sabato 11 aprile 2015

E doveva esser come assaggio: Scottish Nord della Tour Ronde

Il tanto agoniato weekend sul massiccio del Monte Bianco è arrivato! Ormai da un mesetto ci facciamo delle pippe spaziali sul posto, su cosa poter fare, sulla spettacolarità di passarci tre giorni in compagnia. E quando Nicola e Cristian decidono (buon per loro) di fare tutto in infrasettimanale, io e Gianluca ci diciamo “dai, andiamo per i fatti nostri”. I tre giorni diventano due a causa di problemi al lavoro di Gianluca, ma c’abbiam voglia di provare, perciò si va!
Arriviamo presto a La Palud, vogliamo prendere la prima benna per fare qualcosa già oggi, talmente presto che anche la barista alla nostra cortese domanda “possiamo entrare” ci risponde con un “lasciatemi aprire almeno!”. Carichi come dei muli (tanto si fa tappa al Rifugio Torino) ci mettiamo in fila per la cassa della funivia: non c’è nemmeno tanta gente, ma chissà quante guide hanno prenotato, e non ci va di perdere mezzora.
E invece tac, la prima benna salta dopo i primi tre paganti, siamo sulla seconda. Il meteo.. Partiti con delle previsioni che davano possibilità di nevischio nella serata nottata di venerdì poi sole, arriviamo che in alto si vedono nuvole sventolare: ma va bene dai, sarà la debole perturbazione in ritardo ad andare via. La funivia parte veloce e piena di alpinisti e sciatori: si sale verso il paradiso.
La salita in funivia ce la godiamo poco, troppo smaniosi di fare qualcosa di serio, i 200 e passa gradini che portano al Rifugio Torino Nuovo ce li beviamo (beh, circa..), facciamo presente il nostro arrivo e depositiamo la roba che non ci serve, ma forse non abbastanza. Bene, si va, usciamo dalla porta e affacciamoci sul Massiccio del Monte Bianco.
Uno spettacolo rimandato a domani. Le nuvole coprono le cime più alte, il Dente del Gigante si lascia appena intravedere, ma per ora almeno il sole sul ghiacciaio c’è, meglio mettere gli occhiali da sole. Sulla pista del gatto delle nevi (che serve per la discesa sul ghiacciaio del Toula) scorriamo verso il balcone panoramico del Glacier du Geant. Notiamo una tenda al Col des Flambeaux: la sera al rientro al rifugio scopriremo essere quella di Tarcisio Bellò.

Bam! Capucin, Maudit e Tacul davanti a noi! Tagliati a metà dalle nuvole va beh, ma sono loro. Numerose tracce, numerosi scialpinisti (uno di questi come se niente fosse passa sopra la corda che ci lega: non c’è proprio più rispetto per nessuno, che schifo) ma anche sciatori. Si va verso la Tour Ronde. È la dietro, si scorge un pezzettino, si scopre piano piano.
La parete Nord della Tour Ronde è valutata D, pendenze di 60°, facili passaggi su roccia, 350m. Sulla carta la Ruga dello Zalica è più dura, quindi siamo tranquilli. L’abbiamo scelta come salita per prendere confidenza con l’ambiente, così rientriamo presto al rifugio e vediamo cosa fare di serio domani. E invece orecchie basse al rientro..
Scendiamo quella che al ritorno sarà l’ultima agonia della giornata, verso una strettoia tra i crepacci, che ora essendo coperti sembrano innocui, ma che d’estate devono essere dei mostri. Le ciaspole non le abbiamo ancora calzate, coi ramponi è sufficiente: arrivati non troppo distanti dalla nostra parete osserviamo una traccia verso sinistra, sciatori che ci salgono, un paio di sci e una splitboard abbandonati. È la traccia della normale!
Sci e splitboard sono di due ragazzi che alla funivia parlavano del Pizzo del Becco e di altre mete orobiche dove vorrei mettere il naso ma fatico a trovare compagnia, che dicevano venivano anche loro a fare la nord, perciò anche noi lasciamo qui le nostre racchette per riprenderle quando scenderemo.
Eccoci sotto la parete, inizia a nevicare. Va beh dai,smetterà, il sole non è lontano, si intravede, e il meteo lo davano buono. Ci armiamo di tutto punto e osservando il ravanamento della cordata dei due orobici e di tre piemontesi, ci dirigiamo verso la terminale.
Gianluca davanti, oggi non mi ha dato il tempo di discutere su chi sta davanti e chi dietro, forse ha paura di tirarsi il collo e preferisce fare lui il passo, glielo concedo, domani voglio spaccare il culo ai passeri! Si appresta a passare la terminale, non è molto leggiadro, ma posso capirlo, d’altronde è sempre un bel gradino con sotto un bel buco dal vuoto ignoto!
Le cordate sopra di noi non sono velocissime, fanno addirittura sosta.. 350m ce li beviamo su! La corda finisce, parto in conserva lunga, sulle rocce lassu il mio amico qualche protezione l’ha messa. Neve mica tanto spassosa, una spanna in cui sprofondare, non proprio quello che si potrebbe desiderare. E sempre più neve dal cielo. Nuvole, visibilità a 50m.
Osservo alla mia destra questa fantastica roccia che è il granito, nonostante Gianluca io non vedo l’ora di provare a fare del misto (semplice) per prendere dimestichezza con questa materia che spero incontrare sempre più nella mia vita. E man mano che salgo è anche sopra di me, ma vista la posizione “in linea di gravità! Tra me e lei, spero non incontrarla!
Scorgo gli altri sopra di me, i piemontesi sulla sinistra, Gianluca sulla destra in sosta, il ghiaccio davanti a noi. Quella che considero la prima parte della salita è finita, giudizio: speriamo migliori. Neve non trasformata, con sotto ogni tanto del duro. Ma ora addirittura del ghiaccio! Non me l’aspettavo, non a inizio aprile almeno..
Infatti quasi tutti i chiodi sono nello zaino, solo tre miei e cinque di gianluca all'imbraco, e ho le muffole al posto dei guanti con le dita. Ma la sosta è troppo scomoda, dai salgo un pochino e su quel terrazzino mi sistemo in qualche modo e tiro fuori il resto. Siamo anche legati con solo una mezza, d’altronde si pensava salire tutto in conserva, non a tiri.
Il ghiaccio nella primi 25m è anche discreto, un po’ lavorato, da fiducia. Qualche vite la metto giù: mezza impresa con le muffole, meglio toglierle e poi reinfilarsele. Alcune sembrano anche buone, altre invece..meglio non pensarci. Vacca che bell’ambiente, ma si vedesse qualcosa sarebbe meno scottish!

Arrivo a una bella sosta a spit con anello di calata, occupata però da uno dei ragazzi piemontesi. Salgo ancora un po’, così accorciamo i tempi, ma almeno ci rinvio qui. Poi torno giu ad allungarlo perché fa troppo attrito. Si continua nella nebbia e sotto una debole nevicata, col sole dietro un velo di nuvole.

Il ghiaccio diventa bello spaccoso, le viti non danno per nulla fiducia, le rocce sono lontane per cercare di fare sosta, due maroni. Ogni tanto una scarica di neve dall’alto..ma siamo ancora sull’ordine di spindrift “ingrassati”.
Sento Gianluca che mi informa di avere poca corda, ma una sosta a viti è impossibile, devo arrivare alla roccia. “5m!” sta a vedere che ci tocca andare in conserva..mi odierà per tutta la vita! Poi per mezzo miracolo arrivo a uno spuntone dove trovo uno degli orobici, che parte appena prima che io attrezzi la sosta al suo stesso modo: uno spunto basso, che devo tenere ben trazionato col mio peso o il cordino si sfila. Metto un friend a “tappare” la fuoriuscita, ma cerco con i piedi di stare basso.

Una delle soste più scomode della mia vita, con le ginocchia piantare nella neve al freddo, il gigi per il recupero basso e faticoso. E giù scariche. Sopra di noi a sinistra due meringoni (Vaio dell’Uno remember), alla loro sinistra scendono scariche di neve che sono una via di mezzo tra spindrift e valanghine (Verte remember), alla loro destra l’uscita verso la terza parte della parete Nord. E il meteo non migliora.

Inizio a valutare la ritirata. Scendere in doppia possibile? Forse, ma non fino alla base. La terminale sarebbe da superare in conserva. E la sotto di certo le scariche sono ingrassate dalla restante neve che raccolgono in parete. Davanti a noi abbiamo almeno due cordate che conoscono la discesa, alla vetta manca poco e il resto è “facile”, la discesa sarà tracciata anche da chi ha fatto la normale e chi ha fatto il Gervasutti. Meglio salire.
Ogni tanto avviso chi sta sotto che arrivano delle scariche di neve, Gianluca mi raggiunge, lo sento che si lamenta dei polpacci, ma gli dico che ora tocca a lui proseguire. Il ghiaccio ormai è appoggiato, solo l’uscita dal canalino potrebbe essere un po’ ostica, ma è un passo. Io è meglio che tengo la sosta “bassa”.
Parte, si incrocia un po’ coi ragazzi piemontesi, altre scariche di neve ma sempre sulla sinistra, lontane dalla nostra salita. Supera il passaggio, è fuori, va a cercare un buon punto per sostare: intanto un po’ di scariche scendono anche sopra di me, poco spassoso, ma sono ancora piccole. Sol che usciamo da qui.

Tocca a me, parto bello contento e felice dell’imminente uscita. Arrivo al canalino, sarebbe anche un bellissimo passaggio, non fosse che adesso le scariche scendono anche da qui! E una lieve, e un’altra, e poi una bella grossa, proprio mentre sono in posizione a 85° (era più facile a destra, ma da secondo ho pensato “perché no?”): giro la testa perché non respiro con la neve in faccia, che non si ferma, un flusso lento, di poca portata, ma temporalmente lungo!
Abbasso un braccio alla volta per svuotarlo dalla neve accumulata, scuoto il capo, vacca bestia quanto mi sento pesante! Merda, ma sono su una corda sola, quella su cui è passato lo sciatore.. Sol che finisca.. Chi sta sopra di me, mi avvisa che sta finendo. Svelto come un gatto, piede su roccia, trazione su neve (a cercare quella buona) e via fuori!
L’uomo delle nevi esce dal budello, in piena parete. I ragazzi piemontesi sono subito lì, Elena (credo, spero ricordarmi il nome) dopo una foto che se la ride mi fa “oh, scusami, a vederti così è simpatica la scenetta, ma solo ora capisco che non devi aver passato dei bei momenti” “vai tranquilla, ora ci rido anche io, prima no”.
Raggiungo Gianluca, sopra di noi sempre grigio, due ombre in mezzo alle rocce di destra, meglio non passare in piena parete a sinistra. Sai che c’è? Tiriamo fuori l’altra corda, i guanti buoni e i fittoni, vaffanculo. Passa un po’ di tempo, scariche alla nostra sinistra continuano a scendere, ma noi saliremo stando a un po’ a destra, vicini alle rocce, dove gli accumuli dovrebbero essere minori.
Riparto io, il tiro finisce e poi si va in conserva, protetta con fittoni di dubbia tenuta. Raggiungo uno spuntone coi tre ragazzi, sfrutto un loro cordino per la sosta. Non fosse per il meteo e tutto ciò che è successo poco fa, sarebbe anche una salita tranquilla. Sarebbe, oggi direi di non lo sia.
Gianluca arriva, non si sa da dove visto che è avvolto dalla nebbia, poi riparte e continuiamo come prima, si inizia con un tiro e si prosegue in conserva, proteggendosi quando possibile. Meno male abbiamo portato i friends! La corda finisce, parto anche io, lui chissà dov’è, la visibilità è inferiore alla lunghezza delle corde. Ah eccolo, sosta a prova di bomba su uno spuntone esagerato. Ma la rinforzo con un altro.
“oh ma sta cazzo di cima dov’è?” resta da fare un traverso, anche lui facile, ma oggi l’impegno psicologico è ben al di sopra delle attese. E adesso abbiamo pure il vento che ci sferza. Proseguo io, un friendino poi più nulla, affascinato dalle piccole guglie granitiche proseguo verso una crestina nevosa che sfocia sull’uscita del Couloir Gervasutti, forse era meglio salire quello oggi.
I tre piemontesi mi suggeriscono di stare più basso, eseguo, faccio sosta che la corda è al pelo della lunghezza. AH ecco, quello deve essere il torrione sommitale, quella la paretina con del 4c che avrei voluto salire ma che è meglio lasciare perdere. Recupero il mio amico, dai ormai è fatta! Siamo quasi sullo scherzoso adesso. Ma non dire gatto..
Arriva, scende facendo passare la corda in mezzo alle rocce come protezione veloce e arriva sulla cengia: prosegue a cercare un punto migliore. Lo raggiungo, il vento inizia a rompere le balle, sento che la mia barba sta accumulando una discreta dose di umidità solida.
“siamo pochi metri sotto la cima, quelle saranno di sicuro le tracce di discesa, però dai, 5 minuti e siamo su!”, mi concede la salita. Pochi metri, ma oggi sembrano tanti. Pendio nevoso e poi a destra su rocce consumate dai numerosi passaggi, vedo la madonna! Quella di ferro, non quella in modalità “fantasma”. Uno spit per recuperare il mio amico ed è fatta.
Vetta della Tour Ronde! Ma quanto ce la siamo sudata!
Non si vede una fava, nevica e tira vento. Non abbiamo bevuto per tutta la salita, scendiamo qualche metro e beviamo perché così ci stiamo disidratando troppo. So che è tardi, ma non credevo così tanto. Le 16! Due boccotti a una barretta e via giù verso la cresta alla ricerca delle tracce.
Il vento lavora, fischia se lavora, e rompe le palle, fischia se rompe le palle! Ogni tanto, ma più ogni che tanto, la visibilità da 30 passa a 150m lusso per noi che possiamo capire un po’ meglio dove si va. Già perché il vento cancella le tracce di chi ci ha preceduto a una velocità spaventosa, e ora ce l’abbiamo tutto in faccia. Il ghiaccio sulla barba aumenta: se provo a mangiare qualcosa, ho le mascelle bloccate.
 Le tracce nella cresta nevosa finiscono e scendono tra le rocce, neve e ghiaccio verso sinistra, la direzione è giusto, ma alla faccia dei 40°! Parecchi tratti li scendiamo faccia a monte, neve pessima , un po ghiaccio, e un vento che non ti permette di guardare verso valle, sono un mix perfetto per una discesa scomoda.
Vedo un cordino di calata, ma le tracce, vistose fin qui, proseguono giù, sembra non troppo complicato: evitiamo la doppia. Sembra infinita questa discesa, un’epopea! La roccia sembra finire, la pendenza sembra calare, ne siamo contenti, ma sbagliamo alla grande. Prima in qualche momento laggiù avevamo visto delle figure, ora non più.

Ora siamo su neve bianca, immersi nel grigio nuvole, frustati dal merdoso vento. Vento che cancella le tracce, visibilità pressoché nulla, cerco di essere svelto a seguire quel poco che vedo per scendere fino alle ciaspole, dopo ci sarà il pistone di stamattina li, e saremo tranquilli.

Gianluca mi chiede spesso se vado alla cieca o se seguo qualcosa. Se fossi alla cieca mi pianterei dove sono ad aspettare che rischiari: pensare di avventurarmi su questo ghiacciaio tormentato non è il massimo dell’aspirazione. È inconfondibile il passaggio sopra alcuni crepacci, avviso il mio amico che si solidifica al suolo prima del mio passaggio.
Ma uno non lo vedo e ci finisco dentro! Per fortuna poca roba, gamba sinistra a penzoloni, la destra che non si sa come ha i ramponi frontali piantati in qualcosa, le picche che davanti a me cercano qualcosa di solido. Ne esco a gattoni.. Uno scorcio e vedo le ciaspole, la direzione è giusta.
Circa. Stiamo seguendo una traccia, l’unica, che taglia più in alto verso destra. In un punto non la vedo più, poi riappare, sospiro di sollievo. So che le ciaspole si allontanano sempre più, sento già il mio amico che dice “le lasciamo poi li”, ma io “No dai, ci andiamo, si fa presto”. Ci allontaniamo sempre più, ora le vedo belle lontane, dalla parte opposta del rifugio. Le lasciamo li, ci torniamo poi domani.
Finalmente, ma davvero finalmente, arriviamo nella zona in cui sappiamo esserci il pistone, ma anche quello parecchio cancellato. Ci avviciniamo, dovremmo essere fuori dai pericoli maggiori, ridiamo dell’abito invernale che hanno assunto le nostre facce e i nostri vestiti!
Ma tutto il rientro è fatto affondando fino a caviglia o ginocchio nella neve, una fatica.. Due sci alpinisti risalgono con noi verso il Flambeaux, ci si da una mano a orientarci (si ironizza sulla mia barba), poi ne vedremo altri tre ben dietro di noi. Due al rifugio ci confesseranno essersi riusciti a orientare grazie al punto fermo rappresentato dalle nostre ciaspole!
Gianluca è cotto, la risalita è un’agonia. “oh ma io sprofondo!” “ma come è possibile Gian, io peso più di te, ho uno zaino il doppio e sono davanti!”. Inizio ad adottare la strategia di Moro: conto 30-40 passi poi mi fermo 25s a riprendere fiato. Nemmeno io sono una rosa, anche se in realtà il fastidio maggiore è la spalla destra, forse lo zaino oggi era regolato male.
La salita spiana, ma ancora ce ne è un po’. Dai forza, alleluia, la pista del gatto delle nevi! Ora sì che è finita. Rientriamo al rifugio lungo una strada che sembra dieci volte più lunga di stamani, dove solo ora notiamo un tratto di risalita.
Alle 18e47 siamo al Rifugio Torino, Gianluca “questa è di gran lunga la giornata più faticosa che abbia mai vissuto, tra impegno fisico e psicologico non ci ha mollato mai”. Cerco di scrollarmi il ghiaccio dalla barba ma non è facile.
Al rifugio troviamo Omar e Tarcisio, due chiacchiere mentre uno si cuoce i tortellini e l’altro si dirige verso la sua tenda, mentre noi ci spogliamo di tutto per poi infilarci in fretta a tavola. Li ritroviamo i tre ragazzi piemontesi che non avevano programmato di passar li la notte ma scendere in funivia, solo che..la montagna non l’ha concesso.

Qui altre foto.
Qui report.
Qui domani.

2 commenti:

  1. Bravi...e bel racconto! rende bene l'atmosfera della giornata.
    Un saluto dalla cordata orobica! (rientrati a Chamonix con le frontali)
    Tax

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  2. oh pero tax, anche per voi giornatona allora!!

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