Qui ieri.
Finita
la scialpinisica di ieri,
quale miglior momento per affinare i piani per i prossimi due giorni
che una birra e panino al bar. Solo che le previsioni sono
drasticamente cambiate per i prossimi giorni: ieri davano due
giornate di quasi sole, ora danno due giornate di nuvoloso.
Aspettiamo Luca e Karen per decidere il da farsi.
Dopo
varie valutazioni, confermiamo la nostra meta, si va in Val Senales.
Un po’ di spesa e mentre saliamo al Passo di Costalunga telefoniamo per prenotare alla Forst di
Lagundo: piena. Di Merano: piena. Di Bolzano: libera. E così,
annebbiati da una cena in locale tipico, finiamo nella trappola dei
mercatini, accidenti a loro, me ne ero dimenticato.
Arriviamo
alla Forst che invece è piena, allo si rimedia alla Paulaner. E
almeno la pancia è contenta. Proseguiamo il nostro viaggio per
arrivare a Maso Corto, dove c’è meno neve di quello che pensassi,
e dove le piste sono illuminate a giorno dalla luce dei cannoni che
sparano imperterriti. Su il soffietto dell’Hotel California e a
letto, col vento che scuote il furgone e col timore di non fare una
mazza domani.
Date
le previsioni, la sveglia è con calma, e lo scarso entusiasmo spinge
a una colazione lenta e calma. Solo alle 9e30 mettiamo gli sci ai
piedi dopo aver deciso di provare comunque a far qualcosa: si tenta
di raggiungere il Passo di Fossalunga.
Questi
metri io e Riccardo li abbiamo già solcati quella volta che salimmo Punta Oberettes con le
ciaspole: una delle volte in cui fummo derisi dagli sci alpinisti. La
cima è la, ma il meteo non incoraggia a salirla, tanto più che non
è mica un MS! Ci concediamo una tranquilla partenza sulle piste da
slittino, coi cannoni che ci fanno il bagno e il vento che ci spazza
la faccia.
Saltiamo
il primo tornante della pista da slittino, si curva verso sinistra e
il cielo lattiginoso, la luce debole del sole e la neve candida
creano un’atmosfera che mi mancava davvero.. Aspettiamo Luca e
Karen che sono rimasti un pochino indietro, e una volta che ci
raggiungono ripartiamo insieme, mentre osserviamo i dolci pendii di
neve soffice che speriamo di solcare prima che l’orda dei
concorrenti l’abbia arata.
Io
e Riccardo seguiamo una marcata traccia che risale un pendio a bordo
pista, mentre i nostri due amici ci lasciano e continuano verso il Rifugio Lazaun a monte
dell’impianto. La pendenza si fa ben più marcata su questo tratto,
ora si fa sul serio, e una volta giunti alla “sommità”, si apre
davanti a noi una vallata invernale da pace dei sensi.
Il
rifugio è lontano alla nostra sinistra, mentre la vallata prosegue
davanti a noi. Riccardo mi fa “oh, dopo devo dirti una cosa”
“dimmi ora” “no no dopo”. Fantastico il paesaggio, peccato
per il meteo nuvoloso, il vento che ora si è ridotto ma si sente, e
la luce che non permette di distinguere bene le pendenze. Devo farci
l’abitudine.
Il
falso piano dura un po’, al ritorno sarà uno strazio, ma forse
vale la pena tagliare verso il rifugio e scendere per la pista che
stanno innevando ed è chiusa. Davanti a me, oltre che un buon numero
di scialpinistiisti, non vedo però un passo, ma semmai una montagna,
e mi pare sia Punta Saldura. Non ricordo bene la cartina, ma mi
sembra che siamo un po’ fuori mano.
Riccardo:
“ok, ora te lo posso dire. Abbiamo sbagliato, la nostra valle era
molto più a destra, stiamo salendo verso Punta Saldura”, e mi
sembrava. Decidiamo di continuare, tanto in cima non ci saliamo di
sicuro, alpinisticamente non siamo equipaggiati, la cima è bella
coperta, e poi la parte alta da scendere sarebbe un OS.
Continuiamo
ancora un po’, risalendo un pendio che comunque non mi pare tanto
dolce, ma lassù scorgo già quello che sembra essere il muretto del
ghiacciaio: no no, a quota 3000 ci fermiamo, che siamo già contenti
di avere messo gli sci ai piedi visto quelle che erano le previsioni
e l’entusiasmo che avevano suscitato!
Cambio
abito e ci prepariamo a scendere, la luce non aiuta, ma la neve si,
farina morbida che tutto perdona, o quasi. Bisogna stare attenti ai
dossi e a certi “dirupi”, solo che un dosso non lo vedo e mi ci
capitombolo dentro come un ariete, bom, tuffo nella neve e ricerca
dello sci scomparso sotto la coltre. Poi la discesa continua giocosa
e gioiosa, che spasso. Sarebbe ancora più spasso a esser bravi.
Stiamo
per arrivare sul pianoro di prima, decidiamo di puntare al rifugio
che sembra anche quello che assicura una minore richiesta di spinta.
Per evitarne il più possibile tocca prendere velocità, via spediti,
e trappola! Mentre sono sul piano, a velocità pure ridotta ormai, un
fosso davanti a me, profondo mezzo metro e largo anche di più: non
devo frenare, anzi cerco pure di evitare la disfatta “saltando”..
È
andata, goccia di sudore freddo e leggero dolore da strappo muscolare
all’inguine. Ok, ora c’è da spingere faticosamente per
riguadagnare quota, e arriviamo così al rifugio, dove stendiamo gli
sci sulla staccionata, mangiamo, e osserviamo un aquila sulla nostra
testa.
Via
giù per la pista ora, ma è una tragedia. La polvere è un lontano
ricordo, crosta ghiacciata, irregolare, arata dal gatto delle nevi
che incrociamo due volte durante la discesa. Da dimenticare. Lo
spazzaneve trema per seguire l’irregolarità del fondo, finalmente
dopo tempo immemore arrivo sulla pista da slittino, mannaggia.
Qui il proseguo.
Qui altre foto.
Qui relazione on-ice.
Qui relazione OTT.
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