Quest’inverno
il mio Appennino l’ho proprio trascurato, almeno per quel che riguarda le mie
sgroppate. La voglia è tanta, durante la settimana elaboro l’idea che sabato
potrei concatenare sia una discreta attività arrampicatoria che una
camminatoria, mi sento fuori forma su entrambe le attività. Poi domenica c’è il
corso, il weekend ce l’ho tutto libero, insomma l’allineamento egli astri
sembra poter condurre a questa via. Ma finchè resta un progetto, meglio non accennarne
a nessuno.
Dopo aver
salutato un po’ di caprioli per la strada, vedo il crinale, cazzo è coperto,
poi il Cusna, è scoperto! Via via verso Monteorsaro, la via più semplice e
veloce di accesso alla più alta cima reggiana. Ammetto che il dislivello è
basso per i miei canoni, ma domani non vorrei essere uno straccio, mi
accontento di toccare la croce da questa salita, che tra l’altro non ho mai
intrapreso: speriamo il sentiero si veda al lume della frontale.
Ore 20e40,
il sole già basso ma ancora un po’ di luce illumina la mia meta, ben visibile
dal Rifugio Monteorsaro. Parto veloce, per sfruttare al massimo i pochi minuti
di luce naturale rimasti. Taglio quando possibile la strada per salire più in
fretta. Volevo salire per il 619, ma mi ritrovo sul 623 a partire. Eccomi però
a un cartello che mi dice che posso ricongiungermi al 619, ma pare che così
allungherei..va beh, andiamo.
Ormai è
quasi buio, e nel fitto bosco la strizza avanza. La frontale si accende. Cammino
come un caterpillar, spezzo, pesto, e qualche volta inciampo, su ogni sasso,
rametto, frasca, tronco che sbarra la mia avanzata, fretta, voglia di faticare,
e paura. Già, paura, chi non l’avrebbe in un bosco al buio da solo? Ecco.
Altro
cartello, ora sono sul 619, taac devio, dovrei pure arrivare a un bivacco, che
però sembra lontanissimo. Son qui che calcolo il possibile orario di ritorno
alla macchina, per poi decidere se andare a casa a dormire oppure piazzarmi nel
mio sacco a pelo in macchina ad aspettare le 5e20, orario di ritrovo per la
partenza dell’uscita del corso A1. Beh in realtà penso anche a cosa e dove
mangiare una volta sceso, chi c’è di aperto a tarda notte? Scazza! Oh evvai, un
bel panino cipolla e salsiccia.
Eccomi al
bivacco, che brutto e scarno, ma tanto non mi devo fermare qui, apro la finestra
timoroso di quello che potrei trovare..nulla, vuoto. Ma senti fin da qui che
casino che fa il torrente, quanta acqua che ci deve essere. E infatti, seguo il
sentiero ma il torrente è bello vivace, coi bastoncino sondo la profondità.
Non si
passa. Cerco avanti e indietro un possibile posto per guadare il torrente, che
due maroni, sta a vedere che mi torna tornare indietro e seguire il 623! Anche
perché saltare sulle rocce scivolose.. Cerco sassi da lanciare in acqua per
farmi da ponte. Nulla. Va beh, provo a passare di qui, un passo, un altro passo
lungo, saltino e sono di la, schizzato un po’ ma ci sono. Vedremo come fare la
ritorno, ora si avanza.
Il bosco sta
per finire, e..il sentiero non è più chiaro adesso che lo spazio si è aperto.
Mmm, la strizza di perdersi. E poi chi lo sente Nicola domani se non mi vede al parcheggio con gli
istruttori contati?! Un’occhiata alla cartina, deve essere di qui, oh, sono su
una dorsale che va seguita, seguiamola. Ma diamo spesso uno sguardo
all’indietro per memorizzare dove sono passato: cespugli, alberelli, sassi, e
tra poco qualche lingua di neve.
Confortante
trovare un segno un sasso, il sentiero. Magari lo riperderò, ma almeno sono
sulla strada giusta, non sono disperso. Meno confortante il vento, caldo (per
ora) e impetuoso, pensa lassù. Vediamo se ci arrivo intanto. Le lingue di neve
si fanno sempre maggiori, le evito il più possibile, ma ogni tanto una
pestatina gliela do come traccia del mio passaggio. Non ho le briciole di pane,
anche perché se le avessi me le mangerei, ma qualche segno cerco di lasciarlo.
La salita
continua, alla mia destra la dorsale dove corre il 623, sopra di me una bella
luna, alle spalle le luci della pianura, e alla mente la frase topica “chissà
in quanti stanno trombando laggiù”, frase frutto del racconto di una salita al
Monte Bianco. Ormai la neve non è più evitabile, qualche macchia va
attraversata, e non è che sia propria tranquilla. La pendenza sostenuta e la
consistenza della neve provoca qualche sblisgo, che in discesa necessiterà di
attenzione.
Ma il
sentiero dov’è? Ah ok, ecco un segno, guarda indietro, ok, quella lingua di
neve me la tengo alla destra a scendere, avanti. Cambio di pendenza ed ecco il
gigante, e quanta neve alla sua base. All’incrocio col 617 la neve diventa continua
fino in cima, meglio mettere i ramponi. I ramponi in Appennino a quasi metà
maggio, magia. Magia necessaria, testa china e linea della massima pendenza,
direttissima alla croce, e i ramponi servono eccome. Un leggero venticello
complica la tenuta dell’equilibrio.
Ore 22e15,
ecco la croce e la madonnina, non più coperta di neve. Confortante sapere di
averci messo appena più di 1h30, la mia forma non è così scadente! E il panino
di scazza si avvicina.. E per digerirlo servirà una birra. Dove dormo? Ma no
dai, me ne sto in macchina e amen, ci guadagno mezzora di sonno. Ma meglio
dormire 3 ore scomodo o 2e30 comodo? Beh adesso vediamo.
And
now..treppiede e vai di foto! Almeno ci provo. E direi che ci riesco. Mangio
qualcosa o no? No dai. Però, visto che le foto le faccio coi tempi lunghi, il
tempo non mi manca. Mars di vetta. E mi godo la luna piena. Aspetta che mi
vesto e metto i guanti anche, c’è un freddo vigliacco grazie a questo vento che
ora è freddo (si vede prima era caldo per effetto Fohn).
Scatta e
riscatta, però ora basta, andiamo giù. Sparato sulla pendenza di neve, continuo
coi bastoncini e ramponi, la picca la evito. Tolgo i ramponi dove li avevo
messi, e faccio qualche altra foto. 22e45, ora si scende senza soste!
Trovo il
sentiero meglio di prima, utile il piccolo ometto che mi ero fatto salendo,
fato come indicazione “questa macchia di neve aggirala a ovest”. Appena
ricomincio a udire il frastuono dell’acqua, mi torna alla mente il guado
difficoltoso, ma se ora mi bagno non è più così problematico. E invece, meno
schizzi di prima.
Un rumore
nell’erba vicina al sentiero mi fa sobbalzare. Un topolino che si muove fa
paura come un mammut. A scendere non taglio la strada del Passo della Cisa, è
andata bene fino qui, evitiamo rischio di perdersi e soprattutto una pendenza
minore dovrebbe sollecitare meno il ginocchio. Versi di caprioli nel bosco, uno
che scappa vicino a me, un infarto smorzato per un pelo. Alle 23e50 sono alla
macchina.
Vorrei fare
il cambio abiti con calma e sistemare la roba di stanotte e per domani, ma i
versi dei caprioli (chi ha sentito il loro verso sa che è tutt’altro che dolce,
sembra un ruggito col mal di gola) e il conoscere una fontana di strada dove
potersi dare una lavatina, mi fanno sbrigare a cambiarmi sol le scarpe e fare
tutto da lei.
Eccola, mi
abbevero, poi mi cambio dandomi una sciacquata, sistemo l’attrezzatura per
domani, la roba di stasera, e via giù verso la pianura. Si è fatta una certa
ora, mi pare il caso dormire in auto al parcheggio. Senza nemmeno troppo sonno
riesco a guidare fino alla bassa modenese, sarà la voglia del panino che mi
trascina giù. Oh, un bel panino e una birra, ci vuole!
La nostra
passione è una brutta bestia, ti spinge a far cose che durante tutto il
tragitto ti dici “ma chi me lo fa fare”, spesso durante l’ascensione ti dici
“ma non me l ha mica ordinato il dottore”. Ma quando arrivi in cima ringrazi la
tua follia.
Qui altre
foto (poche, viste le condizioni di luminosità, tutte quelle postate sono dalla cima).
Qui report.
matto!
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