L’anomalo inverno senza neve concede
a noi (aspiranti) ghiacciatori alcune perle che non ci si può
lasciar scappare: una di queste è la Cascata delle Nevere. La sua
scoperta da parte nostra è grazie al Franz, che con un suo report
di qualche anno fa ci mette una pulce nell’orecchio che prude, e
prude e prude.. Ma deve perdere un po’ di fama in rete prima di
poterci andare senza prendere il biglietto stile coop. Il Drugo poi ci fornisce notizie utili sul suo stato di forma
Nonostante i 300 e passa metri in
Civetta di sabato scorso, calzare ramponi e armarsi di piccozza ne
abbiamo ancora voglia. Il sabato diventa ingestibile data la serataorganizzata di venerdì, ma la domenica..se po’ fa’! E
date le buone condizioni che pare ci siano in giro, la sveglia suona
di nuovo alle 2, di nuovo si scollina il Passo di San Pellegrino, e arriviamo però a Capanna Trieste un po’ troppo presto: è ancora buio
e la cascata non si vedrebbe (e occorre vederla per sapere dove
andare).
Il proprietario dell’auto non mi
permette di affilare in auto, perciò mi tocca tenerle come le ho:
almeno ho un’idea per non consumare i ramponi in discesa. Una volta
cambiati e colazionati, possiamo dormire un 20 minuti in auto
aspettando le prime luci del giorno. Ed eccoci in cammino, in discesa
sulla strada a cercare il ghiaccio! Con la bastionata della Torre
Trieste alle spalle, e l’Agner davanti: sogni di roccia.
Lassu eccolo il ghiaccio, ma quello
della parte alta, quello basso.. eccolo! Cerchiamo il passaggio per
attraversare il ruscello, e solo dopo ci ricongiungiamo alla traccia
die nostri predecessori: questo flusso per i locali deve essere un
classico e la folla deve essere considerevole. Ma la traccia sembra
portarci troppo lontani.. Ricordo vivido della cascata di Cencenighe
(cascata che non siamo manco riusciti a trovare), e allora andiamo a
naso, finendo dentro il greto del ruscello alimentato proprio dal
nostro flusso.
Ora di armarsi di tutto punto, e
parlottando “Eh mi sa che oggi a scendere torno a fare piatta la
punta del rampone” “Eh infatti Giorgio temendo questa cosa.. mi
son portato dietro i ramponi da discesa, ne ho due paia!” “Ma sei
un cane, potevi dirmelo!” ma non credo che si sarebbe portato altro
peso nello zaino, solo io posso concepire e attuare idee così
strambe. Cose già fatte tral’altro.
Il muretto è però ancora lontano, non
stiamo a legarci per queste poche decine di metri di rampe saltini e
camminamenti: preludio alla parte più spassosa della cascata, quella
centrale! E via a spicozzare allegramente e liberamente tutto ciò
che ci capita a mano, fino ad arrivare ai piedi del muro: no beh, ora
ci si lega va la. E mentre ci leghiamo, mannaggia, arriva altra
gente: una guida (educatissima, che chiede il permesso di salire ma a
lato, e poi in sosta si scuserà se ha dato fastidio) e un’altra
cordata. Ne arriveranno altre quando noi saremo più su.
Parte Giorgio, che attacca al centro: a
sinistra pare ben più duro e delicata, a destra pare esile e molto
bagnato. Oddio, davanti a noi un bel mare di meduse che mi ricorda
una giornata febbricitante e col cuore in gola, ma senza gola. Il mio amico sale
guardingo cercando i punti deboli tra le meduse e anche dei buoni
punti per metter giù viti: intanto gli altri ci superano
bellamente..
Lo raggiungo mentre qualche altra
padella cade dall’alto, pronto a ripartire subito per cercare di
velocizzarci prima che arrivino altre cordate. Il secondo tiro
svirgola tra la dolomia, è facile ma estetico in mezzo a queste
rocce. Scambio due chiacchiere con l’altra cordata “da dove
venite? Ah però, sveglia presto stanotte per voi, io mi sono alzato
alle 7!” e un vaffanculo bonario è d’obbligo.
La corda sta finendo ma la sosta è lassu: ci arrivo per un pelo, arrampicando nel tentativo di non rovinare le punte dei ramponi. Quando Giorgio arriverà e mi chiederà come sia stato salire su roccia fino alla sosta “Diciamo che mi son cagato meno a dosso a montare i mobili dell’Ikea”.
La corda sta finendo ma la sosta è lassu: ci arrivo per un pelo, arrampicando nel tentativo di non rovinare le punte dei ramponi. Quando Giorgio arriverà e mi chiederà come sia stato salire su roccia fino alla sosta “Diciamo che mi son cagato meno a dosso a montare i mobili dell’Ikea”.
Riparte Giorgio, ormai le altre due
cordate ci hanno seminato. Tiro facile anche il suo, non fosse per
quel muretto di meduse ancora più vive e numerose, e un po’
delicate. Per ora non fa nemmeno freddo, riesco pure a togliere i
guanti per manovrare la corda. Guanti che non metterò per il
traverso su roccia per andare a guadagnare il ghiaccio senza scendere
sotto la sosta.
Raggiungo Giorgio a S3, giusto a lato
di un buco nel ghiaccio sotto il quale scorre il ruscello, cercando
di non farci finire le corde dentro prima che assumano un aspetto..
al viagra. E adesso? Uno sguardo lassù e il resto della cascata è
parecchio lontano. Procedere in conserva, legarsi.. Ma dai va la,
siamo sgaggi, facciam su le corde e partiamo in free, partiamo in
libertà.
Ma che spasso.
Per questa gioia occorre ringraziare la
mancanza di neve: si può infatti risalire tutto il flusso di acqua
solidificata tra rampe, saltini, camminamenti, passaggi di misto,
tunnel, passi del gatto. Mediamente tutto facile, ma con un bel passo
di roccia di III (+?), e alcuni salti che seppur brevi sono belli
dritti. Ma tutto liberi da restrizioni di corda e protezioni: stiamo
calmi, da qui al free puro ce ne passa eh.
Il percorso non è nemmeno obbligato,
libero, e infatti in svariati punti io e il mio amico prendiamo
strade diverse, rampe diverse, salti diversi. Sono centinaia di metri
di puro godimento, come mettersi a tavola e spiluccare prelibatezze
all’infinito, senza un piatto intero che ti intasa, ma tanti e
frequenti morsicotti alla tua pietanza preferita.
Il tutto poi con la quasi costante
visuale sulla torneggiante Torre Venezia, e a volte con la vista
sulla bastionata di ghiaccio lassu, alla fine di questo perigrinare
tra rocce, ghiaccio, sul greto di un torrente allegro e baldanzoso
come chi lo sta risalendo.
Il percorso inizia a farsi un po’
incassato, tortuoso, sulla sinistra inizia a ergersi un muro di
roccia, il ghiaccio più continuo come verticalità. Ed ecco una
sosta a spit sulla sinistra, e qualche decina di metri più su una
zona di ghiaccio piuttosto verticale: mi sa che sia ora di rilegarci,
ma con una sosta su ghiaccio proprio ai piedi di questo muretto.
Beh tocca a me ora, e che cacchio! A
sinistra più difficile che a destra, ma fattibile, quindi via a
sinistra! E ripenso al discorso del montare i mobili dell’ ikea
durante la mia salita.. E superato questo muretto e una breve rampa,
wow: si entra in uno stretto anfiteatro dove le possibilità di
salita sono molteplici. O subito a sinistra, oppure proseguendo nel
canyon e salendo di nuovo a sinistra (vedo impegnata la cordata di
ragazzi “Io mi sono svegliato alle 7”, ragazzi che parevano ben
più bravi di noi ma che su quel muro mi paiono in affanno) oppure
tutto in fondo, ma non vedo bene laggiù, anzi mi pare sia secco o
non salibile.
Beh, vuoi mettere non aver nessuno
sulla testa? Io salgo qui a sinistra, dove tra l’altro mi pare sia
salita anche la guida (li vedevo quando risalivamo in libertà),
senza andarmi a complicare la vita con difficoltà dove quelli più
bravi di me faticano. Che poi, in realtà, non so cosa mi aspetti qui
sopra.
Il muro iniziale (va beh, sono a metà
corda, ma è come se avessi ricominciato) non è mica tanto
appoggiato, e la qualità del ghiaccio non è delle migliori (oggi
sempre, salvo rari metri). Ma non lamentiamoci troppo va la. La
progressione abbassa il grado di pendenza e posso vedere una
bastionata di ghiaccio notevole: parco giochi, happyness. Tiro tutta
la corda che c’è fino a farne sosta alla base, a 7m da
un’irraggiungibile sosta su spit.
Giorgio arriva in sosta con una poetica
frase “Devo farmi più seghe con la mano sinistra!”,
condivisibile a dirla tutta, ma magari ci sono allenamenti che
possono dare più profitto. Riparte, e dopo pochi metri “Beh
c’erano saltini sul tratto centrale ben più duri!”, ma passata
la metà corda lo vedo bello impegnato lassù in parete! Dai forza,
pochi metri, sosti, e a me il finale! Ma oggi la parole “fine”
potrà esser pronunciata solo alla strada.
Beh dai, come ultimo tiro è piacevole,
non difficile, ma immerso in questo mare di ghiaccio dalle mille
forme, bubboni, medusette, candelotti affilati sopra la mia testa (e
quando ne cadrà uno in modo autonomo, metterò il turbo alla
salita), dove occorre svirgolare alla ricerca della linea migliore,
ci si appaga. Un murettino, e poi il passaggio sotto quelle
meravigliose ma fragili formazioni di ghiaccio, i capelli di
telespallabob.
Fuori dal ghiaccio non posso arrivare
però, devo fermarmi se no rischio di bombardare il mio amico e non
trovare una sosta decente. Giorgio mi raggiunge informandomi di aver
vissuto qualche attimo da pugile, ma da pugile che le ha prese: in
particolare un cartone sul naso, quando la candela autonoma è scesa
verso il basso.. Poveretto, anche oggi..
Qualche metro di ghiaccio, i mughi
congelati, e alla fine una bella pianta dove può far sosta e
recuperarmi. Ma che bello, ma che fame! Per me è stata più dura Paperoga, per lui il contrario, bella varia la
vita. Mangiamo qualcosa, anche un frettoloso Mars che era meglio
aspettare ma vabbeh, e alla conta delle viti, porca miseria, ne manca
una mia da 19: ma dove diavolo sarà caduta o dimenticata?! Uehhhhh
Giorgio dice: “scendiamo subito,
niente giro sul sentiero verso il Rifugio Vazzoler”, ma un po’ forse ce ne pentiremo.
Cambio ramponi per non rovinare le punte da cascata, e ben presto
siamo su un nuovo bubbone di ghiaccio ma con la vista della
Moiazza dietro. La
signora Moiazza! Il resto è una discesa tra ripidi mughi seguendo
una traccia abbastanza marcata e afferrando i tronchi, tronchetti,
rami, rametti come se fossero le liane di Tarzan.
Bosco di foglie che spiana, e ora alla
selletta dovremmo trovare segni di discesa: invece no, le tracce
continuano chiaramente sul crinalino che risale, risale, un bel punto
panoramico ma le tracce pare finiscono qui. E invece mi sa che le due
cordate scese prima di noi sono scese di qui e sanno una strada che
noi non sappiamo. Indietro sui nostri passi, e di nuovo bosco
scosceso che di regala qualche culata a terra e (per fortuna) solo
pochi metri di scivolamento.
Io rimpiango il sentiero, ma vabbeh.
Giorgio avanti, io mi spoglio che sto sudando da bestia: si ferma,
tocca fare una doppia. Abbiamo il dubbio di non essere nel canale
giusto, ma c’era solo questo mi pare, altrimenti si tornava nella
cascata.. A casa scopriremo che si tratta del canale giusto, ma forse
con un tappeto di neve è un pelino più comodo.
Doppia su mughino, sotto di noi un
grottone e di la una cascatella. Giù per la ghiaia instabile, e
speriamo che sia giusto e che non troviamo altre sorprese. Ecco
qualche sorpresa, passi di disarrampicata, spaccata in canyon-diedro
per evitare il ghiaccio, finchè.. finchè.. il ghiaccio non si può
più evitare, siamo dentro un altro ruscello coi suoi saltini.
Rimetti i ramponi e prendi le picche.
Signori e signore, oggi dopo aver
imparato come si sale il ghiaccio, impariamo anche come si scende! E
quanti metri scesi, con qualche saltino anche drittino: rispetto alla
salita ci divertiamo un po’ meno, timorosi di nuove sorprese,
affamati e assetati, e con la voglia di una doccia calda (che negli
ultimi tre tiri del freddo l’abbiamo preso).
E dopo la vite persa, altro dispiacere
ramponando la ghetta del rampone scivolando sulle rocce. Argh…
Ghiacico, roccia, ponti di ghiaccio che crepano sotto il mio peso
piuma, e accidenti e imprecazioni che volano sui miei scarponi
nuovi.. Ma laggiù la strada c’è, dai mo, mentre Torre Venezia e
Trieste si tingono di rosa: partiti con l’alba, torniamo col
tramonto.
La Val Corpassa ci regala un’altra
bella e lunga giornata di ghiaccio: forse in due uscite abbiamo
pestato più ghiaccio che in tutto l’inverno scorso, spettacolo!
Spettacolo i panini e il the ancora tiepidino che ci aspettano in
macchina e che trangugeremo risalendo al Passo San Pellegrino. Chi
dorme non beve birra, e infatti il brindisi alla giornata di oggi è
rimandato. A presto però!
Qui altre foto.
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