Concordato con Giorgio e Stefania di
andare a esplorare un posto nuovo, vediamo se andiamo anche a fare una cosa
nuova. Anzi, non nuova, retrò. Meno male ieri sera hanno ascoltato le mie
raccomandazioni: doppio zaino, scarponi, ramponi, piccozza, scarpette
d'arrampicata.
Sosta bar
nel quel di Barzio, con ancora l'indecisione su cosa fare. Ongania o Angelone?
Al parcheggio arriviamo che siamo soli, e ancora il dubbio resta. O
meglio..nessuno vuol parlare. Che io auspichi la Cresta Ongania si sà. Che
Giorgio preferisca delle vie sullo Zucco dell'Angelone, pure. Stefania dopo un
po' salta su dicendo "dai, andiamo a fare l'Ongania!"
Zainone con
materiale d'arrampicata, picca e ramponi, scarponi ai piedi e scarpette nello
zaino, bere e mangiare, giacche che oggi serviranno. Beh, casco, corde, imbraco,
ferraglia e cordame. Cosa manca? I guanti! Che serviranno anche quelli.
Stefania solo ora si rende conto che stiamo partendo da 810mslm e non da 1390mslm
(relazione dei sassbaloss, partiti da Ceresola Valtorta), ma non si poteva fare altrimenti,
indecisi fino all'ultimo con l'Angelone. Oggi si fatica..
La parte
iniziale è tra le più noiose della storia a livello paesaggistico e di
ambiente: una forestale non certo in buono stato, con tratti cementati, dove le
jeep e le moto da cross ci superano di continuo. Ma le conversazioni e le
cazzate che si sparano sono interessanti, tengono vivo il morale mentre
facciamo già i conti con delle temperature poco propense ad arrampicare. E
ancora non sentiamo il vento frustarci!
I tratti
fuori dal bosco regalano panorami verso un Grignone già nudo, sognando i 4mila
alle sue spalle. Regalano anche la consapevolezza dell'aria in moto continuo e
turbolento, ma noi si sale. Oddio, ogni tanto al seguito di qualche lamentela
mi giro per dire "guardate che se volete torniamo giù e andiamo
all'Angelone", ma si ride e scherza. Spero.
Sbuchiamo sulle
poco antropizzate (sono ironico) Piane di Bobbio, ci sono più bar qui che in
centro a Barzio! Fortuna ancora non sono popolati e la ressa è lungi
dall'arrivare: la funivia chiusa invoglia poca gente a salire evidentemente. Ricordo
quando venni qui qualche anno fa a salire il Canale dei Camosci con Marco: appena messo un piede
sulle piste, subito stoppati da un carabiniere "non si può!"
Il Vallone
dei Camosci e i tre Zucconi che lo proteggono dal sole, appare alla nostra
vista, così come il rifugio Lecco verso il quale ci dirigiamo: i miei due
compari di avventura sono quasi senza cibo, dimenticato nell'altro zaino. Beh,
in realtà Stefania crede di aver dimenticato il cibo nell'altro zaino, e per
tutta la salita si maledirà per averlo fatto. La sera, tornati all'auto, si
accorgerà che era soltanto ben nascosto in una tasca. Occhi lucidi alla
scoperta del fatto.
Eccola
l'allieva dell'inconsapevole Gianluca: Giorgio si prende due panini, lei una fetta di torta e una birra, tanto per
cominciare. Scruto la cresta, la neve pare non ostacolare la nostra possibile
salita, nonostante il Canale dei Camosci sia ancora salibile e salito in questo
momento. Solo che questo vento.. Che ci fosse freddo lo sapevo, ma col sole a
questa quota si dovrebbe stare bene. Wind Chill: la bestia appenninica che
sconfina nel Lecchese, questa sì che raffredda.
Finalmente
lasciamo il rifugio, e ci avventuriamo nel Vallone dei Camosci per andare ad
attaccare la cresta nel suo tratto roccioso, tralasciando il tratto erboso
dalla Bocchetta di Pesciola. Scodinzoliamo così tra erbe, mughi e chiazze di
neve sapientemente evitate zigzagando, alla ricerca di una traccia da seguire,
che si trova e si perde, si ritrova e si riperde. Tutto nella norma, il
trekking l'abbiam fatto, ora tocca alla parte alpinistica.
Finalmente
in cresta, ma con la roccia ancora lontana: occorre districarsi in mezzo a
questi bubboni di roccia, pendii erbosi scoscesi e vento che ti sposta. Siamo
soli e continueremo ad esserlo, in questa giornata intensamente alpinistica.
Il sole è
possente, ma nulla in confronto al vento: fa freddo. -3°C con vento a 30km/h ne
fa percepire -10°C. E credo che il vento soffi anche più forte. Ma non ci
perdiamo d'animo, vado in avanscoperta, passando sul lato sud a cercare il
passaggio: giugno a una forcella, ma è cieca, o meglio, cieca per le nostra
capacità e le difficoltà che dovremmo incontrare. Si torna indietro, traverso
su erba scivolosa e risalita di un canalino misto roccioso terroso dove posiamo
saggiare i primi passi d'arrampicata.
Uno sguardo
verso la conca degli Zucconi, ed ecco lassù quella che pare la partenza della
cresta, arriviamo! Ma porca vacca, l'attacco è all'ombra. E al vento. Ma perchè
non ci siamo imbracati e vestiti giù?? La vestizione viene intervallate da
svariate pause per mettere le mani al caldo.
Chi parte
per primo, come ci organizziamo: un'occhiata alla relazione mi fa propendere
per un "Giorgio parti te, 2 tiri, conserva. Poi Stefania, 2 tiri. Poi io,
conserva e due tiri e vetta". Calzare le scarpette sarebbe da congelamento
sicuro. Già ci vestiamo coi guanti e la giacca, tremando quasi, con questo
maledetto vento che non smette. ma io già avevo idea di salire con gli scarponi:
ora anche i miei due amici la pensano uguale. Eh lo Zucco dell'Angelone!
Parte
Giorgio, ma lo vediamo poco, il vento invoglia a guardare altrove per
proteggersi la faccia, poi il sole arriva e acceca, ma non fa in tempo a
scaldarci che già tocca partire. Arrampicare coi guanti, quelli spessi, perchè
fini non servirebbero a nulla. Le anelle dell'imbraco che mi restano nascoste
dietro, troppe maglie e giacche addosso. Questo è alpinismo!
Chiaramente
abbiamo ignorato i resinati a destra, della variante, salendo per quella che
dovrebbe essere la linea più semplice, dopo il sentiero. Di nuovo in sosta
all'ombra, Giorgio riparte per quel bel gradone e poi si nasconde dietro a risalire
un diedro, provando svariate volte la partenza: azz, è duro. Vediamo solo i
piedi, che salgono e scendono, salgono e scendono, mentre noi tremiamo di
freddo.
Ma ecco il
sole che arriva, illumina dietro di noi, che bello che ci scaldiamo
"Potete partire!", mannaggia Giorgio, ma non potevi metterci un po'
di più. Soccia, il tiro non è mica banale! La risata isterica di Stefania me lo
conferma. Con le scarpette vedo almeno una dozzina di possibilità per i piedi,
con gli scarponi ne vedo una, a un metro d'altezza. E dopo qualche tentativo,
tolgo i guanti per avere la sensazione di un po' più grip. Bella storia
l'arrampicata anni 40.
Eccoci dal
nostro compagno, al sole, ma sempre al vento. Non ci da tregua. Ma il morale
resta alto grazie alle cavolate che si continua a sparare e alle prese in giro reciproche.
Giorgio riparte, conserva lunga lunga, tanto eventuali sassi che cadono non
finirebbero su nessuno, e di resinati sparsi ce ne sono. Finisce la corda e
partiamo anche noi.
Camminata
esposta, un po' di I, ma soprattutto un gironzolare in mezzo a torrioni
rocciosi più o meno grandi, cavalcando la sella verso il cielo. Giro l'angolo e
vedo il mio amico laggiù, che sparisce prontamente dietro qualche metro cubo di
calcare. Si risale un canale roccioso dove il nostro amico ha scelto la strada
non protetta mettendo giù un friend, quando a sinistra c'erano i resinati. Che
seguirà Stefania, giustamente.
E rieccolo
Giorgio, ma secondo me..s'è mangiato un tiro di Stefania. Da una forcella si
risale qualche metro per raggiungere la sosta "Giorgio secondo me hai
ciullato un tiro a Stefania" "Ma cosa dici?! Che poi lei mi ha
fregato la pasta al cioccolato al bar!" Chi di pasta ferisce, di tiro perisce.
Dai Stefania, sali ora, che "guarda che bel tetto c'è lassu", hihi,
ma si va a destra.
L'ambiente è
un altra cosa rispetto a una via sportiva. Gli scarponi sono un'altra cosa
rispetto alle scarpette. Lo zainetto con dentro solo acqua e una giacchina e
altra cosa rispetto a uno zaino con ramponi, piccozza, bere, mangiare, giacca,
bastoncini ecc (e me ne accorgerò nel mio camino).
Stefania
parte, gradone e poi arriva sotto il tetto con tre resinati, ma va a destra,
che se no è almeno un VI! La corda scorre scorre, finchè possiamo partire anche
noi. Ben presto si cammina, poi risaliamo ancora un po di roccia per giungere
sotto la sosta. Stefania convinta che ora tocchi a me.. Mi avventuro per
sentiero sulla destra invece che salire la parete sopra di noi, e vedo che i
"miei" tiri sono lontani ancora.
"Stefania,
vai mo su te che è ancora il tuo turno" "ok, io vado di la"
"no eh, te sali dritta per questa parete senza protezioni". E cerca a
sinistra, e cerca a destra, infine su dritta, cercando di divincolarsi tra le
difficoltà a cercare le inferiori. Superata la paretina, la corda scorre, segno
che sta camminando. Viene il nostro turno, e superati questi metri di calcare,
poi scorgiamo la nostra amica laggiu in sosta, e vedo ciò che mi aspetta dopo.
Dalla sosta
riparto io, si scende nell'intaglio e con salto felino si passa dall'altra
parte. Salto che i gatti compiono con nonchalance, la gatta invece (che ha
gambe più corte, a onor del vero) tentenna. Tirone unico che dopo l intaglio e
un po' di roccia scema in camminata e passi di I, fino a giungere sotto il
camino, sotto il quale una bella chiazza di neve conferisce un sapore più
invernale.
Oh bene, si
fa sul serio, vado convinto, coi miei due compari se la ridacchiano mentre io
fatica e non poco a capire come diavolo salire. Ah niente, tolgo i guanti, non
vedo altro modo, passi da gigante (l'aderenza con gli scarponi non s'ha da
fare) e cerco di issarmi per superare questi ostici metri. All'ombra, di nuovo,
dopo che il sole aveva approfittato di un momento senza vento per scladarci. E
lo zaino che si incastra e non permette di girarmi come vorrei fare.
Le
difficoltà poi calano, ma si passa da un IV a un T4: piedi su zolle di terra e
mani ad afferrare ciuffi d'erba sperando le loro radici siano belle solide.
Eccoci alla sosta, ultimo tiro e siamo praticamente in cima. Arrivano anche i
due amici, che hanno ostiato non poco anche loro. Che ridere, adesso che io
sono fuori e loro dentro, tie!
Riparto,
tiro divertente, dalle difficoltà sufficienti a divertirsi ma non estreme da
cacarsi a dosso, solo che le mani stanno patendo l'assenza del cotone e pile che
le ricopriva. vedo la madonna, quella di ferro, non quella di aria, e di nuovo
la vento e al sole posso fermarmi per sostare e recuperare i due amici, mentre
osservo tutto il detrito che sta sopra il camino finale.
Ecco
arrivare anche Giorgio e Stefania, la foto di via oggi può essere sostituita da
una foto di scarponi! Fatte su le corde si cammina verso la cima, assetati e
affamati e ormai un po meno infreddoliti dopo i vari tremori alle soste e i
soffi nelle mani per scaldarle. ma niente sosta, continuiamo per fermarci più
su, perchè l'orario è davvero tardo.
Ormai
abbiamo deciso di scendere per il canalone dei camosci, l'attrezzatura ce
l'abbiamo, usiamola! Così diventa un'uscita davvero completa! La risalita allo
Zuccone Campelli regala ancora dei metri di arrampicata di II/III, piacevole e
appagante. Ma appagante è la sosta ristoratrice in cima, ancora da soli, solo
noi e il paesaggio intorno.
Propaggini
metalliche ai piedi (Giorgio supertecnico oggi: come scarpette le vapor, non
usate, come ramponi i blade runner!) e via giù per un canalone che nonostante
l'insolazione è ancora bello duro! Segno che il freddo, c'è. Scelta azzeccata
scendere da qui, probabilmente meglio della ferrata e senza risalita. Qualche
bel saltino rimanendo faccia a valle e soste ad aspettare i merenderos,
giustamente provati nelle gambe.
In meno di
15minuti siamo alla base di questo breve ma estetico canale, seguiamo il più
possibile la neve finchè c'è e infine pausa per togliere ramponi e vestiti che
adesso fa un caldo che non ci si stà! Si torna a ridere e scherzare, bramando
birre che arriveranno piccole.
Di nuovo in
mezzo all'antropizzazione, jeep che scappano prima che possiamo tentare a
mettere la coscia fuori per chiedere un passaggio, ma un bel silenzio
intervallato da raffiche di vento. Uno sguardo alle spalle, e già si sogna di
fare la cresta in invernale e integrale fino al Barbisio e oltre!
Si torna
sulla noiosa marcia di avvicinamento, cercando di tagliare per una pista erbosa
e sassosa che si rivela un trauma per le ginocchia. Jeep e moto continuano a
sfrecciare, Stefania ha i piedi che van da se, caldo fame e sete, il miraggio
dell'Alva che troveremo chiusa. Le risate da stanchezza sono le più genuine, quelle che hanno
al loro interno la stanchezza e la soddisfazione, di cui oggi abbiam fatto
scorpacciata.
Pare
infinita, invece dura 1h la discesa fino al parcheggio, al quale giungiamo con
la speranza dei famosi calzoni al formaggio che Stefania si sarebbe dimenticata
in auto, e per l'assenza dei quali si è disperata tutta la famelica giornata. Cerca
in auto, nella borsa, l altro zaino, nulla. Occhi lucidi. Poi..guarda nella
tasca del cammel back dello zaino che si è portata sulle spalle tutt'oggi:
eccoli!
L'Alva è
chiusa, troviamo un agriturismo dove entriamo annunciando che abbiam fretta, e
invece resteremo troppo a lungo, ma non ce l'avremmo fatta ad arrivare a casa
senza rimpinzarci! Pizzoccheri, birra e fragola con panna (per me e Giorgio
amarene con gelato, visto che Stefania ha finito la panna). A panza piena, ora
si può scendere. Panza e spirito pieni.
Una giornata
davvero formativa: trekking, dislivello, temperature, vento, sole, arrampicata
con scarponi, tratti in slego e tratti di vera arrampicata, cresta esposta,
discesa su neve. Quando ci ricapita?!
Qui altre
foto.
Qui la
relazione seguita e con la quale ci siamo ritrovati.
Qui la
guida.
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