sabato 18 ottobre 2014

Danzando sulle pietraie col Menhir: Translagorai

Semplicemente magnifico.
Quasi tutte le grandi “imprese” nascono piano piano, nel tempo, da un'idea, da un suggerimento, poi ci si documenta, si cerca di capire se sia possibile, quanto sia faticoso, la logistica, i tempi e i modi. “impresa” è poi un termine soggettivo: per me può essere qualcosa di grandioso, per qualcun altro una bazzeccola, per un altro ancora una roba da titani, e non per ultimo per qualcuno può essere “ma a me che me ne frega?”
Riccardo me ne parlò tempo fa, ma molto tempo fa, quando per noi la montagna non era ancora alpinismo, non era arrampicata, era uno svago sì, ma vissuto con delle “semplici” camminate. La Translagorai, l'attraversamento di tutta la catena montuosa del Trentino, delimitata da svariate valli vista la sua estensione. Selvaggia, panoramica, ma che non conoscevo bene e fino a poco tempo conoscevo poco, giusto qualche trekking o scialpinistica o gita invernale, ma vista l'estensione, hai voglia!
Nel mio ormai quotidiano riempire la memoria dell'hard disk di mega e mega di itinerari montani da fare, l'anno scorso creai anche la cartella “Translagorai”, iniziando più che altro a studiarmi come diavolo tornare all'auto. La logistica, senza di lei certe “imprese” non si fanno. Sfruttare i mezzi pubblici poteva essere possibile, ma implicava partire da valle, e non Passo Manghen (allungando quindi i km a piedi), e farla con molta calma visto che i bus di domenica non girano. Come risolverla..
Per altre imprese simili ero stato più o meno attento. Per la prima Traversata del Baldo in giornata rimasi fregato dal fatto di farla il weekend dove il periodo scolastico lasciava posto a quello estivo: trovai il bus da Torbole a Garda, ma poi feci l'autostop. Per la traversata dell'Appennino Modenese-Reggiano studiai come arrivare con mezzi pubblici al Corno alle Scale, ma tornare dal Passo del Cerreto di domenica era praticamente impossibile (possibile al sabato invece, ma il venerdì si lavora): meno male Marco mi diede un passaggio finendo la traversata con me.
Poi volli cercare l'indipendenza, e con la seconda Traversata delBaldo mi portai la bici, lasciandola incatenata a un palo pronta per poi essere usata per tornare all'auto. Ma farsi la Gardesana di domenica in bici non mi pareva una genialata: uniamo l'utile al dilettevole, evitiamo i 2000m di discesa dall'Altissimo a Torbole rientrando in bici per il Passo di Navene. Yes! Poi mi resi conto che anche in bici c'era da fare della salita..
Arriva finalmente il momento di cambiare lavoro, e quindi nel posto attuale vogliono che smaltisca le ferie. Non trovando nessuno per arrampicare, potrebbe essere il momento di togliersi la voglia di un altro trekking un po' estremo. Questa Translagorai potrebbe fare al caso mio. In ottobre: solitaria e in solitudine visto che immagino che nessuno la affronti adesso (o comunque non con il traffico che ci deve essere di estate), non ci sarà da combattere nei bivacchi (sempre che ne faccia), non ci sarà la caldazza estiva e il sempre incombente temporale. Ma sai che quasi quasi..
Logistica innanzi tutto. Ho due giorni (di solito si fa in quattro), al massimo allungabili a due e mezzo ma solo come emergenza. Dai, da Passo Manghen al Passo Rolle posso farcela in due giorni scarsi, se i km sono davvero 60, io in 11h ne riesco a fare 45, quindi.. Ma lo zaino. Rientro all'auto: niente bus, al Manghen non ci arriverei in ogni caso. Translagorai indipendente: bici! Sono 50km di strada, ma con quella salita alla fine da Molina di Fiemme al Manghen.. Va beh, al massimo li faccio a piedi, saranno 2h30 di camminata noiosa.
Sai che c'è? Il meteo sembra ok, mia sorella mi copre a casa, la morosa acconsente, io vado. Ci provo. Ah però dove dormo? Metti che non riesco ad arrivare ai bivacchi? Mi porto la mia nuova tenda, pesa solo 1kg e poco più! E il mio nuovo (comprato usato) zaino! Ma sacco a pelo, materassino, fornellino, acqua (3l, sul percorso è difficile fare rifornimento), cibo e cibo (mi serve per due giorni più emergenza), casco per la bici, kit di riparazione, vestiti, quanto diavolo pesa lo zaino adesso?! Non voglio saperlo, sono 45litri + ma straborda: tornato lo peserò, 20kg..
Passo il giovedì a preparare tutto, cerco di essere minuzioso, non dimenticare nulla, non posso sbagliare, perchè sbagliare potrebbe voler dire due cose: rinunciare (magari all'inizio, magari a metà) o allungare a dismisura i tempi, e non posso permettermelo. La sera ceno con la morosa e punto la sveglia per il mattino: so che questo è un errore, sarebbe stato meglio partire la sera, posare la bici al Rolle e andare a dormire al Manghen così da essere al mattino bello pimpante invece che stanco per il viaggio. Ma preferivo la cena in ottima compagnia alla prestazione più sicura.
Con qualche pausa lungo la strada a schiacciare un pisolino, alle 8 incateno la mia fedele bici al Passo Rolle: dopo aver cercato il posto più adatto per, opto per una staccionata vista Cimon de la Pala all'Hotel Vezzana. Poi scendo, a Predazzo mi fermo per un'altra colazione e riparto: studio la strada di rientro in mtb di domani, discesa folle fino a Predazzo, poi ci sarà da pedalare, tunnel da asfissiarsi (la variante pista ciclabile temo allunghi un casino), e poi la salita.
Alle 9e45 mi metto in cammino dal Passo Manghen: porca miseria quanto è tardi! Pago l'esser voluto partire stamani. Va beh, ho la tenda, la frontale, sarà il male di farsi un tratto a buio. Oppure mi toccherà tornare indietro così presto? Senza nemmeno arrivare a un bivacco per la notte? Oh son qui devo provare. Anche il meteo si mette già storto: tira un vento freddo e sono in mezzo alle nubi. Ma dovrebbe migliorare e domani essere ottimo.
Altri due errori. Del primo mi viene il dubbio poco dopo esser partito: ma ho chiuso la macchina? Va beh, non torno indietro, è già tardi, sarà come al solito che mi viene il dubbio e poi invece l'ho chiusa come sempre. E invece domani sera scoprirò che era aperta davvero. Del secondo mi rendo conto dopo qualche ora che sono partito: le chiavi del lucchetto della bici sono rimaste in macchina. Vedremo più avanti come la prendo.
Inizio quindi a salire, il sentiero da tenere è il 322, fino alla Forcella di Val Sorda. La visibilità è scarsa, ma data la frequentazione di questo tragitto, non mi aspetto di avere problemi. È solo un gran peccato partire così: la Translagoarai dovrebbe essere panoramica, ricca di colori, varia, atmosfere, suggestioni, solitaria. Lo sarà!
Un cartello mi indica la possibilità di salire al Monte Ziolera, ma è già una bella gatta da pelare questa traversata senza cime, non mi vado a mettere in difficoltà per qualche sommità. Forse, e dico forse, solo Cima di Cece merita, ma vedremo domani.
Incontro tre tizi, in mezzo alla nebbia sono spaesati, loro sono saliti dal sentiero a nord, fanno un trekking in giornata. Ci scambio qualche battuta, so che non chiacchiererò molto nei prossimi giorni se non con me stesso, perciò ne approfitto. La nebbia rende difficoltoso l'orientamento, ma ben presto li aiuto dirigendomi verso quella che credo essere la direzione giusta, e infatti lo è.
Intravedo il Lago delle Buse laggiù, poi incontro qualche tratto di cresta bella esposta e ripida per essere semplicemente escursionistica: finita di percorrerla infatti noto delle rocce appoggiate sulla traccia come per dire “non andare di qui, ma seguire la traccia a fianco”.
Arrivo alla Forcella Ziolera dopo 45 minuti, buon tempo, inizio a essere fiducioso. Il paesaggio, quello che si poteva vedere, è finora un mix di prati con rocce affioranti. C'è del verde dell'erba, del rosso della terra, del grigio della roccia e del cielo. Un antipasto a quello che verrà.
Ora sono di nuovo solo, nemmeno le voci in lontananza dei tre tizi di prima, solo il rumore del vento, che eviterei volentieri. Le nuvole regalano ogni tanto qualche scorcio, ma solo a valle, l'azzurro è un colore di cui non conosco l'esistenza. Proseguo, concentrato, qualche tratto sconnesso e piccola pietraia, ma ancora nulla in confronto a domani.
Il senso dell'orientamento tra la scarsa visibilità e i giri che fa il sentiero, va a ramengo, mi sembra di girare in tondo, ma poi arrivo alla Forcella Pala del Becco e capisco che sono sul percorso giusto. Da qui voglio però seguire il 322b, in modo da passare per la sorgente che si trova sotto il Lago del Montalon: così allungo, anche come dislivello, ma l'acqua è preziosa, ne ho ma non è mai abbastanza.
Il sole cerca di vincere le nubi, un po' di luce si fa strada, ma è ancora poco. Attraverso una pietraia che è un mix di roccia rossa e grigio-verde, per poi ripiombare all'improvviso in mezzo all'erba e a qualche pino mignon. Incrocio una ragazza col cane, quarta e ultima persona di oggi. Avanti tutta, la Forcella di Val Sorda è il mio primo cancello per capire se riuscirò a farcela.
Arrivo sulle sponde del Lago di Montalon, ma ahimè non trovo fonti. Va beh, pazienza, ho la mia scorta, ma mi ruga. Se poi non ne trovo altre? Ah niente, stasera niente pasta liofizzata ma paciughi, e domani si torna alla macchina con la coda tra le gambe. Salgo alla Forcella di Montalon, la fatica si inizia a sentire, lo zaino anche..
Si passa così sul versante nord della catena, che con gioia è anche più soleggiato. Non che ci sia freddo, ma fa piacere al cuore e agli occhi, che finalmente possono deliziarsi di viste a centinaia di metri, non a decine. Il sentiero è ancora tranquillo, osservo la mia ombra, sembra quella di Obelix: non tanto per la mia pancia, ma per la stazza del mio menhir. Solo che io non sono caduto nella pozione da piccolo..
Svolto il Passo del Mugon, e l'erba lascia spazio alla pietraia, il verde al rosso, quasi quasi il trekking vorrebbe lasciare il posto all'arrampicata (se mi guardo a destra) ma non oggi, oggi gamba. Però occorre iniziare a danzare sui massi, grandi o piccoli che siano il sentiero passa di qui, e il piede deve essere saldo e la mente concentrata nello scegliere dove posare il prossimo piede: non è facile quest'ultimo.
Il Lago delle Stellune è un ricordo di una giornata invernale passata con Mirko: quanto è diverso il paesaggio oggi! Mi pare più selvaggio adesso, la neve tappava le asperità del terreno, fingendo che fosse tutto piatto, tutto lineare, mentre ora è tutto spigoloso, articolato. Arrivo alla Forcella di Valsorda, ci sono dentro al cancello. Solo che, ora che rifletto sulla reale probabilità di riuscire a farcela, realizzo che ho fatto una cazzata.
Le chiavi del lucchetto della catena per liberare il mezzo che mi consentirà di tornare alla macchina domani sera?! Le ho lasciate in macchina! Mi fermo, respiro a fondo, vedo tutto sgretolarsi davanti ai miei occhi. La mia Translagorai finisce qui? Così? Come rientro all'auto senza bici? Non posso allungare i tempi così tanto. Farmi venire a prendere? Non posso rompere le palle a qualcun altro per colpa di una mia voglia e di un mio errore. Taxi? Quanto costerà?! Autostop? Già più plausibile. Oppure rompere la catena: c'è la caserma della guardia di finanza al Passo Rolle, magari se gli spiego la situazione..
Dopo qualche minuto di panico decido. Non posso tornare indietro a prendere le chiavi, comprometterei tutto, sono troppo avanti, se torno indietro rinuncio alla traversata, e con la preparazione che ci sono alle spalle e le aspettative che ho, mi da fastidio. Ho fatto una cazzata, ma rischierò: cesoie dei finanzieri per la catena, oppure autostop o taxi. Mi rimetto in cammino, conscio che adesso devo essere ancora più veloce, perché qualsiasi sia il modo in cui risolverò la faccenda chiavi della bici, allungherà i tempi molto probabilmente.
Riparto seguendo il sentiero 321, che seguirò fino a Passo Sadole: se arrivo lì entro sera, è fatta. Ci sono già stato, ricordo he poi scendere al Rifugio Cauriol è facile anche a buio, e la dell'acqua ci sarà bene! Poi il meteo sta migliorando, le nuvole si diradano un pochino, il vento sferza ancora, ma non è nulla in confronto a quello cui l'appennino mi ha forgiato.
Alla Forcella di Val Moena arrivo dopo una nuova danza sulle pietre e una nuova rinfrescata da nubi basse. Poi vedo che il sentiero 321 diventa “Don Martino Delugan”, e la cosa mi lascia un attimo perplesso: ci sarà mica una ferrata non segnata?! In realtà qualche metro di cavo, giusto perché il sentiero si fa esposto e roccioso.
Poi torna più percorribile (non che mi avesse impressionato prima, ma pensando che la Translagorai fosse escursionistica..) ma tornano anche le nubi, che palle. Va beh, testa bassa e andare avanti, arrivo alla Forcella Busa della Neve, e in effetti quanta neve che è rimasta la sotto! Azzurro e grigio nel cielo si alternano, sta diventando una lotta alla pari, speriamo che l'azzurro dia un bel KO!
I prossimi metri sono un po impegnativi, tocca usare le mani, ma questo mi conforta: alleggerisco i piedi e usando le braccia rinforzo la schiena che patisce il menhir. Le forcelle si susseguono adesso, sarà che son più svelto o sarà semplicemente che sto entrando in trans: il tempo non ha più senso, a parte quello che se non lo rispetto mi ritrovo a buio chissà dove. Così senza nemmeno accorgermene arrivo ai laghetti di Lagorai.
Ho avuto un anticipo della “danza sulle pietre”, ma a breve si inizia a fare sul serio. Intanto riesco a godermi uno scorcio sulle Pale di San Martino, che non vedo l'ora di poter osservare da molto vicino, e poi inizia la musica: sotto la Cima Laste delle Sute la pietraia rossa verde grigio è sconfinata, i segnavia CAI danno indicazioni della direzione, ma non c'è un vero sentiero. Si sceglie il sasso che più ti piace dove appoggiare il prossimo piede.
Un attimo di break per scollinare al di là, e si apre la luna: la zona dei Pieroni è anche lei un antipasto a domani, una distesa di roccia lisciata dai vecchi ghiacciai, tondeggiante, di aderenza, leggermente inclinata, dove cercare un passaggio agevole. E a condire questo paesaggio, delle nuvole che ancora non mi abbandonano e accarezzano tutto.
Altra forcella e ritornano le pietre, dì che ne ho visti di sassi questi giorni. Il rosso è il colore delle rocce “nuove”, frantumate da poco, il grigio-verde è il colore delle vecchie. Il grigio è il colore delle solite maledette nubi che ancora oscurano il cielo. Sono ormai le 15, e il Passo della Litegosa è quello che vedo come prossimo cancello: ormai credo di avere la giornata in tasca, di farcela, però inizio ad aver voglia di finirla.
Complici le nubi, l'orientamento, l'ostentazione di credere che quello la sia il passo, mi illudo ben due volte di essere a pochi metri da lui, e invece nulla. Ma il bel paesaggio allevia le mie pene, una Cima d'Asta di qua, un altro monte di la, una bella guglia dal profilo liscio e inclinato, tipo parete di gelato appena posato col cucchiaio. Che spettacolo la geometria delle rocce, a volte lisce, a volte spigolose. E noi a fare i pitagorici su queste forme.
Su Cima Litegosa sono già stato, ma era inverno, e vedo che qui il paesaggio può cambiare radicalmente se piallato da una coltre bianca. Ma finalmente riconosco la cima, e stavolta raggiungo davvero il Passo Litegosa: manca poco alle 16, ancora due ore abbondanti di sole. Se non mollo ce la faccio, e in questo “ce la faccio” includo anche domani.
Sosta cibo e ammirazione paesaggio (non ho mangiato ne bevuto molto, lo ammetto, ma ho cercato di spizzicare spesso: a casa tornerò però con almeno metà dei viveri intatti!) e riparto, curioso di vedere questo Bivacco Teatin: perfetto per chi soffre di reumatismi, ma meglio che niente in caso di necessità!
Si passa sotto il Monte Formentone, cengetta erbosa esposta senza via di scampo: a sinistra metri e metri di verticale roccia, a destra metri e metri di scivolosa e inclinata erba.. Mantieni la concentrazione amico, manca poco e poi puoi tirare i remi in barca. Il sole ora è pieno finalmente, non passerò più in mezzo a nessuna nuvola, e a breve sarò in un territorio conosciuto.
Busa del Castel, ultimo tratto del 321, discesa tra le pietre e poi so che mi aspetta l'ultima tosta salita di oggi: la salgo con calma, ormi il tempo ce l'ho, perchè tirarmi il collo? In realtà sono stanco.. Ancora un po di pazienza, di sentiero ripido in discesa e un po sconnesso, il rumore dell'acqua che scorre e la mia gola che la chiama, ma pazienta, ormai sei a Passo Sadole, è quasi fatta.
È fatta! 16e52, Passo Sadole, il Sella e il Sassolungo in lontananza, uno snack che si avvicina alla mia bocca, la bottiglia che si dilegua dal suo contenuto. Mi riposo, dieci minuti, me lo merito. Poi inizio a scendere, bramando la fontana e la pasta a cena. Sono solo indeciso se fermarmi al Baito del Marino o scendere. Ma una volta arrivato al baito, è chiaro che continuerò a scendere.
Alle 18 sono a Malga Sadole, che ha la fontana, ottimo. Ricognizione sia alla malga che al Rifugio Cauriol (entrambi chiusi) per cercare il posto migliore per piantare la tenda, o mangiare, insomma per stare il più comodo possibile. Torno così alla malga, senza pensare che magari il rifugio ha anche un locale invernale: ok voler provare la tenda, però dormirei più al caldo, comodo, e senza sporcare nulla. Ma non ci penso.
Alla malga cerco di metter giù la tenda prima che faccia buio, sotto la tettoia davanti alla porta di ingresso, incastrando i picchetti in mezzo ai listelli di legno, che lavoraccio, mi sa che non terrà, ma questo ho. Però almeno la cena me la faccio sotto la tettoia di legno. Sì ma ferma tutto: perchè non ci metto anche la tenda? Che sciocco.
Solleva la tenda e spostala sotto il gazebino di legno che è meglio. Poi lo chef si mette all'opera: pasta e fagioli. Ma che due scatole stare a mescolare per mezzora! E questa maledetta pasta, che se non la giro si attacca al fondo porca vacca. Arrivano delle macchine al rifugio, saranno i gestori? Ma chissà, io mi faccio i fatti miei, e loro i loro. Dopo realizzo che magari è gente che va all'invernale a dormire per poi fare un giro domani.
Finisco cena che ho già freddo, studio il giorno dopo, a che ora puntare la sveglia? Inutile partire a buio, meglio avere la luce del sole che mi aiuti a trovare la strada, e piuttosto il buio me lo tengo per gli ultimi km della sera. Senza capire bene come mettere a posto le cose, e con la paura che portandomi il cibo in tenda potrei attirare degli animali, faccio la mia pisciatina sotto una volta stellata magnifica: altro che hotel 5 stelle, le stelle qui sono miliardi!
Alle 20e30 sono dentro il mio sacco a pelo. Sarà una notte fredda porca miseria, due calzini ma patirò: il sacco a pelo grande era troppo ingombrante e non credevo che ci sarebbe stato così freddo. Nonostante la sveglia sia alle 5e45, non dormirò a pieno tutte queste ore.
Sveglia, la rimando, oh che freddo, ma devo andare: ho già affrontato problemi e difficoltà ieri e ho continuato, ora non posso fare il pigro. Esco a fare pipì, una debole luna e un po' di vento, ma la colazione è assicurata al riparo, e mentre l'acqua bolle e il the si prepara, impacchetto la tenda smordicchiando i biscotti. Ho una fame della madonna ma faccio fatica a mangiare.
Fatto su tutto, ripristinato il mio menhir, riparto alle 7, con la luce che ormai è più che sufficiente a camminare anche se il sole è lungi dal mostrarsi. Tempismo perfetto. Ora c'è solo che..la salita è tosta: è il salitone della giornata, ma che dico, il salitone della sveglia, da 1587 a 2300 abbondanti, col primo tratto bello ripido.
Oggi è il 349 il numero da seguire, e quanto è da seguire! Numero che parte in un bosco danneggiato dalla meteo di quest'anno, insomma mi meraviglio sempre più che nonostante la Translagorai sia un percorso molto frequentato, i suoi sentieri non sono sempre degli E facili.
Oggi il panorama sarà poco offuscato dalle nuvole, meno male. Parto già godendomi il sole che piano piano colora le dolomiti a nord, il Latemar riesco a godermelo cambiare colore man mano, gli altri gruppi un po' meno perchè c'è chi ci sta davanti. Poi scorgo anche il bianco gruppo dell'Ortles-Cevedale, e mi inizio a chiedere quando cavolo riuscirò a rimettere i ramponi ai piedi.
La fatica non è poca e la voglia di arrivare alla meta è tanta. Questo mix di considerazioni fa sì che mi illudo di continuo che lassù ci sia finalmente la forcella dalla quale vedere il Lago delle Trote, ma ragazzo mio, la strada è più lunga di quel che sembra. Il bosco fitto finisce, il sentiero inizia a divincolarsi in mezzo a salti di roccia contornati da erba ancora.
Finisce anche l'erba, oh leh che si ricomincia con le pietraie. E in mezzo a queste mi perdo, seguo una traccia ma non vedo segni, salgo, mi guardo in giro, ah eccoli laggiu, li raggiungo e..ma di qua sono già passato! Iniziamo bene.. un po' di sconforto, non posso permettermi questi errori. Poi ritrovo il sentiero: resta concentrato, testa non troppo bassa perchè diamine, devi guardare dove andare!
Il cancello di oggi è il Bivacco Paolo e Nicola. Ma sembra irraggiungibile. Sassolungo e Sella mentre compio un traverso verso nord, ma dove cavolo sto andando?! Però altri sentieri non ci sono, perciò non può essere quello sbagliato. Oh ecco un cartello! Forcella Canzenagol, apro la cartina, oh mio Dio, quanto sono lontano. E sono due ore che cammino.
Mi faccio prendere dallo sconforto, ci sto mettendo una vita, se guardo la cartina sarò nemmeno a un decimo del tragitto per arrivare e Passo Rolle! Cazzo! Ma come è possibile?! Non ce la farò, mi toccherà fare un bivacco. Ormai son qui, tornare indietro equivale ad andare avanti, proviamo e vediamo se riesco a recuperare. Per fortuna sarà così.
Riparto e dopo poco avvisto il Lago delle Trote. Scendo alla Forcella Coldose, scoprendone sul lato sud un bivacco nuovissimo, meritevole di una visita invernale. Basta, ora voglio pedalare, o tutto si infrange dopo la giornata spesa ieri, e la notte al freddo. Scendo salgo, i saliscendi continui rendono incalcolabile il dislivello percorso, ma meglio così, se non sai non temi.
Arrivo al Lago Brutto, che invece è bellissimo, solitaria, in una buca sovrastata da rocce, ci scatta la foto da cartolina con il Coltorondo e la sua immagine specchiata sulla superficie del lago. Queste immagini riappagono dalle fatiche, mi danno lo sprone a non mollare. Forza! E forza ne serve, perchè risalire alla Forcella di Moregna sembra un miraggio, anche se invece è lì vicino.
Eccola, ed eccomi al sole, adoro fare la lucertola, mi ricarico le pile e mi guardo il paesaggio, c'è pure la Palla Bianca laggiù. Mi baso sui tempi dei cartelli per capire se sto andando bene o meno, almeno che possa arrivare a un “punto vita” prima che sia buio. Ma dai, è ancora mattina, spera di farcela.
Si scende per passare pi sotto la Cima di Valbona e la Cima di Valmaggiore, sento delle voci ma non vedo nessuno, sto impazzendo? Pesto quelli saranno gli ultimi prati di oggi, osservando l'erba ghiacciata: il sole irradia, ma la temperatura sarebbe frizzante. Ed eccole, le pietre! Tornano a dominare la scena! Rosse principalmente.
Ma oltre alle pietre, oggi a dominare la scena è anche l'azzurro del cielo, i panorami, le cime che non si nascondo. Solo un po di fastidio intorno al Bivacco Aldo Moro “danneggerà” la giornata, ma dandogli quel tocco di misticismo che ci sta.
Il sentiero lambisce il versante nord della Cima di Valmaggiore, ma quello che sulla cartina sembra un tratto dritto alla stessa quota, è in realtà un saliscendi: le cartine semplificano un po' troppo certi tratti, che invece che essere dritti e senza perdere quota, hanno tornanti di discesa e poi di risalita. E io cammino. Lambisce lambisce, e ormai vedrò questo benedetto Bivacco Paolo e Nicola!
Alle 11 sono alla Forcella Valmaggiore, ovvero al Bivacco Paolo e Nicola: sono partito alle 7, e invece i cartelli davano 5h30. Ora i cartelli danno il Rifugio Colbricon a 7h, 11+7=18, quindi se anche ci mettessi lo stesso tempo dei cartelli (tempo che per ora sto invece tenendo più basso) ce la faccio. Primo cancello della giornata superato.
Disclaimer. Non faccio queste cose per battere record o altro. Certo, a volte ci metto dentro una componente di allenamento, volerci spingere per fare della gamba. Ma non è questo lo stimolo. Lo stimolo è vivere la montagna intensamente. Intensamente vuol dire, paesaggi, quota, cime, ma anche km, dislivello, fatica. Poi la scarsità di tempo a disposizione (non avrei mai 4 gg per questa traversata con “calma”) aggiungono quella che può apparire “prestazione”: questa invece è “voglia di fare senza il tempo adeguato, allora devo correre”.
Lascio lo zaino e scendo alla fonte, dopo aver chiesto indicazioni che ci sia. Qui al bivacco ci sono molte persone, è il luogo più affollato di questa due giorni. Mangio. Il cancello mi rende un buon 20min di riposo prima di ripartire, anche perchè mi aspettano 500m di salita al cospetto di Cima Cece: questa poteva essere l'unica cima che valeva la pena di salire, ma visto i tempi stringenti e la fatica, bye bye, prossima volta.
Ben presto la Forcella Valmaggiore resta nascosta da una costola rocciosa, sono nell'anfiteatro di pietre della maggiore cima del Lagorai, con un campanile alla mia destra che sale vertiginoso verso il cielo, che..vorrei scalare. Brutta bestia questa passione. Incrocio altre persone, mi guardano un po' così, mi chiedono dove vado e terminano con un “in bocca al lupo”, ne ho bisogno.
Pietre e pietre, ora regnano sovrane. Austero e proibito sembra questo paesaggio, la direzione logica, il come “camminarla” è più arduo, i segnavia aiutano. Si punta a quel lungo contrafforte roccioso sopra il quale corre la cresta che sale alla cima, ma per me già arrivare alla famigerata quota 2666 è abbastanza. Toh, eccola. Eccola, sì, ma quante pause a prendere fiato!
Questo è un bel balcone panoramico, e da qui vedo bene come dalla Valsugana stanno salendo nubi a disturbare l'idillio di questa serena giornata di sole e sudore. Ma io sono ormai confortato dal conto che ho fatto alla Forcella Valmaggiore, salvo problemi improvvisi, ho la Translagorai in tasca, virtuale. Già, perchè tra poco mi perdo.. Ma intanto posso godermi tutte ma proprio tutte le dolomiti a nord della mia posizione, limpide e brillanti.
Mi aspetta un tratto ripido in discesa e poi in risalita, poi un altro ancora e una discesa malefica in mezzo a pietraie smosse. Molto malefica, sotto di me laggiù vedo delle persone, perciò contnuo a scendere, ma dopo un po' non vedo più segni. Porca vacca, dov'è il sentiero? Mi raggiungo due tizi, proviamo insieme a capire cosa fare, decido di scendere un altro po' e poi traversare. Ma niente.
Ci ritroviamo su una collinetta erbosa dalla quale scendere dritti è dura, ma la Forcella di Cece la vediamo laggiù. Dopo qualche minuto, mi pare di vedere dei segni: siamo scesi troppo. Mannaggia, questa non ci voleva. E a coronare il nuovo momento di sconforto, le nubi su quello che sarà il mio prossimo percorso, se ci arrivo.
Risaliamo a incrociare il sentiero, qualche chiacchiera e poi mi lasciano passare con un “mi sa che lui ha più fretta di noi”, gli ho detto dove sto andando e entro quando.. Saranno le ultime due persone che vedo oggi, mi aspettano un tot di ore di solitudine, e in che ambiente.. Finalmente ecco i miei piedi al cospetto del cartello Forcella di Cece.
Il sentiero di divincola tra le rocce, forcelle e forcellette, un po di vista a nord, un po di vista a sud, il tempo sta iniziando a perdere di significato, esisto solo io e il Lagorai, i suoi massi, la sua roccia, il suo cielo, la mia metà che ogni tanto scorgo davanti a me.
Passata la Forcella del Valon, inizia il tratto più bello di tutta la traversata. Mi aspettano lunghi tratti di pietraie, a volte con una sorta di sentiero calcato, a volte dovendo invece danzare sui massi, danza che poi diventerà uno scivolare sui versanti grigi levigati da antichi ghiacciai. Realizzo che per fare scialpinismo qui ne deve venire di neve, o se no è sempre un'imboscata dei buchi tra le rocce!
Come detto il tempo perde di significato, e lo riscontro nei ricordi che ho e nel non sapere cosa scrivere adesso. L'ambiente selvaggio, rude, continuo, è monotono, ma è una monotonia che piace, affascina, è una monotonia positiva. È bello, è mistico, è introspettivo. È da fare per capire.
Centinaia di metri su rocce rosse, quanti passi, quante contrazioni muscolari e respiri per “vincere” questo tratto. Si sale e si scende, si vede la cresta del Lagorai (in particolare il Coston di Slavaci), la Marmolada, il Sella, la Pale, fantastico! Poi le pietraie spigolose lasciano spazio ai massi levigati e addolciti, ma non meno austeri. Arrivare al Bivacco Aldo Moro sarà un susseguirsi di passaggi e passagini a superare questi risalti lisci nei loro punti di debolezza, finché le spigolose non si riprenderanno le redini del gioco.
Alle 15 arrivo finalmente al BivaccoAldo Moro, e realizzo quanto deve essere emozionante passare una notte qui, vedere il tramonto e l'alba, il silenzio. Oggi non posso e eviterei volentieri, ma un'altra volta sì. Non me lo ero prefissato come cancello, ma quando lo raggiungo lo rivaluto come tale, se non altro perchè mi da fiducia. Vedo la Forcella Colbricon ormai come il punto dove le difficoltà finiscono, ma in realtà mi sbaglio.
Entro nel bivacco, e sul libro leggo di due escursionisti che lo hanno raggiunto da Passo Rolle proprio oggi: se li raggiungo gli chiedo un passaggio! Snack e si riparte, anche oggi mangio e bevo poco, ma spesso. E sotto le Cime di Bragarolo ci sono nuove rocce lisce lunari, fantastiche, nelle quali i segnavia si districano sinuosi, e io con loro, usando le braccia il più possibile perchè il menhir si fa sentire.
Il tempo torna ad annientarsi. Sono sempre più emozionato, ormai è fatta, ma sbaglio a tirare i remi in barca così presto. Stò ormai pensando anche che, se arrivo alle 18 al Passo Rolle sarebbe da folli scendere al buio in bici, mi sa che devo pensare all'autostop, che sarebbe anche molto meno faticoso. Eh già.
Vedo la forcella ambita, vedo che il terreno sotto i miei piedi da roccioso torna a farsi erboso, è il segno della fine della traversata. Cala Merlino, ce ne è ancora! Risalita alla Forcella Colbricon, e alle 16e20 vedo Passo Rolle laggiù. Mi guardo indietro, Vigliac! Mi guardo intorno, wow!
La “discesa” sarà estenuante. Stanco e vittima dell'illusione che fosse finita, devo faticare ancora su sentieri sconnessi in discesa che sono pure più faticosi delle salite, attento a non mettere il piede in fallo. E poi realizzo che il Rifugio Colbricon è più basso del Passo Rolle, anche se forse la mia astuta mente lo sapeva ma è riuscito a nasconderselo: fa parte della “meditazione” di questi giorni.
Sopra di me un pastore mi chiede indicazione di capre, gli dico che ne ho viste, ma parecchio lontane da lui. Nonostante sia la prima persona che incontro da un bel po', non sono troppo invogliato a parlarci, voglio solo arrivare giù. Giù ci arrivo, al Passo Colbricon, dopo un pessimo sentiero in discesa, ma talmente giù che sono a 1908. Solo 100m sotto la mia meta, ma a questo punto e con questo menhir, 100m son tanti.
Dopo quella discesa sconnessa, risalire un po non mi dispiace, e i Laghetti di Colbricon oggi, a quest'ora, con questa atmosfera, con il tracciato percorso alle spalle, in solitudine, sono la pace dei sensi. Mi abbeverò che ne ho bisogno, e chissà se al Passo Rolle mi toccherà bivaccare perchè non trovo modo di scendere..
Alle 18 sono a Malga Rolle, con il Cimon de La Pala e limitrofi in fiamme per il tramonto limpido su di loro. Ce l'ho fatta! Ma in realtà è come se fossi arrivato su una cima, manca la discesa, e la discesa è la parte più dura di solito.
Getto il menhir della Deuter e provo subito a chiedere un passaggio alla signora che si è fermata a fotografare le pale. Ha la macchina girata nel verso opposto a quella che sarebbe la mia direzione, ma ci provo. Picche. Sono dubbioso sul da farsi, tento la bici? Ma resta il fatto che scendere al buio a velocità folle.. Fletto il braccio, pugno chiuso, pollice in alto.
La prima auto che passa si ferma, il caso ha deciso per me, si va di autostop. Questo signore arriva fino a Predazzo mi dice, ma è già qualcosa. È un biologo, mi racconta della pazzia di traffico a Feltre, della sua idea secondo la quale chi ha un animale domestico è un razzista del regno animale: perchè un gatto si e una migale no? Lo dici tu che il gatto è bello e la migale no. Poi qualche racconto su Bonatti.
Arriviamo a Predazzo che sono quasi sollevato, questo guidava un po' pazzo, per sua stessa ammissione, ma non potevo certo oppormi. Personaggio dalle strane teorie, ma con della logica. Mando un sms a casa che non ho ancora avuto modo di farlo “tutto bene, sto facendo autostop, non chiamarmi che risparmio batteria”.
E ora? Riprovo col pollice alto, mi dirigo verso valle, arrivo a un negozio sport dove cerco di elemosinare un passaggio, mi dicono di provare coi bus, ma so che non ce sono. Vado comunque alla stazione, trovo numeri di taxi, provo a chiamarli ma mi sparano dei 100 euro.. Salgo al bar, anche li spiego la mia situazione sperando qualcuno mi dica “ti do un passaggio io”, fermo restando che ho già messo le mani avanti su un possibile pagamento.
Niente, torno in strada, pollice alto, e dopo qualche auto si ferma una panda guidata da un ragazzo giovane, “dove devi andare?” “Molina di Fiemme” “salta su”, grande. Da li dopo saranno 10km di salita a piedi, meglio che niente, arrivo alla macchina all'1, dormo, vado a recuperare la bici e poi a casa. Anche se speravo arrivare molto prima per dormire con la morosa..
Inizio a fare quattro chiacchiere con Francesco, dopo un po' gli chiedo dove sta andando lui e mi dice “in realtà ho appena messo giù la mia ragazza a Predazzo, io sono di Canazei, dalla parte opposta”. Quindi questo ragazzo mi ha dato un passaggio per simpatia, visto che doveva andare dalla parte opposta! Io ci provo allora, “beh ascolta, io te lo propongo, se non hai impegni, orari o altro, poi puoi ovviamente dirmi di no. Mi porti su fino a Passo Manghen? Ti rimborso la benzina e ti do 10euro in più”, non ci pensa molto e mi dice “ok”.
Cazzo grande, ho risolto la serata, riesco ad arrivare a casa anche presto! Chiacchieriamo, anche lui arrampica, ma con le scarpe da ginnastica, da primo però non va oltre il 6b e da secondo oltre il 7a, alla faccia. Guida spericolato, per sua stessa ammissione gli piace pestare il piede, ha la moto. Sempre gente strana a fare gli autostop, ma Dio li abbia in gloria. Gli sgancio 25euro nonostante mi dica che sono anche troppi.
Alle 20 sono di nuovo alla mia di macchina, che trovo aperta: cazzo, stavolta quella sensazione era giusta, ma in auto c'è tutto. Mi cambio con calma, vorrei stare qui ad ammirare il cielo stellato per ore e ore, ma adesso ho voglia di un panino caldo e un letto in compagnia. Vado verso Passo Rolle, nel mentre avviso familiari e amici che sto bene e sto rientrando. Quattro chiacchiere amiche fanno piacere.
A Passo Rolle le nuvole avvolgono tutto, la bici è umida, la rimetto in macchina, un'altra telefonata e riparto. Non sono nemmeno così stanco, me la sento di guidare. E guido. Mangio il pane che ho con me, bevo la Coca Cola rimasta, mi fermo a schiacciare qualche pisolino, sbaglio strada e invece che imboccare la Val di Cembra finisco troppo a est, che palle. In autostrada mi prendo questo benedetto panino caldo che non mi soddisfa per niente. La strada è ancora lunga, ma la mia doccia calda e la mia dormita in dolce compagnia è assicurata.
Bello, intenso, selvaggio, austero, lungo, solitario, introspettivo, non ho parole, oppure ne ho troppe, mi pare di aver scritto un libro, ma queste mie frasi serviranno tra qualche anno per rinfrescare i miei ricordi, oltre che spero, per far assaporare ai lettori un po' di emozioni, e fargli venire la voglia di percorrere la Translagorai.

Qui altre foto (ho fotografato tutti i cartelli, in modo che possa diventare una guida fotografica completa).
Qui report coi tempi e qualche dato tecnico.

3 commenti:

  1. Translagorai 1 volta a piedi e 3 volte in auto, complimenti! anche per averci creduto fino in fondo, i motivi per fare retrofront erano molti!

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  2. eh luca, la montagna è un "brutta" malattia, anche la testardaggine!

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