall'aspetto poco rassicurante: non
pare per nulla solida, ma in certi tratti ha dei colori fantastici:
passa dal marrone scuro, il colore che ti aspetti, a striature di
bianco e grigio, sembra un cremino! La fame si fa sentire.. Si fa
sentire anche la fatica visto che ci continua a passare da neve dura
a sfondoni. Certe croste da rigelo spesse 5 cm mi farebbero tornare
indietro a gambe levate se ci fosse più neve.
L'emozione di essermi legato coi nodi a
palla al seguito è grande: speravo in un'estate di alta quota che
non è mai arrivata a causa del troppo caldo, dello stato dei
ghiacciai, del permafrost che non tiene più insieme le rocce (più
impegni fuori dalla montagna): pericolo oggettivi ci hanno fatto
desistere e ci siamo dedicati alla roccia, non che ci abbia fatto
schifo, ma mi mancava. Trovarsi a dicembre su un ghiacciaio per
tentare una parete nord, roba da matti.
Ogni passo lo soppeso sperando di non
incappare in un crepo, guardo la neve che muoviamo che ruzzola giù
verso quelle bocche fameliche, oserei dire senza fondo. Cerco di
tenere quota e rimanere abbastanza vicino alle rocce, che mi danno
fiducia. Guardo avanti, quella cresta, il nostro ostacolo, il nostro
prossimo obiettivo. Guardo anche tutte le colate ghiacciate che
scendono dalle montagne alla nostra sinistra, dall'altra parte della
valle “bassa”: tutte perfettamente sicure, dato il NON
innevamento superiore.
Una prua di roccia scende parecchio
verso il basso. Scendo e la aggiriamo, o proviamo a passarci sopra?
Sotto ci sarà garantito un bel buco, però siccome gli ultimi metri
sono stati piuttosto “affondanti”, non voglio perdere 30m di
quota, proviamo a vedere se si passa. Salgo su, qualche metro
delicato, guardo giù dall'altra parte: non si va, ma si dai si va, o
meglio la, no facciamo qua. Qualche metro delicato di discesa verso
una zona ben tappata del grande sorriso profondo che separa roccia e
ghiacciaio.
Scendono anche gli altri due,
chiaramente Giorgio è quello a cui resta meno neve su cui far presa
coi ramponi sulla lavagnetta di roccia che sembra esserci sotto. Poi
possiamo proseguire, sempre guardinghi ai cambi di colore della neve,
alla nostra meta, quel passettino lassù, e di tanto in tanto altri
sguardi alla parte più bassa della cresta in cerca di altri
passaggi. Metri di cramponage aggressivo, e metri di ravanamento si
alternano come i tre classici colori al semaforo.
Punto un masso che giace solitario in
mezzo a ettari bianchi, immagino sia un masso erratico, non certo un
cugino degli iceberg, ma mi ispira fiducia, sotto non può esserci un
crepo, o non sarebbe rimasto lì per farsi vedere ai nostri occhi. Il
passo ormai non è lontano, ciò che resta lontano è sempre il sole,
che intuiamo esista, ma non ne abbiamo le prove: ha sì colorato il
cielo, dato vigore a cime alle nostre spalle, ma mica è venuto a
scaldare i nostri corpi.
Il passo è ormai a un tiro di
schioppo, così riesco a vedere che sotto di lui c'è un altra
boccuccia famelica che chiama ma alla quale non voglio rispondere.
Anche più basso si intuisce esserci un piccolo campo minato sopra il
quale non ho nessuna intenzione di passare: mi avvicino alla
boccuccia, ora saliamo anche nel verso corretto, quello di massima
pendenza. Mi avvicino, mi avvicino, e vedo che la boccuccia è
piuttosto lunga e larga: impossibile da saltare, ma pare che tutto a
sinistra ci sia passaggio, e pure vecchie impronte.
Le vecchi impronte ci rinvigoriscono
l'animo: allora forse si può fare davvero! Non siamo stati dei
visionari! Ma ora pensiamo a salire ancora qualche metro: scorro
sotto il labbro inferiore fino ad arrivare vicino alle rocce, mi
permetto ora di passare dalla parte del labbro superiore, scoprendo
che questa faccia è piuttosto sfregiata, abbiamo un'altra bocca
sopra! Salgo tutto a sinistra per stargli il più lontano possibile.
Eccoci al passo! Ecco laggiù la
parete! Ecco lì la crepacciata da attraversare.. Ecco qui una
discesa che pare davvero ardua.. Ecco che tutto scricchiola. Ci
ricompattiamo, il sole esce pochi minuti in mezzo alle montagne che
ci si parano davanti, ma questo non è sufficiente a schiarirci la
via.
La parete è ancora lontana, e ve beh,
non è che abbiamo il cronometro ai calcagni, un ghiacciao da
attraversare in discesa prima che i ponti si sciolgano, quindi su
questo saremmo anche tranquilli. Arriveremo magari a casa a un orario
in cui mogli e morose avranno il dente avvelenato, ma va beh.
La parete, la vediamo, ma sarà in
condizioni? La pendenza non dovrebbe permettere un gran accumulo di
neve, ed è mesi che non nevica. Però il tratto appena attraversato
non è che fosse proprio tutto duro. Almeno la terminale sembra
passabile, si vede che è stata tappata ed è di colore più tendente
al ghiaccio che alla neve. AH già, il colore! La parete non è in
ghiaccio, un bel candore sembra indicare che i polpacci non periranno
in 300m.
La parete, come arrivarci. Ricordo i
crepacci della Barres desEcrins, il crepo saltato sotto al Mont Blanc du Tacul (che ridere
quando ci ripenso), ma ragazzi, quella roba laggiù è
impressionante! Chiaro che dovremmo starci più alla larga possibile,
ma mi sa che è continuo, e se non lo sembra da “sopra”, di certo
lo sarà da “sotto”. E ci sono tanti altri fratellini (ma l'
“ini” non si ad dice proprio a quelli lì) intorno a lui da
schivare. Proprio un bel terreno insidioso.
Ma il ghiacciaio, c'è anche da
arrivarci. Saremo 60m sopra di lui, e sotto i nostri piedi la cresta
è bella dritta, non è come da questo versante che ci si arriva solo
coi piedi, qui c'è da disarrampicare su roccia e neve. Che poi sotto
sembra puri che spanci. Potremmo fare una doppia! Già ma su cosa?
Sulla roccia marcia? Su un fungo di neve? E se poi la parete non è
in condizioni, come torniamo indietro?
Discutiamo brevemente, pochi vocaboli
che lasciano trasparire una delusione che arriva, che già c'è.
Cristian “bene, quindi se non lo vuol dire nessuno, lo dico io che
è il caso che lasciamo stare?”. La frase che tutti avevamo sulle
labbra ma che nessuno voleva pronunciare. Eh già, l'avventura
finisce qui. Non che grondino lacrime dai nostri sei occhi, siamo
consci che è la decisione saggia da prendere: già tornare indietro
non è mai la scelta sbagliata, stavolta è proprio quella giusta! In
mezzo a quella crepacciata ci finiamo dentro sicuro.
Abbiamo quindi il tempo per fare un po'
di foto, iniziare a sospettare che forse non siamo nel posto giusto:
Cristian controlla il gps, la traccia, e vede che in effetti siamo
troppo alti. Però più in basso la cresta sembrava invalicabile, a
meno di scendere davvero tante e troppe centinaia di metri. Ma poco
conta, la crepacciata sarebbe rimasta comunque da superare.
Valuto se dare un'occhiata se da qui si
riesca a scendere, ma desisto presto perchè andare a rischiare di
farsi male non mi sembra il caso. Proviamo quindi a salire la
paretina per vedere se sopra essa ci sia un migliore punto di
osservazione, ma anche questa è una cagata: una decina di metri di
misto, si potrebbe continuare, ma poi c'è da scendere, no no
lasciamo perdere.
Zaini di nuovo in spalla, inversione
della cordata, e si riparte, abbiamo anche già fatto due conti su un
ipotetico orario di arrivo all'auto e non è che abbiamo molto da
bighellonare. Ripassiamo nei pressi del sorrisone poco amichevole, e
ci rimettiamo sulla nostra traccia che è bella marcata: i punti di
neve dura in cui rimanevano solo i segni dei ramponi sono pochissimi,
molto più evidente una piccola trincea che attraversa da ovest a est
il ghiacciaio.
Numerosi saranno i nostri sguardi alle
nostre spalle, in realtà un po' più giù, a capire dove quella
maledetta cresta possa essere scollinabile senza eccessive
difficoltà. Sì che poi c'è comunque da aspettare che si tappino i
buchi. Nei pressi della prua rocciosa dell'andata, il tratto più
visibilmente delicato della traversata, optiamo stavolta per passare
sotto e amen, un po' di traccia nuova guasta poco le gambe di
Giorgio, che ora sta davanti.
Di nuovo alla base del canalino, di
nuovo a guardare quella cresta, a ipotizzare, a farfugliare. Via la
corda, e fantastico di una piccola sfida personale, salire questo
canalino alla svelta: chiedo a Cristian di verificare in base alla
quota, quale sarà il dislivello. Piccole soddisfazioni, 100m in
15min. Preferivo però i 300m della parete anche in 3h! Ma prima di
partire mi spoglio perchè ci sarà da sudare.
Sudo sudo, e salgo, sognando canali,
sognando vaji. Gli altri due mi seguono a ruota, la Grosses Mesules
laggiù sorniona pronta a tornare solitaria, senza più nessuno
intruso a infastidirla. Sono alla forcella, rivedo la val di Vizze ma
da un'angolazione che non avrei voluto rivedere oggi. Bon pace, è
stata la scelta giusta.
Di nuovo tutti e tre insieme, di nuovo
a guardare quella cresta, ma dove diavolo si passa se non da dove
eravamo noi?! Scendiamo va la che qui tira un po' d'aria e a questo
punto sogno almeno una bella birra e un bel piatto di qualcosa.
Scendiamo senza seguire troppo le nostre impronte che cercavano il
“secco”, piuttosto meglio gli accumuli, finche non ti fanno
ribaltare a faccia in giù perchè ti ci incastri dentro..
Ma cosa vediamo, altre impronte di
persone, che stamani non c'erano! Sono scesa da là, no sono salite,
beh andiamo a vedere, magari scopriamo un altro punto d'accesso per
la parete. Già perchè se adesso nel canalino sotto la Greisscharte
c'è così poca neve, figurati in altri periodi. Altra impennata,
altro lavoro per gambe e polmoni, e per qualche decina di metri
sopratutto per i polpacci: ecco, qui sì che nella neve restano solo
i due buchini delle punte frontali, goduria!
Nuova forcella, in Austria scende più
dolce, ma poi verso destra pare esserci un repentino cambio di
pendenza. La soluzione principe resta la Greisscharte. Qualche altro
metro seguendo le impronte che sembrano aver poi proseguito lungo il
confine, non la nostra meta. Ma da qui abbiamo una bella visuale sul
Greissferner, altra serracata da seghe montane.
Riscendiamo di nuovo verso la nostra
traccia pre-alba, osservando la nuova pin-up del momento, la colata
di ghiaccio del Greissferner. Ne arriviamo alla base, dove al buio
immaginavamo esser sotto di lei per i vari pezzi che aveva perso:
provo a picozzarne uno ma esplode sotto i miei colpi, ghiaccio secco,
ghiaccio non buono! Dai su, meglio cavarsi da qui.
A differenza di poche ora fa, ora si
cerca di stare il più possibile sulla neve per evitare di rovinare i
ramponi, ma correndo il rischio di finire in buchi vuoti tra le
rocce, come succede ovviamente. E mentre gli altri due parlano di
ciclismo (bah!) mi defilo frettoloso di arrivare al bivacco per
cavarmi i ramponi e rivedere l'Hochferner.
Mangiato un boccone, o meglio, finito
quasi tutto quello che abbiamo da mangiare, finiamo anche buona parte
di ciò che abbiamo da bere: acqua in granita. La meta è la birra
ora. Da raggiungersi con fatica però, discesa dalla morena ripida e
friabile, poi sentiero il più possibile, avendo già concordante di
scendere per il 5 tornante adesso, così vediamo com'è.
Arriviamo al cimitero dove siamo
passati anche ieri, ma di sfuggita, e ora osserviamo tutti i nomi e i
luoghi di scomparsa. Toccatina, ma rispetto, e si prosegue, bramando
il sole che finalmente ci colpisce e ci fa spogliare quasi
completamente. Il sentiero scende, ma se scendiamo..addio sole!
Stiamo alti, puntiamo a passare sopra quei cespugli, poi puntiamo
quell'albero e infine dietro a quel dosso dovremmo vedere qualcosa.
L'idea sembra ottima, ma il prato è
infido, sembra il temibile paleo delle Apuane, qui pure ghiacciato in
certi tratti, e io infatti faccio uno scivolone come Giorgio ieri sul
ghiaccio. Ma sto quinto tornante non arriva, che agonia: già
scendere è sempre una palla mortale, oggi che la discesa non è
frutta di una salita, è anche deprimente. Ma eccolo il tornante!
(detta così, pochi secondi, in quei momenti, svariate decine di
minuti).
E al tornante altra lapide con una
bella serie di periti sulle pareti e vie limitrofe, chiaramente
l'Hochferner è primo classificato. Ci torna in mente la signora di
ieri, la gufa, capiamo perchè sia così gufa. Accidenti, c'è una
macchina parcheggiata, qualcuno potrebbe essersi divertito più di
noi oggi.
Comincia la discesa più pallosa,
noiosa, lunga, moralmente estenuante. 50 minuti che sembrano 50 ore,
una strada che perde quota più lenta che una pista ciclabile in
pianura, un sole che picchia invogliandomi a togliere i pantaloni
(sopra sono già a maniche corte), un terreno dura che non è
congeniale alle articolazioni.
Quarto tornante, alleluja, lastrone di
ghiaccio sul quale vedo Cristian quasi pareggiare il conto con le
cadute mie e di Giorgio, ma che si salva in extremis, e poi ancora
giù, giù, giù quasi in piano, era meglio fare il sentiero forse,
al freddo sì, ma più breve. No aspetta, era pieno di lastre di
ghiaccio.. va bene dove siamo.
Finalmente all'auto, finalmente giù lo
zaino, ed ecco l'apparecchiata per sistemare tutti i nostri averi. I
vestiti in auto sono gelidi, e il sole qui non arriva, chiuso dagli
alberi in una morsa impenetrabile, e noi a gelarci! Altro freddo,
ricordiamo la notte trascorsa, questo è niente.
Davanti a una birra e panino prima di
riprendere l'A22 (che accidenti ai mercatini di Natale, troveremo con
code anche oggi) termina una due giorni in cui non abbiamo compiuto
salite importanti, ma abbiamo visitato un gran posto, imparato tante
cose, sperimentato un bivacco invernale, mangiato sassi, e fatto due
buone, vecchie, grasse risate. E pianificato altre salite, of course.
Qui altre foto.
Qui report
Bella avventura, quando si fallisce sembra che ne usciamo sconfitti, solo il giorno dopo apprezziamo ciò che abbiamo fatto perchè in ogni modo arricchisce il nostro "bagaglio" di esperienza.Penso che ognuno di noi che frequenta la montagna, almeno una volta si possa essere identificato nella tua relazione. Christian
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