Una settimana di ferie dal lavoro,
delle giornate di alta pressione, poca neve in giro che rende le
condizioni tardo primaverili, tanti sogni nel cassetto. E noi che
mentre saliamo una montagna stiamo già sognando la prossima.. siamo
già sull’attenti! Il progetto era un altro, ma la sera prima quel
“vento forte” previsto ci fa ben dire “eh no, non mi ci infilo
in un canale o in una goulotte col vento forte!” (vedi Pisgana tentativo): meglio una cresta!
Ed eccoci allegri e baldanzosi in
viaggio verso la Val d’Amola: io ci sono già stato l’anno scorso
per una bellissima e indimenticabile infrasettimanale con Nicola quando abbiamo salito il Couloir dell’H al Monte Nero. Giorgio c’è stato due
settimane fa per un tentativo finito proprio per i troppi spindrift
lungo le pareti dello stesso monte. E stavolta come andrà?
Sappiamo bene che si tratta non certo
di un itinerario invernale. Ma le condizioni viste in giro, i report
letti, la poca neve, le temperature e il meteo, ci fanno pensare
(sperare) che questo clima anomalo possa aver reso possibile questa
salita.
Saliamo con calma al Rifugio Segantini, fretta non ce ne è e di caldo invece sì, tanto che le
maniche corte non sono per nulla un azzardo: dentro i nostri zaini
abbiamo poi il cambio per domani, oltre che scorte e scorte d’acqua
e di cibo. Insomma, le nostre spalle gridano “assasini!” ma i
nostri cuori e le nostre menti sono sempre più felici man mano che
saliamo i pendii scarsamente innevati.
In vista delle cime e della Cima
(quella che speriamo raggiungere domani) dei bei pennacchi di farina
ci fanno capire quanto vento tiri lassù: va bene, che si sfoghi pure
oggi, domani stia calmo e saremo felici! In 1h10min arriviamo al
rifugio, sistemiamo un po’ le nostre cose (al momento siamo soli) e
poi partiamo in esplorazione in modo da vedere un po’ più da
vicino cosa ci aspetta domani e soprattutto tracciare un po’ della
strada che faremo a buio.
Finiamo sulla normale per la
Presanella, già anno scorso con Nicola avevamo cannato di brutto e
saliti troppo in alto per poi scendere in un non bello canalone.
Stavolta deviamo prima, ma non abbastanza, al ritorno faremo di
meglio. Passati al di la della morena, alla ricerca della neve
pressata della traccia per il Monte Nero, raffiche di vento ci
buttano un po’ giù il morale.
Avanziamo in mezzo alle raffiche, in
mezzo alla valle, una traccia che si vede e non si vede, e se la
sbagli vai giù. La Bocca d’Amola la davanti, ovviamente nessuna
traccia che ci arriva e un percorso che sarà da cercare. Dopo 45
minuti in mezzo a una vento che gela il coppino, torniamo indietro
per iniziare a farci da mangiare. Godendoci la vista sul Brenta.
E poi un bellissimo tramonto sul
Brenta.
Al bivacco siamo ancora soli, iniziamo
a farci da mangiare anche se sono ancora le 16e30: tanto fame ne
abbiamo, e se andiamo a letto presto prestissimo non ci fa certo
male. Freddino il locale, come Cristian al Bivacco Messner mi metto le moffole sui piedi per trovare
un po’ di sollievo. L’appetito non manca, il cibo nemmeno.
Quando ormai la cena è finita, alle
18e30, arrivano altri due alpinisti: sparecchiamo veloci per
lasciarli posto, mentre noi ci infiliamo a letto. La sveglia suonerà
alle 3, e nonostante tutto sarà da mesi che non dormivo tante ore di
fila! E ho pure dormito bene, nonostante il freddo nella stanza le
due coperte sotto e le tre sopra han fatto il loro dovere.
Eccoci, suona, è ora: giù dalle
brande. L’incognita del vento, che nel pomeriggio di ieri tirava
solo nella valle sotto la Bocca d’Amola, ma la sera anche al
rifugio, è presto risolta: c’è. Va beh, siamo qui, proviamoci: in
fondo sulla carta le difficoltà non sono eccessive, ma in invernale
chissà. Colazione ricca e silenziosa nel rispetto di chi ancora
dorme, e alle 4 mettiamo fuori il naso per iniziare la nostra
scalata.
Arrivare alla Bocca d’Amola non sarà
facile. La neve è davvero variabile. Finchè resti sulla traccia per
il Monte Nero si va anche bene: ma questa traccia si vede poco ed è
spesso cancellata: in ogni modo, poi finisce. Al buio orientarsi non
è facile, niente luna ad aiutare, ma verso il cielo quella bocca un
po’ si intravede e la puntiamo.
Andiamo troppo avanti, occorre risalire
una morena, ripida. Una debole luce ci mostra meglio dove andare,
mentre il vento di nuovo imperversa: meno di ieri per fortuna, ma di
certo da “fastidio”. Il Brenta si colora, e si prende fiducia:
nonostante tutto, il cielo stellato che c’era prima e l’alba di
adesso sono già dei bei motivi per essere qui. Ma anche la cima
sarebbe bello..
Mi pare che siamo troppo veloci, intimo
a Giorgio di ostinarci ad andare più piano, o arriviamo all’attacco
che è ancora buio. Gli ultimi 100m per risalire alla Bocca d’Amola
si mostrano pure ostici. Pendio a 45°/50° con tratti con neve
brutta, altri ottima, altri materiale “instabile”: penso già che
se ci fosse da tornare giù da qui.. sarebbe poco piacevole. Meglio
non pensarci o non salgo più.
Dopo 3h30 siamo finalmente alla Bocca
d’Amola, in balia di un vento impetuoso che gela anche il cu.. .
Vorremmo fare pausa e mangiare, ma non ci si sta, meglio spostarsi.
Il sole ancora non è sorto ma manca poco, quindi possiamo vedere
cosa fare, 3 opzioni secondo relazione:
a) Scendere sul ghiacciaio lato nord,
traversare e poi risalire il pendio verso la selletta: che tormento
questo ghiacciaio!
b) cercare una cengia di massi
instabili che aggira tutto stando sul versante est: dov’è? Non c’è
nemmeno una foto perché non c’è la cengia
c) salire in groppa alla cresta: più
difficile ma.. ci pare l’unica cosa sensata da fare.
Pendio ripido ma di neve discreta,
pareva più piatto da basso, invece mentre salgo capisco che anche
tornare giù da qui sarebbe mica facile. Non pensiamoci, è già il
secondo tratto dove lo penso, andiamo male. Una roccia intermedia
affiorante obbliga a un passo di misto dove se perdi la presa..
meglio non pensarci.
Guardo verso il mio amico, intanto il
sole è uscito e la sua luce tenue illumina tutto di dolcezza. Niente
a che vedere con l’asprezza del vento che mi fa odiare ancora di
più l’ombra in cui sto “passeggiando”. Ed dai, lassù ci sarà
un posto comodo dove fermarsi per mangiare, bere e prepararsi a
dovere per la scalata!
Dopo 10minuti scarsi dalla partenza
dalla Bocca d’Amola, trovo finalmente un luogo dove si possa stare
discretamente comodi, o meglio un luogo dove tra massi incastrati e
pendenze lontane, non si rischia di finire di sotto. Un luogo dove
porca miseria tira ancora vento. Un luogo dove il sole però ci
illumina. Sotto un masso incastrato gigante, un luogo che rappresenta
un bel nido d’aquila. Molto romantico, non fosse per il freddo, il
vento, e che sono in compagnia di un uomo (e a me piacciono le
donne).
Mangia e bevi, fuori frineds nut e
cordini che ora c’è tanta roccia pare, e ci sta. Dopo la sosta
romantica e non troppo confortevole, parto io, in conserva lunga
protetta, e con una sola mezza corda. Vacca che bello. Io sono
scarso, ad arrampicare ho un grado basso, a far cascate ho un grado
basso, ma quando mi diverto, mi diverto.
Qui le difficoltà non sono certo
estreme: III? Però i ramponi, le picche sempre in mezzo alle balle,
il cercare l’itinerario, il vento, il freddo, la neve a volte copre
i passaggi, i massi instabili, il sapere che non è proprio stagione
per questo itinerario.. qui si fa avventura dai (almeno per me). Mi
diverto.
Ma penso ancora che se c’è da
tornare giù di qua, son uccelli per diabetici. Massi mossi, spuntoni
non sempre solidi, una sola mezza corda: se c’è da calarsi, ci si
tira in testa di tutto. Non pensarci. Salgo e salgo, mi pare di esser
veloce e invece non lo sono davvero. Dopo tanto stare molto sotto la
cresta vera e propria, intravedo una sella: bene!
Pensando sia quella dove le difficoltà
finiscono, tiro un sospiro di sollievo. Mi pare aver fatto km, in
realtà “solo” 120m di corda. Lascio la sella dove è impossibile
fare sosta, e siccome il materiale è finito, cerco dove attrezzarne
una: un sistema di massi fa al caso mio e mi invento qualcosa. La
davanti un bel gendarmone e la vista di una nord spelacchiata e di
una cresta che (la prima parte non la vedo) poi pare salire poco
pendente anche se incrostata di neve. Sono ottimista.
Arriva Giorgio, son carico, lui mi dice
“oh bravo, anche per aver trovato la strada” e io, accidenti a me
che gli rispondo “grazie, ma chi ti dice che sia quella giusta?”:
bon, me la sono tirata. Cambio della guardia, va avanti lui.
Sembra che passi un’eternità. La
sosta purtroppo è all’ombra e al vento. Credevo fossimo alla sella
dopo la quale tutto diventa più facile, quindi non capisco proprio
come mai il mio amico ci metta tanto: non avanza, sembra quasi torni
indietro a tratti. Non posso vederlo, aspetto fiducioso, scruto la
cresta rimanente verso la cima (non poca ma “ovvia”), e prego di
potermi muovere presto.
Ma la corda non va avanti. Vedo
sollevarsi molta neve la davanti, che sia in bilico su una cresta
affilata al vento? Provo ad alzarmi e vedere più in la. Eccolo, dai
Giorgio va avanti! E invece no. Passo dal muovermi in modo scomposto
al ballare per tenermi in movimenti e “caldo”: non serve a nulla.
E la corda avanza solo di qualche cm ogni tanto. Inizio a vederla
grigia.
Mi rialzo spesso per vedere più
lontano. Eccolo Giorgio, proviamo a comunicare, sento “vicolo
cieco, non so dove andare”. Porca puttana, tornare giù da qua in
doppia ho paura. Inizio a valutare la chiamata al 118 se non
riusciamo a proseguire. Chissà quante doppie dovremmo fare a
scendere, quanta roba ci tiriamo addosso, uh mamma.
“Vicolo cieco, io da qui non riesco
ad andare avanti: ci sono placche inclinate a 60° con un pelo di
neve sopra, poi mi pare di vedere un salto di almeno 30m per arrivare
alla selletta”, brutte parole da sentire in questo momento, in cui
la bellezza di essere da soli su questa montagna diventa.. angoscia
di essere soli. Ma dai, ce la possiamo cavare. O no?
Il mio amico sparisce di nuovo, e dopo
un certo lasso di tempo in cui spero con tutto il cuore che stia
progredendo perché è riuscito a trovare una cengetta o che so io,
la corda finisce. Avanzo, mi scaldo, alleluja, spero. Prego. Poi
eccolo la, quasi sotto quel gendarme che mi ricorderò per lungo
tempo, in sosta.
Senza raggiungerlo decidiamo il da
farsi: “Giorgio quindi? Da come me la descrivi nemmeno io ci
riesco, poi se non te la senti da primo, nemmeno da secondo in
conserva te la puoi sentire, e se c’è da fare una doppia che poi
non riusciamo a tornare indietro, siamo fregati. Ci mettiamo in
trappola.” Però cazzo, se non mi recuperavi ma tornavi in sosta,
perdevamo meno tempo.. Affiora un pelo di nervosismo.
Torno sui miei passi, fino a dove avevo
fatto sosta, e la rifaccio questa sosta, tirando già fuori dallo
zaino l’occorrente per fare le doppie, e abbandonare del materiale.
Recupero il mio amico, chissà che ore sono. “Gio, ce la facciamo o
chiamiamo i soccorsi?” sono un po’ teso e preoccupato. La fatica
psicologica oggi la sento, ma mi ribecco subito quando il mio amico
mi “conforta” con un “ma no dai, ce la facciamo: saranno poi 4
doppie per arrivare al masso incastrato dove ci siamo legati”.
4?! Pensavo 10! A vedere quanto è più
in basso la Bocca d’Amola poi! Va bene, calma e sangue freddo,
inizia la ritirata. In realtà saranno 3 da quasi 30m per arrivare
quasi al masso, poi 1 altra per giungere quasi alla Bocca d’Amola,
e altre 2 per lasciare quella porta oggi maledetta: 5 doppie per 3
cordoni, 3 fettucc2, e 2 chiodi. Abbiamo solo una corda da 60m.
I cordoni che Riccardo mi ha dato l'altro giorno diventano d’oro. Ho una paura tremenda che sia noi mentre
scendiamo, che la corda mentre la recuperiamo, saranno fonte di
sassaiole in testa: il primo che scende butta giù le cose più
instabili, ma sono tante. E ogni masso che butti giù, viene su odore
di bruciato quasi..
La prima doppia già non è facile:
scendo io, c’è da traversare un po’ alla fine e da risalire
verso quello spuntone che un paio d’ore fa ho guardato con sospetta
preveggenza “che bello spuntone da doppia”. E su questo va la
seconda doppia capitanata da Giorgio. Al recupero della corda della
seconda doppia, questa fa un giro strano in mezzo a dei massi e si
incastra. Porca puttana anche questa.
Almeno abbiamo corda a sufficienza in
modo che il mio amico possa risalire assicurato a disincagliarla.
Sale con poca fatica il mio amico, arriva alla corda e la fa
scendere: ma disarrampicare non si fida a farlo fino giù, quindi giù
un altro cordino e una maglia rapida per essere calato in moulinette.
E anche questa è fatta. Dai che ce la caviamo.
Non stiamo bevendo e mangiando nulla,
ciò non va bene, ma ora pensiamo alla pelle, pensiamo alla ritirata.
Il balcone romantico non è lontano, ma è molto di lato rispetto
alla discesa delle corde. E laggiù vedo il saltino di misto del
pendio di neve iniziale che non vorrei disarrampicare. Qualsiasi Dio
sia in ascolto, ti prego fa sì che ora mi calo e trovo qualche
roccia affiorante in mezzo alla neve per metter giù qualcosa e fare
un’altra doppia per superare quel salto.
Un masso affiora, percorso da una
bellissima e sinuosa fessura verticale: la fessura più bella che io
abbia mai visto. Un po’ larga, è vero, ma i chiodi entrano che è
un piacere, non “cantano” a pieno, ma la veritcalità della
struttura fa ben sperare sulla tenuta complessive della sosta. Grazie
a questa fessura, riusciamo a superare il tratto ripido e quello di
misto fino a depositarci sul pendio di neve a 40° che poi in breve
ci porta alla Bocca d’Amola.
È quasi fatta. Quasi. C’è da
scendere questo pendio che già in salita ci ha dato il suo bel da
fare, soprattutto a Giorgio che ha optato per una linea un po’
“complicata”. Bevutina veloce, poi meglio continuare che non so
che ore siano, ma mi sa che sta diventando lunga. Sono le 15 passate,
la ritirata è iniziata alle 11e30.
Sotto di noi però le rocce che
affiorano sono solo detriti. Un bel masso alla bocca consente una
sosta dalla quale Giorgio mi cala in moulinette: cerco da far sosta,
ma non trovo nulla, “Giorgio, magari mi cali per 60m e te scendi
disarrampicando, che devo dire?”. Ma lasciare questa sorta la mio
amico non mi piace molto. Traverso nettamente a sinistra ed ecco un
menhir di granito dietro il quale una debole fessura lo separa dal
suo vicino: debole a sufficienza per un cordino. Sono giusto arrivato
a metà corda lassù, perfetto.
Il mio amico scende in doppia, e da qui
di nuovo in doppia. “Giorgio con questa arrivi alla base del
pendio, te avviati pure finchè c’è luce che ci penso io a
recuperare la corda e poi ti raggiungo: magari scesa la morena ripida
ci fermiamo a mangiare e bere”.
Scende lui, scendo io. Fine. Fine della
ritirata. E che ritirata: di quelle che valgono più del
raggiungimento di una cima, di quelle che il Mars di vetta e la birra
di fine gita sono più che meritate. Di quelle che.. che bello essere
vivi e interi!
Vedo il mio amico che vaga come un
anima errante per i pendii di neve sotto di me, guardo la Bocca
d’Amola, per noi oggi Bocca dell’Inferno, la Cresta Est non la
vedo bene da qui, ma mi girerò spesso ad osservarla e “capirla”:
dove abbiamo sbagliato? Tiro fuori la banana da mangiare mentre
faccio su le mie cose. Banana di cemento: che razza di freddo deve
esserci. Non lo sappiamo ancora, ma le bottiglie nello zaino sono
congelate per metà.
Giorgio laggiù, da solo, in mezzo a
questa immensità, dopo questi pericoli, dopo essercela cavata, è
un’immagine felice e triste allo stesso tempo. Una sensazione
strana. Peccato per la cima, ma evviva per esser integri. Da soli
siam saliti, da soli ce la siamo cavata, da soli ci ritroviamo a
scendere. Soli con le montagne: il Brenta davanti a noi, la
Presanella dietro di noi.
Un tramonto sul Brenta, di nuovo (ieri
gli dissi “Giorgio, vedrai che lo vediamo anche domani il
tramonto”), e tanti e tanti sguardi indietro alla Presanella, alla
Bocca d’Amola, alla Cresta Est, a quel gendarme che da questo
versante non si vede bene come dall’altro. Ma è lì. È lì, e
voglio rivederlo da vicino quando la stagione sarà più
“appropriata”.
Non ci si ferma, lo spuntino è
rimandato, la bevuta pure. È più tardi di quello che pensavo e le
luci ci stanno abbandonando. Raggiungo il mio amico, via le picche e
dai coi bastoncini che aiutano ad affondare meno. Sempre più buio, e
siamo ancora dentro la valle. Gli occhi si abituano e adattano con
gradualità all’imbrunire, e riusciamo a scorgere il percorso e la
traccia anche a buio. Superiamo la zona acquitrinosa (nascosta dalla
poca neve, quindi temibile per crolli di ponti). E sbuchiamo in
“vista” del rifugio. Rifugio è la parola adatta oggi.
Ma ora le frontali servono, altrimenti
finiamo troppo in basso, cosa che in effetti quando accendiamo la
luce artificiale verifichiamo che stavamo facendo.. Alle 17e30 siamo
al sicuro, al coperto. Sono a metà tra il detonato e l’euforico:
oggi troppe emozioni e stati d’animo contrastanti e contemporanee.
Robe strane.
Mangiamo e beviamo (quel che possiamo,
perché l’acqua è mezza ghiacciata, e si fa davvero fatica a
mandarla giù), rifacciamo gli zaini con tutto ciò che avevamo
lasciato al Bivacco Invernale, zaini che tornano pesanti, ma le
nostre teste sono più leggere ora. Prima di “mollarci” troppo,
ci tiriamo su per scendere fino all’auto, sotto una nuova stellata
magnifica: una Bellezza con la B maiuscola, la Gioia di vivere con la
G maiuscola, e datemi anche una V maiuscola per dire “la Gioia di
Vivere questa Bellezza”.
Una stretta di mano, i complimenti
reciproci. Non è stato facile uscire da questo cul-de-sac. Dopo
l’ultima doppia avevo quasi le lacrime di felicità, quelle che di
solito verso in cima, ma che oggi la ritirata compiuta ha reso ben
più “giustificate”. Ora non resta che la voglia di una birra, di
una doccia calda, di un letto confortevole nel quale sentirsi al
sicuro. E, non ci crederete, la voglia di tornare in montagna già
domani.
Qui altre foto.
Nessun commento:
Posta un commento