La delusione
per non averne salito nemmeno uno nuovo (ci fu il
Gran Paradiso, ma era una ripetizione) è
ancora presente, e la paura che questa annata si ripeta aleggia come un cattivo
presagio. Meglio perciò approfittare delle finestre buone e delle condizioni
finchè ci sono!
I Grand
Combin li guardavo da parecchio tempo, in mezzo ai più famosi massicci del
Monte Rosa e del Monte Bianco, più selvaggi e "lunghi", tre 4000
ufficiali lì ad aspettarmi. Con una grande fantasia, avevo pure pensato di
attaccarli per il ponte del 2 giugno, ma il meteo remò contro (e col senno di
poi, con la neve trovata in
Valpelline, forse meglio così): intanto mi ero documentato, scoprendo quella
parete Nord Ovest del Valsorey assente sulle guide, ma presente sul web.
Weekend di
sole, la rifugista dice condizioni buone, la morosa concede il benestare,
Giorgio c'è, (la coppia
del 2 giugno dispiaciuta ma senza muso), si può andare! Siccome siamo poveri, usciamo
a Quincinetto per evitare il salasso dell'autostrada versante valdostano, e
passiamo per il
Colle del Gran San Bernardo invece che attraversare il Traforo omonimo: beh, tra
andata e ritorno si risparmia 70,8
€! A
scapito di 45x2 minuti in più? Va
benone!
Varcato il
confine il tempo è brutto. Gironzoliamo per il paese di
Bourg San Pierre alla ricerca di un
bancomant, ma nulla. Scendiamo a Liddes, piove un casino, ma almeno troviamo il
bancomat: 150CHF che si volatilizzeranno. Torna su, sali lungo la stradina
verso Cordonna, parcheggia in una mini piazzola dove altri aspettano la pioggia
si plachi per partire. Morale sotto i piedi. va beh, sol che sia bello e buono
domani!
La pioggia
qui è un po' più debole, cala, smette, prepariamoci. Telefonatina a casa,
coprizaino sullo zaino e in cammino, col cartello che ci scoraggia con le sue
4h di marcia, che saranno 7km, 1300m D+, ma siamo carichi come delle molle!
Ci si
addentra così nella Valsorey, inizialmente verde, con bei pratoni dove
pascolano mucche che spesso non ci pensano proprio a spostarsi dal sentiero.
L'occhio cerca di arrivare in fondo alla valle per vedere le cime che ne fanno
da testata, ma le nuvole non sono d'accordo sul mostrarcele: alle nostre spalle
pure peggio. Un timido sole esce di rado, la pioggia è sempre lì a minacciarci
ma per fortuna resta solo una minaccia.
Poco dopo
esser partiti, uno sprazzo di semisereno ci permette di avvistare la nostra
meta di domani: il Combin de Valsorey. E addirittura ne vediamo lo scivolo
della parete nord ovest, esattamente quello che vorremmo risalire! Ci gasiamo
a manetta..
Sentiero
stretto, traversi esposti, piccoli guadi, e ci avviciniamo al paesaggio glaciale
svizzero. Il bivio per la
Cabanne du Velan ci fa da spunto per una pausa: meglio non esagerare oggi, tenere le
energie per domani, bere e mangiare. Molta della gente che solca il sentiero
con noi, si dirigerà verso il Velan appunto: peccato, la davo come man forte
per tracciare domani..
Ripida
salita ancora su pratoni, di nuovo in traverso su sentiero stretto ed esposto
(meglio non mettere il piede in fallo). Cerchiamo di salire con calma,
ammirando il paesaggio e facendo varie foto. Ad esempio quella bastionata
rocciosa laggiù, sopra il Glacier de Valsorey, pare un contrafforte dolomitico.
E man mano che saliamo siamo pure ammaliati dal Mont Velan, di cui scopriremo
la normale passa sotto ben 5 imponenti serraccate! Stica!
L'arrivo al
pianoro de Les Grands Plans regala un balcone privilegiato su tutto ciò che sta
intorno: dai 4mila dei Combin (quasi, e comunque ci sono le nuvole), il Glacier
de Valsorey, la corona di vette intorno a lui, il Mont Velan, le sue
serraccate, il "barattolo" Cabanne du velan, la verde valle risalita
e..nulla più, le nuvole sbarrano il resto, ma è abbastanza.
La
Cabanne de Valsorey è
lassù bella visibile, mancano solo..500m di salita su terreno meno comodo di
prima. Una pietraia, qualche chiazza di neve, e poi un sentiero a tornanti che
sale inesorabile in mezzo ai massi verso il rifugio.
Incontriamo
due ragazzi, parlano francese, gli chiedo cos'hanno fatto. Pensa te, han proprio
salito la "face nord ouest", riferiscono buone condizioni, non hanno usato
viti da ghiaccio ma due picche sì (io ne ho tre, hihi), e visto che non si
vedeva una fava, sono scesi per dove sono saliti. Bene! CD! Così so anche che
potremmo scendere da li se il resto non ci ispira (la parete è forse la via più
sicura: le altre hanno seracchi sulla testa o pareti rocciose che..scaricano).
Ed eccoci
arrivare alla nostra meta di oggi, raggiunta anche in meno tempo del previsto. Benissimo,
possiamo così concederci uno spuntino sui tavoloni fuori, sperando nel timido
sole, guardarci un po' attorno (ma verso il Col du Meitin solo nebbia!) e fare
le nostre con calma. Due trazioni al trave nel corridoio d'ingresso..
La rifugista
e la usa aiutante sono molto cortesi, e il mio francese sfavilla! In stanza riordiniamo
le nostre cose in modo da esser presto pronti, e..se ne approfitta per andare
un po' a letto. Una maledetta mosca mi infastidisce mentre Giorgio russa, buon
per lui!
Al risveglio
esco fuori, una visita ai bellissimi
bagni (c'è pure lo scarico!) e la triste scoperta che ha piovuto
e il cielo è ancora cupo: due palle, se non rigela siamo fottuti. Cena a base
di minestrone (tanta acqua e poca sostanza, fortuna c'è il pane), pure e
spezzatino affogato nel vino rosso, macedonia. Bottiglia d'acqua da 1L=8CHF,
come d'abitudine (fuori c'è una fontana ma l'acqua è dichiarata non potabile, e
non abbiamo sali).
Si torna in
stanza, azzero sulla fettuccia per salire al piano alto, e si va a letto, si
ripassa la salita (ma porco cane, l'avessi ripassate bene però era meglio!
Memorizzarsi quell'immagine!!). Fuori il tempo è ancora brutto. Speriamo bene..
Suona la
sveglia, la finestra è lontana per capire cosa ci sia fuori, ma le previsioni
erano buone, quindi balzo giù dal letto, mi vesto e vado giù. Metto fuori il
naso e..le palle toccano terra. Siamo nella nebbia. Addio rigelo. Addio salita.
Sarà già tanto se arriviamo al Col du Meitin. Che due maroni. Va beh, preparo
lo zaino lo stesso, tra le tre picche scelgo una tecnica e una classica (i
crepacci mi spaventano più della parete). Forza, a fare colazione.
Ci sono 5
cordate che attaccano i Grand Combin: una sulla Cresta del Metin, tre sulla via
Isler (due di queste si fonderanno in una unica per rinuncia di un componente
per cordata di quelle originali) e solo noi sulla Nord Ovest. Se butta male,
seguiremo la Isler anche noi, lavoro di squadra nella neve di merda.
Dopo
colazione, esco dalla porta e mi viene da piangere. Ma stavolta di gioia. Le
nebbie sono scese e fluttuiamo su un tappeto di nubi.
FORZAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!
3:40 si
parte, alcune cordate sono già avanti, io e Giorgio andiamo controcorrente e
lasciamo i ramponi nello zaino, armati di bastoncini che lasceremo al colle.
Siamo subito su neve, su neve buona, duretta, ma su una bella traccia che non
ci fa scivolare troppo. La salita fino al colle sarà una sorta di meditazione:
con calma, si sale, non si pensa ad altro, anche quando nella seconda parte la
pendenza aumenta decisamente e siamo al limite senza ramponi.
In 1h30min
ci siamo mangiati i 580m che ci depositano sul Col du Meitin, 3611mslm. Ma
porca puzzola che vento che tira! Il paesaggio è fantastico, una luce blu
stupenda, il tappeto di nuvole sotto di noi e il Monte Bianco lì che ci fissa.
Di quelle viste che meritano qualsiasi levataccia e qualsiasi fatica. Ma che
vento boia! Poche foto e brutte, si trema dal freddo, ci si veste, c'è da
legarsi e ramponarsi, operazioni che a queste temperature percepite ti fanno
maledire questa passione. Ma gli occhi..danno linfa al cuore e alla mente.
Si parte con
le propaggini di ferro a piedi e mani. Si scende, si passa la crepaccia, i
primi raggi di sole illuminano il bacino delle Maisones Blanches, e dietro
l'omonimo passo, il massiccio del Monte Bianco. E la Verte. E domani è il terzo
anniversario di una nuova vita. La mente corre, un'altra parete nord arriva. La mente torna a
concentrarsi, o meglio, a liberarsi.
Seguendo le
tracce di quelli di ieri (ora siamo soli), traversiamo perdendo meno quota
possibile, ma così facendo ci infiliamo anche molto a destra del pendio,
preludio all'errore. Eccoci sotto la parete vera e propria, meno male qui il
vento si sente molto meno.
51. 66.
Questi i numeri magici di oggi. Nessuna intenzione di tirarci il collo, la
giornata è lunga e la discesa richiede concentrazione. Quindi calma: faccio
tesoro di un intervista di Simone Moro, conto 51 o 66 passi a seconda di come
mi gira, e raggiunto questo numero pausa per riprendere fiato e polpacci. E
così, andiamo avanti, dritto per dritto.
Picca
classica e picca tecnica, punte classiche. Ma la parete non è tutta in neve,
sotto un cm di bianco spesso si trova del ghiaccio: nulla che richieda una
progressione a tiri, ma di certo i muscoli "soffrono" di più. Pausa,
un'occhiata al panorama, uno sguardo all'insù ai metri che mancano, e si
riparte.
Cercando la
strada nelle migliori condizioni, devio troppo a destra. Troppo. su quella
spalla nevosa il vento la fa da padrone, e una volta affacciati a questa, vedo
dall'altra parte le cordate impegnate sulla Isler: qualche passo su rocce
delicate in traverso, e vedere due che arrancano un po' nella salita mi fa ben
pensare che "no, torniamo indietro, stiamo più a sinistra che lo scivolo
esce direttamente in cima".
Giorgio
passa quindi avanti nella cordata, appena più a sinistra si vede un cono di
neve che sale, sarà quello dai. Ma la pendenza si fa davvero sostenuta, ohi
ohi. Giorgio arriva alla base di un risalto ghiacciato, il vento che ci frusta.
Preparo una sosta, meno male le viti da ghiaccio le abbiamo, il mio amico si
scioglie la sua bambola (io no, errore!) e parte.
Una delle
ore più intense della mia vita. Non ci sentiamo, lo vedo ogni tanto, neve che
scende e neve che sale portata dal vento, un freddo cane. La corda finisce,
avevo provato a urlare qualcosa ma nulla. Parto. Ci siamo infilati in una
goulotte stretta, 50cm, ghiaccio poco (viti fuori per metà) e cariato, sotto
detrito. E con la picca classica è una goduria cercare di far presa! E le
frustate del vento. Gli occhi smitraglaiti da cristalli di ghiaccio, non ci
vedo più, non posso guardare dove metto i piedi perchè da sotto si solleva di
tutto. Sono minuti che durano secoli. Arrampico a occhi chiusi, poi il terreno
si meno sostenuto ma sempre delicato.
Vedo il mio
amico, dietro un dosso nevoso, e la croce pochi metri sopra di lui. Mamma mia
che sofferenza questi 40m di ghiaccio marcio!
Pochi passi
e siamo in vetta, Combin de Valsorey, sei nostro! Peccato non goderselo, un
vento infame e i postumi del tiro precedente ci fanno veloce ripiegare per scendere
un po' a cercare un minimo di riparo. Si mangia e beve, e si gode della vista.
Impagabile, giornata perfetta, non fosse per il vento. E un pensiero vola ai
ragazzi del
Corso A12016 del
CAI di Carpi impegnati sul
Castore.
Si torna in
vetta per qualche foto, poi verso il Combin de Grafeneire, a due passi, non si
può saltare. Salteremo invece il Combin più isolato, troppo vento per
percorrere una cresta del genere, e viste le temperature meglio non osare troppo
con l'orario di discesa.
Di nuovo,
con calma, lenti ma inesorabili, si cammina su facile terreno verso la vetta:
si vede da lontano la croce, ma non è una croce, pare una stazione meteo,
tristezza. Una cordata che ci precedeva sta scendendo verso il Couloir du Gardien,
dal quale sembrano saliti degli scialpinisti: sono confortato dal fatto che si
passi e che qualcuno ci passi prima di noi, perchè scendere dalla parete nord
ovest..anche no!
E..vetta!
Anche questo 4mila è conquistato!
Purtroppo
anche questa cima non ce la si può godere, troppo vento (salendo non si poteva
guardare dritto perchè dal alto nordest arrivavano proiettili di ghiaccio;
sastrugi che si spezzano e volano via verso l'Italia), ripenso invece a quanto
mi sono goduto il
Monte Bianco. Ciao Monte Bianco (è lì davanti a noi)!
Panorama
della madonna, non sto a elencare le cime per non fare torto a quelle che
dimenticherei! Vento assassino, panorama divino.
Scendiamo
seguendo le tracce di chi ci ha preceduto, sarebbe più sicuro tornare indietro
e scendere sulla cresta nordest del Valsorey, ma sembra che l'innevamento copra
bene i crepi. Comunque tengo bene la corda tesa verso il mio amico. Incrociamo
due scialpinisti che ci chiedono news di loro amici che sono saliti dalla nord
ovest come noi: in effetti li ho visti, e stavano bene a sinistra, giustamente
(li vedremo uscire dal lato giusto infatti, non come noi).
Verso
l'imbocco del temibile Couloir du Gardien: di qui sono passati, infatti sono lì
sotto, ma fischia che serraccata e che disarrampicata da fare! Mi guardo
intorno, magari di la è meglio, ma chissà.. Vado io sul terrazzo verso l'abissino
e..beh ma c'è una vite! Facciamo una doppia da qui! Vite con moschettone a
ghiera, che immagino abbiano messo chi ci sta davanti. Tolgo allora il
moschettone e ci metto una maglia rapida, così gli rendo almeno quello (potrei
fare il recupero della vite.. ma c'ho fretta). Meno male, perchè non era roba
loro, ergo, chissà da quanto tempo era lì quella vite!
Doppia che
ci deposita alla mercè dei seracchi sulle nostre teste: i prossimi
interminabili minuti saranno sotto questa roulette russa di grattacieli di
ghiaccio in bilico sulla gravità. Giorgio avanti, affaticato, però meglio
muoversi. Lo incito, viene giù un minuscolo pezzo di ghiaccio e ci caghiamo in
mano, forza rapidi!
Al sole su
una spalla rocciosa siamo un po' più al sicuro, ma per poco, ora tocca
ritraversare scendendo sotto di loro, the seracs. Il caldo si fa sentire, il
vento qui arriva più debole, e man mano che scendiamo la neve peggiora sempre
più. Seguendo le tracce, evitiamo di scendere troppo.
Una lenta
agonia, sempre più passi sprofondano fino al ginocchio e oltre. Una volta fuori
dai caccia bombardieri di ghiaccio, ci fermiamo, passo avanti, spogliamo e
prendiamo un bastoncino per aiutarci a galleggiare in questa acqua solida
tendente al liquido. Sempre panorami impagabili, ma il nervosismo inizia a
farsi sentire.
Ore che
siamo fuori, le frustate del ghiaccio, le difficoltà, e ora sembra di non
avanzare mai! Rimesso piede sulla traccia di stamani, la musica cambia e si
riesce a salire, si passa la crepaccia, risalita, e di nuovo al Col du Meitin.
Ora sono più rilassato!
Ci
svacchiamo letteralmente al riparo di un masso, poco al riparo ma meglio di
nulla, si banchetta come fossimo a un matrimonio: invitati sono il Mont Velan,
i suoi ghiacciai, il Monte Bianco e tutti i suoi amici, le altre cime. Si
sposano la passione e la montagna, io e Giorgio a fargli da testimoni: sì sì,
queste due "entità" si amano! Ah già, invitato non voluto, ancora il
vento: ma al "Sì lo voglio" reciproco, non si opporrà.
Messaggio a
casa per tranquillizzare le nostre dolci metà, e discesa su neve bagnata e
marcia, ripida (non mi ricordavo così ripido stamani, urca!), interminabile e
calda. In realtà, solo 45min, ma agonizzanti. Alle 15 di nuovo al rifugio,
contenti e felici, brasati dal vento e dalle difficoltà.
Momento da
rottura di peones, rifare lo zaino, chili sulle spalle, ma prima altro cibo e
acqua. Ci facciamo vedere da Isabelle e Tanya, "tres bien, tous le monde
est la, comment ca etes?", gli descriviamo in qualche goulotte ci siamo
infilati, e lei capisce al volo.
Il resto è
discesa, lunga, stancante, ma solo perchè è discesa, ieri mi sembrava più
facile! Ci mettiamo 2h a scendere, ma tra ginocchia stanche, spalle, e sbuffi,
sembrano il doppio. Alla macchina ci godiamo qualche minuto di riposo, al sole
a differenza di ieri: meno male il meteo, meno male il rigelo.
Fatta, altri
due 4mila in saccoccia, e che 4mila! Soddisfatti riprendiamo la nostra strada,
quella dei poveri: niente traforo, niente autostrada fino a Quincinetto, ma una
birra e panino..quelli non ce li toglie nessuno. Anche perchè, arrivando a casa
alle 23:40, non ci sarei riuscito senza mangiare.
Qui e
qui traccia gps salita.
Qui e
qui le stesse tracce in formato google earth (e
qui e
qui ripetute in gpx).
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