“Non c’è due senza tre” dicono,
ma siamo piuttosto intenzionati a smentire nel modo migliore questo
detto: e ci riusciremo! Dopo la
Presanella e la Busazza, io e Giorgio siamo piuttosto carichi, determinati, ma comunque col buon
vecchio “l’obiettivo della giornata è poter tornare in montagna
anche altre volte dopo questa”.
Gradi non estremi, ma l’appagamento
viene dall’ambiente: grandioso. Sul terzo tiro si presenta un
muretto ben più arduo del mio, così Giorgio te la godi e ti rimangi
quello che hai detto alla partenza. Lo vedo infatti mettere 3 viti in
6m, segno che ha voglia di sentirsi protetto. Vacca che freddo: i
ghiaccioli sul pizzetto ci sono, ecco. Superato il muretto lo vedo
che sta per prendere un altro, quando invece sulla destra una bella e
comoda rampa semplificherebbe la vita: occhio a che strada scegli.
Bravo, vai a destra.
Intanto la nevicata e vento di ieri ci
hanno già cambiato drasticamente i piani: giorni che si pensa a una
meta precisa, e al venerdì sera ci tocca rimescolare le carte finchè
alle 23 una decisione viene presa. Si va nel Civetta, nel budello
dove nascono Paperoga e Hypercoldai: direi che punteremo alla più
facile delle due, condizioni e affollamento permettendo.
Le condizioni non molto, ma
l’affollamento preoccupa tanto: cascate conosciute, reportizzate,
rinomate, e (a conoscenza di web) tra quelle più in forma. E invece
saremo noi, una cordata su Hypercoldai e un’altra che attaccherà
tardi Paperoga ma ci raggiungerà veramente presto: Patrizio ha
deciso di farla in semiconserva..
Si parte all’orario che i meno
nottambuli vanno a letto, si scende dal Passo di San Pellegrino
notando la palese differenza tra la gestione Trentino e quella Veneto
della pulizia delle strade, un cappuccino al bar e poi mentre ancora
stiamo guidandoci abbuffiamo di crostatine. Si risale verso Pian di
Pezze ancora a buio, strada ripida commisurata alla neve al suolo.
Neve che non ci fa vedere il parcheggio e salire oltre.
Ci vestiamo con la Nord del Civetta in
faccia, a sbeffeggiare queste due scarse figure che tentano di
accaparrarsi il titolo di “alpinisti”. I lavoratori agli impianti
iniziano la loro giornata, e noi tentiamo di iniziare la nostra
chiedendo qualche indicazione agli stessi. Su per le piste,
osservando la mole del Civetta che proietta la sua ombra verso un
Sella offuscato.
Cammina cammina, ecco il ghiaccio la in
fondo in quel budello! Ci han consigliato di non salire diretti nel
conoide detritico, ma di proseguire e di entrarci tardi. Tardi per
tardi, ma qui si continua ad avanzare, siamo ben oltre il ghiaccio e
alla nostra destra una fitta selva di mughi pare invalicabile: ma
visto tutti i frequentatori della cascata, deve esserci un passaggio!
Ormai in vista del Pelmo giallino sole, e dei primi sciatori che ci
sfrecciano a fianco, entriamo di prepotenza nella selva, impazienti
di spiccozzare.
Per fortuna la selva non è come quella di Santo Stefano, presto
troviamo una traccia e la seguiamo fin sotto un paretone: meglio
mettere il casco. No, ma non si vede che voglia ha Giorgio, la
davanti senza aspettarmi! In realtà il freddo che c’è sconsiglia
di fermarsi ad aspettare il compagno, che comunque arriverà.
Il terreno sempre più ripido e
instabile, una spolverata di neve giusto per dire “ehi, io bianca
esisto ancora!”, e dei passi che vanno più indietro che avanti.
Vedo il mio amico perplesso: è sulla “morena” del canale
detritico, e per calarsi in esso non pare ci sia una soluzione easy.
Una provvidenziale corda rende la calata meno preoccupante, ma c’è
da arrivarci. Canale ancor più instabile, e finalmente siamo davanti
all’acqua solida.
Vacca boia, di ghiaccio ce ne è! Ora
resta solo da scalarlo, se ne siamo in grado. Salirlo, e scenderlo.
Mentre ci prepariamo ci raggiunge una guida alpina (e che guida alpina, Hermann Comploj!)
con cliente (forse cliente, magari amico, visto che parlano una guida
a noi incomprensibile) che per fortuna sono diretti a Hypercoldai,
lasciandoci soli sulla nostra. Sbuffi di vento mi consigliano di
mettere la giacca di on-ice.
Chi va chi non va? Dai Giorgio decidi
tu, “e va bene parto io, ho capito che vuoi farti tu quel muretto
lassu”, vacca bestia se mi conosce bene il ragazzo. Parte, tiro non
difficile ma rompere il ghiaccio è sempre un momento catartico:
quando poi il ghiaccio si rompe davvero, gli spindrift sono leggeri
ma ampi e “voluminosi”, e la corda nuova si blocca spesso.. tutto
è relativo.
Lo raggiungo in sosta estasiato dalla
bellezza dell’ambiente: ti guardi davanti e tutto è selvaggio,
dietro ci sono le piste, ma le ignori. Scambio dei ruoli, il muretto
del secondo tiro è meno dritto di quello che sembrava, e nascoste
sotto tacchettine di neve ci sono gli agganci di chi ci ha preceduto
nei giorni scorsi. Ma che bello ma che bello. Vedo la sosta, ma la
corda è quasi finita: Giorgio avanza qualche metro dai! E con
qualche passo di misto, raggiungo il cordone.
Bon, dalla guida di Cappellari la
cascata era data 160m, direi li abbiamo fatti. Ma.. di ghiaccio
davanti a noi ce ne è ancora tanto, e magari il primo tiro in
condizioni normali si aggira su neve sulla destra. Abbiamo fame,
proviamo a salire ancora. E le croste di L2 e L3 lasciano un po’ di
posto a del bel burro azzurro, un tratto di simil goulotte, e poi
qualche crosta con sotto l’acqua: ocio! Ma il divertimento è
davvero tanto.
Anche Giorgio se la gode, mentre
sentiamo le voci sbraitanti dei toscani salire. Che si fa che non si
fa: a metà L4 una sosta c’era, dai Giorgio prova a salire 20m e
vedere che si possa metter giù qualcosa sulle rocce, uno spuntone
per calarsi dopo, che di abbandonare materiale oggi non ne ho voglia.
Non c’è nulla, e allora sali e spicozziamo come se non ci fosse un
domani! Patrizio mi raggiunge mentre sento il mio amico che mi dice
che sosta di fianco a un Abalakov.
Lo raggiungo alla base di un muro che..
oh però. Avevo intenzione di dire “dai basta, ora scendiamo”, ma
ora che ho iniziato a ballare.. non voglio smettere! Solo che.. oh
però, se sotto il 3+ non l’ho mai visto, qui lo sento tutto! A me
pare il tratto più duro di oggi, e infatti nell’enfasi mi cade
pure una vite. Mettici gli spindrift in faccia, e il gioco (cattivo)
è fatto. Per fortuna poi spiana e si può salire più tranquilli,
non fosse per le croste.
Giorgio (sanguinante sul naso) mi
raggiunge che ormai i tre toscani sono già qualche metro sopra di me
in sosta. Un’occhiata all’orario, un veloce calcolo (6 tiri da
60m fatti, 360 direi ci possano bastare), e nonostante il ghiaccio
prosegua, la parete faccia un bel boomerang che cela la vista del
futuro rendendola più “chissà cosa c’è lassu, wow”,
concordiamo che è ora di scendere.
Raggiungiamo i toscani per sfruttare il
loro abalakov e dargli un nostro cordino per attrezzare quello che
manca (in realtà ne attrezzeranno altri due, visto che una sosta è
irraggiungibile e dall’aspetto non tanto sano), iniziando il valzer
delle doppie, tante quante i tiri. Speriamo solo non si ghiaccino le
corde e si blocchino..
Si scambia due chiacchiere a ogni sosta
con Patrizio, il Piovra (che fa vie in Patagonia) e il Fabbro, che
guarda te c’abbiamo un amico in comune, e allora via a chiacchiere
disparate dove si alternano che avete fatto ieri, la conserva, il
Pizzo d’Uccello, la Oppio, la Oppio salita in 2h30 dal Piovra. E
sticazzi no?!
L’imbrunire avanza, non credevo fosse
così tardi! Mi sa che salta l’ApresSki con le squinzie delle
piste: potevamo entrare sfoggiando la ferraglia e intimando al
barista di servirci una birra brandendo le piccozze, seminando cuori
infranti tra le sciatrici, e invece.. Ci si mangia il Mars mentre ci
si riassetta per la discesa.
Discesa molto più agevole di quello
che temevo: il terreno scivoloso, sfatto, che non stava in piedi,
dell’andata pare un lontano ricordo. Tranne che per qualche tratto
dove in effetti il culo a terra è quasi a terra. Anche la seva di
mughi attraversata si rivela inutile: poco più su c’era il
passaggio (e grazie, Comploi lo sa, noi no!).
Arriviamo all’auto con lo stesso
ambiente della partenza: la nord del Civetta buia che ci deride e
poche anime in giro. Niente caos degli sciatori che farebbe perdere
fascino alla giornata di oggi passata nelle viscere ghiacciate delle
Dolomiti. Sì qualche gatto delle nevi che illumina il poco bianco in
giro, ma poca roba. Una principessa che non si è tolta il trucco.
Il cambio abiti
(si conservano solo le mutande) ci congela a dovere, i panini del
buon Giorgio ci aprono una voragine di fame e sete che non vediamo
l’ora di saziare (Val di Fiemme, arriviamo, facci trovare
qualcosa!). La fame di ghiaccio invece è sazia! No, non è vero, ne
voglio ancora, ne vogliamo ancora. Va beh, stasera mi sfogo a
ballare.
Qui altre foto.
Qui report e relazione.
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