Ci sono quei
weekend che partono con grandi aspettative, le quali spesso sfumano in una
bolla di sapone a volte all’ultimo momento, a volte a causa di madre natura.
Che poi si ritirano su in modo insperato, spesso grazie a madre natura.
L’alpinismo d’ambiente è spesso romantico anche per questo: un corteggiamento
nel quale confluiscono una miriade di fattori, di “protagonisti”, ognuno col
suo fondamentale ruolo, ma solo se tutti partecipano in modo proficuo allora la
conquista può dirsi tale.
L’inizio
della settimana era partito con idee davvero toste e appetitose, poi sfumate
all’ultimo. Repentini cambi di programma che hanno messo a dura vari
equilibri.. Alla fine siam qui, alle 2:15 davanti casa di Gianluca, dopo esser
uscito di casa con gli ultimi strascichi della notte bianca del mio paese: noi
partiamo mentre la movida è ancora in fibrillazione.
Il solito distributore dimetano stranamente rotto negli orari notturni ci obbliga a una prosecuzione a
benzina agli sgoccioli. Salendo al Passo Rolle una buona serie di caprioli e cervi ci sbarra la
strada, così come un semaforo dei lavori in corso che Gianluca non vuole
rispettare. A volte anche il viaggio in auto fa parte di un avvicinamento.
Ed eccoci
abbandonare la strada asfaltata per Passo Valles e prendere la ghiaiata per Malga Venegia, con Gianluca certo che
si possa parcheggiare proprio dalla malga: ero dubbioso (vedi giretto invernalepassato), ma in effetti un parcheggio è segnato. Tac, sbarra subito, si lascia
l’auto proprio dove avevamo bivaccato l’inverno passato. Si aggiunge 1km, e un
paio di bestemmie di Gianluca.
La luna ancora alta, ma il giorno ormai incombe, vacca boia se è tardi. La colazione al
sacco va male: le svedesi di Gianluca ok, ma il mio caffe latte con latte di
soia sembra abbia cagliato, un thermos da buttare e una colazione da
dimenticare. Che strano però. Forza, in marcia adesso, che siamo già in
ritardo. Lasciamo le ciaspole in auto speranzosi non servano, così come la
frontale, sulla quale non ho dubbi che non servirà, anche se il mio amico è già
li che ipotizza un rientro all’auto alle 17, boh.
Iniziamo
prendendo il sentiero che evita la strada, un gironzolare a vuoto in mezzo al
bosco, una chiazza di neve invoglia a tastarla immediatamente per saggiare se
stanotte ha rigelato o meno. Freddo c’è freddo, ho messo i guanti per le dita
congelate. La neve è dura, ottimo! Questo infonde fiducia.
Usciamo dal
bosco, si rimette piede sulla strada, Malga Venegia sopra di noi, e il Canale
Nord dei Bureloni già la davanti a noi. Non c’è che dire, estetico è davvero
estetico. Sembra in piedi, ma in realtà la pendenza è mediocre, più ripido la Ruga dello Zalica in
certi tratti ad esempio, ma più vado avanti nella mia esperienza e più realizzo
davvero che i fattori che concorrono alla difficoltà di un itinerario vanno ben
al di là della normali relazioni che si possono trovare. Il campo la fa da
padrone.
Si vede bene
anche il Passo del Travignolo, altra meta sognata dal mio compagno di oggi, ma
pare ci sia una certa cornice a ornarlo: e in effetti al ritorno con la luce
del sole possente si noterà una cornice mastodontica anche da lontano!
E il Cimon
de la Pala, così estetico da Passo Rolle, così anonimo da qui: una cresta rotta
ma senza guglie definite, visto da qui sembra una montagna come le altre. Anche
se stamattina acquista una nota di bellezza anche da questo versante, con la
luna che standogli a fianco lo ribattezza “Cimon de la Luna”.
Intanto
continuiamo a percorrere questa lunga forestale, resa non noiosa solo dalla
bellezza e quiete della Val Venegia. Per arrivare alla base del conoide
valanghivo ghiaioso detritico crolloniti, sono 4km di cammino per un dislivello
di ben 240m! Finalmente ci siamo sotto, sono le 6:20. Gianluca comincia a
risalire il ghiaione mentre io mi concedo una sosta di alleggerimento.
Parto anche
io, districamndomi in mezzo a queste mini morene figlie della a volte lenta a
volte veloce ma sempre possente, forza del fluido che ci mantiene in vita:
l’acqua. Vedo il mio amico lanciarsi subito nella lingua di neve, ramponarsi e
partire con quegli attrezzi che non vorrebbe mai abbandonare, mentre io trovato
il sentiero cerco di seguirlo il più possibile.
Così gli
passo davanti senza nemmeno che lui se ne accorga, ma a un certo punto mi pare
che il sentiero punti troppo “altrove”, improvviso una salita tra erba sassi e
terra, finchè non mi ritrovo sopra la lingua di neve su cui sta risalendo
Gianluca. Mi raggiunge mentre sono ancora li che mi preparo, e continua la sua
salita, “tanto mi riprendi”.
Pronti via
anche io, per ora solo una picca e un bastoncino, la pendenza è lieve e la neve
buona. Certo che notare su questo pendio varie linee di frattura che
assomigliano a crepacci, non mette di buon umore: notare il distacco di una
valanga di fondo appena alla nostra destra, brrr. Ma dai, è mattina presto, più
di così che dobbiamo fare per abbassare il rischio?!
Intanto il
canale è sempre li davanti a noi, bello slanciato e incassato tra due paretoni
di roccia. Tre persone lo stanno già salendo e una scendendo, allora non è così
“fuori moda”. Chissà dopo il mio report se le peste sulla sua ottima neve
aumenteranno in modo esponenziale, “franza style”.
Raggiungo
Gianluca mentre una ragazza sconsolata scende (scopriremo poi far parte del
gruppo che sta salendo, anche se non ci è chiaro perché lei scenda mentre gli
altri salgono), ci avviamo verso quello che si potrebbe definire il vero
imbocco del canale visto che qui si incassa nella dolomia.
Via il
bastoncino e fuori l’altra picca, si inizia a far sul serio adesso. La rigola
invoglierebbe a entrarvi dentro per sfruttare quella che dovrebbe essere la
neve migliore che si possa trovare in uno scivolo di neve, ma la sua qualità è
dovuta anche al fatto di essere l’imbuto di tutto quello che può scendere: non
troppo sano starci dentro, e poi anche fuori la neve è buona.
In punta di
piedi. Fino dall’inizio la neve si è rivelata dura, con picchi di marmo e nella
parte alta del canale qualche decina di metri dove si creava la pedana da mezzo
piede, ma altrimenti quella goduria di condizioni che si traduce in polpacci in
fiamme. Poi pendenza a metà via tra picche in appoggio e picche in trazione,
quindi sì, oggi le gambe hanno funzionato.
La salita
non è certo tecnicamente difficile, ma la bellezza dell’ambiente la rendono di
soddisfazione. Il mio modo di vedere l’alpinismo, di sentirmi appagato da
quello che faccio, sta sempre più avvicinandosi alla bellezza del posto
piuttosto che alla difficoltà della via. Vedasi il Vajo dell’Acqua, facile, ma che spettacolo il
tappeto di nubi sotto.
Saliamo,
numerose e brevi pause a prendere fiato. Da lontano avevo avuto il sospetto
fosse quello che temevo, ora che gli sono vicino ne divento sicuro: quel
bastone che si vede a metà canale piantato nella neve è uno sci, e temo di
capire perché si trova li così, abbandonato in un posto senza senso. Ma il
senso credo ci sia. Condoglianze.
Lo sguardo
si alza spesso a osservare le pareti a destra e sinistra, a indovinarne punti
di debolezza per una salita, per una via di roccia. Ma si può aver voglia di
fare tutto? Salire ramponi a i piedi e apprezzare anche le scarpette? Il freddo
della materia bianca e il tepore della materia marronicna.
Salendo
avevamo osservato chi ci precedeva spostarsi sulla destra, e così facciamo
anche noi: ciò ci permette di trovare una pendenza leggermente più marcata e
una protezione da quello che ogni tanto cade dall’altro del canale (certo, se
qualcosa cade dall’alto della parete alla nostra destra, gli siam sotto).
E meno male,
a un certo momento una scarica di pezzi piccoli ma numerosi inizia fischiare, corriamo verso la parete quasi a
rannicchairsi sotto a lei. Finita. Un veloce scambio di opionioni “scendiamo?”
“ormai mi sa che facciamo prima a salire”, siamo ben a più di metà.
Infatti pare
di vedere l’uscita lassù in alto, contornata da una vela di roccia stile Vallaccia, un tocco
di estetica in più. Proseguiamo, mi giro a fare qualche foto al mio amico che
si lamenterà della neve “vedi, la neve era ottima per tutti, ma avrei preferito
fosse più sfondosa, così te davanti facevi dei bei pedanini e io facevo meno
fatica”, l’altruista.
Eccoci
avvicinarsi all’uscita, sinistra centro o destra? Meglio sinistra, più al
riparo dalle scariche di una parete esposta al sole. E poi si nota che anche
chi ci ha preceduto è uscito di qui, e dall’alto vedremo poi che l’uscita a
destra è notevolmente più ripida, ben al di fuori delle difficoltà dichiarate
dalla via originale.
Almeno
questo pezzo che contorna la vela presenta una pendenza che si accentua di più,
si possono usare le picche in trazione (ci ho provato sotto per essere più
svelto, ma sembrava di sdraiarsi sulla neve), si trova un po’ di ghiaccio sotto
un lieve strato di neve, il divertimento si prende un’impennata come la
pendenza.
Fuori da
questo tratto più ripido aspetto Gianluca, si sente un freddo dovuto al vento
che si convoglia in questo imbuto che mi fa sognare il sole che ci sarà lassù.
Si prosegue su pendenza più modesta, sembra che siamo fuori al colletto, ma in
realtà la salita prosegue su una sorta di goulottina con una parete di
roccia e una di neve. Bel canale con
altrettanto bella uscita!
Sole,
panorama, ma aspettiamo un attimo. Ci si ricompatta, “mangiamo qualcosa?” “si
si, andiamo la che c’è uno spiazzo”. Stavolta almeno anche durante la salita
abbiamo bevuto un po’, mica come alla devastante Tour Ronde.
“vacca se mi
tira il culo salire in cima” ma mi basta dirgli di lasciare lo zaino qui per
vederlo poi salire. Forse la salita di questa paretina su neve sfondosa con
sotto roccia marcia è ben più al cardiopalma che il canale. Ma sono pochi
metri, ben presto siamo su una sorta di cresta che in traverso ci porta sulla
cima vera e propria.
E ora il panorama si apre su tutte le dolomite che ci stanno intorno, troppe per elencarle tutte. Non sono manco le 10, un sms a chi a casa potrebbe preoccuparsi, e un pensiero agli amici che sono in Presanella e che speriamo siano riusciti a combinare qualcosa. Poi tanto tanto appagamento interiore per la vista da “dominatori dell’inutile” di cui possiamo godere quassu.
Via,
scendiamo, che iniziamo già a temere la ravanata. La paretina croccantella in
salita diventa ostica in discesa, con i piedi che invece appoggiarsi sulle
pedane della salita, ci crollano dentro allungando i passi a dismisura.
Inizialmente faccia a monte, poi ci si gira faccia valle, qualche metro di
bella ed affilata crestina, e d eccoci alla salle a manger di prima.
Svacco time.
Bere e mangiare le parole d’ordine, culo per terra un requisito. Ci si gode il
momento, la salita compiuta, il paesaggio assaporato, la fatica che da un senso
al raggiungimento della cima. Tutte cose da provare per poterle capire.
All’auto si può arrivare stanchi finchè si vuole, ma il giorno dopo si sarebbe
già pronti a farne un’altra.
Si scende
fino al colletto prima della simil goulottina, e poi si va giù sul temibile
Ghiacciaio delle Zirocolle. Poveretto, chissà se esiste ancora o se è solo un
miraggio sulle cartine. E qui la neve è una pappa impressionante, si affonda spesso
fino all’inguine, sembra di nuotare, anche per la sensazione di bagnato che
pervade le gambe.
Ma finchè si
va in discesa, va beh. Quando sotto trovi delle rocce liscie, azz. Quando devi
andare in traverso verso il Passo delle Farangole, socia! Speriamo non si tutta
così! Va beh che anche le ciaspole non credo avrebbero migliorato la
situazione, ma chissà, non voglio pentirmi della scelta fatta.
Da lontano,
anzi finchè non ci sei sotto, questo passo non si vede e sembra che ci si debba
infilare in un labirinto tra le rocce. Invece c’è, parzialmente attrezzato, ma
con la neve che pialla non sono necessari i cavi (poi metà sono coperti). Ma la
scala..non possiamo perdercela, e così aggiungiamo un pezzo di ferrata.
Eccoci al
Passo delle Farangole, tracce che vanno a destra e sinistra, nessuna “davanti”:
ed ecco il perché, che cornice! Scendiamo a destra, ma non scendo finchè
Gianluca non abbandona quel terreno labile della cornice.
Miracolo la
neve torna dura, possiamo scendere in sveltezza, osservo una bella fessura sul
paretone a destra, intuisco una goulottina poco prima di lei, osservo tracce
che zigzagano verso l’ipotetico attacco della stessa: “Nastro d’Argento” al
Fobocon, Cappellari vol 2. Segna sulla to do list.
E ora destra
o sinistra, andiamo a sinistra, si scende ancora bene nonostante non siamo più
all’ombra. Ok qualche passo va un po’ giù, ma almeno non c’è più da muoverci
felpati cercando equilibrio e appoggio uniforme di piedi picca e bastoncino.
Torniamo
quasi in vista del canale salito, la discesa continua con qualche trappola
adesso. Speso finiamo dentro buchi da i quali uscire non è così comodo. Video. Poi riportiamo i
piedi sulla neve valangata affrontata nel primo pezzo di salita, meno male.
Puntiamo più a destra, in vista del sentiero, togliere i ramponi è adesso una
goduria.
Sentiero,
pietraia, morene, ed eccoci di nuovo sulla forestale. “adesso direi che un 5
possiamo batterlo” clap! Ci aspettano di nuovo questi 4km di falso piano,
sognando una fontana che non si trova e un tuffo in un ruscello che però
comporterebbe poi dover risalire quei due o tre metri di argine.
Arrivati
allo spiazzo sotto la Val Venegia, uno sguardo indietro va dato. È una
cartolina dolomitica di spessore. In questa veste poi, col verde fiorente dei
prati, la roccia marrone che riacquisto dominanza e possenza sbucando dalle
lingue di neve rimaste, e un cielo azzurro che più azzurro non si può, è
superlativa.
Alle 13e30 siamo all’auto, contro le più rosee
previsioni di Gianluca. Non si capacita possa essere così presto, “bisogna che
avviso a casa che torno prima, si sa mai”. Ciò ci permette di sistemare con
calma tutte le nostre cose, recarci a un bar e con calma prenderci la nostra
doppia birra e panino, e arrivare a far metano a Rovereto senza correre contro
il tempo per la chiusura.
Qui altre
foto.
Qui report.
Qui video Gianluca incastrato.
Gran bel giro bravi!
RispondiEliminaPer caso hai una foto di nastro d'argento?
vista! (in altre foto)
RispondiEliminaporca miseria, gia un competitor per la prossima stagione
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