Si sa che ormai l'alpinismo è pervaso
da uno spirito di gregge, che non denigro ma capisco, che pratico ma
che non posso non dire abbia fatto perdere un po' del romanticismo
che la nostra passione rende tale: una passione. Non uno sport, non
un'attività fisica, una passione. Non esplosione di muscoli, ma
tripudio di sentimenti.
Ed è così a volte che si scopre la
meta della tua prossima uscita: sfogli una guida, vedi un'immagine,
te ne innamori, e ci vai. Poco importa se da anni non si leggono
report di quella zona, se si sa che le condizioni delle cascate sono
al limite un po' dappertutto. Poi va beh, il meteo permette il
rischio di buttar via una giornata, la zona la conosco in versione
estiva, e il giorno prima trovo una persona gentile che mi da info
fresche sulle condizioni.
Parcheggiamo al divieto sulla strada
che porta in Valpiana dopo averla cercata lungo il paese, lunghi
preparativi e siamo in cammino. Peccato che non stò bene, da un po'
mi trascino una raffreddata, ma credevo esser messo meglio, invece
stanotte mi sono proprio svegliato male. E continuerò peggio, col
meteo che darà un grosso aiuto a questo declino.
Ci incamminiamo che è ancora buio,
poca neve, le ciaspole sono un lontano ricordo di anni passati, con
calma ma ben presto entriamo nella lunga e piana Valpiana. Qualche
foto a un paesaggio spoglio, che se mi guardo alle spalle a osservare
i versanti sud, diventa catastrofico: erba fino a 2800.
Seguiamo il sentiero, che per lungo
tempo è una forestale (che ieri hanno fatto tutta in auto!), qualche
ponte e infine l'ultimo che portandoci sulla destra orografica ci
porta anche su un tracciato più single track. Un pelo di fiabesco in
questo bosco spolverato di una neve probabilmente vecchia ma che
resiste solo perchè in ombra.
Da lontano avevamo già adocchiato i
flussi a cui puntiamo, man mano che ci avviciniamo la conferma che
fossero loro diventa lampante. Quelli più alti un'altra volta,
magari quando starò meglio, che già arrivare alla base di questi, è
piuttosto tumultuoso: la mancanza di neve aiuta nella parte scorsa di
avvicinamento, ma non certo in questa pietraia.
La Grande sembra messa bene, ma è un
4. La prima scelta Palin Paletta sembra invece magra e interrotta in
alto. La Piccola pare salibile. Ci avviciniamo a lei, verso destra
dove un riparo sotto le rocce consiglia di lasciare il materiale che
non ci portiamo con noi e che qui può stare al riparo. Non fosse per
lo zaino di Riccardo, che giustamente veste di coprizaino, ma che poi
lascia con lo schienale verso l'alto: si prenderà tutta la pioggia
delle prossime ore.
Ci incamminiamo pestando il primo
ghiaccio, verso sinistra stavolta, a cercare una sosta dalla quale
far sicura a chi arrampicherà per primo: io e Roberto. Dopo un po'
di armeggiare, questi spuntoni fanno al caso nostro, si possono
aprire le danze. L'idea sarebbe stata magari di salirne due oggi, ma
già una basterà.
Il ghiaccio si presenta bagnato, e
questo mi piace, burro nel quale piantare picche e ramponi e dal
quale non si fa nemmeno troppa fatica a estrarli. Però lassù in
mezzo si vede proprio un bel zampillo uscire da metà cascata! E
quella che fino a poco tempo fa era neve, sta diventando pioggia..
I metri scorrono, ma il mio malessere
meno, l'arrampicata me la godo poco. Devo chiedere a Roberto di
urlare i miei messaggi a Riccardo, perchè io non ho voce: situazione
fantozziana. Qualche muretto preso a sinistra per complicarsi la
vita, l'uscita da un tratto quasi verticale che diventa quasi
orizzontale richiedendo un passo felpato al limite dell'appoggio di
ginocchio.
Un cordone spunta da un buco e muore
nel ghiaccio: mi guardo intorno e non vedo la sosta alla mia
sinistra, salgo ancora un po', quella betulla sembra invitante!
Invece dopo un bel tratto a diedro di ghiaccio, un traverso infido e
delicato mi porta alla betulla, per una sosta scomodissima, mentre
Roberto opta per due viti.
Arrivano anche i nostri compagni di
cordata, progressione in alternata per Giorgio e Roberto, mentre di
qua continuo io che giustamente Ricky vuole riprendere confidenza
pian pianino con l'arrampicata su ghiaccio. Giorgio data la loro
posizione, può prendere la linea più logica, quella dove poco
distante si vede l'acqua scorrere sotto il ghiaccio. Io invece per
evitare il funambolico traverso, esco a sinistra optando per
traversare più in alto verso destra.
L'avessi mai fatto. Primo tratto
fattibile con la classica strizza immancabile e che non deve mai
mancare nella nostra attività. Ma quello che viene dopo. Traverso
delicato su meduse non ancora formate, dove viene quasi istintivo
afferrarle con le mani invece che conficcarci le picche (conficcare,
dove? Saranno 20x5cm), che man mano diventa quasi strapiombante:
altro che 3!
Mentre traverso col buco del culo che
non ci passerebbe manco uno spillo (cit. toscana), penso a quando
toccherà a Riccardo e tutti gli accidenti che mi tirerà! Fortuna ho
protetto abbastanza (forse è anche una delle prime volte che metto
giù delle viti pensando “speriamo regga il volo”). Sembrava un
tiro più facile, a rampette, e invece ciccia!
Mi riporto sulla linea di Giorgio, una
bella doccia sotto dei festoni, ti guardi intorno e capisci che
queste strane conformazioni del ghiaccio indicano che è ancora in
formazione: il ruscello che vedi sotto te lo conferma. Ma ormai siamo
qui, mancherà poco all'uscita. Poco ma croccante.
Le mezze meduse abbondano, altri
traversi pure. Giorgio prova a salire dritto ma mi pare delicato,
meglio traversare su questo instabile ponte vista acqua liquida,
sotto una bella doccia pregando che regga il mio peso. Ecco un
cordino a destra sull'albero! Salvezza!
No, troppo presto. La calata deve
essere dall'altra parte. Si studai come passare di la, ghiaccio
troppo esile, tocca fare del misto con una bella ma breve lama di
roccia, per poi cercare del ghiaccio sulla roccia, la picca che fa
scintille e il suono sordo dei prossimi metri su ghiaccio. La vista
di quell'albero è come una birra fresca nel deserto. La finisco alla
goccia.
“Giorgio, urla a Riccardo che può
partire”, lo recupero piano, sui traversi non è piacevole andare
da secondo e sentirsi tirare. Intanto piove, cazzo, piove a 1650m!
Doveva nevicare a 1000! Clima corrotto da un'umanità nefasta. Ho
freddo e sto male, le foto della mia faccia parlano chiaro. Non ho
detto quasi nulla tutto il tempo, non ho rotto i maroni a nessuno, si
vede che non sono in bolla.
Sotto l'acqua in formato liquido che
cade dal cielo, recuperiamo i nostri amici. Evidentemente ci sono
svariati giochi di corda intrecciata, io non vedo l'ora di bere che
ho una sete del diavolo. Poi finalmente spunta Roberto “ehi, sii
delicato” (vedo già il film del blocco di ghiaccio che crepa), e
poi Riccardo “mi piace quando c'ho paura).
Ci siamo tutti, tranne la mia gola, il mio naso, la mia testa: è ora di far le
doppie. Tanto siamo tutti abbastanza cotti e sognatori del kebab di
Cles per sapere che con questa oggi abbiam finito. Che poi anche a
far le doppie ci mettiamo una vita, complice anche la mancanza di
fretta e l'attrezzarle con dei cordini nuovi: corde bagnatissime e la
cascata che degrada sempre di più. Per non dimenticare il lancio della prima corda: un capolavoro, se fosse una gara di presa al lazzo di rami.
Giorgio si cala per primo e trova la
vera prima sosta, tre metri sotto a quella scomodissima che ho fatto
io! La valle viene invasa dalla nebbia, ma di neve manco l'ombra:
qualche fiocco sporadico in mezzo a tanta acqua.
Agli zaini e poi giù, non troppo di
corsa perchè non ce la faccio, ma con la chiara volontà di un pasto
caldo e dei vestiti asciutti. Bagnati come pulcini. Posto da tornarci, quando le condizioni
saranno buone, e anche la salute.
Qui altre foto.
Qui report.
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