domenica 10 maggio 2015

In punta di piedi: Canale dei Bureloni

Ci sono quei weekend che partono con grandi aspettative, le quali spesso sfumano in una bolla di sapone a volte all’ultimo momento, a volte a causa di madre natura. Che poi si ritirano su in modo insperato, spesso grazie a madre natura. L’alpinismo d’ambiente è spesso romantico anche per questo: un corteggiamento nel quale confluiscono una miriade di fattori, di “protagonisti”, ognuno col suo fondamentale ruolo, ma solo se tutti partecipano in modo proficuo allora la conquista può dirsi tale. 

L’inizio della settimana era partito con idee davvero toste e appetitose, poi sfumate all’ultimo. Repentini cambi di programma che hanno messo a dura vari equilibri.. Alla fine siam qui, alle 2:15 davanti casa di Gianluca, dopo esser uscito di casa con gli ultimi strascichi della notte bianca del mio paese: noi partiamo mentre la movida è ancora in fibrillazione. 

Il solito distributore dimetano stranamente rotto negli orari notturni ci obbliga a una prosecuzione a benzina agli sgoccioli. Salendo al Passo Rolle una buona serie di caprioli e cervi ci sbarra la strada, così come un semaforo dei lavori in corso che Gianluca non vuole rispettare. A volte anche il viaggio in auto fa parte di un avvicinamento. 

Ed eccoci abbandonare la strada asfaltata per Passo Valles e prendere la ghiaiata per Malga Venegia, con Gianluca certo che si possa parcheggiare proprio dalla malga: ero dubbioso (vedi giretto invernalepassato), ma in effetti un parcheggio è segnato. Tac, sbarra subito, si lascia l’auto proprio dove avevamo bivaccato l’inverno passato. Si aggiunge 1km, e un paio di bestemmie di Gianluca. 

La luna ancora alta, ma il giorno ormai incombe, vacca boia se è tardi. La colazione al sacco va male: le svedesi di Gianluca ok, ma il mio caffe latte con latte di soia sembra abbia cagliato, un thermos da buttare e una colazione da dimenticare. Che strano però. Forza, in marcia adesso, che siamo già in ritardo. Lasciamo le ciaspole in auto speranzosi non servano, così come la frontale, sulla quale non ho dubbi che non servirà, anche se il mio amico è già li che ipotizza un rientro all’auto alle 17, boh. 

Iniziamo prendendo il sentiero che evita la strada, un gironzolare a vuoto in mezzo al bosco, una chiazza di neve invoglia a tastarla immediatamente per saggiare se stanotte ha rigelato o meno. Freddo c’è freddo, ho messo i guanti per le dita congelate. La neve è dura, ottimo! Questo infonde fiducia. 

Usciamo dal bosco, si rimette piede sulla strada, Malga Venegia sopra di noi, e il Canale Nord dei Bureloni già la davanti a noi. Non c’è che dire, estetico è davvero estetico. Sembra in piedi, ma in realtà la pendenza è mediocre, più ripido la Ruga dello Zalica in certi tratti ad esempio, ma più vado avanti nella mia esperienza e più realizzo davvero che i fattori che concorrono alla difficoltà di un itinerario vanno ben al di là della normali relazioni che si possono trovare. Il campo la fa da padrone. 

Si vede bene anche il Passo del Travignolo, altra meta sognata dal mio compagno di oggi, ma pare ci sia una certa cornice a ornarlo: e in effetti al ritorno con la luce del sole possente si noterà una cornice mastodontica anche da lontano! 

E il Cimon de la Pala, così estetico da Passo Rolle, così anonimo da qui: una cresta rotta ma senza guglie definite, visto da qui sembra una montagna come le altre. Anche se stamattina acquista una nota di bellezza anche da questo versante, con la luna che standogli a fianco lo ribattezza “Cimon de la Luna”. 

Intanto continuiamo a percorrere questa lunga forestale, resa non noiosa solo dalla bellezza e quiete della Val Venegia. Per arrivare alla base del conoide valanghivo ghiaioso detritico crolloniti, sono 4km di cammino per un dislivello di ben 240m! Finalmente ci siamo sotto, sono le 6:20. Gianluca comincia a risalire il ghiaione mentre io mi concedo una sosta di alleggerimento. 

Parto anche io, districamndomi in mezzo a queste mini morene figlie della a volte lenta a volte veloce ma sempre possente, forza del fluido che ci mantiene in vita: l’acqua. Vedo il mio amico lanciarsi subito nella lingua di neve, ramponarsi e partire con quegli attrezzi che non vorrebbe mai abbandonare, mentre io trovato il sentiero cerco di seguirlo il più possibile. 
Così gli passo davanti senza nemmeno che lui se ne accorga, ma a un certo punto mi pare che il sentiero punti troppo “altrove”, improvviso una salita tra erba sassi e terra, finchè non mi ritrovo sopra la lingua di neve su cui sta risalendo Gianluca. Mi raggiunge mentre sono ancora li che mi preparo, e continua la sua salita, “tanto mi riprendi”. 


Pronti via anche io, per ora solo una picca e un bastoncino, la pendenza è lieve e la neve buona. Certo che notare su questo pendio varie linee di frattura che assomigliano a crepacci, non mette di buon umore: notare il distacco di una valanga di fondo appena alla nostra destra, brrr. Ma dai, è mattina presto, più di così che dobbiamo fare per abbassare il rischio?!
Intanto il canale è sempre li davanti a noi, bello slanciato e incassato tra due paretoni di roccia. Tre persone lo stanno già salendo e una scendendo, allora non è così “fuori moda”. Chissà dopo il mio report se le peste sulla sua ottima neve aumenteranno in modo esponenziale, “franza style”. 

Raggiungo Gianluca mentre una ragazza sconsolata scende (scopriremo poi far parte del gruppo che sta salendo, anche se non ci è chiaro perché lei scenda mentre gli altri salgono), ci avviamo verso quello che si potrebbe definire il vero imbocco del canale visto che qui si incassa nella dolomia. 

Via il bastoncino e fuori l’altra picca, si inizia a far sul serio adesso. La rigola invoglierebbe a entrarvi dentro per sfruttare quella che dovrebbe essere la neve migliore che si possa trovare in uno scivolo di neve, ma la sua qualità è dovuta anche al fatto di essere l’imbuto di tutto quello che può scendere: non troppo sano starci dentro, e poi anche fuori la neve è buona. 

In punta di piedi. Fino dall’inizio la neve si è rivelata dura, con picchi di marmo e nella parte alta del canale qualche decina di metri dove si creava la pedana da mezzo piede, ma altrimenti quella goduria di condizioni che si traduce in polpacci in fiamme. Poi pendenza a metà via tra picche in appoggio e picche in trazione, quindi sì, oggi le gambe hanno funzionato. 

La salita non è certo tecnicamente difficile, ma la bellezza dell’ambiente la rendono di soddisfazione. Il mio modo di vedere l’alpinismo, di sentirmi appagato da quello che faccio, sta sempre più avvicinandosi alla bellezza del posto piuttosto che alla difficoltà della via. Vedasi il Vajo dell’Acqua, facile, ma che spettacolo il tappeto di nubi sotto. 

Saliamo, numerose e brevi pause a prendere fiato. Da lontano avevo avuto il sospetto fosse quello che temevo, ora che gli sono vicino ne divento sicuro: quel bastone che si vede a metà canale piantato nella neve è uno sci, e temo di capire perché si trova li così, abbandonato in un posto senza senso. Ma il senso credo ci sia. Condoglianze. 

Lo sguardo si alza spesso a osservare le pareti a destra e sinistra, a indovinarne punti di debolezza per una salita, per una via di roccia. Ma si può aver voglia di fare tutto? Salire ramponi a i piedi e apprezzare anche le scarpette? Il freddo della materia bianca e il tepore della materia marronicna. 

Salendo avevamo osservato chi ci precedeva spostarsi sulla destra, e così facciamo anche noi: ciò ci permette di trovare una pendenza leggermente più marcata e una protezione da quello che ogni tanto cade dall’altro del canale (certo, se qualcosa cade dall’alto della parete alla nostra destra, gli siam sotto). 

E meno male, a un certo momento una scarica di pezzi piccoli ma numerosi inizia  fischiare, corriamo verso la parete quasi a rannicchairsi sotto a lei. Finita. Un veloce scambio di opionioni “scendiamo?” “ormai mi sa che facciamo prima a salire”, siamo ben a più di metà. 

Infatti pare di vedere l’uscita lassù in alto, contornata da una vela di roccia stile Vallaccia, un tocco di estetica in più. Proseguiamo, mi giro a fare qualche foto al mio amico che si lamenterà della neve “vedi, la neve era ottima per tutti, ma avrei preferito fosse più sfondosa, così te davanti facevi dei bei pedanini e io facevo meno fatica”, l’altruista. 

Eccoci avvicinarsi all’uscita, sinistra centro o destra? Meglio sinistra, più al riparo dalle scariche di una parete esposta al sole. E poi si nota che anche chi ci ha preceduto è uscito di qui, e dall’alto vedremo poi che l’uscita a destra è notevolmente più ripida, ben al di fuori delle difficoltà dichiarate dalla via originale. 

Almeno questo pezzo che contorna la vela presenta una pendenza che si accentua di più, si possono usare le picche in trazione (ci ho provato sotto per essere più svelto, ma sembrava di sdraiarsi sulla neve), si trova un po’ di ghiaccio sotto un lieve strato di neve, il divertimento si prende un’impennata come la pendenza. 

Fuori da questo tratto più ripido aspetto Gianluca, si sente un freddo dovuto al vento che si convoglia in questo imbuto che mi fa sognare il sole che ci sarà lassù. Si prosegue su pendenza più modesta, sembra che siamo fuori al colletto, ma in realtà la salita prosegue su una sorta di goulottina con una parete di roccia  e una di neve. Bel canale con altrettanto bella uscita! 

Sole, panorama, ma aspettiamo un attimo. Ci si ricompatta, “mangiamo qualcosa?” “si si, andiamo la che c’è uno spiazzo”. Stavolta almeno anche durante la salita abbiamo bevuto un po’, mica come alla devastante Tour Ronde

“vacca se mi tira il culo salire in cima” ma mi basta dirgli di lasciare lo zaino qui per vederlo poi salire. Forse la salita di questa paretina su neve sfondosa con sotto roccia marcia è ben più al cardiopalma che il canale. Ma sono pochi metri, ben presto siamo su una sorta di cresta che in traverso ci porta sulla cima vera e propria.


E ora il panorama si apre su tutte le dolomite che ci stanno intorno, troppe per elencarle tutte.  Non sono manco le 10, un sms a chi a casa potrebbe preoccuparsi, e un pensiero agli amici che sono in Presanella e che speriamo siano riusciti a combinare qualcosa. Poi tanto tanto appagamento interiore per la vista da “dominatori dell’inutile” di cui possiamo godere quassu.

Via, scendiamo, che iniziamo già a temere la ravanata. La paretina croccantella in salita diventa ostica in discesa, con i piedi che invece appoggiarsi sulle pedane della salita, ci crollano dentro allungando i passi a dismisura. Inizialmente faccia a monte, poi ci si gira faccia valle, qualche metro di bella ed affilata crestina, e d eccoci alla salle a manger di prima. 

Svacco time. Bere e mangiare le parole d’ordine, culo per terra un requisito. Ci si gode il momento, la salita compiuta, il paesaggio assaporato, la fatica che da un senso al raggiungimento della cima. Tutte cose da provare per poterle capire. All’auto si può arrivare stanchi finchè si vuole, ma il giorno dopo si sarebbe già pronti a farne un’altra. 

Si scende fino al colletto prima della simil goulottina, e poi si va giù sul temibile Ghiacciaio delle Zirocolle. Poveretto, chissà se esiste ancora o se è solo un miraggio sulle cartine. E qui la neve è una pappa impressionante, si affonda spesso fino all’inguine, sembra di nuotare, anche per la sensazione di bagnato che pervade le gambe. 

Ma finchè si va in discesa, va beh. Quando sotto trovi delle rocce liscie, azz. Quando devi andare in traverso verso il Passo delle Farangole, socia! Speriamo non si tutta così! Va beh che anche le ciaspole non credo avrebbero migliorato la situazione, ma chissà, non voglio pentirmi della scelta fatta. 

Da lontano, anzi finchè non ci sei sotto, questo passo non si vede e sembra che ci si debba infilare in un labirinto tra le rocce. Invece c’è, parzialmente attrezzato, ma con la neve che pialla non sono necessari i cavi (poi metà sono coperti). Ma la scala..non possiamo perdercela, e così aggiungiamo un pezzo di ferrata. 

Eccoci al Passo delle Farangole, tracce che vanno a destra e sinistra, nessuna “davanti”: ed ecco il perché, che cornice! Scendiamo a destra, ma non scendo finchè Gianluca non abbandona quel terreno labile della cornice. 

Miracolo la neve torna dura, possiamo scendere in sveltezza, osservo una bella fessura sul paretone a destra, intuisco una goulottina poco prima di lei, osservo tracce che zigzagano verso l’ipotetico attacco della stessa: “Nastro d’Argento” al Fobocon, Cappellari vol 2. Segna sulla to do list. 

E ora destra o sinistra, andiamo a sinistra, si scende ancora bene nonostante non siamo più all’ombra. Ok qualche passo va un po’ giù, ma almeno non c’è più da muoverci felpati cercando equilibrio e appoggio uniforme di piedi picca e bastoncino. 

Torniamo quasi in vista del canale salito, la discesa continua con qualche trappola adesso. Speso finiamo dentro buchi da i quali uscire non è così comodo. Video. Poi riportiamo i piedi sulla neve valangata affrontata nel primo pezzo di salita, meno male. Puntiamo più a destra, in vista del sentiero, togliere i ramponi è adesso una goduria. 

Sentiero, pietraia, morene, ed eccoci di nuovo sulla forestale. “adesso direi che un 5 possiamo batterlo” clap! Ci aspettano di nuovo questi 4km di falso piano, sognando una fontana che non si trova e un tuffo in un ruscello che però comporterebbe poi dover risalire quei due o tre metri di argine. 

Arrivati allo spiazzo sotto la Val Venegia, uno sguardo indietro va dato. È una cartolina dolomitica di spessore. In questa veste poi, col verde fiorente dei prati, la roccia marrone che riacquisto dominanza e possenza sbucando dalle lingue di neve rimaste, e un cielo azzurro che più azzurro non si può, è superlativa. 

 Alle 13e30 siamo all’auto, contro le più rosee previsioni di Gianluca. Non si capacita possa essere così presto, “bisogna che avviso a casa che torno prima, si sa mai”. Ciò ci permette di sistemare con calma tutte le nostre cose, recarci a un bar e con calma prenderci la nostra doppia birra e panino, e arrivare a far metano a Rovereto senza correre contro il tempo per la chiusura.

Qui altre foto.
Qui report.
Qui video Gianluca incastrato.

3 commenti: