Quando si dice “arrampicare in buone
condizioni fisiche” occorerebbe fare esempio di questa giornata: al
contrario. Io che dopo il triathlon dei poveri e la nottata di sabato
ho passato una settimana di mal di gola e assenza di voce. Giorgio
reduce da due giorni di malattia. Stefania che sta bene, ma inizierà
a tossire oggi. La cordata della corsia d’ospedale.
Io Moonbears in realtà l’ho già
salita tempo fa, ma siccome Giorgio la vorrebbe fare, andiamo, che
meglio la compagnia che la via. Quando poi la compagnia si presenta
con la crostata per rimpinguare la colazione e gnocco e formaggio a
fine gita, come dirgli di no! Poi ci sarebbe anche la mezza voglia di
concatenarci “Le strane voglie di Amelie”, ma in tre sappiamo che
questo sarà difficile.
Partiamo prestissimo visto che quella
parete è una delle più affollate della valle (e dopo ciò che ho
visto sulla Bellezza della Venere..), i primi due tiri sono in comune
con due delle vie più frequentate della Valle del Sarca,
affollamento, untezza, la sintesi del perché Arco non mi va a genio
(avessi il 6c, forse troverei vie meno unte e meno affollate).
E infatti mentre ci incamminiamo,
dall’altra parte della strada marcia una squadra di concorrenti,
armati fino ai denti, corde e ferraglia, casco già in testa, sono in
6. Acceleriamo il passo, ci manca solo che ci sia già gente anche
all’attacco, ed è appena l’alba! Ma quando arriviamo alla
cancellata scopriamo di essere i primi. Almeno. Siamo in tre, c’è
il forte timore di essere sorpassati con tutto il caos di corde e
salami incrodati che può seguirne.
Parte Stefania, che si è già divisa i
tiri, ai lei i primi tre, i più facili ma anche i più unti. E
infatti già lasciare il piedistallo della cancellata è un affaire
mica da ridere: la vedo cincischiare e mi dico “mammai mia, se
andiamo così su questi gradi, chissà dopo” e invece quando dopo
Giorgio toccherà a me, capirò il perché. Zero appigli e appoggi
saponati.
Secondo tiro in completo traverso, io e
Giorgio raffreddati come siamo temiamo fortemente questo freddo che
attanaglia: la valle spara vento e il cielo non spara sole. Ma non mi
sto a vestire nella speranza esca la palla di fuoco, e chi visse
sperando..ciaone.
Da S2 le strade di Moonberas, Orizzonti
Dolomitici e Amazzonia si sperano: bene, speriamo di trovare della
roccia meno consumata, ma non ci spero. Le cordate sotto di noi (di
fianco a dir la verità) sappiamo fanno altro, vediamo quelle che
verranno.
Dopo i tre tiri iniziali, tocca a noi
“vai tu o vado io, vado io o vai tu” faccio decidere a Giorgio e
parte lui: solo Stefania ha studiato la relazione, io la via l’ho
già fatta ma tanto non la ricordo, e Giorgio l’ha proposta. Che
gentaglia. E nonostante di quelli che tocca a lui questo sia il più
facile, lo si vede pensare parecchio a come uscire da un passaggio..
Annamo bene.
E invece dai, annamo. Giorgio su L5 ci
mette il tempo che gli serve, ma sale senza colpo ferire quello che
ricordo essere un tiro bello tosto, a sfruttare questa fessura il più
possibile in diedro, ma con qualche passo in Dulfer: piuttosto fisico
e da fidarsi di piedi che poggiano su saponette. Stefania ringrazia,
o meglio ringraziano le sue braccia.
Ultimo tiro per Giorgio, il malato in
guarigione. Molto più malato il sole, sempre dietro una coltra di
nubi che non lo lascia andare, e noi al freddo. Infatti non mi sento
più le dita, arrampicare così, e su questa roba poi, è fantastico.
Tiro meno continuo, ma un paio di passaggi in placca rendono il “un
ci passa manco ‘no spillo”, toscanismi..
Ed eccoci a S6, cambio della guardia,
finisco io la via! Intanto un’occhiata giù rivela che ci sono
cordate che ci inseguono, formichine su tutta la parete e addirittura
anche all’attacco! No vabbeh, ma se fossi alla base andrei da
un’altra parte.. Il mio primo tiro è piuttosto semplice, preludio
invece a una tempesta di verticalità.
Ahimè non canto, ogni seconda parola è
strozzata dal mal di gola, finisce del pozzo senza fondo delle ugole
malate. Ma per questo tiro provo a farmi forza e canticchiare. Lo
strapiombo iniziale viene superato relativamente bene, le braccia non
sono troppo cotte dai tiri di Giorgio. Ma la placca successiva senza
piedi..dura! E poi mi scappa, mi scivola, sempre la mano destra, ma
perché?! La guardo. Ah.
Il dito medio è avvolto da una sciarpa
di sangue che non ho chiesto, e oggi scopro che il sangue è un
ottimo lubrificante! Ma qui mi serve dell’aggrappante! Butta la
mano nella magnesite, pulisci, di nuovo un tuffo, la presa, unta di
rosso, scivola, maledetta. Prova, riprova, continua a sanguinare. Ho
capito, azzerata o non si passa.
Superata la placca verticale le
difficoltà calano, ma non troppo, a sinistra di un diedro vegetato
che poi lo si riprende dopo un traversino dove esser bassi è meglio
(Stefania, visto?). Ora ricordo anche questo di tiro dall’altra
volta con Nicola e Marco! Diedro liscio e sosta all’ombra di un
albero: ma io vorrei del sole! Il libro di via..non c’è, siccome
manca il coperchio della scatola, inutile tenerci un libro da
pucciare nell’acqua piovana.
Arrivano i miei amici, ora sono ben più
allegro e canterino, ma Giorgio mi sfotte il mal di gola e inizia lui
a intonare le mie canzoni, bastardo!!! Parto per l’ultimo tiro,
avventurandomi su uno strapiombone: one non tanto perché sia a
tetto, ma perché è tanto da abbracciare! Vorrei essere il terzo di
cordata per godermi la scena di Stefania che non arriva alla presa
buona e si ghisa, e invece..
Salto la sosta ufficiale e continuo
fino alla rete di contenimento, ora sì che il sole è uscito e si
sta bene! Fame e sete, mentre recupero i miei amici gli do sfogo, la
mia povera gola.. Eccoli che arrivano, foto di gruppo e poi “Che
famo? Giù alla birra o su alla via?”: due conti sugli orari,
Stefania che ne ha abbastanza ma ci dice di andare tranquilli,
Giorgio che non vuole essere a casa tardi..birra in compagnia!
Scendiamo con calma ammirando i
sirenetti del Lago di Toblino, una bella birra e spuntino al solito
bar delle Placche Zebrate sognando già altre arrampicate: magari con
della salute in più però!
Qui altre foto.
Qui relazione.
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