Pare un secolo che non arrampico. Non
un secolo ma più di un mese. E mi manca. E temo che, già essendo
scarso, questo mese di lontananza anche dalle palestre indoor si farà
sentire. Meglio andare alla ricerca di una via facile, o meglio
abbordabile, e non aspettare oltre prima di rimettere le scarpette e
le mani sulla roccia!
Con Stefania si decide di andare ad Arco, lontano dalle nebbie della pianura
padana e alla ricerca di versanti al sole viste le temperature
frizzanti. Una nuova pausa colazione all’arrivo diventa forzata
nell’attesa che il sole superi la mole dello Stivo e delle sue
propaggini per poter illuminare la valle del Sarca.
L’arrivo al parcheggio della meta
designata è però una botta nei denti: freddissimo! Siamo all’ombra,
e non pare che il sole qui arriverà mai: eppure la via è data a
est.. Confidiamo nell’avvicinamento, che ci faccia svoltare in modo
opportuno: nulla da fare, forse la parte alta è anche al sole, ma il
primo tiro è decisamente di sofferenza! Dietrofront.
Le care vecchie amate odiate unte
Placche Zebrate possono salvare la giornata? Ci dirigiamo verso di
loro con tre vie papabili, ma solo una nessuno dei due l’ha mai
fatta: speriamo sia libera dalla folla che di solito affolla questa
parete. Nel tepore del sole si sta già meglio, e questo è già
qualcosa.
Scorgiamo l’attacco e pure almeno due
cordate, porcaccia la miseria! Ma giunti a pochi metri e scambiate
due parole, tutti quelli che sono lì vogliono salire 46° parallelo
che corre giusto a fianco: bene, possiamo salire la via Trento.
Attacchiamo che sono le 10:45, follia!
Il primo tiro è un buon impatto con
una materia che latito da un po’. Mettici il fatto che questa via
(come quasi tutte quelle delle Placche Zebrate) è talmente unta che
si scivola sul pari, e viene fuori un bel cocktail alcolico per uno
che non beve da un mesetto.
La mia amica riparte per il secondo
tiro, dopo una sosta affollata in quanto in comune alla via a lato.
La ressa inizia a farsi sentire, anche perché una cordata sbaglia e
finisce quasi sulla nostra via, dopo averci tirato un sasso in
testa..
Il terzo tiro dovrebbe essere il più
duro. Evvabbeh, un 5b, che sarà mai! Per me fa già abbastanza:
fidarsi dei piedi mi riesce poco sulla roccia nuova, figurati su
quella usurata! Giochi di equilibrio, braccia lunghe, spostamenti
leggeri e lenti, sono ben felice di superare il tutto senza troppo
annaspare!
Sul quarto tiro qualche attimo di
pensiero per Stefania, anche lei a digiuno di roccia da un pochetto,
ma sale anche lei. Verso la fine di questo tiro si trova un passaggio
un pochino più ostico di quello che ci aspetterebbe, ma ormai manca
poco.
Ultimo tiro per terminare la via, che
finisce in comune con 46° parallelo: tra noi, un’altra cordata
sulla nostra via e 4-5 su quella a fianco, il numero di persone ha
raggiunto un discreto valore numerico. Salto la sosta ed esco fino
alla pianta che sta sul sentiero di discesa per evitare sassaiole
sulla testa (una già presa).
Dopo 2,5 ore oneste, siamo fuori.
Salvata la giornata, che non può che finire qui anche se sono le
13:15: scendere e iniziare un’altra via vorrebbe dire rifinire
all’ombra presto, e non abbiamo voglia di riprovare questa
emozione! Un mars di via che non mangiavo da tempo, e via verso il
ristoro serio all Bar dellePlacche Zebrate.
Qui altre foto.
Qui report.
Qui relazione.
Nessun commento:
Posta un commento