Ne sarebbe
uscita una super uscita probabilmente. Faticosa, ma appagante come non mai. Ma
si sà che la nostra passione è condizionata in maniera massiccia da ciò che il
cielo che ci manda, e stavolta ci ha mandato una bella buferella di neve.
Ai tempi che
furono, alla riunione di pianificazione del Corso A1 2016 del CAI di Carpi, vennero fuori
una serie di mete per ogni uscita del corso, e per la prima uscita su
ghiacciaio, tra le finaliste che andarono alla votazione online, ci fù anche la
Tete de la Valpelline: meta sconosciuta ai più, ma proposta da uno che di
solito becca le chicche di salite fuori moda, e per questo affascinanti. E fu
lei la più votata.
Ma questo
anticiclone che non vuole piazzarsi geograficamente bene ci fa temere. Si
rimanda? Si cambia meta? Urca, trovarsi d'accordo in 30 per rimandare è dura,
trovare un posto libero per 30 persone è dura. E poi le previsioni sono
ballerine: un giorno danno discreto, qualche ora dopo annunciano tempesta, poi
nuvoloso, insomma manco loro lo sanno. La settimana dopo non sembra che si
aggiusti nulla, e tutto il nord Italia è avvolto nell'incertezza. Insomma, se
anche si potesse rimandare o cambiare meta, il meteo sempre uguale è: incerto.
Dopo 4h30 di
viaggio, un giretto per le tangenziali di Milano in cui ci siamo persi, una
colazione-pranzo con una barista che non sorride manco a pagarla (e l'abbiam
pagata alla fine!), siamo al parcheggio della Diga del Lac di Place Moulin.
Poche auto, segno di una valle che ancora non è presa d'assalto dai turisti,
spettacolo!
Carichi, più
di schiena che di aspettative (meglio tenerle basse per non illudersi e non
commettere errori di valutazione domani) ci incamminiamo. Aspettative basse
certo, ma emozioni pronte a esplodere: da troppo tempo non preparavo lo zaino
da "alta quota", e in più io, Nicola e Giorgio abbiamo la mezza idea
di rimanere per tentare un'altra cima al lunedì. Mezza idea che abbiamo
battezzato "abbiamo il 3% di possibilità di farcela", tanto per stare
sul dai forza.
Le acque del
lago sono di un azzurro verde che lucchirebbe al sole, ma sopra le sue acque
una decina di metri di terra scoperta mostrano come il livello delle acqua sia
basso: siccità o prelievo idraulico? Speriamo il secondo. Ancora più sopra il
verde sfoggiante dei boschi, e salendo il grigio brullo delle rocce e lassù il
bianco della neve: cinque colori, what else?
Non si fa in
tempo ad arrivare al Rifugio Prarayer che inizia a piovere: coprizaino, giacchina dei puffi e
ombrello pronti all'uso, ma che per fortuna ben presto rimetteremo a posto
(tranne il coprizaino, che per ogni evenienza meglio stia lì): intanto scorgo
che non solo io ho l'ombrello, ma anche il maestro Davide! Superato il rifugio,
la forestale lascia posto al sentiero, e ci immergiamo nel verde.
Passaggi
sopra ponticelli sotto ai quali scorre impetuosa l'acqua che si scioglie dai
ghiacciai che speriamo di pestare, e la salita discontinua, intervallata da
lunghi tratti in piano e pezzettini un po' più ripidi: 12 km per salire 800m di
dislivello! Il Larice con più di 500 anni segna l' inizio della prima salita un
po' ripida, che ci fa passare dal verde del bosco ai colori scuri delle rocce.
Cerchiamo di
salire con calma per preservare le forze, il paesaggio si apre e la possibilità
di fare foto aiuta nel nostro intento di fare pause. Solo noi in giro, due
chiacchiere, due risate, e gli occhi che salgono con la mente ciò che le gambe
ancora non possono solcare. Le prime serraccate, le prime cime..il cielo
chiuso.
Scorgiamo in
lontananza altri puntini colorati (i coprizaini), ora che siamo di nuovo su un
tratto pianeggiante che passeggia sopra il dirupo sotto il quale scorre il
ruscello. Giungiamo a pestare la prima lingua di neve: quanto mi mancava questa
sensazione! Mi guardo i piedi, nel frangente che rialzo lo sguardo la mente
torna ai problemi della vita quotidiana, ma quando gli occhi puntano la serraccata
del Glacier des Grand Murailles..puff, svaniscono di nuovo.
Raggiungiamo
Roberta, Roberto, Mattia e Dario, laggiu altri dei nostri che si apprestano a
salire il prossimo gradone, una salita a tornanti che in breve fa guadagnare
quota, dove Nicola contro ogni pronostico ha un buon passo: come dice Giorgio, Nicola "piagne e
fotte", dice dice, poi le gambe le ha! C'avrei sete, ma non voglio
intaccare le riserve idriche lasciandole per domani, e togliere l'impalcatura
del coprizaino mi scoccia..errore.
Salito il
gradone, giungiamo sull'ultimo pianoro, quello pervaso da nevi tardive (come ci
dirà il rifugista, c'è più neve adesso che in primavera..ahia!), quello che
inizia a farci assaporare l'ambiente glaciale un po' più da vicino: Probabilmente
è tra poco che dovremmo trovare il bivio dove si può salire per il sentiero
nuovo o per il vecchio, dove si trovano delle catene: non ho pregiudizi, ma mi
pare di aver letto che si consiglia di seguire le frecce gialle..
Federico
parte all'inseguimento delle frecce gialle, ma in mezzo a queste pozze di neve
in mezzo a fiumi di rocce, non pare esserci traccia precedente, eppure 9 dei
nostri devono esser già su, e anche i rifugisti.. Mah.. Guardo in lontananza,
per quella che mi parrebbe la salita più ovvia anche se non la vedo per intero,
e mi pare di scorgere una traccia. mi fido però dei segni e di Federico la
davanti, da qualche parte si passerà senza traversare quel muro di ghiaia
spero!
Il terreno
ripido si fa un po' insidioso ma mai pericoloso, e risalito il fianco della
morena, non resta che cavalcarla per giunger e al Rifugio Aosta: vari sali scendi che
ci portano ad innalzarci anche oltre la quota del rifugio, che appare e
scompare dietro le dune di detrito. Uno sguardo a destra verso il vallone che
conduce che all'attacco del nostro sogno del lunedì, sogno proibito per
stavolta.
Un bel
nevaio dove le scarpe da ginnastica di Cristian sono messe a dura prova e siamo
al rifugio, dove i 9 di venerdì sono appena arrivati. Intanto il cielo si è
irreparabilmente chiuso: un po' di sole ci ha baciato nella salita, ma ora è un
lontano ricordo. Il vento inizia a soffiare, e la temperatura è tale da
consigliare di entrare in attesa dell'arrivo degli altri: il gruppone inizia a
compattarsi.
Un gelone
alle dita mi obbliga a posizionarmi vicino alla stufa, in un'oretta tutti sono
al rifugio col meteo che sta lentamente peggiorando, quindi che si fa?
Sistemazione in camera e poi teoria dentro. Tre stanzoni in cui dividerci: 14,
10 e 6 posti, un rifugio TUTTO per noi, occasione più unica che rara, una
chicca da apprezzarsi in ogni suo aspetto.
Come
promesso al director, mi vesto (meglio mettere i pantaloni lunghi ora) ed esco
in esplorazione per vedere le condizioni dell'avvicinamento. In condizioni
normali dovrei poter agilmente salire anche in alto, senza zaino, senza mettere
piedi sul ghiacciaio, e invece in breve mi trovo il pendio bello carico di neve
in cui sprofondare fino alla caviglia o anche fino alla vita!
Sguscio
dietro il rifugio, nevica e tira vento, l amia giacca gialla deve essere un bel
pugno in un occhio a chi mi potrebbe guardare, ma cerco di non disturbare la
quiete tempestosa della natura che mi sta intorno. Gironzolo sulla neve ma
sempre tenendomi vicino alle rocce (non si sa mai si stacchi qualcosa), le
risalgo con qualche passo che richiede le mani, mani di fata visto lo sfasciume
che si trova.
Guardo
lassù, ma oltre i 100m non si vede nulla, tutto bianco grigio. Continuo sopra
giusto per stare un po' all'aria aperta, lo so che non sto andando da nessuna
parte. Inizio a vederla grigia per domani: speriamo la visibilità sia buona e
conceda di salire un po', ma c'è anche da cercare il passaggio giusto su questo
pendio carico. Sopra comunque si può stare vicino alle rocce. Vedremo.
Rientro
nell'edificio accaldato, 30 persone in pochi metri cubi sono un bell'effetto
stalla: mi piazzo in configurazione da spiaggia, pantaloncini e maglietta e
basta, mentre er Director rispiega la progressione in cordata e la trattenuta
della caduta di un compagno in un crepo. Poi arriva l'ora della pappa!
Tutti fitti,
in 5 per panca, col gomito sinistro che non si sa dove metterlo. Saggiamente
niente vino, ma l'ingordigia la sfogo sul cibo ripulendo i piatti degli altri,
"io non faccio prigionieri e non mi piacciono gli sprechi!". Intanto
fuori il cielo non si apre e nevischia. Saggiamente il rifugista ci fa
assaggiare il suo genepì, e siccome con un bicchierino non si apprezza la
bontà, ne trangugio un altro, e un altro e un altro. Ma tutto sotto controllo.
Tranne il cane del rifugista che vuole mangiarsi la mascotte di Mattia.
Arriva il
momento in cui non si può più fare finta di nulla.. Al nostro tavolo si
radunano tutti gli istruttori con odg "che minchia facciamo domani?":
la situazione non è facile e Gianluca già paventa la sicurezza che alla fine
saremo nella situazione intermedia, ne bene ne male, ma in mezzo, il perfetto
campo minato per fare delle cazzate. Si concorda colazione alle 4:30, si guardano
le condizioni e..si valuta che fare. ma l che vada, si torna a letto, e si fa
solo didattica più tardi.
La speranza
è l'ultima a morire, ma la prima ad ammalarsi.
Suona la
sveglia. La finestra è lontana per poter capire che meteo ci sia fuori, quindi
esco dal letto quasi di corsa per vedere, ma tutto bagnato e appannato (chi ha
chiuso la finestra stanotte?!), prendo armi e bagagli e scendo sperando di
essere uno dei primi, ma no, c'è già altra gente sveglia e..sconfortata. Mi
vesto, un'occhiata fuori e..nevica. Douh!
Colazione
spartana, di quelle che se mi metto a camminare tra mezzora ho già fame, e
arriva il momento difficile per Nicola: "ragass, io così non me la sento,
ci vediamo alle 6:30-7 che usciamo a fare un po' di didattica". Chi torna
a letto e chi no, chi va a tentare la salita (gli aspiranti Fiorella e Dario,
che torneranno indietro per ovvie e condivisibili ragioni). Io faccio in tempo
a russare, poi si torna in giostra.
Non nevica
più, il cielo si è un po' aperto, ma il fugace sole che vedremo sarà l'unico
della giornata. Recupero Roberta e Gianluca coi quali formerò la cordata di
oggi, che non gusterà il Mars di vetta, ma pazienza, questa è la montagna.
Si sale
dietro il rifugio, piuttosto bardati perchè il sole è poi già sparito, e dopo
poco a puro scopo didattico si calzano ramponi e ci si lega, insomma si simula
il ghiacciaio, che invece è un bel nevaio nella realtà. nevaio di neve bagnata
e pesante senza rigelo, insomma 'na vera medda. Si ripassa la legatura, e si
parte coi passi base: io chiaramente parto con la progressione frontale, hihi.
Sì, ma c'è
un motivo: su questo pendio non mi metterei a fare dei traversi! Meglio salire
frontalmente e mettersi a fare traversi e salite meno di petto più su, in mezzo
o vicino alle rocce. E così sia, un po' di metri in frontale e poi arrivati
sotto le rocce si può andare più soft.
Qualche
passo sullo sfasciume coperto di nevischio per rendersi conto della precarietà
di questo fondo, e man mano il meteo peggiora, sempre più chiuso, un po' di
neve, vento e nebbia, alè! Ancora su dritto, ma stavolta a zigzag, sempre
vicino alle rocce, arrivo all'altezza di dove ero arrivato ieri (ma ieri solo
per rocce), un'interrogazione al capo che dice di salire ancora un po'.
Se non fosse
per le isole rocciose affioranti che mi danno un po' di fiducia sulla fermezza
del manto nevoso, non andrei, ma si può e salgo, di nuovo in frontale a cercare
quella rara neve dura. Faccio provare a Roberta e Gianluca cosa voglia dire
"fare la traccia", "provate a spostarvi di lato dalla mia
traccia!", e capiscono al volo..
Si sale
senza meta, ma con sempre più neve e vento, alla fine ci andiamo a infilare
verso un budellino tra le rocce, su pendenze anche sostenute, ma la qualità
della neve frenerebbe ogni possibile caduta al primo metro di discesa. In più
cerco sempre di fermarmi e "sostare" al riparo sotto delle rocce per
ricompattarci un attimino.
Roberta non
trova pace col suo cordino da ghiacciaio, spero le vada meglio alla prossima
uscita, io ormai avrei raggiunto il massimo che mi concederei di salire, ma va
bene, qualche altro metro, ormai sferzati dal vento e da una nevicata bella
fitta. Mi sa che io, Giorgio e Nicola non si resta qui un'altra sera..
Scendiamo
per primi, a rotta di collo, verso il pluviometro dove con le cordate di
Giorgio e Federico faremo le prove di autoarresto, difficili con questa neve,
ma questo c'è.. Questo e questo paesaggio alpino, ostile di default e oggi in
un picco della sua ostilità, ma siamo in tutta sicurezza così numerosi e vicini
al rifugio.
Si scende,
via al rifugio a valutare il da farsi, perchè la mini bufera di neve ci sta
dando bene e occorre valutare se non sia il caso di andare verso le auto prima
che peggiori ancora di più: in fondo sta nevicando anche sotto al rifugio!
Ci ricompattiamo
al rifugio, ma c'è chi è già qui da un po' e logicamente vorrebbe o agire o andare.
Si preparano tutti gli zaini per scendere, e alla fine si opta per questa
soluzione, dividendosi tra chi preferisce il sentiero vecchio e chi quello
nuovo: io conoscono il nuovo e vorrei ripetere il tracciato di ieri che mi è
parso sicuro, qualche altro istruttore sembra d'accordo con me, perciò aspetto
gli allievi che preferiscono anche loro il nuovo e via! Discesa sotto la neve!
Solo che
azz, mi ritrovo da solo con Licia, Roberto, Roberto, Mattia e Alessandro..
Fortuna dopo poco vedo la sagoma di Giorgio raggiungerci, almeno che lui chiuda
il mio gruppetto.. Si torna a cavalcare la morena, sotto la neve ma anche
accaldati. Merda, non c'ho pensato e fatto lo zaino male, lasciando le cose che
mi servono in basso.. E niente, sto senza guscio.
Il terreno
si dimostra molto più percorribile di quello che credevo, e ben presto siamo
nella parte in cui occorre scendere dalla morena, su terreno ghiaioso e
friabile: "Ragazzi, delicati come farfalle sulla morena!", ma alla
fine è molto più comodo di quello che credevo. Si punta ora a seguire le lingue
di neve evitando il più possibile i massi per salvaguardare le ginocchia.
Alessandro mi scorre a fianco sciando..
E di nuovo
all'incrocio traccia vecchia - traccia nuova, nevica ancora e tira vento, devo
per forza vestirmi. Uno sguardo verso il rifugio, cielo sempre più chiuso,
"adios sogni di gloria!". Arrivano altri che hanno seguito le catene,
e ora si può scendere in modo spensierato verso valle, verso il ristoro. Verso
un nuovo attraversamento di diversi paesaggi.
Eh già,
questo avvicinamento è "importante", e in discesa pesa ancora di più,
ma non è noioso o almeno non per me. Faticoso sì, ma il fisico è comandato
dalla mente, ricordiamocelo. I detriti glaciali, di nuovo la discesa del
gradone, poi sul sali scendi della steppa della Valpelline, col ruscello che
scorre impetuoso a fianco e la pioggia e neve che vanno e vengono: vorrei
spogliarmi ma non posso.
Discesa in
cui il gruppo si sfalda, in cui spesso mi trovo da solo assorto nei miei
pensieri, o in nessun pensiero: riuscire a non pensare a nulla è fantastico, è catartico.
Ma alzo anche gli occhi e sogno di esser lassù.
Non c'è
traccia di sole, ma questo è pure meglio, sono accaldato come non mai ma non mi
posso spogliare. Giunto al Larice secolare però non ne posso più, mi spoglio e
tac, ricomincia qualche goccia, ma ora me ne frego, tie! All'arrivo al rifugio
Prarayer è confortante e avvilente allo stesso tempo: manca ancora il costeggio
della diga, ma so bene che siccome si tratta di discesa, il tempo pare doppio a
quello della salita, tieni botta!
Due
chiacchiere con Alessandro, e arriviamo al bar, dove Cristiane Mattia sorseggiano
al sole una birretta mentre Giorgio è già a mettere a posto la roba all'auto:
faccio anche io così poi mi svacco al sole ma..il sole va via e viene pure
freddo per colpa del venti! Uffa!
Ricompattare
il gruppo richiede tempo e pazienza, alla fine arrivano tutti, nessuno zoppica
o pare stremato, anche se stanchi quello sì. ma anche soddisfatti mi pare.
Niente cima, nemmeno il tentativo, ma ambiente super, rifugio intimo, e
montagna che ci ha mostrato uno dei suoi aspetti, uno di quelli che preferiresti
non vedere, ma che esiste, e va preso in considerazione.
Qui altre
foto del primo giorno.
Qui altre
foto del secondo giorno.
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