La ditta obbliga giorni di ferie per
smaltimento delle stesse, meglio colgiere il lato positivo della cosa
e cercare di approfittarne per una giornata di arrampicata: ma come
ormai da un po’ di tempo, il meteo rema contro, e pagaia forte! Si
aspirava alle Dolomiti, ci adattammo alle Piccole Dolomiti, tememmo
la Valle del Sarca, finiamo sulle Alpi Apuane.
E meno male! Partiamo in quattro, io,
Claudio, Nicola e Giorgio(il bandito), e dopo una rocambolesca ricerca di parcheggio al
casello di Reggio Emilia, si imbocca la salata Parma-La Spezia.
Affamati alla ricerca di un bar, assetati alla ricerca di una fontana
(ricca di calcio, si vede), e di nuovo affamati alla ricerca di
gnocco per pranzo al sacco (io ho già la mia scorta di gnocco alla
cipolla..).
E già trovare il parcheggio in queste
selvatiche montagne non è facile, una stradina mezza asfaltata mezza
rovinata dal tempo, non si sa per quanto salirla, sembra finisca poi
prosegue, in tre scendiamo alla ricerca di qualche segno per poi
confermare al guidatore di proseguire nel rally. Eccoci finalmente!
Ci armiamo come al solito, ovvero più di quello che serve, e
finalmente alle 8e45 inizia la giornata.
Il sentiero sale in mezzo a un bosco
dove il nostro sguardo si impala di alla possenza della natura, due
castagni di cui uno con un diametro di almeno due metri e mezzo. Sti
ca. Proseguiamo descrizione alla mano, il nostro lettore ha una voce
suadente e chiara, è un piacere fargli ripetere la frase cento
volte! Poi si esce dal bosco ecco il Pizzo d’Uccello davanti a noi.
La frenesia sale, le gambe friggono, le dita prudono.
Inizia la penosa traversata verso la
nostra meta: erba alta fino alle ginocchia che copre la debole
traccia di sentiero, e..bagnata. Fradicia. Così come saranno i
nostri piedi, splash splash, che schifo, che fastidio. Avanti, non ci
scoraggiamo! Anzi, c’è chi inizia la scorpacciata di lamponi,
tanti ne troviamo a lato del sentiero, a meno che..non siamo più sul
sentiero. Belle le Apuane, selvatiche, erte, mai banali.
Si rientra nel bosco, nel passaggio più
probabile per vincere questo impluvio, e poi di nuovo nell’erba
alta, rigogliosa, e acquosa. Passiamo in mezzo a dei ruderi senza
ormai seguire più il sentiero, ma solo puntando a vista d’occhio
al Diedro Sud. Come torneremo indietro? Mah. Ah aspetta, prendiamo
questo rudere come riferimento (dall’altro vedremo che ce ne erano
altri quattro sotto di noi, e altri sopra di noi).
Il gruppo si stacca, ma sempre
mangiando lamponi, si abbandonano i sentieri e si punta la parete.
Come capre ci districhiamo tra i massi, i ghiaioni, gli erti pendii
erbosi, e finalmente, eccoci all’attacco! La nebbia (nuvole basse)
rende più suggestivo il tutto, anche se rompe le palle per la
mancata visibilità. Scalzo cerco e spero di far asciugare i piedi
prima di mettere le scarpette.
Parte Claudio, il fuoriclasse odierno
(ma direi anche di una cerchia più ampia) che in scioltezza sale la
parte bassa, per poi scomparire dietro lo sperone. Vai vai, parto io,
delicato e psicologicamente poco tranquillo vista l’ultima
esperienza di arrampicata in toscana (Torri di Monzone).
Invece oggi i gradi sembrano consoni ai canoni, oppure sono in forma,
chissà. Camino umidiccio e con passaggio strapiombante, e poi ecco
Claudio in sosta. Nicola segue con Giorgio.
Tocca a me adesso, per forse il tiro
più bello della via, almeno secondo il mio pare e quello di Giorgio,
che lo saliamo da primi. Dopo un breve trasferimento (nella nebbia)
verso la base del proseguo della parete, un sistema di fessure e
spigoli ci aspetta per un’arrampicata esposta, atletica, armoniosa.
Mi sembra quasi di saper arrampicare! Con passaggio pepato prima di
arrivare in sosta. Urlo agli amici di godersi questi 35m.
In sosta Claudio, da buon istruttore,
aspetta Giorgio per vedere come se la cava e per dargli qualche utile
indicazione, poi parte per il tiro chiave, che manco a dirlo, supera
con tranquillità. Intanto le nubi basse ogni tanto diradano e ci
fanno osservare quanto siamo già in alto e quanto sia verticale ciò
che ci sta sotto. Oppure tornano e oscurano tutto, come nel migliore
dei film horror.
Il quarto tiro è per bellezza secondo
solo al secondo. Ma in realtà me la cerco, dopo aver deciso che sia
evitabile il camino (che poi non ci si vedono nemmeno protezione, ne
possibilità di metterne giù, decido per la placca, ma poi invece
che proseguire in spigolo, mi sposto a sinistra, massima esposizione
e passaggi pepati. Poi tutto più tranquillo fino alla sosta, con la
mia maglietta verde e calzini che appesi allo zaino svolazzanti
tentano in modo improbabile di asciugarsi.
La roccia si è già fatta più brutta,
occorre prestare attenzione a cosa si prende in mano, e che non ti
resti in mano. Ma anche coi piedi..meglio guardare da sotto dove ci
si appoggerà! Claudio parte, lo vedo più “titubante” del
solito, chissà, in teoria il duro è passato. Alla sosta con qualche
urlo comunichiamo che lui decide di concatenare, prendendo verso
sinistra quella che reputo essere una variante.
Già, perché quando tocca a me,
azzarola non mi pare tanto easy! E lui dall’alto “hai detto che
ti piace l’esposizione?” “si Claudio, ma non mi piace la
placca!”. Tratto tosto, vado cauto, soprattutto quando vedo che
rischio di scaricare su Giorgio sotto che fa sicura a Nicola. Poi
ecco la sosta, non certo quella ufficiale ma efficace. Il panorama si
è aperto vero sud, Grondolice, Sagro, nuvole e..cava 27.
Che fame, sbrano un po’ di roba
mentre aspettiamo Nicola. Sarebbe bello andare a salire anche Tiziana
e uscire in vetta al Pizzo d’Uccello, ma esprimo già le mie
titubanze. Vediamo. Intanto Claudio va in esplorazione a cercare
l’attacco, io aspetto gli altri due e poi si sale anche noi su erti
pendi con l’erba che nasconde buche e sassi. Ah le Apuane!
Alle 14e15 ero fuori dalla via, ma solo
alle 15e30 siamo all’attacco di Tiziana, dove il primo tiro incute
già un certo timore, il bagnato lo rende più spaventoso, l’orario
lo rende tardo, e quelle nubi laggiù lo precludono più bagnato in
serata. “Ragazzi, non credo sia il caso di salire. Viene tardi,
usciamo alle 18e30 e scendiamo a cercare il sentiero dell’andata
col buio. Rischio temporali. Scendere col temporale c’è da
scivolare con niente sui quest’erba, se ci infiliamo sulla via poi
non si torna indietro in caso di temporale perché qui se scivoli ti
ritrovano a Vinca.”
Fine, preso in giro in quanto il più
giovano sulla carta risulta essere il più saggio (il più vecchio)
sui fatti, si scende, disarrampicando quella placchetta di III grado
che non è proprio da sentiero EE. E difatti poi anche la ricerca di
come andare a ricongiungersi sulla normale non è così banale,
ometti sparsi qua e la, ma continua a essere un signor “sentiero”.
Ah le Apuane.
Eccoci sulla normale, meno male la conosco, altrimenti si sarebbero già persi questi tre.. Ed è come
la ricordavo, del divertente I grado che obbliga a usare le mani (i
piedi sono tornati bagnati, le scarpe non si sono asciugate, ahimè),
il panorama che ora si apre anche sul
Pisanino. Vi guido io al sentiero corretto, non si scende di qui, e
così un po’ di risalita per arrivare a Foce Giovo, dove un ultimo
sguardo saluta il Pisanino (dove sul suo fianco nord ovest gioca una
nuvola di vapore).
Foto di rito con la maglietta del corso A1 2014 del CAI di Carpi, e poi giù che è già
tardi, fagocitando tutti i lamponi che troviamo, in mezzo a erba più
asciutta (in realtà seguiamo il sentiero che indica Rifugio
Garnerone, solo più tardi scenderemo a cercare la traccia della
salita di stamane) ma sempre piena di insidie, buche e fianchi
scoscesi. Meno male all’auto troviamo pure un piccolo ruscello dove
raffreddare i piedi!
Ah le Apuane, nei due weekend di
trekking e ferrate che ci avevo passato anni addietro mi erano già
piaciute, ora ancora di più. E questa via è da tornare a fare per
poi farsi anche Tiziana. Intanto abbiamo salvato un giorno di ferie!
Qui altre foto.
Qui report.
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