“Ruga ruga..touche”, Nicola
mi aveva già sgamato giovedì su quale fosse la punta per sabato..
Si tratta di una scelta logica, la zona è buona, non troppo alta
(temo sui Vaji più alti del Carega trovare farina difficile da
salire), conosciuta, avvicinamento a buio senza problemi, discesa
idem, e nell’ottica che devo essere a casa presto, non posso
sbagliare. E poi in questa zona iniziano a essere pochi quelli che
non ho ancora salito (tenendo conto delle difficoltà basse!). È
andata.
Mirko voglioso come non mai, non calza i ramponi dal Canalone Neri
(“Mi avete rovinato l’estate!”), e Giorgio,
vedovo di Christian, saranno
i compagni di avventura.
Al parcheggio ci troviamo con Gianluca e Paolo che partono
per la Val Varaita per un aggiornamento, sbigottiti dell’orario di
partenza di noi tre, ma errano, il nostro timing ci permette di
essere all’attacco alle prime luci, e considerando che dal
parcheggio avevamo già visto delle frontali impegnate nel primo
tratto, non siamo certo i più mattinieri (almeno ad attaccare, come
sveglia invece..).
Mi lascio convincere a lasciare le
ciaspole in auto, per controparte mi prendo tre picche che non si sa
mai, le due tecniche e il piccone. La luna, seppur all’ultimo
quarto, è possente, ben presto le frontali non servono a nulla, il
nostro cammino è segnato da lei. Credevo trovare più freddo, ma
meno vento, temo sempre di più l’uscita. L’uscita dei Vaji è
spesso la fregatura maggiore: ti fai 600m solo sulle punte, poi ti
trovi gli ultimi 5 di farina a 60° appoggiata su “roccia”
friabile. E al sole.
Il cono di valanga del Vajo dell’Acqua
è davvero maestoso, lo superiamo pestando neve dura dallo
scivolamento facile non avendo ramponi ai piedi ancora. Ma alle 7e30
siamo armati di tutto punto per entrare nella Ruga dello Zalica, e
dopo un quarto d’ora possiamo goderci lo spettacolo dell’alba, la
neve del versante alla nostra destra che si tinge di rosa, arancione,
rosso, e solo dopo queste veloci sfumature, di bianco.
La salita inizialmente facile ma della
quale non si vede il proseguo (è un vajo che gira un pochino..)
arriva al punto di svolta: dritto sembra facile ma si vede solo il
cielo, chissà cosa c’è dall’altra parte, mentre alla nostra
sinistra ci si incassa fra pareti rocciose: bisogna andare di li! Le
tracce di chi ci sta davanti confermano ciò.
Arriva il divertimento, e Mirko cerca
subito la pendenza: questa si accentua, non siamo più sui miseri 45°
del primo tratto, e in mezzo a questa strettoia troviamo pure del
ghiaccio! Quando lo vedo, avviso gli altri due che stan sotto,
saranno famelici anche loro di punte di ferro nell’acqua solida. Ma
meglio sbrigarsi e non stare nella rigola centrale, lassù il sole
sta già cuocendo la neve e scaldando la roccia.
Questo divertente tratto finisce sulla
forcella dalla quale occorre calarsi, qualche alberello sembra esser
cresciuto qui apposta per facilitarci la vita. E su questi alberelli
(cordone e moschettone già in loco) i cinque dei quali vedevamo le
frontali dal parcheggio sono in fase di calata. Aspettiamo
pazientemente che finiscano prima di infilare la nostra corda per
scendere.
Intanto osserviamo il da farsi. Subito
a destra sembra facile, ma la bibbia di Bellò dice di no (poi diventa difficile), lì c’è il percorso classico,
mentre a sinistra la Variante Sorriso, incassata tra le rocce. Di
certo più bella, ma la consistenza della neve mi preoccupa (non so
se abbia fatto in tempo a trasformarsi) e quei cinque ci si sono
infilati, quindi oltre a metterci in coda, rischiamo di sentire il
nostro casco suonare. Lascia stare, vada per la classica.
Classica che comunque concede una
pendenza divertente, ma che non giudichiamo richieda ancora di
legarsi. Come sospettavo la neve peggiora un po’, bisogna creare
dei bei gradini per poter arrivare su una nuova forcella che ci
immette nel Vajo Cesco. I polpacci cantano felici, noi con loro.
Con alle spalle la Guglia Zaltorn,
iniziamo a traversare un pochino per portarci sotto il canale che
giudichiamo migliore per l’uscita. Il vento ha lavorato, si vede,
cornici ornano la cresta in parecchi punti, il sole le scalda, mentre
questa uscita si conserva all’ombra e con una cornice minima:
avanti!
Ancora una volta, meglio spostarsi
dalla rigola centrale, la neve tiene, continuo a pregare di non
trovare la fregatura, solo l’ultimo metro è farina inconsistente.
Beh, sarebbe quel tanto che basta per non riuscire a uscire! Cerco,
ravano, il vento mi sbatte la neve in faccia in un turbinio folle in
questo angusto spazio, spaccata (mi si osserva che nel pantalone ho
un buchino, “Si vede che ti piace spaccare spesso!” mi prendono
in giro da sotto), trovo un mugo, mi faccio un gradino, uso il
piccone, riga e ruga, mi porto fuori, olè!
Anche Giorgio e Mirko apprezzano
l’inconsistenza, e vengono a trovarmi al sole possente che ci
irradia. Che bella giornata. Un occhiata all’orario, discesa per il
Ristele o di nuovo (di nuovo per me, non per gli altri due) la cresta
Zevola Tre Croci e la discesa per il Passo Lora? Mirko e Giorgio han
voglia, dai proviamo, non è tracciata, perciò vediamo com’è la
neve e valutiamo.
Valutiamo che si va. È tutta da
tracciare, certi tratti si sprofonda fino alla caviglia, altri fino
al ginocchio, ma la giornata, il panorama, la neve, rendono la scelta
ovvia o dal cuor obbligata che dir si voglia. Finita la risalita del
pendio, ci portiamo in cresta, confermando la vista di evidente
cornici dalle quali è molto meglio stare alla larga! Ma non si può
stare nemmeno troppo bassi, o parte qualche lastra..
Le meringhe sono notevoli,
ma ricordo dall’altra volta che il tratto più delicato è il traverso
per giungere sullo Zevola Bassa. Liscio come l’olio, siamo in
vetta, affamati. Tiro fuori una confezione di baci di dama, quando
sono ormai alla fine dei 100gr, osservo le kcal corrispondenti: ok,
posso finirli. Due chiacchiere con un local (facente parte dei cinque
della variante sorriso) che ci dice “beh tutta quella strada da
Modena per venire qui?!” “eh ragazzo, se no dove andiamo?”.
Continuiamo la nostra cresta, nostra
più che mai visto che è tutta immacolata! Il sole splende, la gamba
regge, il vento soffia ma non sconfigge, avanti tutta. Sempre stando
ben lontani dal confine che porta sulle cornici.. Qualche tratto
ripido in discesa viene addomesticato dalla profondità con la quale
la gamba scende nella neve, e il tratto leggermente affilato viene
fatto a cavalcioni. In men che non si dica siamo in cima al Tre
Croci.
La discesa vorrebbe puntare diretti
verso ovest, ma chi è uscito dal Vajo Battisti (io non l avrei
salito oggi sapendo della cupola nevosa che poggia in cima e che
prende sole fin dal primo mattino) ha invece puntato verso sud e poi
è scesa. Dopo qualche tentativo di un’altra strada, mi pare saggio
seguire le loro orme, anche se alla svelta visto che non siamo più
su una cresta ma su pendii!
Nonostante il sole che ha preso, la
neve regge bene anche sulle cunette che anticipano il Passo Lora. Via
spediti verso il Rifugio Battisti, non ho fato in tempo a preparare panini ieri, e ho una
certa fame di salato. Sapendo che arriverò prima di Mirko e Giorgio
al rifugio (in realtà non così tanto prima) prendo già le
ordinazioni di birre e panini. Districandomi tra le valanghe dai
cumuli duri, giungo al rifugio con un unico scopo: cibo e bevanda!
E così allegramente possiamo
stringerci la mano destra per le congratulazioni, la sinistra regge
la bottiglia di birra! Un’altra bella giornata a salire vaji,
percorrere creste, bere mangiare, e scherzare in compagnia, ottima
compensazione alle rotture di scatole della quotidianità lavorativa.
Qui altre foto.
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