La ciliegina sulla torta: ecco cosa
servirebbe prima di ricominciare a lavorare. E sarà dura ripartire
dopo un po’ di giorni in montagna o simili (vedi post precedenti),
quindi spariamo l’ultima cartuccia cercando di colpire bene! Col
buon Nicola si cercano
cascate di ghiaccio, e visto il tardo inverno tocca andare in alto,
ma vista la poca neve si possono provare flussi che di solito sono
soggetti a valanga: Val d’Avio, arriviamo!
A questa valle è legato il ricordo di
una delle alpinistiche più faticose e lunghe che abbia mai
affrontato: l’Adamello. Sì, banale, ma noi (io, Riccardo, Marco,
Erica) eravamo partiti da Malga Caldea, saliti al Paso di Premassone,
scesi al Rifugio Gnutti, e il giorno dopo su per la Terzulli, cima,
discesa per il Passo degli Italiani (tra l’altro ostico quella
volta), Rifugio Garibaldi e infine la macchina. Il secondo giorno
fummo in giro per più di 12 ore. Oggi sono più allenato ed esperto,
,ma quella volta fu un’impresa.
Torniamo a noi. Brutta malattia quella
per la montagna: si parte alle 2e30, presto? Non per noi, che ormai
siamo abituati a sentirci dire dai local “ma starete qui qualche
giorno vero?” “no no, tutto in giornata”. Arriviamo anche prima
del previsto a Temù, iniziamo a risalire la valle ma a un bivio ci
sbagliamo e scendiamo alla teleferica. Dietrofront, su a sinistra, ma
una lastra di ghiaccio..
Il Cubo arancione, offeso dalla nomea
di “fiorino” che Nicola gli ha coniato, si intraversa scivolando
sul ghiaccio su una stradina larga poco più di lui, col precipizio a
destra, fermandosi solo grazie a un lieve rigonfiamento trovato dalla
ruota posteriore destra. Attimi di panico, ma sangue freddo, mettiamo
le catene, ma ci vuol del tempo prima di uscire da questa situazione.
Parcheggiamo a valle, nessuna voglia di rischiare di nuovo!
Dalle 5e15, orario
dell’intraversamento, alle 6e30 riusciamo a metterci in cammino,
almeno 45 minuti persi e li pagheremo cari. Non voglio nemmeno
immaginare quanto siamo “bassi”, ma che ce frega, la giornata è
lunga e abbiamo messo in conto che lo sarà parecchio, e poi neve non
ce ne è, perciò si dovrebbe salire agili. E saliamo, io col mio
zainone e Nicola col suo zainetto. Differenza IS vs IA.
La luna possente illumina la neve in
alto, noi ci accontentiamo di seguire la strada che sale e che
avremmo sperato di fare in auto, tra una risata e l’altra e tra un
racconto e l’altro di vari aneddoti: e in realtà, insaziabili, si
discute già di altri progetti montani senza ancora aver iniziato
quello di oggi! Ma è anche un modo per imporci di salire con calma,
non bruciamo già le nostre energie.
Iniziamo a goderci l’alba poco sopra
Malga Caldea, poco prima della quale la neve è diventata presente a
sprazzi, mentre pozze di ghiaccio sono più presenti e infide,
speriamo bene! Intanto già qualche goulotte e flusso e ben visibile,
ma noi puntiamo in alto! Solo che, nei tornanti sopra Malga Caldea,
una passat 4x4 si sbeffeggia di noi e ci supera. Siamo fregati. Ma
siamo anche più “romantici” (siamo partiti da valle..).
Dopo 1h45 di cammino sbuchiamo alla
diga del Lago d’Avio, dove stanno i guardiani (cui portiamo una
bottiglia di Lambrusco per ringraziarli della cortesia nel darci
qualche info e dritta) e dove sta la mitica fontana dove trovai
Riccardo sdraiato esanime accaldato e finalmente sfamato della sua
sete mentre scendevamo dall’Adamello, nel lontano agosto 2011. Per
me quell’immagine resterà
indelebilmente “la stanchezza fatta fotografia”, anche più della foto al parcheggio dopo la
discesa da Mistica.
La macchina che ci ha superato è già
bella e vuota. Nel tentativo di aprire il portone del tunnel
paravalanga mi grattugio il pollice destro: roba di poco, è solo che
a essere superstiziosi le avvisaglie sono già due! Il tunnel è
pittoresco, lungo 1km probabilmente, contornato di “finestrelle”
tra i legni che chiudono d’inverno le feritoie ma che ogni tanto
concedono una sbirciatina verso le montagne, come il buco della
serratura per spiare la tua amica che si fa la doccia nel tuo bagno..
Il tepore roccioso del tunnel finisce
dopo la quinta serie di illuminazione, si riapre il portone e ci si
trova sul margine est della diga tra Lago d’Avio e Lago Benedetto:
che vista! Si possono scorrere le cascate Madonnina, Funicolare, due
flussi facili di cui non ho trovato relazione, Sorgente Azzurra,
Madre e Pilastro della Malga. Ma il protagonista è lui, l’Adamello
laggiù!
È una vista inebriante, ci si ferma a
fare qualche foto e ammirare ciò che la montagna concede ai nostri
occhi. Siamo privilegiati a essere qui, ce la siamo anche sudata
visto l’avvicinamento compiuto, e quindi soddisfatti. Ma
dirigiamoci verso quella che speriamo essere l’altra soddisfazione,
la cascata! Anche perché davanti a noi abbiamo i tre o quattro
dell’auto, che però non vediamo dove siano finiti, e dietro di noi
altri tre che vedevamo dai tornanti.
A metà diga ci fermiamo di nuovo a
scattare una serie di foto alle varie cascate da una diversa
angolazione, mentre Nicola storce già un po’ il naso vedendo
quanto gli paia magra la Madre (che ha già salito) e quindi sospetti
che la Funicolare non stia meglio. Alla Madonnina manca un metro per
congiungersi. Video.
La poca neve rende probabilmente più
ostico l’avvicinamento. Occorre addentrarsi in un “boschetto”
di cespugli vari, con rami attraverso cui districarsi (prossima volta
porto il machete) e massi coperti da qualche cm di neve su cui
appoggiare il piede sperando sotto la roccia tenga. Non è facile, ma
avventuroso e un po’ faticoso. Slalom tra gli alberi a cercare una
debole traccia di chi ci ha preceduto (si spera tracciando la via
migliore), poi piccola “apertura” ma si ritorna qualche metro in
mezzo alla giungla per poi risalire in campo più aperto verso
l’attacco.
Da sotto ormai la cascata non sembra
nemmeno più tanto verticale, ma è chiaro che non è proprio in
forma. E adesso capiamo pure dove siano finiti gli occupanti della
passat che ci ha superato: stanno salendo con le picche, una cordata
da tre. Ci prepariamo senza troppa calma visto che abbiamo già visto
sulla diga avvicinarsi in questa direzione altri pretendenti: ma non
li vedremo più, probabilmente sono andati altrove.
Lasciato giù il mio zaino e riempito
solo quello di Nicola, l’esperto parte per il primo tiro, che non
sarebbe nemmeno difficile, non fosse per quei 4m a 85° delicati
delicati: inutile metter giù viti, si va e basta. A rendere più
delicata l’ascensione è lo scarico di ghiaccio della cordata che
ci sta sopra, che non è per nulla piacevole anche se inevitabile.
Nicola arriva in sosta, recupera le
corde e così mi appresto a salire. Alla fine quei metri che
sembravano di cristallo sono meglio di quello che credevo: peggio è
la situazione “solidità”, ovvero la cascata piscia un casino!
Porca miseria, e il proseguo non sembra meglio.. Salgo l’ultimo
tratto più in fretta che posso essendo esposto alle scariche
dall’alto, e finalmente sono in sosta riparato.
“Andrea, ecco il bollo giallo”, è
quello della relazione del tizio che ha spittato le soste (in realtà
di spit ne abbiamo trovato uno qui e uno all’altra sosta da cui ci
siamo calati..), che credevamo essere solo un’indicazione sul pdf,
invece c’è pure sulla roccia! E la sosta è un nuovo balcone sulle
montagne di fronte a noi, Corno Baitone in primis. Anche il pendio
sopra la Madre è interessante, tutto al sole e con pendenza perfetta
per valanghe.
Butto uno sguardo su, il tiro non
sembra difficile, ma quelli sopra scaricano, il traverso iniziale
sembra delicato.. Non sono troppo convinto e Nicola quindi riparte,
anche se in cuor nostro si insinua già l’idea che non riusciremo a
finire la via: troppo esile e pericolosa con qualcuno sopra. E
vedendo che il capocordata sopra di noi si avventura sul del misto
per far la sosta e su dei cavolfiori appanna attaccati al resto, mmm.
Nicola sale mentre io mi concentro a
guardare quelli sopra che fanno e avvisarlo se arriva giù qualche
pezzo sostanzioso. Oh, mica che siano degli assassini quelli sopra di
noi, fa parte di questa attività il rischio che si sta davanti
stacchi qualcosa e ti arrivi addosso: poi sta nella sua abilità
essere il più delicato possibile per evitare ciò (diciamo che il
loro capocordata è delicato, i secondi un po’ meno..).
Non lo vedo più, ma dopo un po’ lo
sento che mi chiama a mollare tutto. Bah, mi pare sia stato corto
questo tiro, ma va beh, lo sa quel che fa. Parto io, mannaggia che
paura la roba che scende dall’alto, mi sento anche bene e
prestante, non fosse per lo sguardo che deve osservare su. Svelto
svelto, viti da svitare permettendo, eccomi in sosta: già da lontano
mi pareva di vedere un friend, cosa poco rassicurante.
Infatti Nicola deve essersi fermato
troppo presto, anche se qui due chiodi ci sono, non molto belli ma ci
sono. Anche un cordone con mallo di calata, ma non sembra molto
rassicurante. “Andrea finchè non sei ancora in sosta, dai
un’occhiata su se vedi qualcosa sulle rocce” e mio malgrado uno
spit a 15-20m lo vedo “allora vai su tu e fai sosta la”,
mannaggia, mi ha fregato.
Salgo il più svelto possibile per
limitare il tempo di esposizione ai bombardamenti, metto giù un paio
di viti subito da bravo istruttore, poi lascio li per cercare di
arrivare in sosta presto. Eccolo lo spit, ma è da solo, e per
arrivarci c’è poco ghiaccio e tanta roccia, un diedrino breve ma
dove occorre usare le mani sulla roccia e la picca in dry. Spit e
chiodo (che lavora in estrazione!)
“Vieni Nico”, e quelli sopra che
erano partiti davvero veloci, hanno rallentato visto la precarietà
della struttura. Una cordata invece sta salendo la Madre. Vedo il mio
amico, che narcisista chiede pure una foto prima di arrivare a farmi
compagnia in questa non troppo comoda location. Che fare che non
fare: sopra sembra davvero delicato il ghiaccio, bagnato spolto, si
vede che è necessario andare anche su roccia, di dubbia qualità.
Una 20ina di metri sono ancora salibili bene, ma se la sosta è poi
più in alto come si fa?! Chi ci sta sopra scarica, e probabilmente
tra poco si calerà in doppia. Basta, scendiamo.
Di certo siamo stati un posto
magnifico, abbiamo effettuato un avvicinamento di tutto rispetto
(1000m di salita, il minimo sindacale come trekking), due tiri e
mezzo di corda li abbiamo fatti, e a valle ci aspetta pure una bella
mangiata: insomma la giornata è fatta.
Iniziamo a preparaci per la doppia
usando alla bene e meglio sia lo spit che il chiodo, aspettando anche
che il bombardamento dall alto si attenui. Sono sicuro che con questa
calata possiamo arrivare fino alla prima sosta, d’altronde sono
sicuro che questa è la vera seconda sosta (la terza chissà dov’è),
e infatti Nicola arriva giù, controlla che la corda scorra per il
recupero, e poi scendo io.
Attrezziamo un’altra doppia, anche
qui cercando di sfruttare tutti gli ancoraggi, e la discesa è pure
carina in mezzo a un diedrino. Anche la cordata sopra si sta calando,
e si vede (normale..). Tac eccoci alla base, e ora recuperare la
corda..e Nicola mi maledice. Mi aveva già detto di portare la corda
nuova, ma io no, porta sfiga, e così questo canapone risalente
all’estate 2010 ma che di km, roccia e ghiaccio ne ha visti, bello
ghiacciato offre una certa resistenza a scorrere nelle anelle delle
maglie rapide e essere recuperato.. Con un po’ di fatica, ecco
tutto giù.
La missione attuale è cercare di
andare sulla diga a godersi un po’ di sole, ma mi sa che con la
nostra non velocità e la rapidità con qui la palla nucleare gira,
troveremo solo ombra: e infatti. Mentre terminiamo lo spogliarello
dagli attrezzi e giacche, i tre arrivano a portata di voce e ci
chiedono “ma non salite? Scendete per colpa nostra?” e Nicola
“si, anche”. Ripeto, non sono degli assassini, fa parte di questo
tipo di attività il bombardamento dall’alto. Magari ci rode un po’
che noi ci siamo fatti un discreto avvicinamento in più e solo per
questo siamo finiti dietro di loro.
Ma tant’è, torniamo in mezzo alle
sterpaglie che invocano machete, questi metri aumentano il grado di
difficoltà del luogo, e aumentano la pienezza della giornata. Già,
perché vedere un uomo tramutarsi in gracco incastrato in mezzo a
deboli rametti, non ha prezzo. Forse il suo intrappolamento ha un po’
di mie colpe, ma a me sembrava davvero che il sentiero passasse li
giù e non qui su. Gracco anche per i versi che emette, uno
spettacolo. Video. E con
questi due minuti di risate, la giornata è davvero compiuta.
Finita la giungla, finite le
difficoltà, tornata la voglia della prossima scalata. E ad ammirare
questo ben di Dio, ce ne è motivo! Il sole se ne è andato, noi
scattiamo altre mille foto, esploriamo la Malga di Mezzo, e nel
mentre i tre ci raggiungono. Due chiacchiere in cordialità,
l’offerta (rifiutata) di un passaggio fino alla nostra auto, e
ormai la consueta risposta “ma siete matti? Tutta questa strada in
giornata e per stare qui solo un giorno?!”, voi siete local, non
potete capire.
Tunnel, di nuovo, e fuori di nuovo, a
fare due chiacchiere coi guardiani e poi giù per l’infinita strada
verso Malga Caldea, ancora col naso all’insù a guardare, scrutare,
sognare flussi ghiacciati. Vicino a Malga Caldea un’altra cordata
ci raggiunge, due parole e poi loro si fermano alla loro auto, che è
già qui, la nostra ben più giù! Solo alle 16:41, poco più di 10
ore dopo averla abbandonata, la troveremo.
Ad accoglierci un’ottima birra Nicola
made, formaggio e pane Nicola made, e panforte. A scalare saremo
scarsi, ma quando si tratta di picnic post giornata in montagna! Gran
bella giornata passata in compagnia e in uno splendido scenario. Ne
voglio ancora.
Qui altre foto.
Qui video dalla diga tra Lago d’Avio
e Lago Benedetto.
Qui video del gracco intrappolato.
Qui report.
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