domenica 7 dicembre 2014

Errando in Val Senales: salita verso Punta Saldura

Qui ieri.

Finita la scialpinisica di ieri, quale miglior momento per affinare i piani per i prossimi due giorni che una birra e panino al bar. Solo che le previsioni sono drasticamente cambiate per i prossimi giorni: ieri davano due giornate di quasi sole, ora danno due giornate di nuvoloso. Aspettiamo Luca e Karen per decidere il da farsi.
Dopo varie valutazioni, confermiamo la nostra meta, si va in Val Senales. Un po’ di spesa e mentre saliamo al Passo di Costalunga telefoniamo per prenotare alla Forst di Lagundo: piena. Di Merano: piena. Di Bolzano: libera. E così, annebbiati da una cena in locale tipico, finiamo nella trappola dei mercatini, accidenti a loro, me ne ero dimenticato.
Arriviamo alla Forst che invece è piena, allo si rimedia alla Paulaner. E almeno la pancia è contenta. Proseguiamo il nostro viaggio per arrivare a Maso Corto, dove c’è meno neve di quello che pensassi, e dove le piste sono illuminate a giorno dalla luce dei cannoni che sparano imperterriti. Su il soffietto dell’Hotel California e a letto, col vento che scuote il furgone e col timore di non fare una mazza domani.
Date le previsioni, la sveglia è con calma, e lo scarso entusiasmo spinge a una colazione lenta e calma. Solo alle 9e30 mettiamo gli sci ai piedi dopo aver deciso di provare comunque a far qualcosa: si tenta di raggiungere il Passo di Fossalunga.
Questi metri io e Riccardo li abbiamo già solcati quella volta che salimmo Punta Oberettes con le ciaspole: una delle volte in cui fummo derisi dagli sci alpinisti. La cima è la, ma il meteo non incoraggia a salirla, tanto più che non è mica un MS! Ci concediamo una tranquilla partenza sulle piste da slittino, coi cannoni che ci fanno il bagno e il vento che ci spazza la faccia.
Saltiamo il primo tornante della pista da slittino, si curva verso sinistra e il cielo lattiginoso, la luce debole del sole e la neve candida creano un’atmosfera che mi mancava davvero.. Aspettiamo Luca e Karen che sono rimasti un pochino indietro, e una volta che ci raggiungono ripartiamo insieme, mentre osserviamo i dolci pendii di neve soffice che speriamo di solcare prima che l’orda dei concorrenti l’abbia arata.
Io e Riccardo seguiamo una marcata traccia che risale un pendio a bordo pista, mentre i nostri due amici ci lasciano e continuano verso il Rifugio Lazaun a monte dell’impianto. La pendenza si fa ben più marcata su questo tratto, ora si fa sul serio, e una volta giunti alla “sommità”, si apre davanti a noi una vallata invernale da pace dei sensi.
Il rifugio è lontano alla nostra sinistra, mentre la vallata prosegue davanti a noi. Riccardo mi fa “oh, dopo devo dirti una cosa” “dimmi ora” “no no dopo”. Fantastico il paesaggio, peccato per il meteo nuvoloso, il vento che ora si è ridotto ma si sente, e la luce che non permette di distinguere bene le pendenze. Devo farci l’abitudine.
Il falso piano dura un po’, al ritorno sarà uno strazio, ma forse vale la pena tagliare verso il rifugio e scendere per la pista che stanno innevando ed è chiusa. Davanti a me, oltre che un buon numero di scialpinistiisti, non vedo però un passo, ma semmai una montagna, e mi pare sia Punta Saldura. Non ricordo bene la cartina, ma mi sembra che siamo un po’ fuori mano.
Riccardo: “ok, ora te lo posso dire. Abbiamo sbagliato, la nostra valle era molto più a destra, stiamo salendo verso Punta Saldura”, e mi sembrava. Decidiamo di continuare, tanto in cima non ci saliamo di sicuro, alpinisticamente non siamo equipaggiati, la cima è bella coperta, e poi la parte alta da scendere sarebbe un OS.
Continuiamo ancora un po’, risalendo un pendio che comunque non mi pare tanto dolce, ma lassù scorgo già quello che sembra essere il muretto del ghiacciaio: no no, a quota 3000 ci fermiamo, che siamo già contenti di avere messo gli sci ai piedi visto quelle che erano le previsioni e l’entusiasmo che avevano suscitato!
Cambio abito e ci prepariamo a scendere, la luce non aiuta, ma la neve si, farina morbida che tutto perdona, o quasi. Bisogna stare attenti ai dossi e a certi “dirupi”, solo che un dosso non lo vedo e mi ci capitombolo dentro come un ariete, bom, tuffo nella neve e ricerca dello sci scomparso sotto la coltre. Poi la discesa continua giocosa e gioiosa, che spasso. Sarebbe ancora più spasso a esser bravi.
Stiamo per arrivare sul pianoro di prima, decidiamo di puntare al rifugio che sembra anche quello che assicura una minore richiesta di spinta. Per evitarne il più possibile tocca prendere velocità, via spediti, e trappola! Mentre sono sul piano, a velocità pure ridotta ormai, un fosso davanti a me, profondo mezzo metro e largo anche di più: non devo frenare, anzi cerco pure di evitare la disfatta “saltando”..
È andata, goccia di sudore freddo e leggero dolore da strappo muscolare all’inguine. Ok, ora c’è da spingere faticosamente per riguadagnare quota, e arriviamo così al rifugio, dove stendiamo gli sci sulla staccionata, mangiamo, e osserviamo un aquila sulla nostra testa.
Via giù per la pista ora, ma è una tragedia. La polvere è un lontano ricordo, crosta ghiacciata, irregolare, arata dal gatto delle nevi che incrociamo due volte durante la discesa. Da dimenticare. Lo spazzaneve trema per seguire l’irregolarità del fondo, finalmente dopo tempo immemore arrivo sulla pista da slittino, mannaggia.

Qui il proseguo.

Qui altre foto.
Qui relazione on-ice.
Qui relazione OTT.

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