domenica 19 giugno 2016

Se solo il meteo fosse stato dalla nostra.. Valpelline, Corso A1

Ne sarebbe uscita una super uscita probabilmente. Faticosa, ma appagante come non mai. Ma si sà che la nostra passione è condizionata in maniera massiccia da ciò che il cielo che ci manda, e stavolta ci ha mandato una bella buferella di neve. 

Ai tempi che furono, alla riunione di pianificazione del Corso A1 2016 del CAI di Carpi, vennero fuori una serie di mete per ogni uscita del corso, e per la prima uscita su ghiacciaio, tra le finaliste che andarono alla votazione online, ci fù anche la Tete de la Valpelline: meta sconosciuta ai più, ma proposta da uno che di solito becca le chicche di salite fuori moda, e per questo affascinanti. E fu lei la più votata. 

Ma questo anticiclone che non vuole piazzarsi geograficamente bene ci fa temere. Si rimanda? Si cambia meta? Urca, trovarsi d'accordo in 30 per rimandare è dura, trovare un posto libero per 30 persone è dura. E poi le previsioni sono ballerine: un giorno danno discreto, qualche ora dopo annunciano tempesta, poi nuvoloso, insomma manco loro lo sanno. La settimana dopo non sembra che si aggiusti nulla, e tutto il nord Italia è avvolto nell'incertezza. Insomma, se anche si potesse rimandare o cambiare meta, il meteo sempre uguale è: incerto. 

Dopo 4h30 di viaggio, un giretto per le tangenziali di Milano in cui ci siamo persi, una colazione-pranzo con una barista che non sorride manco a pagarla (e l'abbiam pagata alla fine!), siamo al parcheggio della Diga del Lac di Place Moulin. Poche auto, segno di una valle che ancora non è presa d'assalto dai turisti, spettacolo! 

Carichi, più di schiena che di aspettative (meglio tenerle basse per non illudersi e non commettere errori di valutazione domani) ci incamminiamo. Aspettative basse certo, ma emozioni pronte a esplodere: da troppo tempo non preparavo lo zaino da "alta quota", e in più io, Nicola e Giorgio abbiamo la mezza idea di rimanere per tentare un'altra cima al lunedì. Mezza idea che abbiamo battezzato "abbiamo il 3% di possibilità di farcela", tanto per stare sul dai forza. 

Le acque del lago sono di un azzurro verde che lucchirebbe al sole, ma sopra le sue acque una decina di metri di terra scoperta mostrano come il livello delle acqua sia basso: siccità o prelievo idraulico? Speriamo il secondo. Ancora più sopra il verde sfoggiante dei boschi, e salendo il grigio brullo delle rocce e lassù il bianco della neve: cinque colori, what else? 

Non si fa in tempo ad arrivare al Rifugio Prarayer che inizia a piovere: coprizaino, giacchina dei puffi e ombrello pronti all'uso, ma che per fortuna ben presto rimetteremo a posto (tranne il coprizaino, che per ogni evenienza meglio stia lì): intanto scorgo che non solo io ho l'ombrello, ma anche il maestro Davide! Superato il rifugio, la forestale lascia posto al sentiero, e ci immergiamo nel verde. 

Passaggi sopra ponticelli sotto ai quali scorre impetuosa l'acqua che si scioglie dai ghiacciai che speriamo di pestare, e la salita discontinua, intervallata da lunghi tratti in piano e pezzettini un po' più ripidi: 12 km per salire 800m di dislivello! Il Larice con più di 500 anni segna l' inizio della prima salita un po' ripida, che ci fa passare dal verde del bosco ai colori scuri delle rocce. 

Cerchiamo di salire con calma per preservare le forze, il paesaggio si apre e la possibilità di fare foto aiuta nel nostro intento di fare pause. Solo noi in giro, due chiacchiere, due risate, e gli occhi che salgono con la mente ciò che le gambe ancora non possono solcare. Le prime serraccate, le prime cime..il cielo chiuso. 

Scorgiamo in lontananza altri puntini colorati (i coprizaini), ora che siamo di nuovo su un tratto pianeggiante che passeggia sopra il dirupo sotto il quale scorre il ruscello. Giungiamo a pestare la prima lingua di neve: quanto mi mancava questa sensazione! Mi guardo i piedi, nel frangente che rialzo lo sguardo la mente torna ai problemi della vita quotidiana, ma quando gli occhi puntano la serraccata del Glacier des Grand Murailles..puff, svaniscono di nuovo. 

Raggiungiamo Roberta, Roberto, Mattia e Dario, laggiu altri dei nostri che si apprestano a salire il prossimo gradone, una salita a tornanti che in breve fa guadagnare quota, dove Nicola contro ogni pronostico ha un buon passo: come dice Giorgio, Nicola "piagne e fotte", dice dice, poi le gambe le ha! C'avrei sete, ma non voglio intaccare le riserve idriche lasciandole per domani, e togliere l'impalcatura del coprizaino mi scoccia..errore. 

Salito il gradone, giungiamo sull'ultimo pianoro, quello pervaso da nevi tardive (come ci dirà il rifugista, c'è più neve adesso che in primavera..ahia!), quello che inizia a farci assaporare l'ambiente glaciale un po' più da vicino: Probabilmente è tra poco che dovremmo trovare il bivio dove si può salire per il sentiero nuovo o per il vecchio, dove si trovano delle catene: non ho pregiudizi, ma mi pare di aver letto che si consiglia di seguire le frecce gialle.. 

Federico parte all'inseguimento delle frecce gialle, ma in mezzo a queste pozze di neve in mezzo a fiumi di rocce, non pare esserci traccia precedente, eppure 9 dei nostri devono esser già su, e anche i rifugisti.. Mah.. Guardo in lontananza, per quella che mi parrebbe la salita più ovvia anche se non la vedo per intero, e mi pare di scorgere una traccia. mi fido però dei segni e di Federico la davanti, da qualche parte si passerà senza traversare quel muro di ghiaia spero! 

Il terreno ripido si fa un po' insidioso ma mai pericoloso, e risalito il fianco della morena, non resta che cavalcarla per giunger e al Rifugio Aosta: vari sali scendi che ci portano ad innalzarci anche oltre la quota del rifugio, che appare e scompare dietro le dune di detrito. Uno sguardo a destra verso il vallone che conduce che all'attacco del nostro sogno del lunedì, sogno proibito per stavolta. 

Un bel nevaio dove le scarpe da ginnastica di Cristian sono messe a dura prova e siamo al rifugio, dove i 9 di venerdì sono appena arrivati. Intanto il cielo si è irreparabilmente chiuso: un po' di sole ci ha baciato nella salita, ma ora è un lontano ricordo. Il vento inizia a soffiare, e la temperatura è tale da consigliare di entrare in attesa dell'arrivo degli altri: il gruppone inizia a compattarsi.

Un gelone alle dita mi obbliga a posizionarmi vicino alla stufa, in un'oretta tutti sono al rifugio col meteo che sta lentamente peggiorando, quindi che si fa? Sistemazione in camera e poi teoria dentro. Tre stanzoni in cui dividerci: 14, 10 e 6 posti, un rifugio TUTTO per noi, occasione più unica che rara, una chicca da apprezzarsi in ogni suo aspetto. 

Come promesso al director, mi vesto (meglio mettere i pantaloni lunghi ora) ed esco in esplorazione per vedere le condizioni dell'avvicinamento. In condizioni normali dovrei poter agilmente salire anche in alto, senza zaino, senza mettere piedi sul ghiacciaio, e invece in breve mi trovo il pendio bello carico di neve in cui sprofondare fino alla caviglia o anche fino alla vita! 

Sguscio dietro il rifugio, nevica e tira vento, l amia giacca gialla deve essere un bel pugno in un occhio a chi mi potrebbe guardare, ma cerco di non disturbare la quiete tempestosa della natura che mi sta intorno. Gironzolo sulla neve ma sempre tenendomi vicino alle rocce (non si sa mai si stacchi qualcosa), le risalgo con qualche passo che richiede le mani, mani di fata visto lo sfasciume che si trova. 

Guardo lassù, ma oltre i 100m non si vede nulla, tutto bianco grigio. Continuo sopra giusto per stare un po' all'aria aperta, lo so che non sto andando da nessuna parte. Inizio a vederla grigia per domani: speriamo la visibilità sia buona e conceda di salire un po', ma c'è anche da cercare il passaggio giusto su questo pendio carico. Sopra comunque si può stare vicino alle rocce. Vedremo. 

Rientro nell'edificio accaldato, 30 persone in pochi metri cubi sono un bell'effetto stalla: mi piazzo in configurazione da spiaggia, pantaloncini e maglietta e basta, mentre er Director rispiega la progressione in cordata e la trattenuta della caduta di un compagno in un crepo. Poi arriva l'ora della pappa!

Tutti fitti, in 5 per panca, col gomito sinistro che non si sa dove metterlo. Saggiamente niente vino, ma l'ingordigia la sfogo sul cibo ripulendo i piatti degli altri, "io non faccio prigionieri e non mi piacciono gli sprechi!". Intanto fuori il cielo non si apre e nevischia. Saggiamente il rifugista ci fa assaggiare il suo genepì, e siccome con un bicchierino non si apprezza la bontà, ne trangugio un altro, e un altro e un altro. Ma tutto sotto controllo. Tranne il cane del rifugista che vuole mangiarsi la mascotte di Mattia.

Arriva il momento in cui non si può più fare finta di nulla.. Al nostro tavolo si radunano tutti gli istruttori con odg "che minchia facciamo domani?": la situazione non è facile e Gianluca già paventa la sicurezza che alla fine saremo nella situazione intermedia, ne bene ne male, ma in mezzo, il perfetto campo minato per fare delle cazzate. Si concorda colazione alle 4:30, si guardano le condizioni e..si valuta che fare. ma l che vada, si torna a letto, e si fa solo didattica più tardi.

La speranza è l'ultima a morire, ma la prima ad ammalarsi. 

Suona la sveglia. La finestra è lontana per poter capire che meteo ci sia fuori, quindi esco dal letto quasi di corsa per vedere, ma tutto bagnato e appannato (chi ha chiuso la finestra stanotte?!), prendo armi e bagagli e scendo sperando di essere uno dei primi, ma no, c'è già altra gente sveglia e..sconfortata. Mi vesto, un'occhiata fuori e..nevica. Douh! 

Colazione spartana, di quelle che se mi metto a camminare tra mezzora ho già fame, e arriva il momento difficile per Nicola: "ragass, io così non me la sento, ci vediamo alle 6:30-7 che usciamo a fare un po' di didattica". Chi torna a letto e chi no, chi va a tentare la salita (gli aspiranti Fiorella e Dario, che torneranno indietro per ovvie e condivisibili ragioni). Io faccio in tempo a russare, poi si torna in giostra. 

Non nevica più, il cielo si è un po' aperto, ma il fugace sole che vedremo sarà l'unico della giornata. Recupero Roberta e Gianluca coi quali formerò la cordata di oggi, che non gusterà il Mars di vetta, ma pazienza, questa è la montagna. 

Si sale dietro il rifugio, piuttosto bardati perchè il sole è poi già sparito, e dopo poco a puro scopo didattico si calzano ramponi e ci si lega, insomma si simula il ghiacciaio, che invece è un bel nevaio nella realtà. nevaio di neve bagnata e pesante senza rigelo, insomma 'na vera medda. Si ripassa la legatura, e si parte coi passi base: io chiaramente parto con la progressione frontale, hihi. 

Sì, ma c'è un motivo: su questo pendio non mi metterei a fare dei traversi! Meglio salire frontalmente e mettersi a fare traversi e salite meno di petto più su, in mezzo o vicino alle rocce. E così sia, un po' di metri in frontale e poi arrivati sotto le rocce si può andare più soft. 

Qualche passo sullo sfasciume coperto di nevischio per rendersi conto della precarietà di questo fondo, e man mano il meteo peggiora, sempre più chiuso, un po' di neve, vento e nebbia, alè! Ancora su dritto, ma stavolta a zigzag, sempre vicino alle rocce, arrivo all'altezza di dove ero arrivato ieri (ma ieri solo per rocce), un'interrogazione al capo che dice di salire ancora un po'. 

Se non fosse per le isole rocciose affioranti che mi danno un po' di fiducia sulla fermezza del manto nevoso, non andrei, ma si può e salgo, di nuovo in frontale a cercare quella rara neve dura. Faccio provare a Roberta e Gianluca cosa voglia dire "fare la traccia", "provate a spostarvi di lato dalla mia traccia!", e capiscono al volo.. 

Si sale senza meta, ma con sempre più neve e vento, alla fine ci andiamo a infilare verso un budellino tra le rocce, su pendenze anche sostenute, ma la qualità della neve frenerebbe ogni possibile caduta al primo metro di discesa. In più cerco sempre di fermarmi e "sostare" al riparo sotto delle rocce per ricompattarci un attimino. 

Roberta non trova pace col suo cordino da ghiacciaio, spero le vada meglio alla prossima uscita, io ormai avrei raggiunto il massimo che mi concederei di salire, ma va bene, qualche altro metro, ormai sferzati dal vento e da una nevicata bella fitta. Mi sa che io, Giorgio e Nicola non si resta qui un'altra sera.. 

Scendiamo per primi, a rotta di collo, verso il pluviometro dove con le cordate di Giorgio e Federico faremo le prove di autoarresto, difficili con questa neve, ma questo c'è.. Questo e questo paesaggio alpino, ostile di default e oggi in un picco della sua ostilità, ma siamo in tutta sicurezza così numerosi e vicini al rifugio. 

Si scende, via al rifugio a valutare il da farsi, perchè la mini bufera di neve ci sta dando bene e occorre valutare se non sia il caso di andare verso le auto prima che peggiori ancora di più: in fondo sta nevicando anche sotto al rifugio! 

Ci ricompattiamo al rifugio, ma c'è chi è già qui da un po' e logicamente vorrebbe o agire o andare. Si preparano tutti gli zaini per scendere, e alla fine si opta per questa soluzione, dividendosi tra chi preferisce il sentiero vecchio e chi quello nuovo: io conoscono il nuovo e vorrei ripetere il tracciato di ieri che mi è parso sicuro, qualche altro istruttore sembra d'accordo con me, perciò aspetto gli allievi che preferiscono anche loro il nuovo e via! Discesa sotto la neve! 

Solo che azz, mi ritrovo da solo con Licia, Roberto, Roberto, Mattia e Alessandro.. Fortuna dopo poco vedo la sagoma di Giorgio raggiungerci, almeno che lui chiuda il mio gruppetto.. Si torna a cavalcare la morena, sotto la neve ma anche accaldati. Merda, non c'ho pensato e fatto lo zaino male, lasciando le cose che mi servono in basso.. E niente, sto senza guscio. 

Il terreno si dimostra molto più percorribile di quello che credevo, e ben presto siamo nella parte in cui occorre scendere dalla morena, su terreno ghiaioso e friabile: "Ragazzi, delicati come farfalle sulla morena!", ma alla fine è molto più comodo di quello che credevo. Si punta ora a seguire le lingue di neve evitando il più possibile i massi per salvaguardare le ginocchia. Alessandro mi scorre a fianco sciando.. 

E di nuovo all'incrocio traccia vecchia - traccia nuova, nevica ancora e tira vento, devo per forza vestirmi. Uno sguardo verso il rifugio, cielo sempre più chiuso, "adios sogni di gloria!". Arrivano altri che hanno seguito le catene, e ora si può scendere in modo spensierato verso valle, verso il ristoro. Verso un nuovo attraversamento di diversi paesaggi. 

Eh già, questo avvicinamento è "importante", e in discesa pesa ancora di più, ma non è noioso o almeno non per me. Faticoso sì, ma il fisico è comandato dalla mente, ricordiamocelo. I detriti glaciali, di nuovo la discesa del gradone, poi sul sali scendi della steppa della Valpelline, col ruscello che scorre impetuoso a fianco e la pioggia e neve che vanno e vengono: vorrei spogliarmi ma non posso. 

Discesa in cui il gruppo si sfalda, in cui spesso mi trovo da solo assorto nei miei pensieri, o in nessun pensiero: riuscire a non pensare a nulla è fantastico, è catartico. Ma alzo anche gli occhi e sogno di esser lassù. 

Non c'è traccia di sole, ma questo è pure meglio, sono accaldato come non mai ma non mi posso spogliare. Giunto al Larice secolare però non ne posso più, mi spoglio e tac, ricomincia qualche goccia, ma ora me ne frego, tie! All'arrivo al rifugio Prarayer è confortante e avvilente allo stesso tempo: manca ancora il costeggio della diga, ma so bene che siccome si tratta di discesa, il tempo pare doppio a quello della salita, tieni botta! 

Due chiacchiere con Alessandro, e arriviamo al bar, dove Cristiane Mattia sorseggiano al sole una birretta mentre Giorgio è già a mettere a posto la roba all'auto: faccio anche io così poi mi svacco al sole ma..il sole va via e viene pure freddo per colpa del venti! Uffa! 

Ricompattare il gruppo richiede tempo e pazienza, alla fine arrivano tutti, nessuno zoppica o pare stremato, anche se stanchi quello sì. ma anche soddisfatti mi pare. Niente cima, nemmeno il tentativo, ma ambiente super, rifugio intimo, e montagna che ci ha mostrato uno dei suoi aspetti, uno di quelli che preferiresti non vedere, ma che esiste, e va preso in considerazione.

Qui altre foto del primo giorno.

Qui altre foto del secondo giorno.

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