Quelle giornate che non ti aspetti. Già
in fase di decisione su cosa fare e dove andare la lista dei desideri
è ampia, e alla fine decido di accontentare Giorgio (eh, uno schifo il posto che mi propone eh!). Ci si aspetta un giro
forse un po’ lungo, ma nemmeno troppo; ma di certo che non dovrebbe
essere impegnativo, ma molto panoramico. Poi durante pensi ormai che
la piega sarà quella, invece se ne prende un’altra. Credi che
ormai siano finite le “ostilità”, e invece eccone un’altra.
Ma tutto ciò , porta a una grandissima
soddisfazione.
La sveglia è uno dei record, l’1:15.
Non le 13:15, proprio l’1:15. Entrambi cotti dal sonno ci
alterniamo alla guida, la forma non è quindi il massimo ma si sa che
poi quando c’è da pedalare..si pedala. Stellata e cielo limpido,
un freddo becco a valle che ci fa temere l’ibernazione più su, e
invece..ni. Eccoci a Vallesinella, e i ricordi corrono al Canalone Neri, forse la più grossa
tirata che abbia fatto: ma anche quella volta, che giornata spaziale.
Alle 5:30 ci incamminiamo da
Vallesinella. Buio pesto, ed è meglio così: al ritorno la discesa
sarà resa meno noiosa dal fatto che non l’abbiam già vista poche
ore prima. Penso all’orso: se lo troviamo che si fa? Beh, per
renderci più voluminosi possiamo metterci uno fianco all’altro,
così le nostre frontali simulano due occhi distanti 40-50 cm, e
urliamo. Ma si può pensare certa roba?
Al Rifugio Casinei arrivo sperando che la fontana sia aperta, siccome ho solo
1,5l con me nello zaino e temo siano pochi (e infatti lo saranno). Ma
giustamente tutto chiuso, se no scoppiano le tubature, pistola.
Ripartiamo. Neve zero, ‘na tristezza. Lungo traverso e finalmente
qualcosa di bianco da pestare appare, ma davvero poca roba. Usciamo
dal bosco, ombre enormi davanti a noi e luci verso valle.
Avevo il timore di un avvicinamento
lungo, e invece in meno di 2h arriveremo al Rifugio Tuckett, dopo
l’impennatina finale di pendenza, finalmente pestando una neve che
comunque è poca. Ma questo poco ci consente anche di poter salire
itinerari che se no sarebbero primaverili.
Pausa ristoratrice e per calzare i
ramponi, e dal locale invernale escono quattro ragazzi con le nostre
stesse intenzioni: Scivolo Nord, traversata, Canale di Massari. Loro
non la faranno, noi sì, ma in discesa ci ritroveremo sul sentiero
sotto il Casinei a far due chiacchiere.
Bocca di Tuckett la davanti, il massiccio di Cima Brenta e Cima Massari, e
noi piccini piccini. Le prima luci sul Gruppo dell’Adamello
Presanella e su quello dell’Ortles Cevedale: un’alba stupenda che
ci fa fare numerose soste per voltarci dietro e ammirarla. Uno di
quegli spettacoli che potrebbe essere una delle risposte alla domanda
che molti ci pongono “ma perché lo fai?”.
Esci dalla traccia e si sprofonda da
matti. Accidenti, speriamo bene. Va beh che dalle peste sul sentiero,
dovrebbero essere saliti in tanti nei giorni passati, ma oggi siamo
solo noi sei?! Lo scivolo ancora non si vede, il seracco si scopre
alla nostra vista invece: sogno proibito la sua cascata. E la luna
che staziona sopra il complesso delle Torri di Kiene: quante rughe
bianche che salgono verso l’alto!
Pensiamo alla nostra di oggi che è
meglio. La Bocca di Tuckett si avvicna, lo Scivolo Nord si mostra e
io lo pensavo diverso: più simile allo Scivolo Nord delle Presanella, e invece questo è molto più incassato (a
tratti) e sinuoso. Beh, ambiente top.
Lasciamo il miraggio di un sole che
alla Bocca di Tuckett ci scalderebbe (io oggi soffrirò il piede che
mi costringerà a parecchie pausette in salita, e Giorgio che non
trova più le moffole soffrirà le mani), attraversiamo una
ghiacciaio che ancora ruggisce con un bel buchetto aperto, e via su
verso l’alto. Ma ancora coi bastoncini, le picche possono
aspettare.
I polpacci iniziano a godere, la mente
di più. Sempre più in alto, sempre più lontani dalla “civiltà”,
dentro le sagge rughe della montagna, al cospetto di paretoni di
dolomia, facendo il solletico a un versante nord con tutte le cime
lontane a fare da spettatrici disinteressate a questi minuscoli e
insignificanti bambini al parco giochi.
Una pausa verso metà per mangiare
qualcosa, e si coglie l’occasione per tirare fuori i ferri. Riparto
davanti perché stare fermo sento troppo freddo, e mi ritrovo così
in questo circolo, in questa conca che tanto m’abbraccia ma tanto
resta distante da me: finchè non riuscirò a raggiungere quel
colletto di uscita dove il sole brillerà.
Giorgio segue, anche i quattro ragazzi
sotto. Noto una bella linea di uscita a destra, ma non voglio
esagerare: invece forse sarebbe stato meglio (ma chissà poi la
cresta rocciosa per arrivare in cima come l’avremmo trovata).
Ultimi metri tra pareti sempre più vicine, sempre più chiuse. Dai
che la cima sarà lì, è fatta. Lo scivolo l’ho trovato molto più
facile di come me l’aspettavo.
Ma. Il colletto è la sella di un
cavallo: piccolo! Non ci si sta in due temo. E per prendere la
cresta, mamma mia che parete rocciosa verticale che c’è! Ma siam
sicuri sia di qua.. Questo proprio non me l’aspettavo. Provo a
partire perché se arrivano gli altri qui si sta stretti. Provo, e
dopo un po’ di tentativi e sospriri lunghi riesco, ma che fatica.
Solo ora noto sosta messa sepolta
(sotto c’era un cementato anche), direi d’obbligo per scendere
calandosi da qui. E non è finita. Neve poco consistente e delle
cenge detritiche dove pare di giocare a Shangai, ma con la sensazione
che qualsiasi mossa farai.. perderai. Perderanno anche quelli sotto
se cadono sassi però. Passi lunghi 2m per evitare tutto ciò, e
finalmente neve dura a 45°.
Oh dai che la cima sarà.. Niet. Cresta
affilata ed esposta: bellissimo eh, alpinisticamente doc, io però un
pezzo me lo faccio a cavalcioni su essa che se no mi caco addosso. E
anche il mio amico dietro di me lo vedo bello delicato e sensibile
alla gravità.
Finalmente ecco il panettone di vetta,
con la sua croce e il suo zucchero a velo a coprirlo anche se in modo
poco abbondante. E il panorama spazia a 360°.
Scivolo facile, ma uscita tutt’altro!
E infatti ho l’impressione che se non siamo gli unici nell’ultimo
periodo ad aver proseguito per la vetta, poco ci manca. 10e10, chissà
la mia amica come se la sta cavando. Noi ci godiamo il cibo, il Mars,
l’acqua (già da centellinare), il sole (freschino però), e tutto
ciò che l’occhio può arrivare a vedere.
A proposito di vedere, vedo che di
certo nessuno ha proseguito per la traversata a Cima Brenta
Occidentale: il vento non può aver cancellato eventuali tracce così
ovunque. Mi sposto su una cresta verso sud est per vedere un po’ la
situazione, e titubo parecchio. Non pare proprio agevole aggirare
quei torrioni e risalire quella parete rocciosa da quel passo.
Certo che tornare giù da dove siamo
venuti.. Ma ci sono le doppie (anche un cordino più su della sosta).
Di là c’è l’ignoto. L’avventura. E io c’ho paura, lo
ammetto. Andiamo non andiamo, Giorgio mi convince a provare, alla
prima grossa difficoltà torniamo indietro. E devo ringraziarlo il
mio amico, perché “provandoci” ci siamo riusciti, e non è stato
banale ne tecnicamente, ne fisicamente, ne mentalmente.
La direzione per Cima Brenta
Occidentale è facile: quando non si può stare in cresta, si
traversa sul pendio a sinistra. Non che sia difficile, ma se sbagli
ti si ripesca parecchi metri più giù. L’ultimo torrione consiglia
invece di scendere sul plateau che alimenta il seracco, ed infine
eccoci al colletto che vedevo prima. Già mi pare tanto essere
arrivati qui, ma i passaggi che non si vedevano invece c’erano.
Qui invece tale e quale a ciò che
vedevo da lontano: metri di roccia verticale. Guarda dritto, a
sinistra, a destra. Mmmm. Provo a destra, all’ombra, senza guanti
per poter avere un po’ di sensibilità. Anche qui non è facile,
quasi verticale e poco o per nulla ammanigliato. E non sono mica in
tenuta da falesia. Ma anche questa viene superata, per poi ritrovare
una buona neve fino al nuovo panettone che ha una testa molto più
ampia.
Talmente ampia che: dove cavolo si va
adesso?! E i dubbi tornano. Nessuna impronte, tutto vergine.
Gironzolando sul campo da calcio, a destra e sinistra, seguendo
quelle che paiono vecchie impronte ma probabilmente sono solo giochi
di vento.. no di qua no. Prova di la allora, no. Ah ecco forse una
cresta che può farci scendere..sì ma verso dove? Mi pare che
finiamo tanto lontani dalla nostra meta. Eppure non c’è molta
alternativa.
Tanta, tanta disarrampicata. Con dei
bei passi di III più iva secondo me, cresta sposta e rocce
appoggiate coperte di neve. Anche qui non si può sbagliare, ma manco
legarsi visto che poi della gran sicura non la si può fare. Sembra
eterna questa cresta, ci mette a dura prova anche dal punto di vista
psicologico visto che non siamo sicuri che si stia andando nella
direzione corretta.
Io continuo a guardare se ci sia
qualche canale da prendere per scendere, ma tutto troppo ripido e
stretto. Un’altra parete a scendere da superare, dove non lo vedo,
ma vedrà poi Giorgio che c’erano anche dei chiodi. Passi delicati,
speriamo regga tutto, le picche in mezzo alle balle, e forse
finalmente laggiu scorgo segni di passaggi: forse c’è l’imbocco
del Canale Massari!
Anche questa cresta, non me
l’aspettavo. PD o AD un paio di balle. Ma non è mica finita, tocca
scendere su neve e poi traversare: neve buona eh, ma qualche lastrone
mi fa scorrere qualche goccia di sudore freddo lungo la schiena,
“Gio, stiamo distanti”. Vacca boia che traversata selvaggia!
Nonostante la regolarità che
dimostravano da lontano, quelle che mi parevano vecchie peste sono
invece tracce di sassi rotolati giù. Bastardi, brutti giochetti
verso noi alpinisti.. Insomma, vaghiamo ancora alla ricerca della
via. Però dai, il Canale Massari deve essere questo: bello largo,
anche se mi sembra abbiam vagato parecchio e il rifugio non lo vedo.
Bene così, sospirone, bevutina (ma
ina, perché l’acqua scarseggia), mangiatina. Siamo su un bel
balcone in mezzo al Brenta, ma un balcone che non è mica all’ultimo
piano, ben più giù: o almeno così spero, in realtà l’altimetro
di Giorgio mi scoraggia alquanto su quanto poco dislivello abbiamo
perso.. Ecco, allora andiamo giù alla svelta!
Al sole si stava bene, torniamo
all’ombra dei giganti di roccia adesso, in un bel vallone largo e
poco ripido che da sciare deve essere una goduria. Solo che, ricordo
che dal rifugio si vedeva che la base di questo canalone era
interrotta plurime volte da fasce rocciose. Vedremo, ormai non si
torna indietro.
La discesa dovrebbe essere esente o
quasi da fatica: questo lo dice chi di discesa ne fa poca. Affondando
fino al ginocchio nella neve poi, il lavoro compiuto per ritirare
fuori la gamba dallo sprofondamento non è poco. E qui, si affonda
spesso. Ma che ambiente grandioso.
Candelotti di ghiaccio sulle pareti a
lato, e ora acqua solida anche da pestare: le rocce affiorano, le
caviglie temono le trappole, e un capitombolo in avanti mi fa temere.
Comincia il nuovo periplo alla ricerca della via! Girovaga in mezzo
ai dossi nevosi che identificano la presenza della roccia e del
ghiaccio, ma i dossi diventano sempre più rocciosi e meno nevosi. E
più numerosi..
Finchè non tocca ricominciare a
disarrampicare. Ecco, non me l’aspettavo, non è finita. In realtà
stavolta lo speravo, perché già da stamani temevo questo rischio.
Solo che a un certo punto la verticalità diventa un po’ troppa:
fortuna scorgo a 10m da noi (in completo traverso) un cordino per una
calata. Oggi la corda la usiamo, non si è fatta solo un giro nello
zaino!
Prima doppia, scende Giorgio che poi va
alla ricerca del passaggio in mezzo alle fasce rocciose. Recupero la
corda, la faccio su, metto via l’attrezzatura, e lo vedo che ancora
cerco: bon, ritira fuori tutto, rismonta la corda che su questa
clessidra ci mettiamo un cordino e facciamo la seconda doppia.
Ora pare che il bianco domini sul
marrone, dai che magari ce la facciamo. Ora si vede pure il rifugio!
Il mio amico va avanti, non so come mai ma dal suo modo di procedere
mi pare di capire che è cottarello.. Beh, comprensibile, ci sta
impegnando più di quello che si credeva. E non è finita..
Un mare candido di bianco lascia di
nuovo posto a dossi, rocce, ghiaccio, e tutto sempre più ripido. Un
nuovo labirinto nel quale muoversi alla ricerca della strada
migliore, che probabilmente era traversando tutto alla nostra destra,
ma ormai siamo qui. Siamo qui, siamo li, andiamo la, torniamo un po’
su. Sembra fatta, sembra.
Un bel salto ci separa da quello che
pare essere invece un dolce pendio che può portarci sotto al
rifugio. E va bene, facciamo un’altra doppia, lasciamo giù dei
chiodi, come dice il saggio “quando c’è da portare a casa la
pelle, tutto è da abbandono”. Troviamo invece un clessidrone
orizzontale su cui fare la terza e ultima doppia della giornata.
E sarà ben finita ora! Si ride e si
scherza, si mangiano le ultime cose rimaste e ritirano fuori i
bastoncini: si osserva e ammira il nostro paradiso-purgatorio di
oggi. Dal rifugio e quindi dal tranquillo sentiero di discesa però,
ci separa un accumulo di pietre semicoperte di neve, che
rappresentano l’ultima “trappola” della giornata: se una gamba
ti finisce in un buco, son dolori.
Alleluja, fuori dalla vallettina sotto
al rifugio, ora non ci resta che raggiungere il sentiero che stanno
percorrendo i ragazzi che erano dietro di noi sulla salita e che poi
sono ridiscesi dallo scivolo. Spogliarci, sramponarci, e distendere i
nervi con qualche battuta e risata. Ma che giro!!!
Bellissima giornata, di quelle che non
ti aspetti. Un meteo ottimo che ci ha permesso di godere appieno del
panorama, condizioni buone della neve per una veloce salita, una
discesa tutta da “fare” che ci fa quasi sentire alpinisti seri.
Una giornata da incorniciare, il Brenta è sempre severo.
Qui altre foto.
Qui report.
Qui relazione.
Bellissimo giro, complimenti, oltre la difficoltà dell'intero percorso c'è da considerare tutto il lungo tragitto fatto con l'auto che non è da poco !!
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