Tutti
abbiamo delle paure, dei brutti ricordi, delle esperienza che ci hanno segnato
nel profondo: per quanto riguarda il mondo dell'Alpinismo, una di queste è per
me il Canale dei
Bolognesi al Corno alle Scale. Era una di queste..
Lontano 26 febbraio 2011:
fresco allievo uscente dal Corso di Alpinismo A1 del 2010 del CAI di Carpi, col mio
(nostro) maestro Nicola e l'amico Marco (anche lui fresco allievo uscente) ci infiliamo in questo
budello di cui io e Marco (che saliamo solo da secondi) resteremo traumatizzati
(chiedere a Marco!). Ore e ore in parete, scariche, passaggi delicati, soste
precarie, mutande marroni. Ricordo all'uscita degli abbracci stile "oddio
che bello siamo vivi!", ricordo la frase "Canale dei Bolognesi, fatto
una volta è già troppo!". Il nostro piccolo Eiger, il nostro piccolo
grande Orco.
Ricordo i
messaggi scambiati col custode della Est del Corno, Alberto Caprara:
mai conosciuto di persona, ma la cui gentilezza, la reputazione, il mito di
questo alpinista romantico affezionato alle montagne di casa, lo rendevano
"uno di noi". Uno di noi perito su quella montagna qualche anno dopo.
Leggo la dedica sulla nuova guida Appennino di Ghiaccio Vol.2 degli Alpinisti delLambrusco, che riporta anche un
trafiletto della nostra relazione:
brividi. Già, un Orco. Un brutto Orco.
Più di 6
anni sono passati, un po' d'esperienza in più me la sono fatta, sono "evoluto"
(o "involuto", dipende dai punti vista), sono "maturato".
Forse l'armatura per affrontare l'orco è un po' più robusta, e la
spada-piccozza più affilata. Da qualche tempo ho iniziato a pensare che
"Ma sì dai, se sapessi che è in buone condizioni stavolta, tornerei a
salirlo".
Il Barba
sabato 11 ha avuto la genialata di approfittare della Luna Piena e salirlo
quasi tutto di notte, riportando ottime condizioni. Ma quella è una parete est,
ha fatto caldo, mi sa che ho perso il treno per quest'anno. Invece, venerdì
pomeriggio alle 16 arriva il messaggio "Ho sentito il mio amico che ci è
stato ieri, VAI!!!!" e non sto più nella pelle.
Ormai già
"rassegnato" a una nuova nottata in solitaria, complice un pranzo con
parenti al sabato a cui non voglio mancare, scrivo a Giorgio che sapevo
interessato a questo itinerario, e il solo che con così poco anticipo credo
possa riuscire a esserci: "Giorgio, prepara il caffè". Poche decine
di minuti e la sua risposta arriva "il mio capo ha concesso il nulla
osta". Orco, arrivo.
Venerdì sera
a letto alle 20:30, sveglia alle 23e00, il motore dell'auto si accende dopo
mezz'ora, e dopo un'altra mezz'ora passo a prendere il mio amico. Follia,
pazzia, passione: "la normalità è relativa". La parete è esposta a
est, a pranzo devo essere a casa, la luna c'è. L'orario apre folle, ma è
ragionevole sulla base di questi aspetti. Allora per la proprietà transitiva,
potrebbero essere questi aspetti a esser folli..
Alle 2 siamo
al parcheggio del Rifugio Cavone. 12 gradi segnati dal termometro dell'auto del Capo di Giorgio. 12
gradi. Oh mio Dio che caldo. E che vento che soffia già qui. Va beh, siamo qui,
andiamo. Una precisa mail di gestione del materiale per minimizzare le perdite
di tempo: armati di tutto, protezioni da roccia, da neve, da ghiaccio. L'orco
ha mille facce, occorre essere pronti per ognuna di esse.
Ci
incamminiamo meno carichi di quando siamo partiti. Mettiamo piede nel Vallone
del Silenzio, appena fuori dal bosco, con la luna appena scesa dietro la
gigante croce di Punta Sofia. Uno spettacolo unico, che rende la croce quel
miraggio che 6 anni fa abbiamo bramato per ore e ore. Che oggi spero invece
raggiungere non dico senza difficoltà, ma in tempi e modi dignitosi.
Divertendosi.
Seguiamo
tracce in direzione del Passo del Vallone, ricordo che c'era da entrare nel
bosco ma non lo facciamo, ne stiamo fuori. E infatti sbagliamo: raggiungiamo la
cresta dei Balzi dell'Ora a quota 1750, tocca tornare più giù verso il passo,
da cui vogliamo scendere per passare sul versante est. Tira già un vento forte
che, complice il ghiaccio (raro ma possente), ci fa perdere l'equilibrio un
paio di volte.
Al Passo del
Vallone, un'occhiata a est e "ma dobbiamo scendere di qua?!": discesa
faccia a monte a lume di frontale, finché la pendenza non cala e si può
iniziare a traversare. Ricordavo un avvicinamento ostico, ma quella volta lo
percorremmo con la luce del sole e con innevamento maggiore, un'altra cosa.
Oggi occorre fidarsi delle sagome lontane disegnate dalla luna, e seguire il
ricordo di "stare al limite del bosco". Tracce non se ne vedono..
Tarzaning
tra i faggi, nuvole lontane che scavalcano il crinale, timori di insuccesso che
avanzano. Ravanamento selvaggio appenninico, ogni tanto della neve dura, spesso
della neve molle, e tra poco rimpiangeremo anche questa. Zero foto, che al buio
non sarebbero venute.
Finalmente
delle tracce di passaggio umano, che pare salgano addirittura dal Rifugio Segavecchia.
Tracce che diventano dure sa seguire quando la neve lascia posto a erba, paleo,
cespugli di strane forme di pino nano. Lassu proseguono, ma il canale pare
essere quello alla nostra sinistra. Boh.
Giorgio
prova a traversare per buttarsi dentro a esso, ma il traverso sul secco, su
erba e arbusti misto terra, senza capire se il piede poggi su qualcosa di
solido o meno, con le mani che trazionano vegetazione dalla dubbia
radice..piace poco. "oh, proviamo a seguire le tracce che salgono, magari
traversano più su".
30m di
salita su terra, erba, arbusti. Radici e fusti difficili da afferrare data la
circonferenza minuta. Ramponi che mordono una terra piuttosto friabile per
potersi dire un "buon appiglio": "speriamo sia la strada giusta,
perchè da qui non ci scendiamo mica! E doppie non vedo la possibilità di
trovare ancoraggi degni di questo nome".
Torniamo su
neve, le tracce sono anche fresche, di evidente salita visto dove sono le punte
dei ramponi. Ma lassù zigzagano: il cuore spera che sia la salita giusta, la
mente già capisce che sono tracce di discesa che qualcuno ha anche risalito.
Risbuchiamo sui Balzi dell'Ora, stavolta a quota 1800. Il vento schiaffeggia.
"Gio, ziocca, siamo su Balzi!"
Che fare che
non fare. Visto l'orario, è presto, possiamo riscendere, tornare a vedere dove
si possa passare, evidentemente il canale era quello dalla discesa ostica. Ma
quei 30m di terra erbosa.. Va beh, andiamo. Guarda te sto cavolo di Orco che si
è preso pure degli aiutanti per renderci la vita difficile.
A chiappe
strette si scendono quei metri disarrampicando. Un po' di neve, e poi di nuovo
del secco per infilarsi nel budello: un bel traverso su cengia fantasma (vedila
una cengia in mezzo alla vegetazione alta) ed eccoci sulla neve. Eccoci nel
canale. Non lo ricordavo certo così l'avvicinamento! Oggi direi che sia anche
lui uno dei tiri chiave della via. Ed è tutto ancora avvolto nel buio della
notte.
Risaliamo
della neve ripida e marciotta, un piede di Giorgio fa crollare inevitabilmente
un piccolo ponte di neve: si vedeva lontano un miglio che non avrebbe retto.
Provo a spostarmi sulla roccia marcia a destra ma è peggio: un bel passo lungo
e via. Seguiamo le tracce marcate ma nelle quali sprofondiamo lo stesso. Il
cielo verso est comincia a infiammarsi, ma non è per nulla sereno: cosa buona
per il dopo (il sole rovinerà meno il nostro intento) ma cattiva per il prima
(la neve senza cielo sereno fatica a indurirsi). L'orco ti da un aiuto con una
mano e uno schiaffo con l'altra.
Si sale alla
ricerca del chiodo di sosta, confidando nel report di Marco di sabato: c'è solo
da trovare una roccia con chiodo e che ospiti un friend medio. Saliamo su
pendenze ancora tranquille, 50°, incanalandoci man mano dentro un canale
contornato da rocce e pareti aggettanti, poco stabili, e delle quali alcuni
pezzi sono già rovinati sotto il peso della gravità. Che ambientino ospitale!
Oh ecco il
chiodo, su questo roccione proprio in mezzo al canale (standoci ben sotto, ci
si ritrova riparati a dire il vero, ma sotto sotto..non ci puoi stare). Un bel
chiodo color ruggine, ma che va benissimo: non siamo in falesia. Cultore dei
nuts, prediligo questi ai friends, ed eccone due controventati come da manuale.
Pronti a partire. Pronto Giorgio, parte lui come usanza (e anche perchè ricordo
che l'ultimo nonché oggi secondo tiro, dovrebbe essere il più bello).
Sia a destra
che sinistra, ghiaccio. Ghiaccio non da cascata ovviamente, piuttosto neve
sciolta trasformata. Mica una roba solida, ma qualcosa di delicato: niente
forza bruta, delicatezza. Poi qualche zona dove sbattere le nostre propaggini
metalliche con potenza rassicurante e inaudita c'è, ma poca. Le tracce vanno a
sinistra, e in effetti lì sembra meno sottile.
Arriva la
luce, arrivano le foto. Faccia a faccia con l'Orco. Sono le 6.
Parte il mio
amico, non lo vedo però: solo qualche metro sarà alla mia vista. Non lo vedo,
ma presto lo sento borbottare. Siamo già in ritardo, abbiamo perso tempo a
gironzolare sui Balzi dell'Ora, ci manca solo che diventi un'epopea come 6 anni
fa. Su ghiaccio ci si protegge con viti da ghiaccio: meno male le abbiamo prese
in buon numero.
In effetti i
primi metri non sono mica tanto appoggiati, e la sostanza su cui poggiano piedi
e trazionano piccozze non la vorresti trovare su queste pendenze. Ho freddo
nonostante le temperature, ma in sosta fermo e sudato si sente tutta. Dai
Giorgio va su. Dai che scendere non lo vedo molto possibile, e a 110m
dall'uscita lo vedo anche..che palle.
Pezzi di
ghiaccio che rovinano giù, sul mio casco anche, mi riparo. Il sole non esce,
imbrigliato dalle nuvole, meglio per la neve, male per la mia temperatura
corporea. Il mio amico sale lentamente, probabilmente si protegge,
"Giorgio vacci piano a scalciare, tanto non serve, usa le carezze",
facile parlare per me che sono qui.
Finalmente
lo vedo. Guardingo, attento, sbilanciato, lungo. Supera quello che sembra un
muretto, poi scompare alla mia vista salendo con una verve ben più brillante
che prima.
"Gio
metà" corda. "Gio 10m" di corda rimasti. "Ok, faccio sosta,
direi che sia ovvio che sia qui". La sosta dovrebbe essere su chiodi, da
piantare noi. Sento smartellare, ma..non sento i chiodi cantare: speriamo sia
solo questione che non mi arriva questo suono e la sosta sia buona. Posso
partire, finalmente. Con la mia tenuta da Appennino: picca classica, picca
tecnica con punta ben consumata, ramponi a punta dritta "smussata"
dall'uso.
E dopo pochi
metri, un bel muro di ghiaccio. 10-12m con passi a 75° o forse più: ottimo! Insomma,
l'orco affila le unghie, ma allo stesso tempo vedo che si sta mettendo un
cappello: quel cappello con varie punte, coi sonaglietti alle estremità. Punte
colorate. Che trasformazione sta subendo?
Picche che
si piantano bene, a volte cotto colpi violenti, a volte sotto colpi
opportunamente delicati. Momenti di concitazione, momenti di gioia. Chi
l'avrebbe mai detto di trovare questo e tanto (tanto per esser l'Appennino)
ghiaccio? Uno sguardo giù ad assaporare la pendenza, poi supero il cambio di
pendenza dal quasi verticale al meno verticale, e vedo lassù il mio amico. E
vedo lassù un secondo tiro che non assomiglia per nulla a quello che mi
aspettavo.
Salgo di
gusto, non più muovendo un arto alla volta, ma un piede e un braccio insieme
data la migliore consistenza e pendenza del proseguo. Arrivo dal mio amico con
un piccolo traverso: la sosta deve esser lei, solo sono preoccupato dalla
prossima lunghezza. "L2 60m con sosta su neve" dice Marco, come a
dire "con la corda ci arrivi per un pelo a uscire, prima non riesci a fare
sosta, e lassù..ti arrangi con la neve!".
Scambio
materiale, due chiacchiere due, il vento che si sente urlare lassù dove sto per
dirigermi: "Gio, non ci sentiremo di sicuro, rimaniamo coi tre strattoni
come segnale, e speriamo la corda basti". Abbandono il luogo sicuro, una
tasca comoda nella giacca sbrindellata dell'Orco: o no? O è una tasca colorata
di un altro tipo di giacca? Di quelle che al loro interno nascondono scherzi e
giochi?
Traverso per
riportarmi sotto la linea di salita, sotto l'uscita che pare essere lassù. No
vabbeh, ma che bello è?! Ghiaccio e ghiaccio (ghiaccio appenninico eh), con
terra e erba affiorante ma non in eccesso. Rocce ai lati, rocce sopra. Qui c'è
da divertirsi altro che! Sto meditando una considerazione, sto capendo
qualcosa.
Era il
cappello da giullare quello coi sonaglietti alle estremità, solo ora lo riconosco. Basta paura, vai di
divertimento. Ma aspettiamo a cantar vittoria.
Metri
appoggiati (60°?) su terreno discreto, con la picca che magari non trova al
primo colpo quei 7-10cm minimi di ghiaccio che ti assicurano un minimo di
tranquillità: a volte il primo colpo si pianta solo per 3cm prima di suonare,
oppure rimbalza direttamente. Me ne sto leggermente a sinistra a sperare di
trovare roccia buona per qualche protezione. No, vai con una vite: la carota
esce, ma entra troppo facilmente l'arnese.. Basta non volare.
Vedo lassù
la placca dove 6 anni fa andammo fuori via: stammi lontano! Prevedo invece un
bel traverso per tornare sulla linea di salita. Un traverso perverso, con le
picche che devono cercare parecchio prima di trovare qualcosa di buono, sempre
ad altezze sbagliate (o troppo su o troppo giù) e a larghezze scomode per un
traverso. I piedi che cercano di evitare l'erba, e quello sguardo che mentre li
osserva, realizza quanto sia verticale il traverso e quanto sotto sia quasi
strapiombante. Cappello da giullare, ma con humor inglese!
Fiuu, posso
riprendere a salire dritto, ben più naturale e quindi "amichevole"
che traversare. Fantastico. Occorre una gran fiducia in ciò in cui affondano i
ramponi, un certo fiuto nel trovare materiale buono sotto le lame delle picche,
ma presa confidenza con questo tipo di alpinismo, ovvero nell'Appenninismo, è
fatta. Ma che ne sanno gli ALPInisti!
Corro
famelico verso l'uscita, nessuna traccia di quello scivolo nevoso che ricordavo
e che credevo avrei risolcato oggi. Varie chiazze di roccia e erba e terra da
sfruttare tutte: e la corda basterà? Speriamo. Intanto il vento urla sempre
più, ho il timore che una volta messa la faccia oltre l'uscita verrò spazzato
via con forza di nuovo giù nel budello. Il cielo che prima era velato, ora è
proprio nuvoloso.
Nessuna
cornice, ma accumulo di neve non trasformata in cui gioisco ad avere la picca
classica (prima su ghiaccio invece, due tecniche le avrei gradite), ma senza
esagerare che su questi 75° c'è da andarci piano e delicati. Vento che mi
prende a schiaffi, cambio di pendenza repentino ed eccomi fuori. Non urlo di
gioia perchè il vento ributterebbe violentemente tutto il mio fiato nella mia
gola.
Chissà
quanti metri di corda sono rimasti: tanto sentire la voce di Giorgio è al
momento una delle cose più utopiche che possa concepire. Lassù la croce, ad
almeno 50m, ma prima c'è un bel cavo d'acciaio con anello alla fine. Provo ad
arrivarci, non voglio fa sosta su fittoni. E intanto il vento fischia, soffia,
urla.
Qualche
passo e la corda non viene più, c'era da aspettarselo. Che fare? Alpinismo è
anche fantasia: mi slego una corda e la rilego con moschettone in vita, poi
idem con l'altra. Guai perderne una! Non vorrei vedere la faccia del mio amico
nel caso. Altro moschettone all'imbraco, con cordino infilato dentro: inserisci
l'altro capo del cordino nel moschettone delle corde, e sfila questo
dall'imbraco.
E così a
seguire per quasi tutti i cordini che ho per poter arrivare con questa catena
di nylon colorata fino al cavo di ferro. Oh, ora sono tranquillo, torno alle
corde per fare sicura al mio amico. Intanto prego solo che salga in fretta per
poter mettere la giacca: il vento non mi schiaffeggia, mi tira direttamente dei
ganci di destro e sinistro a non finire.
Me ne sto
qui, isolato dal mondo: sono da solo, non sento nulla a parte Eolo, non vedo
nessuno grazie alle nuvole. Assorto nei miei pensieri, nella gioia di aver
sconfitto un Orco: o meglio, di aver visto che l'Orco ha assunto le sembianze
di un Giullare che mi ha fatto divertire (pur con strizza).
La marcatura
a metà corda mi raggiunge, poi quella dei 10m, e ben presto esce pure il mio
amico. Ora sì che posso dire sia fatta! Felici, non stanchi, ma affamati e
assetati. Io infreddolito, ora a due mani (una per cercare la giacca, una per
evitare che tutto il resto voli via) posso vestirmi e bardarmi. Fortuna non c'è
freddo, se no la temperatura percepita sarebbe da congelamento!
Fatte su in
fretta le corde, in fretta e male con le asole spinte verso est dal vento,
sgattaioliamo in fretta alla croce di Punta Sofia, quello che era il miraggio
di 5 ore fa. Sono le 8e30, secondo i miei calcoli dobbiamo sbrigarci a scendere
se vogliamo berci una meritata birra e non rientrare a casa tardi. Queste
considerazioni non sono certo il motivo principale che ci invoglia a scendere
di corsa, quanto piuttosto il vento, il vento, il vento.
Finalmente
al Passo della Particciola non siamo più in sua balia, ora possiamo anche
parlare senza interromperci ogni due parole con un "Cosa? Non ti
sento!", rallegrarci della salita ed esprimere la nostra gratitudine a chi
ci ha dato le dritte per realizzarla, all'Appennino che ci ha regalato un'altra
indimenticabile giornata, e a complimentarci a vicenda coi classici "Ma il
tuo tiro era più bello" "Ma il tuo tiro era più duro".
A distanza
di 6 anni, con un bagaglio di esperienza maggiore, qualche salita in più
effettuata, con una consapevolezza maggiore dei propri limiti e non, l'Orco mi
ha fatto la giusta paura, e il Giullare mi ha fatto divertire come un bimbo.
no, a ben pensarci non è uno che si è trasformato nell'altro, ma sono due facce
della stessa medaglia. La medaglia della Montagna.
Resta ancora
un Orco però nel mio armadio, di cui vorrei vedere la faccia dietro, quella del
Giullare. Un Orco? Altro che Orco, un Drago Sputafuoco di quelli a tre teste! E
questo sarà ben più duro da domare: ma chissà, un giorno.. un giorno vicino
spero..
Qui altre foto.
Qui la
guida.
Quirelazione vecchia.
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