Non fai in tempo a rientrare a casa da ieri, e c’è già da
ripartire: bella vita! Non c’è che dire, un mesetto lontano dai
monti, ma questi quattro giorni ho recuperato parte del tempo
perduto.
Dopo le rassicuranti news di Giampa,
confermo la mia scelta di ritentare questo canale che ci cacciò (ma divertì come bimbi) qualche anno fa. Quella volta tutto
era pure più complicato: parcheggio a km di distanza da Malga
Lincino e salita in messo alla neve a cercare il sentiero. Oggi
invece arriviamo comodamente in auto (che tornanti stretti!) fino a
1600m.
Altro cielo stellato, altro arrivo a
buio, ma oggi siamo soli. Magari c’è l’orso in giro che vuole
farci compagnia, ma di ominidi nemmeno una traccia. Con calma si
mangia qualcosa, ci si prepara, e poi in cammino con Stefania che
dopo poco esclama “Ma è quello la?!” indicando il profilo del
Monte Foppa contro il cielo.
La salita al Rifugio Lissone è un bel vertical, e come avevo letto su un report occorre
stare molto attenti al ghiaccio che in numerosi tratti invade il
sentiero. Un’occhiata giù ogni tanto mi fa scorgere parecchie auto
che arrivano, ma solo due persone verranno a fare il canale, le altre
probabilmente vanno in giro per cascate.
Albeggia quando mettiamo piede alla
quota del rifugio, quando scorriamo alla “base” dell’infinita
Val Adamè che laggiù in fondo termina con quel ciccione del Monte
Fumo. Siamo saliti con relativa calma, ma ancora nessuno ci ha
raggiunto: meglio, perché eviterei di avere gente sopra la testa nel
canale.
Il versante del Monte Foppa di fronte a
noi è un groviglio labirintico di salite verso l’alto, interrotte
da placche lisce o solcate da profondi spaccature: il Teobaldo invece
è evidente, dritto, leggermente incassato e nascosto se non lo si
guarda da davanti. Esteticissimo.
Mari di ghiaccio sullo “stradone”
che ci porta verso il “cono” alla base della montagna, le prime
difficoltà serie da superare siccome i ramponi dormono ancora in
fondo allo zaino. La neve fin qui scarseggia, e osservarsi intorno e
vedere più terra e roccia che bianco è deprimente. Imbocchiamo il
sentiero allegri, la mia amica super carica di entusiasmo.
Per una progressione più sicura e
veloce, vai di ramponi. Si risale con la costante vista della nostra
meta, del nostro desiderio. Ma quanto è lontano?! Non è tanto la
fatica che ci rende lungo questo tratto, quanto l’impazienza di
tirare fuori le picche e infilarsi nelle viscere della parete.
Finalmente arrivo alle rocce
all’imbocco del canale, via i bastoncini e fuori le picche! Un
leggero e continuo spindrift dentro il canale mi suscita un po’ di
brividi lungo la schiena, ma è poca roba mi dico. Un po’ troppo
fifone a volte, ma siccome delle vite me le sono già giocate..
conserviamone il più possibile.
Attack fase! Canale facile, ma molto
estetico.
La neve di ieri era decisamente
migliore, tutta da punte, oggi invece si gradina. Le tracce di ieri
non ci sono sempre, e quindi un po’ di tracciatura è necessaria:
ma questo è godimento, non fatica per me. Qualche pausetta al riparo
da eventuali scariche per aspettare la mia amica, poi si riparte.
Un bel passaggio in una strettoia che
cerco di affrontare rapido per evitare di trovarmi troppo tempo
dentro un imbuto. Pareti lisce alla destra incrostate di neve e
ghiaccio, con la polverina che scende spinta dal vento che soffia in
alto.
Sempre più, e man mano un po’ più
stretti. L’uscita lassù inizia a già a farsi vedere, e noto che
alla base altri due alpinisti si apprestano ad attaccare il Teobaldo.
Noi continuiamo per la nostra strada, entrambi felici ed estasiati:
nonostante la fatica, Stefania ripeterà spesso “che figata!”.
All’uscita non manca molto, ma i due
sotto ci stanno recuperando (beh, trovano anche tutto ben pestato..):
non ho intenzione di farmi soffiare l’uscita però! Non si tratta
di competizione o di testosterone, tanto ci sarà sempre qualcuno più
bravo e forte di me, anzi qualcuni. Però poter esser il primo a
vedere cosa c’è di la, sbucare al sole, apprezzare quel terrazzo
in solitudine e intimità. Avere la ricompensa della battitura della
traccia!
Mi metto a passo costante senza
aspettare nessuno, non esiste più freddo, il sudore inizia a dover
essere asciugato dalle moffole. Un po’ di foto, qualche sguardo
verso l’alto, e le rocce che si avvicinano: è mia. Esco, la Val
Daone sta dall’altra parte, il Care Alto, ora posso voltarmi e
scorgere l’Adamello. Ripenso a Messner quando mi firmò l’autografo
sulla cartina “Sempre bello l’Adamello!”.
I due ragazzi che ci seguivano non
tardano ad arrivare, Stefania se la gode sotto ed infine esce anche
lei dal budello del Foppa. Non può insultarmi e percularmi come
vorrebbe perché c’è gente: oddio, strano questo suo contenimento,
di solito non ce l’ha (vedasi Torre Cartuccia). Ma niente Mars ancora, la vetta è lontana, c’è la
cresta da percorrere!
Faccio passare avanti “una”, la
cresta è tutta tua. Bella aerea, esposta, qualche cornice e quasi
tutta di misto neve erba rocce. Ma ben più facile del Feechopf.
“Ma è quella la cima?!” “Ste non credo, quando ci arrivi ti
guardi intorno e vedi se nell’arco di 100m ci sono punti più alti
e se c’è una traccia che prosegue”: almeno tre volte questo
dialogo, lungo questo bello e panoramico tratto. Fortuna il vento non
tira e ci risparmia ancora. Quante belle foto.
Eccola la vetta! Le tracce finiscono,
intorno non ci sono più alti, ci siamo! Possiamo abbuffarci per
placare la fame, rilassarci al sole, ammirare il panorama. Da soli.
Completamente soli. Momenti per i quali valgono le ore di fatica.
Soddisfazioni.
Dopo esserci gustati la cima, a ritroso
lungo la cresta, con uno sguardo giù ad altre possibilità di salita
(ma ben più difficili) e la voglia di arrivare presto all’auto,
alla birra, a un pasto di sostanza. Ma si sa che una cresta del
genere è più lunga da scendere che da salire.
Si oltrepassa l’uscita del canale per
dirigersi verso un canalone più a nord per scendere, e proprio
quando dobbiamo affrontare un infido traverso..sbadam! Il vento
inizia con delle folate che ti sparano mitragliate di ghiaccio negli
occhi! Tratto delicato e poi fine del sole, si torna nell’ombra.
La differente esperienza di certi
terreni diventa ora più marcata: io me ne scendo veloce e rapido, la
mia amica.. un po’ meno. Vabbeh dai, posso farmi delle lunghe pause
a contemplare la Val Adamè e pensare al senso della vita, perché
esistiamo, cosa facciamo, dove andiamo, un fiorino.
Detonata, ma “ce la farò anche
st(r)avolta”: Stefania però si è troppo divertita, le è troppo
piaciuto per passare dal “grazie” al “#pellegrinimiucciderai,
accidenti a te e queste fatiche”, anche se meglio non svegliare can
che dorme, o che non abbaia.
Quando ormai risiamo al punto dove
abbiam calzato i ramponi stamane, scoppia la risata isterica della
mia amica: non ce ne è più per nessuno! Ma essendoci solo io qui,
non ce ne è più per me e basta.
Adesso però i ramponi me li tengo
quasi fino al rifugio, che quelle due lastre maledette le voglio
pestare con arroganza invece che scapparci ai lati rischiando di
cadere malamente nel burrone sotto, e che è! Finalmente al Rifugio
Lissone possiamo spogliarci dell’attrezzatura e ripristinare
l’assetto più comodo (ma con la schiena più pesante).
Ancora uno sguardo alla nostra salita,
“Ma te guarda quanto era lontano, ma quanti km abbiamo fatto
oggi?!” ”Ste ma va la, ci aspettano cose ben più dure in futuro,
tranquilla!” “Ci vai poi da solo”.
Il ghiaccio sul sentiero è ancora lì,
la discesa non può esser veloce come dovrebbe, ma è resa più
interessante da un’interrogazione che poi continuerà (ahimè) in
auto. Prima però pensiamo a come riempirci lo stomaco, che la mente
e il cuore il pieno lo han già fatto lassù.
Qui altre foto.
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