Semplicemente magnifico.
Quasi tutte le grandi “imprese”
nascono piano piano, nel tempo, da un'idea, da un suggerimento, poi
ci si documenta, si cerca di capire se sia possibile, quanto sia
faticoso, la logistica, i tempi e i modi. “impresa” è poi un
termine soggettivo: per me può essere qualcosa di grandioso, per
qualcun altro una bazzeccola, per un altro ancora una roba da titani,
e non per ultimo per qualcuno può essere “ma a me che me ne
frega?”
Riccardo me ne parlò tempo fa, ma molto tempo fa, quando per noi la montagna
non era ancora alpinismo, non era arrampicata, era uno svago sì, ma
vissuto con delle “semplici” camminate. La Translagorai,
l'attraversamento di tutta la catena montuosa del Trentino,
delimitata da svariate valli vista la sua estensione. Selvaggia,
panoramica, ma che non conoscevo bene e fino a poco tempo conoscevo
poco, giusto qualche trekking o scialpinistica o gita invernale, ma
vista l'estensione, hai voglia!
Nel mio ormai quotidiano riempire la
memoria dell'hard disk di mega e mega di itinerari montani da fare,
l'anno scorso creai anche la cartella “Translagorai”, iniziando
più che altro a studiarmi come diavolo tornare all'auto. La
logistica, senza di lei certe “imprese” non si fanno. Sfruttare i
mezzi pubblici poteva essere possibile, ma implicava partire da
valle, e non Passo Manghen (allungando quindi i km a piedi), e farla
con molta calma visto che i bus di domenica non girano. Come
risolverla..
Per altre imprese simili ero stato più
o meno attento. Per la prima Traversata del Baldo in giornata rimasi
fregato dal fatto di farla il weekend dove il periodo scolastico
lasciava posto a quello estivo: trovai il bus da Torbole a Garda, ma
poi feci l'autostop. Per la
traversata dell'Appennino Modenese-Reggiano studiai come arrivare con
mezzi pubblici al Corno alle Scale, ma tornare dal Passo del Cerreto
di domenica era praticamente impossibile (possibile al sabato invece,
ma il venerdì si lavora): meno male Marco
mi diede un passaggio finendo la traversata con me.
Poi volli cercare l'indipendenza, e con
la seconda Traversata delBaldo mi portai la bici, lasciandola incatenata a un palo pronta per
poi essere usata per tornare all'auto. Ma farsi la Gardesana di
domenica in bici non mi pareva una genialata: uniamo l'utile al
dilettevole, evitiamo i 2000m di discesa dall'Altissimo a Torbole
rientrando in bici per il Passo di Navene. Yes! Poi mi resi conto che
anche in bici c'era da fare della salita..
Arriva finalmente il momento di
cambiare lavoro, e quindi nel posto attuale vogliono che smaltisca le
ferie. Non trovando nessuno per arrampicare, potrebbe essere il
momento di togliersi la voglia di un altro trekking un po' estremo.
Questa Translagorai potrebbe fare al caso mio. In ottobre: solitaria
e in solitudine visto che immagino che nessuno la affronti adesso (o
comunque non con il traffico che ci deve essere di estate), non ci
sarà da combattere nei bivacchi (sempre che ne faccia), non ci sarà
la caldazza estiva e il sempre incombente temporale. Ma sai che quasi
quasi..
Logistica innanzi tutto. Ho due giorni
(di solito si fa in quattro), al massimo allungabili a due e mezzo ma
solo come emergenza. Dai, da Passo Manghen
al Passo Rolle posso farcela in
due giorni scarsi, se i km sono davvero 60, io in 11h ne riesco a
fare 45, quindi.. Ma lo zaino. Rientro all'auto: niente bus, al
Manghen non ci arriverei in ogni caso. Translagorai indipendente:
bici! Sono 50km di strada, ma con quella salita alla fine da Molina
di Fiemme al Manghen.. Va beh, al massimo li faccio a piedi, saranno
2h30 di camminata noiosa.
Sai che c'è? Il meteo sembra ok, mia
sorella mi copre a casa, la morosa acconsente, io vado. Ci provo. Ah
però dove dormo? Metti che non riesco ad arrivare ai bivacchi? Mi
porto la mia nuova tenda, pesa solo 1kg e poco più! E il mio nuovo
(comprato usato) zaino! Ma sacco a pelo, materassino, fornellino,
acqua (3l, sul percorso è difficile fare rifornimento), cibo e cibo
(mi serve per due giorni più emergenza), casco per la bici, kit di
riparazione, vestiti, quanto diavolo pesa lo zaino adesso?! Non
voglio saperlo, sono 45litri + ma straborda: tornato lo peserò,
20kg..
Passo il giovedì a preparare tutto,
cerco di essere minuzioso, non dimenticare nulla, non posso
sbagliare, perchè sbagliare potrebbe voler dire due cose: rinunciare
(magari all'inizio, magari a metà) o allungare a dismisura i tempi,
e non posso permettermelo. La sera ceno con la morosa e punto la
sveglia per il mattino: so che questo è un errore, sarebbe stato
meglio partire la sera, posare la bici al Rolle e andare a dormire al
Manghen così da essere al mattino bello pimpante invece che stanco
per il viaggio. Ma preferivo la cena in ottima compagnia alla
prestazione più sicura.
Con qualche pausa lungo la strada a
schiacciare un pisolino, alle 8 incateno la mia fedele bici al Passo
Rolle: dopo aver cercato il posto più adatto per, opto per una
staccionata vista Cimon de la Pala all'Hotel Vezzana. Poi scendo, a
Predazzo mi fermo per un'altra colazione e riparto: studio la strada
di rientro in mtb di domani, discesa folle fino a Predazzo, poi ci
sarà da pedalare, tunnel da asfissiarsi (la variante pista ciclabile
temo allunghi un casino), e poi la salita.
Alle 9e45 mi metto in cammino dal Passo
Manghen: porca miseria quanto è tardi! Pago l'esser voluto partire
stamani. Va beh, ho la tenda, la frontale, sarà il male di farsi un
tratto a buio. Oppure mi toccherà tornare indietro così presto?
Senza nemmeno arrivare a un bivacco per la notte? Oh son qui devo
provare. Anche il meteo si mette già storto: tira un vento freddo e
sono in mezzo alle nubi. Ma dovrebbe migliorare e domani essere
ottimo.
Altri due errori. Del primo mi viene il
dubbio poco dopo esser partito: ma ho chiuso la macchina? Va beh, non
torno indietro, è già tardi, sarà come al solito che mi viene il
dubbio e poi invece l'ho chiusa come sempre. E invece domani sera
scoprirò che era aperta davvero. Del secondo mi rendo conto dopo
qualche ora che sono partito: le chiavi del lucchetto della bici sono
rimaste in macchina. Vedremo più avanti come la prendo.
Inizio quindi a salire, il sentiero da
tenere è il 322, fino alla Forcella di Val Sorda. La visibilità è
scarsa, ma data la frequentazione di questo tragitto, non mi aspetto
di avere problemi. È solo un gran peccato partire così: la
Translagoarai dovrebbe essere panoramica, ricca di colori, varia,
atmosfere, suggestioni, solitaria. Lo sarà!
Un cartello mi indica la possibilità
di salire al Monte Ziolera, ma è già una bella gatta da pelare
questa traversata senza cime, non mi vado a mettere in difficoltà
per qualche sommità. Forse, e dico forse, solo Cima di Cece merita,
ma vedremo domani.
Incontro tre tizi, in mezzo alla nebbia
sono spaesati, loro sono saliti dal sentiero a nord, fanno un
trekking in giornata. Ci scambio qualche battuta, so che non
chiacchiererò molto nei prossimi giorni se non con me stesso, perciò
ne approfitto. La nebbia rende difficoltoso l'orientamento, ma ben
presto li aiuto dirigendomi verso quella che credo essere la
direzione giusta, e infatti lo è.
Intravedo il Lago delle Buse laggiù,
poi incontro qualche tratto di cresta bella esposta e ripida per
essere semplicemente escursionistica: finita di percorrerla infatti
noto delle rocce appoggiate sulla traccia come per dire “non andare
di qui, ma seguire la traccia a fianco”.
Arrivo alla Forcella Ziolera dopo 45
minuti, buon tempo, inizio a essere fiducioso. Il paesaggio, quello
che si poteva vedere, è finora un mix di prati con rocce affioranti.
C'è del verde dell'erba, del rosso della terra, del grigio della
roccia e del cielo. Un antipasto a quello che verrà.
Ora sono di nuovo solo, nemmeno le voci
in lontananza dei tre tizi di prima, solo il rumore del vento, che
eviterei volentieri. Le nuvole regalano ogni tanto qualche scorcio,
ma solo a valle, l'azzurro è un colore di cui non conosco
l'esistenza. Proseguo, concentrato, qualche tratto sconnesso e
piccola pietraia, ma ancora nulla in confronto a domani.
Il senso dell'orientamento tra la
scarsa visibilità e i giri che fa il sentiero, va a ramengo, mi
sembra di girare in tondo, ma poi arrivo alla Forcella Pala del Becco
e capisco che sono sul percorso giusto. Da qui voglio però seguire
il 322b, in modo da passare per la sorgente che si trova sotto il
Lago del Montalon: così allungo, anche come dislivello, ma l'acqua è
preziosa, ne ho ma non è mai abbastanza.
Il sole cerca di vincere le nubi, un
po' di luce si fa strada, ma è ancora poco. Attraverso una pietraia
che è un mix di roccia rossa e grigio-verde, per poi ripiombare
all'improvviso in mezzo all'erba e a qualche pino mignon. Incrocio
una ragazza col cane, quarta e ultima persona di oggi. Avanti tutta,
la Forcella di Val Sorda è il mio primo cancello per capire se
riuscirò a farcela.
Arrivo sulle sponde del Lago di
Montalon, ma ahimè non trovo fonti. Va beh, pazienza, ho la mia
scorta, ma mi ruga. Se poi non ne trovo altre? Ah niente, stasera
niente pasta liofizzata ma paciughi, e domani si torna alla macchina
con la coda tra le gambe. Salgo alla Forcella di Montalon, la fatica
si inizia a sentire, lo zaino anche..
Si passa così sul versante nord della
catena, che con gioia è anche più soleggiato. Non che ci sia
freddo, ma fa piacere al cuore e agli occhi, che finalmente possono
deliziarsi di viste a centinaia di metri, non a decine. Il sentiero è
ancora tranquillo, osservo la mia ombra, sembra quella di Obelix: non
tanto per la mia pancia, ma per la stazza del mio menhir. Solo che io
non sono caduto nella pozione da piccolo..
Svolto il Passo del Mugon, e l'erba
lascia spazio alla pietraia, il verde al rosso, quasi quasi il
trekking vorrebbe lasciare il posto all'arrampicata (se mi guardo a
destra) ma non oggi, oggi gamba. Però occorre iniziare a danzare sui
massi, grandi o piccoli che siano il sentiero passa di qui, e il
piede deve essere saldo e la mente concentrata nello scegliere dove
posare il prossimo piede: non è facile quest'ultimo.
Il Lago delle Stellune è un
ricordo di una giornata invernale passata con
Mirko: quanto è diverso il paesaggio oggi! Mi pare più selvaggio
adesso, la neve tappava le asperità del terreno, fingendo che fosse
tutto piatto, tutto lineare, mentre ora è tutto spigoloso,
articolato. Arrivo alla Forcella di Valsorda, ci sono dentro al
cancello. Solo che, ora che rifletto sulla reale probabilità di
riuscire a farcela, realizzo che ho fatto una cazzata.
Le chiavi del lucchetto della catena
per liberare il mezzo che mi consentirà di tornare alla macchina
domani sera?! Le ho lasciate in macchina! Mi fermo, respiro a fondo,
vedo tutto sgretolarsi davanti ai miei occhi. La mia Translagorai
finisce qui? Così? Come rientro all'auto senza bici? Non posso
allungare i tempi così tanto. Farmi venire a prendere? Non posso
rompere le palle a qualcun altro per colpa di una mia voglia e di un
mio errore. Taxi? Quanto costerà?! Autostop? Già più plausibile.
Oppure rompere la catena: c'è la caserma della guardia di finanza al
Passo Rolle, magari se gli spiego la situazione..
Dopo qualche minuto di panico decido.
Non posso tornare indietro a prendere le chiavi, comprometterei
tutto, sono troppo avanti, se torno indietro rinuncio alla
traversata, e con la preparazione che ci sono alle spalle e le
aspettative che ho, mi da fastidio. Ho fatto una cazzata, ma
rischierò: cesoie dei finanzieri per la catena, oppure autostop o
taxi. Mi rimetto in cammino, conscio che adesso devo essere ancora
più veloce, perché qualsiasi sia il modo in cui risolverò la
faccenda chiavi della bici, allungherà i tempi molto probabilmente.
Riparto seguendo il sentiero 321, che
seguirò fino a Passo Sadole: se arrivo lì entro sera, è fatta. Ci
sono già stato, ricordo he
poi scendere al Rifugio Cauriol è facile anche a buio, e la
dell'acqua ci sarà bene! Poi il meteo sta migliorando, le nuvole si
diradano un pochino, il vento sferza ancora, ma non è nulla in
confronto a quello cui l'appennino mi ha forgiato.
Alla Forcella di Val Moena arrivo dopo
una nuova danza sulle pietre e una nuova rinfrescata da nubi basse.
Poi vedo che il sentiero 321 diventa “Don Martino Delugan”, e la
cosa mi lascia un attimo perplesso: ci sarà mica una ferrata non
segnata?! In realtà qualche metro di cavo, giusto perché il
sentiero si fa esposto e roccioso.
Poi torna più percorribile (non che mi
avesse impressionato prima, ma pensando che la Translagorai fosse
escursionistica..) ma tornano anche le nubi, che palle. Va beh, testa
bassa e andare avanti, arrivo alla Forcella Busa della Neve, e in
effetti quanta neve che è rimasta la sotto! Azzurro e grigio nel
cielo si alternano, sta diventando una lotta alla pari, speriamo che
l'azzurro dia un bel KO!
I prossimi metri sono un po
impegnativi, tocca usare le mani, ma questo mi conforta: alleggerisco
i piedi e usando le braccia rinforzo la schiena che patisce il
menhir. Le forcelle si susseguono adesso, sarà che son più svelto o
sarà semplicemente che sto entrando in trans: il tempo non ha più
senso, a parte quello che se non lo rispetto mi ritrovo a buio chissà
dove. Così senza nemmeno accorgermene arrivo ai laghetti di Lagorai.
Ho avuto un anticipo della “danza
sulle pietre”, ma a breve si inizia a fare sul serio. Intanto
riesco a godermi uno scorcio sulle Pale di San Martino, che non vedo
l'ora di poter osservare da molto vicino, e poi inizia la musica: sotto la Cima Laste delle Sute la pietraia rossa verde grigio è
sconfinata, i segnavia CAI danno indicazioni della direzione, ma non
c'è un vero sentiero. Si sceglie il sasso che più ti piace dove
appoggiare il prossimo piede.
Un attimo di break per scollinare al di
là, e si apre la luna: la zona dei Pieroni è anche lei un antipasto
a domani, una distesa di roccia lisciata dai vecchi ghiacciai,
tondeggiante, di aderenza, leggermente inclinata, dove cercare un
passaggio agevole. E a condire questo paesaggio, delle nuvole che
ancora non mi abbandonano e accarezzano tutto.
Altra forcella e ritornano le pietre,
dì che ne ho visti di sassi questi giorni. Il rosso è il colore
delle rocce “nuove”, frantumate da poco, il grigio-verde è il
colore delle vecchie. Il grigio è il colore delle solite maledette
nubi che ancora oscurano il cielo. Sono ormai le 15, e il Passo della
Litegosa è quello che vedo come prossimo cancello: ormai credo di
avere la giornata in tasca, di farcela, però inizio ad aver voglia
di finirla.
Complici le nubi, l'orientamento,
l'ostentazione di credere che quello la sia il passo, mi illudo ben
due volte di essere a pochi metri da lui, e invece nulla. Ma il bel
paesaggio allevia le mie pene, una Cima d'Asta di qua, un altro monte
di la, una bella guglia dal profilo liscio e inclinato, tipo parete
di gelato appena posato col cucchiaio. Che spettacolo la geometria
delle rocce, a volte lisce, a volte spigolose. E noi a fare i
pitagorici su queste forme.
Su Cima Litegosa sono già stato, ma era inverno, e vedo che qui il paesaggio può cambiare radicalmente
se piallato da una coltre bianca. Ma finalmente riconosco la cima, e
stavolta raggiungo davvero il Passo Litegosa: manca poco alle 16,
ancora due ore abbondanti di sole. Se non mollo ce la faccio, e in
questo “ce la faccio” includo anche domani.
Sosta cibo e ammirazione paesaggio (non
ho mangiato ne bevuto molto, lo ammetto, ma ho cercato di spizzicare
spesso: a casa tornerò però con almeno metà dei viveri intatti!) e
riparto, curioso di vedere questo Bivacco Teatin: perfetto per chi soffre di reumatismi, ma meglio che
niente in caso di necessità!
Si passa sotto il Monte Formentone,
cengetta erbosa esposta senza via di scampo: a sinistra metri e metri
di verticale roccia, a destra metri e metri di scivolosa e inclinata
erba.. Mantieni la concentrazione amico, manca poco e poi puoi tirare
i remi in barca. Il sole ora è pieno finalmente, non passerò più
in mezzo a nessuna nuvola, e a breve sarò in un
territorio conosciuto.
Busa del Castel, ultimo tratto del 321,
discesa tra le pietre e poi so che mi aspetta l'ultima tosta salita
di oggi: la salgo con calma, ormi il tempo ce l'ho, perchè tirarmi
il collo? In realtà sono stanco.. Ancora un po di pazienza, di
sentiero ripido in discesa e un po sconnesso, il rumore dell'acqua
che scorre e la mia gola che la chiama, ma pazienta, ormai sei a
Passo Sadole, è quasi fatta.
È fatta! 16e52, Passo Sadole, il Sella
e il Sassolungo in lontananza, uno snack che si avvicina alla mia
bocca, la bottiglia che si dilegua dal suo contenuto. Mi riposo,
dieci minuti, me lo merito. Poi inizio a scendere, bramando la
fontana e la pasta a cena. Sono solo indeciso se fermarmi al
Baito del Marino o scendere. Ma una volta arrivato al baito, è
chiaro che continuerò a scendere.
Alle 18 sono a Malga Sadole, che ha la fontana, ottimo. Ricognizione sia alla
malga che al Rifugio Cauriol
(entrambi chiusi) per cercare il posto migliore per piantare la
tenda, o mangiare, insomma per stare il più comodo possibile. Torno
così alla malga, senza pensare che magari il rifugio ha anche un
locale invernale: ok voler provare la tenda, però dormirei più al
caldo, comodo, e senza sporcare nulla. Ma non ci penso.
Alla malga cerco di metter giù la
tenda prima che faccia buio, sotto la tettoia davanti alla porta di
ingresso, incastrando i picchetti in mezzo ai listelli di legno, che
lavoraccio, mi sa che non terrà, ma questo ho. Però almeno la cena
me la faccio sotto la tettoia di legno. Sì ma ferma tutto: perchè
non ci metto anche la tenda? Che sciocco.
Solleva la tenda e spostala sotto il
gazebino di legno che è meglio. Poi lo chef si mette all'opera:
pasta e fagioli. Ma che due scatole stare a mescolare per mezzora! E
questa maledetta pasta, che se non la giro si attacca al fondo porca
vacca. Arrivano delle macchine al rifugio, saranno i gestori? Ma
chissà, io mi faccio i fatti miei, e loro i loro. Dopo realizzo che
magari è gente che va all'invernale a dormire per poi fare un giro
domani.
Finisco cena che ho già freddo, studio
il giorno dopo, a che ora puntare la sveglia? Inutile partire a buio,
meglio avere la luce del sole che mi aiuti a trovare la strada, e
piuttosto il buio me lo tengo per gli ultimi km della sera. Senza
capire bene come mettere a posto le cose, e con la paura che
portandomi il cibo in tenda potrei attirare degli animali, faccio la
mia pisciatina sotto una volta stellata magnifica: altro che hotel 5
stelle, le stelle qui sono miliardi!
Alle 20e30 sono dentro il mio sacco a
pelo. Sarà una notte fredda porca miseria, due calzini ma patirò:
il sacco a pelo grande era troppo ingombrante e non credevo che ci
sarebbe stato così freddo. Nonostante la sveglia sia alle 5e45, non
dormirò a pieno tutte queste ore.
Sveglia, la rimando, oh che freddo, ma
devo andare: ho già affrontato problemi e difficoltà ieri e ho
continuato, ora non posso fare il pigro. Esco a fare pipì, una
debole luna e un po' di vento, ma la colazione è assicurata al
riparo, e mentre l'acqua bolle e il the si prepara, impacchetto la
tenda smordicchiando i biscotti. Ho una fame della madonna ma faccio
fatica a mangiare.
Fatto su tutto, ripristinato il mio
menhir, riparto alle 7, con la luce che ormai è più che sufficiente
a camminare anche se il sole è lungi dal mostrarsi. Tempismo
perfetto. Ora c'è solo che..la salita è tosta: è il salitone della
giornata, ma che dico, il salitone della sveglia, da 1587 a 2300
abbondanti, col primo tratto bello ripido.
Oggi è il 349 il numero da seguire, e
quanto è da seguire! Numero che parte in un bosco danneggiato dalla
meteo di quest'anno, insomma mi meraviglio sempre più che nonostante
la Translagorai sia un percorso molto frequentato, i suoi sentieri
non sono sempre degli E facili.
Oggi il panorama sarà poco offuscato
dalle nuvole, meno male. Parto già godendomi il sole che piano piano
colora le dolomiti a nord, il Latemar riesco a godermelo cambiare
colore man mano, gli altri gruppi un po' meno perchè c'è chi ci sta
davanti. Poi scorgo anche il bianco gruppo dell'Ortles-Cevedale, e mi
inizio a chiedere quando cavolo riuscirò a rimettere i ramponi ai
piedi.
La fatica non è poca e la voglia di
arrivare alla meta è tanta. Questo mix di considerazioni fa sì che
mi illudo di continuo che lassù ci sia finalmente la forcella dalla
quale vedere il Lago delle Trote, ma ragazzo mio, la strada è più
lunga di quel che sembra. Il bosco fitto finisce, il sentiero inizia
a divincolarsi in mezzo a salti di roccia contornati da erba ancora.
Finisce anche l'erba, oh leh che si
ricomincia con le pietraie. E in mezzo a queste mi perdo, seguo una
traccia ma non vedo segni, salgo, mi guardo in giro, ah eccoli
laggiu, li raggiungo e..ma di qua sono già passato! Iniziamo bene..
un po' di sconforto, non posso permettermi questi errori. Poi ritrovo
il sentiero: resta concentrato, testa non troppo bassa perchè
diamine, devi guardare dove andare!
Il cancello di oggi è il Bivacco Paolo
e Nicola. Ma sembra irraggiungibile. Sassolungo e Sella mentre compio
un traverso verso nord, ma dove cavolo sto andando?! Però altri
sentieri non ci sono, perciò non può essere quello sbagliato. Oh
ecco un cartello! Forcella Canzenagol, apro la cartina, oh mio Dio,
quanto sono lontano. E sono due ore che cammino.
Mi faccio prendere dallo sconforto, ci
sto mettendo una vita, se guardo la cartina sarò nemmeno a un decimo
del tragitto per arrivare e Passo Rolle! Cazzo! Ma come è
possibile?! Non ce la farò, mi toccherà fare un bivacco. Ormai son
qui, tornare indietro equivale ad andare avanti, proviamo e vediamo
se riesco a recuperare. Per fortuna sarà così.
Riparto e dopo poco avvisto il Lago
delle Trote. Scendo alla Forcella Coldose, scoprendone sul lato sud
un bivacco nuovissimo, meritevole di una visita invernale. Basta, ora
voglio pedalare, o tutto si infrange dopo la giornata spesa ieri, e
la notte al freddo. Scendo salgo, i saliscendi continui rendono
incalcolabile il dislivello percorso, ma meglio così, se non sai non
temi.
Arrivo al Lago Brutto, che invece è
bellissimo, solitaria, in una buca sovrastata da rocce, ci scatta la
foto da cartolina con il Coltorondo e la sua immagine specchiata
sulla superficie del lago. Queste immagini riappagono dalle fatiche,
mi danno lo sprone a non mollare. Forza! E forza ne serve, perchè
risalire alla Forcella di Moregna sembra un miraggio, anche se invece
è lì vicino.
Eccola, ed eccomi al sole, adoro fare
la lucertola, mi ricarico le pile e mi guardo il paesaggio, c'è pure la Palla Bianca laggiù. Mi baso sui tempi dei cartelli per capire se
sto andando bene o meno, almeno che possa arrivare a un “punto
vita” prima che sia buio. Ma dai, è ancora mattina, spera di
farcela.
Si scende per passare pi sotto la Cima
di Valbona e la Cima di Valmaggiore, sento delle voci ma non vedo
nessuno, sto impazzendo? Pesto quelli saranno gli ultimi prati di
oggi, osservando l'erba ghiacciata: il sole irradia, ma la
temperatura sarebbe frizzante. Ed eccole, le pietre! Tornano a
dominare la scena! Rosse principalmente.
Ma oltre alle pietre, oggi a dominare
la scena è anche l'azzurro del cielo, i panorami, le cime che non si
nascondo. Solo un po di fastidio intorno al Bivacco Aldo Moro
“danneggerà” la giornata, ma dandogli quel tocco di misticismo
che ci sta.
Il sentiero lambisce il versante nord
della Cima di Valmaggiore, ma quello che sulla cartina sembra un
tratto dritto alla stessa quota, è in realtà un saliscendi: le
cartine semplificano un po' troppo certi tratti, che invece che
essere dritti e senza perdere quota, hanno tornanti di discesa e poi
di risalita. E io cammino. Lambisce lambisce, e ormai vedrò questo
benedetto Bivacco Paolo e Nicola!
Alle 11 sono alla Forcella Valmaggiore,
ovvero al Bivacco Paolo e
Nicola: sono partito alle 7, e invece i cartelli davano 5h30. Ora i
cartelli danno il Rifugio Colbricon a 7h, 11+7=18, quindi se anche ci
mettessi lo stesso tempo dei cartelli (tempo che per ora sto invece
tenendo più basso) ce la faccio. Primo cancello della giornata
superato.
Disclaimer. Non faccio queste cose per
battere record o altro. Certo, a volte ci metto dentro una componente
di allenamento, volerci spingere per fare della gamba. Ma non è
questo lo stimolo. Lo stimolo è vivere la montagna intensamente.
Intensamente vuol dire, paesaggi, quota, cime, ma anche km,
dislivello, fatica. Poi la scarsità di tempo a disposizione (non
avrei mai 4 gg per questa traversata con “calma”) aggiungono
quella che può apparire “prestazione”: questa invece è “voglia
di fare senza il tempo adeguato, allora devo correre”.
Lascio lo zaino e scendo alla fonte,
dopo aver chiesto indicazioni che ci sia. Qui al bivacco ci sono
molte persone, è il luogo più affollato di questa due giorni.
Mangio. Il cancello mi rende un buon 20min di riposo prima di
ripartire, anche perchè mi aspettano 500m di salita al cospetto di
Cima Cece: questa poteva essere l'unica cima che valeva la pena di
salire, ma visto i tempi stringenti e la fatica, bye bye, prossima
volta.
Ben presto la Forcella Valmaggiore
resta nascosta da una costola rocciosa, sono nell'anfiteatro di
pietre della maggiore cima del Lagorai, con un campanile alla mia
destra che sale vertiginoso verso il cielo, che..vorrei scalare.
Brutta bestia questa passione. Incrocio altre persone, mi guardano un
po' così, mi chiedono dove vado e terminano con un “in bocca al
lupo”, ne ho bisogno.
Pietre e pietre, ora regnano sovrane.
Austero e proibito sembra questo paesaggio, la direzione logica, il
come “camminarla” è più arduo, i segnavia aiutano. Si punta a
quel lungo contrafforte roccioso sopra il quale corre la cresta che
sale alla cima, ma per me già arrivare alla famigerata quota 2666 è
abbastanza. Toh, eccola. Eccola, sì, ma quante pause a prendere
fiato!
Questo è un bel balcone panoramico, e
da qui vedo bene come dalla Valsugana stanno salendo nubi a
disturbare l'idillio di questa serena giornata di sole e sudore. Ma
io sono ormai confortato dal conto che ho fatto alla Forcella
Valmaggiore, salvo problemi improvvisi, ho la Translagorai in tasca,
virtuale. Già, perchè tra poco mi perdo.. Ma intanto posso godermi
tutte ma proprio tutte le dolomiti a nord della mia posizione,
limpide e brillanti.
Mi aspetta un tratto ripido in discesa
e poi in risalita, poi un altro ancora e una discesa malefica in
mezzo a pietraie smosse. Molto malefica, sotto di me laggiù vedo
delle persone, perciò contnuo a scendere, ma dopo un po' non vedo
più segni. Porca vacca, dov'è il sentiero? Mi raggiungo due tizi,
proviamo insieme a capire cosa fare, decido di scendere un altro po'
e poi traversare. Ma niente.
Ci ritroviamo su una collinetta erbosa
dalla quale scendere dritti è dura, ma la Forcella di Cece la
vediamo laggiù. Dopo qualche minuto, mi pare di vedere dei segni:
siamo scesi troppo. Mannaggia, questa non ci voleva. E a coronare il
nuovo momento di sconforto, le nubi su quello che sarà il mio
prossimo percorso, se ci arrivo.
Risaliamo a incrociare il sentiero,
qualche chiacchiera e poi mi lasciano passare con un “mi sa che lui
ha più fretta di noi”, gli ho detto dove sto andando e entro
quando.. Saranno le ultime due persone che vedo oggi, mi aspettano un
tot di ore di solitudine, e in che ambiente.. Finalmente ecco i miei
piedi al cospetto del cartello Forcella di Cece.
Il sentiero di divincola tra le rocce,
forcelle e forcellette, un po di vista a nord, un po di vista a sud,
il tempo sta iniziando a perdere di significato, esisto solo io e il
Lagorai, i suoi massi, la sua roccia, il suo cielo, la mia metà che
ogni tanto scorgo davanti a me.
Passata la Forcella del Valon, inizia
il tratto più bello di tutta la traversata. Mi aspettano lunghi
tratti di pietraie, a volte con una sorta di sentiero calcato, a
volte dovendo invece danzare sui massi, danza che poi diventerà uno
scivolare sui versanti grigi levigati da antichi ghiacciai. Realizzo
che per fare scialpinismo qui ne deve venire di neve, o se no è
sempre un'imboscata dei buchi tra le rocce!
Come detto il tempo perde di
significato, e lo riscontro nei ricordi che ho e nel non sapere cosa
scrivere adesso. L'ambiente selvaggio, rude, continuo, è monotono,
ma è una monotonia che piace, affascina, è una monotonia positiva.
È bello, è mistico, è introspettivo. È da fare per capire.
Centinaia di metri su rocce rosse,
quanti passi, quante contrazioni muscolari e respiri per “vincere”
questo tratto. Si sale e si scende, si vede la cresta del Lagorai (in
particolare il Coston di Slavaci), la Marmolada, il Sella, la Pale,
fantastico! Poi le pietraie spigolose lasciano spazio ai massi
levigati e addolciti, ma non meno austeri. Arrivare al Bivacco Aldo
Moro sarà un susseguirsi di passaggi e passagini a superare questi
risalti lisci nei loro punti di debolezza, finché le spigolose non
si riprenderanno le redini del gioco.
Alle 15 arrivo finalmente al BivaccoAldo Moro, e realizzo quanto deve essere emozionante passare una
notte qui, vedere il tramonto e l'alba, il silenzio. Oggi non posso e
eviterei volentieri, ma un'altra volta sì. Non me lo ero prefissato
come cancello, ma quando lo raggiungo lo rivaluto come tale, se non
altro perchè mi da fiducia. Vedo la Forcella Colbricon ormai come il
punto dove le difficoltà finiscono, ma in realtà mi sbaglio.
Entro nel bivacco, e sul libro leggo di
due escursionisti che lo hanno raggiunto da Passo Rolle proprio oggi:
se li raggiungo gli chiedo un passaggio! Snack e si riparte, anche
oggi mangio e bevo poco, ma spesso. E sotto le Cime di Bragarolo ci
sono nuove rocce lisce lunari, fantastiche, nelle quali i segnavia si
districano sinuosi, e io con loro, usando le braccia il più
possibile perchè il menhir si fa sentire.
Il tempo torna ad annientarsi. Sono
sempre più emozionato, ormai è fatta, ma sbaglio a tirare i remi in
barca così presto. Stò ormai pensando anche che, se arrivo alle 18
al Passo Rolle sarebbe da folli scendere al buio in bici, mi sa che
devo pensare all'autostop, che sarebbe anche molto meno faticoso. Eh
già.
Vedo la forcella ambita, vedo che il
terreno sotto i miei piedi da roccioso torna a farsi erboso, è il
segno della fine della traversata. Cala Merlino, ce ne è ancora!
Risalita alla Forcella Colbricon, e alle 16e20 vedo Passo Rolle
laggiù. Mi guardo indietro, Vigliac! Mi guardo intorno, wow!
La “discesa” sarà estenuante.
Stanco e vittima dell'illusione che fosse finita, devo faticare
ancora su sentieri sconnessi in discesa che sono pure più faticosi
delle salite, attento a non mettere il piede in fallo. E poi realizzo
che il Rifugio Colbricon è più basso del Passo Rolle, anche se
forse la mia astuta mente lo sapeva ma è riuscito a nasconderselo:
fa parte della “meditazione” di questi giorni.
Sopra di me un pastore mi chiede
indicazione di capre, gli dico che ne ho viste, ma parecchio lontane
da lui. Nonostante sia la prima persona che incontro da un bel po',
non sono troppo invogliato a parlarci, voglio solo arrivare giù. Giù
ci arrivo, al Passo Colbricon, dopo un pessimo sentiero in discesa,
ma talmente giù che sono a 1908. Solo 100m sotto la mia meta, ma a
questo punto e con questo menhir, 100m son tanti.
Dopo quella discesa sconnessa, risalire
un po non mi dispiace, e i Laghetti di Colbricon oggi, a quest'ora,
con questa atmosfera, con il tracciato percorso alle spalle, in
solitudine, sono la pace dei sensi. Mi abbeverò che ne ho bisogno, e
chissà se al Passo Rolle mi toccherà bivaccare perchè non trovo
modo di scendere..
Alle 18 sono a Malga Rolle, con il
Cimon de La Pala e limitrofi in fiamme per il tramonto limpido su di
loro. Ce l'ho fatta! Ma in realtà è come se fossi arrivato su una
cima, manca la discesa, e la discesa è la parte più dura di solito.
Getto il menhir della Deuter e provo
subito a chiedere un passaggio alla signora che si è fermata a
fotografare le pale. Ha la macchina girata nel verso opposto a quella
che sarebbe la mia direzione, ma ci provo. Picche. Sono dubbioso sul
da farsi, tento la bici? Ma resta il fatto che scendere al buio a
velocità folle.. Fletto il braccio, pugno chiuso, pollice in alto.
La prima auto che passa si ferma, il
caso ha deciso per me, si va di autostop. Questo signore arriva fino
a Predazzo mi dice, ma è già qualcosa. È un biologo, mi racconta
della pazzia di traffico a Feltre, della sua idea secondo la quale
chi ha un animale domestico è un razzista del regno animale: perchè
un gatto si e una migale no? Lo dici tu che il gatto è bello e la
migale no. Poi qualche racconto su Bonatti.
Arriviamo a Predazzo che sono quasi
sollevato, questo guidava un po' pazzo, per sua stessa ammissione, ma
non potevo certo oppormi. Personaggio dalle strane teorie, ma con
della logica. Mando un sms a casa che non ho ancora avuto modo di
farlo “tutto bene, sto facendo autostop, non chiamarmi che
risparmio batteria”.
E ora? Riprovo col pollice alto, mi
dirigo verso valle, arrivo a un negozio sport dove cerco di
elemosinare un passaggio, mi dicono di provare coi bus, ma so che non
ce sono. Vado comunque alla stazione, trovo numeri di taxi, provo a
chiamarli ma mi sparano dei 100 euro.. Salgo al bar, anche li spiego
la mia situazione sperando qualcuno mi dica “ti do un passaggio
io”, fermo restando che ho già messo le mani avanti su un
possibile pagamento.
Niente, torno in strada, pollice alto,
e dopo qualche auto si ferma una panda guidata da un ragazzo giovane,
“dove devi andare?” “Molina di Fiemme” “salta su”,
grande. Da li dopo saranno 10km di salita a piedi, meglio che niente,
arrivo alla macchina all'1, dormo, vado a recuperare la bici e poi a
casa. Anche se speravo arrivare molto prima per dormire con la
morosa..
Inizio a fare quattro chiacchiere con
Francesco, dopo un po' gli chiedo dove sta andando lui e mi dice “in
realtà ho appena messo giù la mia ragazza a Predazzo, io sono di
Canazei, dalla parte opposta”. Quindi questo ragazzo mi ha dato un
passaggio per simpatia, visto che doveva andare dalla parte opposta!
Io ci provo allora, “beh ascolta, io te lo propongo, se non hai
impegni, orari o altro, poi puoi ovviamente dirmi di no. Mi porti su
fino a Passo Manghen? Ti rimborso la benzina e ti do 10euro in più”,
non ci pensa molto e mi dice “ok”.
Cazzo grande, ho risolto la serata,
riesco ad arrivare a casa anche presto! Chiacchieriamo, anche lui
arrampica, ma con le scarpe da ginnastica, da primo però non va
oltre il 6b e da secondo oltre il 7a, alla faccia. Guida spericolato,
per sua stessa ammissione gli piace pestare il piede, ha la moto.
Sempre gente strana a fare gli autostop, ma Dio li abbia in gloria.
Gli sgancio 25euro nonostante mi dica che sono anche troppi.
Alle 20 sono di nuovo alla mia di
macchina, che trovo aperta: cazzo, stavolta quella sensazione era
giusta, ma in auto c'è tutto. Mi cambio con calma, vorrei stare qui
ad ammirare il cielo stellato per ore e ore, ma adesso ho voglia di
un panino caldo e un letto in compagnia. Vado verso Passo Rolle, nel
mentre avviso familiari e amici che sto bene e sto rientrando.
Quattro chiacchiere amiche fanno piacere.
A Passo Rolle le nuvole avvolgono
tutto, la bici è umida, la rimetto in macchina, un'altra telefonata
e riparto. Non sono nemmeno così stanco, me la sento di guidare. E
guido. Mangio il pane che ho con me, bevo la Coca Cola rimasta, mi
fermo a schiacciare qualche pisolino, sbaglio strada e invece che
imboccare la Val di Cembra finisco troppo a est, che palle. In
autostrada mi prendo questo benedetto panino caldo che non mi
soddisfa per niente. La strada è ancora lunga, ma la mia doccia
calda e la mia dormita in dolce compagnia è assicurata.
Bello, intenso, selvaggio, austero,
lungo, solitario, introspettivo, non ho parole, oppure ne ho troppe,
mi pare di aver scritto un libro, ma queste mie frasi serviranno tra
qualche anno per rinfrescare i miei ricordi, oltre che spero, per far
assaporare ai lettori un po' di emozioni, e fargli venire la voglia
di percorrere la Translagorai.
Qui altre foto (ho fotografato tutti i
cartelli, in modo che possa diventare una guida fotografica
completa).
Qui report coi tempi e qualche dato tecnico.
Chapeau!
RispondiEliminaTranslagorai 1 volta a piedi e 3 volte in auto, complimenti! anche per averci creduto fino in fondo, i motivi per fare retrofront erano molti!
RispondiEliminaeh luca, la montagna è un "brutta" malattia, anche la testardaggine!
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