Fosse per me
terrei i ramponi ai piedi e le piccozze in mano dal primo gennaio al 31
dicembre. Ma la materia prima scarseggia in certi periodi, e la roccia diventa
d’obbligo. Non che mi faccia schifo, anzi mi piace anche! Ma siccome serve più
tecnica che fisico..mi ci ritrovo un pelino impiccato. Occorre riprendere in
mano la situazione per prepararsi alla stagione.
Da una
settimana Nicola me la
mena con questa via in Liguria, va bene, questa volta non oppongo remore sulle
difficoltà ben oltre la mia portata, ci provo, mi violento, l’importante è che
tu caro amico mio, stia pronto coi paranchi per issarmi quando non ce la farò.
Ma alla fine rimaniamo solo io e lui, e si “rimedia” con una vietta in Pietra
di Bismantova: lì dovrebbe splendere il sole, altrove nuvoloso o pioggia.
Eccoci al
parcheggio, solo noi, un paio di ragazzi neofiti ai quali diamo qualche dritta,
e mezzo parcheggio transennato riservato al motoraduno protetto dalle guardie
ecologiche: ma che cazzo centra una guardia ecologica con centinaia di tubi di
scappamento?! E il cielo non è proprio limpido.
Ci
incamminiamo, uno sguardo al recente crollo, e via dritto verso l’attacco della
Via del Diedro: Nicola ieri l’ha proposta, io non ho manco guardato le
relazioni. Che fosse la via in Liguria o da qualsivoglia altra parte, so che
oggi mi sto violentando per dare credito al mio amico, e per di più essendo che
siamo rimasti solo io e lui, gli salvo l’uscita. Poi diciamocela, cerco di
violentarmi per alzare il grado.
Siamo presto
all’attacco, da soli, una zona della Pietra poco frequentata, e meno male, ci
si passa per andare alla ferrata più che altro. Nicola ha già fatto due volte
questa via, finendola una sola però. Primo tiro di 5c, ben spittato (è anche un
monotiro), ok dai parto io, proviamo. La Pietra di Bismantova è un amore odio,
arrampicata tecnica, di piedi, con appigli svasi e sabbiosi.
E il tiro si
rivela già essere un buon bastonatore per il mio stato di forma e bravura. Come
prima via della stagione sapevo mi avrebbe bastonato di sicuro, ma non so se
nemmeno alla fine della stagione riuscirei a farla pulita. In un tempo immemore
salgo, faccio “solo” un paio di resting, d’altronde l’arrampicata in diedro,
spaccata sostituzioni sali, è arrugginita. Soccia che sosta scomoda.
Forza
Nicola, Vieni verso l’alto come un gatto e vai alla conquista del secondo tiro.
Parte, ma prima di arrivare al secondo spit/chiodo (bello in alto), stacca un
comodino di roccia che mi liscia la parte sinistra, che paura. Fortuna sotto
non ci fosse nessuno. Mmm che due maroni la roccia così friabile! Mantiene il
sangue freddo e arriva alla sosta.
Si vede già
il terzo tiro, il chiave, bagnato. Arrivo alla sosta non senza arrancare e non
senza la consapevolezza (speranza?) che ci caleremo perché sembra davvero
troppo bagnato il prossimo tiro, e anche Nicola lo teme come una bestia nera.
Il primo tiro poi è ben spittato, ma gli altri per nulla, e alcuni chiodi
vecchi non ispirano troppa fiducia. Va beh dai, scenderemo a farci una Zuffa
Ruggero, quella dovrei riuscire.
No,
proviamo. Ok Nico, non so se poi riesco a salire, ma vai che non voglio
limitarti. E dopo pochi metri ha in mano un altro lavandino di roccia: qualche
urlo per scambiare messaggi di attenzione con chi sta sotto, e poi giù un altro
lavandino. Un friend, un cordino su un cespuglio secco, sbuffi e sbuffi, ed
eccolo che arriva allo spit dove giace una maglia rapida che fa intuire dove
tanti si fermino.
Delicato,
bagnato, tecnico, è poi un buon 6a questo tiro. Ma Nicola no, determinato,
quest’anno ha davvero le carte in regola per fare della roba da ufo, continua,
lo vedo anzi destreggiarsi con ottima tecnica su questa fessura-diedro obliqua
strapiombante. Poi sguscia fuori, non lo vedo più, sono fottuto, mi tocca
salire.
È lento
adesso, si muove circospetto: una sosta sulla destra lo fa titubare, ma lui si
ricorda sia a sinistra. Pilastrino sprotetto, facile ma friabile, e arriva in
sosta. Volevamo fare dell’A1? Magari non sarà A1 la mia salita di questo tiro,
ma qualcosa di più di un A0 di sicuro. Vacca se è dura. Mi violento e
riviolento, anche le scarpette non sono troppo in sintonia con un piede che da
un po’ non ne aveva l’abitudine a stare così stretto e arcuato.
Arrivo in
sosta, mosso solo dal sapere che il tiro più duro è questo, che superato questo
è quasi fatta. Non fischietto molto, non faccio il ganzo come al solito: oggi
orecchie basse e schiena china a prendere le bastonate. Il prossimo tiro lo
posso fare anche io dice a Nicola, corto, facile, è un 4b mi dice. Va bene dai.
Mi viene in
mente Gianluca, quando in
Piccole Dolomiti trovando un III in strapiombo tirava accidenti a tutte le
catene montuose nell’arco di 100km. 4b con partenza in strapiombo accentuato e
poche mani, un mezzo boulder insomma: saranno anche pochi metri, ma se non
passi non passi, e se cadi addio caviglie. Passo, e mi ritrovo su un pilastrino
friabile, fuggo verso la sosta.
Sosta che
spero sia sulla parete, e non su questo blocco di arenaria infisso da una
spaccatura che rende chiaro che in tempi umani e non geologici, cadrà. Questa
via fatta una volta è già abbastanza. Bella quanto vuoi, ma alla faccia del
sapore alpinistico.
Mi faccio
già due risate sarcastiche (in realtà so che sono anche cazzi miei) nel pensare
a come diavolo passerà Nicola in mezzo a quei rovi per andare sotto al diedro
finale. Ma lui non se ne preoccupa molto, anche se ammette che quest’anno è
davvero infestato. Ci vorrebbero le cesoie. Lui ha solo il coltellino, ma un
po’ a decespugliare ci si mette, altrimenti non passa.
Freeclimbing
e treeclimbing per potature, si inizia con un traverso delicato e friabile per
passare sotto al cespuglio (speriamo che i tempi umani di cui sopra aspettino
almeno qualche ora..), poi si risale a nuotare in mezzo alle sterpaglie. Nicola
si ferma a piegare e tagliare il possibile, far passare la corda sopra i
cespugli. Poi inizia a viaggiare, devo ammettere che vederlo arrampicare è
quasi uno spettacolo. Avesse altri “attributi” fisici, sarebbe meglio, ma
questo mi ritrovo.
Alla fine
con questo tiro esce, chiama me, inizio su questo delicato traverso, la corda
che passa sopra devo farla tornare sotto, mi impiglio nei rametti, lo zaino, la
faccia, che cazzo! Che faticaccia, ma bello. Il diedro poi è da gambe aperte spalancate
con sotto il vuoto. Ancora non ho preso bene confidenza con la tecnica, ma sono
più disinvolto.
Nella parte
finale occorre prestare di nuovo attenzione a un terreno sporco, canale di
scolo della sommità, con passaggio finale in “camino” stretto, e alla fine sono
fuori anche io. Ora si che inizio a ridere a scherzare come mio solito! Le
bastonate sono finite, sonore, riecheggiano ancora nella mia mente, ma sono
passate. Grazie Nicola della pazienza e delle dritte.
Il cielo è
plumbeo, la fame e la sete grandi, scendiamo verso il Rifugio della Pietra per
birra e panino. Birre in realtà, perché visto che adesso la media è diventata
una 0,3l (che incazzo) è doveroso prenderne tre in due, così che te ne bevi
almeno 0,45l. Altro tirello? No, io sono mangiato e bevuto, e soddisfatto di
essere salito anche se non pulito.
Quattro
lunghe chiacchiere e poi giù alla macchina, ma la voglia di arrampicare è
ancora viva in entrambi, perciò ignorando l’auto ci dirigiamo verso il sasso
che fa da rotonda all’accesso del parcheggio per fare un po’ di boulder
strapiombante. Però che rugosità questa roccia! Mi faccio pure una stigmate per
colpa di una presa. Con “aiuti” e spinte dal basso cerchiamo di fare almeno
qualche passo per fiaccarci a dovere. Caffè corretto all’altro bar, e siamo a
posto per oggi.
Qui altre
foto.
Qui report.
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