sabato 15 febbraio 2014

Nelle Pale bianche: Cima Bocche (quasi)


“Chi ha il pane non ha i denti”, ma porca miseria, weekend libero e la meteo cosa fa? Il solito scherzo. Non si può sfruttare a pieno il tempo orologico disponibile, ma non demordiamo e decidiamo di partire lo stesso, useremo l’occasione per starsene un po’ lontano dal mondo e allenarci.
Ore 4 si parte, io, Riccardo, e i nostri sci, destinazione Predazzo e oltre. Sfogliando la guida e sotto i consigli di persone più esperte, l’itinerario scelto è abbastanza sicuro rispetto al grado di pericolo valanghe che incombe, speriamo solo che la meteo regga fino a farci scendere: poi stasera qualcosa ci inventeremo, truna, ombrellone, tenda o auto.
Fugace colazione trovando l’unico bar che apre alle 7 in questa valle di dormiglioni, decidiamo di parcheggiare dove è possibile allungare il giro, portandolo dai 1000m scarsi di dislivello a poco più di 1200: avremo gli sci ai piedi, ma lo spirito è sempre il solito..
Parcheggiato al centro forestale, con nostro stupore ci siamo solo noi, mah. Ci prepariamo e ci incamminiamo, sorbendoci qualche centinaio di metri a piedi prima di poter scivolare sulla neve, che più su dovremmo trovare a metri. Intanto qui qualche lastra di ghiaccio ci strozza l’entusiasmo facendoci ballare per non cadere per terra.
La forestale sale lentamente, ma il silenzio, la neve sugli alberi, la calma, il relax, sono massimi. In realtà la calma è tutto un dire: la montagna e i suoi elementi sono pur sempre una forza potenziale pronta a scatenarsi all’improvviso, ma finché dorme la si accarezza volentieri come un gatto (in realtà, è una tigre). Incrociamo alcuni alberi abbattuti dal peso della neve, ma la neve caduta dopo permette di scavalcarli con una leggera spinta, chissà se a scendere toccherà saltare?!
Qualche scorcio in mezzo ai pini permette una fugace vista sul Colbricon, scoperto ma fumante di neve spinta dal vento, e sulle Pale, queste invece con la corona di nuvole. Il sole appare orgoglioso raramente, ma non dispiace visto che la temperatura permette comunque una bella sudata! Gli abeti sono chiusi dalla neve come un ombrello riposto in un angolo; oppure gli mette un cappello in cima. La neve modella e addolcisce ogni asperità. Che carina la neve.
Si lascia la forestale, si segue la traccia che si inerpica in mezzo a un bosco più fitto (ci sarà da fare lo slalom tra i tronchi a scendere) e lentamente si dilegua lasciando lo spazio aperto dei prati sotto Malga Bocche: si pregusta già la discesa da essi.. E si gusta il panorama, per nulla limpido ma affascinante: Cima Burelloni (dove sta il cuore di Gianluca), il Cimon de la Pala, il Castellaz illuminato da un sole che non si sa da dove arrivi, tutto il Lagorai. Ma quanto viaggiano forte le nuvole, che vento deve esserci!
Secondo me c’è da andare di la, ne sono sicuro ma titubo lo stesso.. Iniziamo a scendere nella valletta a est della Malga, ecco i primi due umani di oggi, chiederò a loro se è corretta la direzione, ma prima che possa aprir bocca “quella lassù è Malga Iuribrutto?”, ecco siam messi bene, non sanno dove sono. Prendo le redini del gioco, inerpichiamoci per il bosco per salire sul crinale.
Questo bosco pende, scendere da qui non sarà facile. Spero solo di non fare come la scorsa volta, se oggi ci mettiamo 4 ore a salire, non voglio metterci 7 a scendere! Sali sali e spunta sul crinalone, affamati da bestia, ora meglio mangiare qualcosa, così i due altoatesini ci superano e tracciano un po’ loro. Che panorama, mozzato a metà dalle nuvole ferme a 2500m. Azz, ma la nostra cima sarebbe 2700..mmm chissà se ce la facciamo!
Con questa luce non è proprio evidente la conformazione del terreno, ma il pendio è blando, per questo abbastanza sicuro dalle slavine, e per questo lungo a livello di km. Ma andiamo bene, e anche qui pregustiamo la discesa su questa schiena ampia e soffice. Alle nostre spalle la montagna si popola di altri sci alpinisti.
Il vento inizia a spazzare anche noi, ma non demordiamo a continuiamo nella nostra ascesa, senza però vedere la cima che si nasconde nel cielo lattiginoso, uffa. Un tratto crostosa mi fa già pensare alle cadute che ci farò sopra e il male che recheranno visto il terreno duro..vabbè. Ma la vedo sempre più grigia.
Talmente grigia che anche gli altoatesini davanti a noi frenano, titubano, non sanno se continuare o meno. Li raggiungo, si stanno mettendo la giacca, è chiaro cosa pensano di fare. Oh proviamo, siamo qui, salgo qualche metro. Ma non si capisce dove sei, a destra e sinistra c’è un pendio che se ci finisco dentro data la mia grande bravura e destrezza, scendo fino a Falcade rotolando. Bene, a 120m dalla cima, si scende.
Via le pelli, su la giacca, e pronti alla discesa! E che discesa, che sciata, che gusto.. Qualche bella caduta su cuscini morbidi, ma nei quali lo sci si pianta, e rialzarsi non è così comodo.. Galleggiare, galleggiare, galleggiare, wow! Sembra quasi che sappia sciare..ma è merito di pendenza e consistenza della neve, non mi illudo. Incrociamo parecchia gente, ora tutto si è popolato.
Ed eccoci a quello che temo essere il tratto arduo: il bosco. Ma in realtà data la quantità di neve presente, si riesce a sterzare abbastanza bene, e nel caso ci si aiuto col braccio a monte che tocca quasi la neve.. Scendiamo schivando i pini, che spasso. Poi troppo presto tutto finisce, siamo nel prato sotto la malga, alla quale per risalire tocca rimettere le pelli. E siamo al sole, mannaggia, non poteva uscire prima? Piccola illusione, in realtà lassù soffia a ancora vento e le nuvola non lasciano la cima.
La Malga è assediata da un uscita di qualche CAI, il ricordo di stamani della desolazione e solitudine è ben lontano ahimè. È la fame che è bella presente! Dopo aver risposto alle domande incuriosite di un ciaspolatore (che poi resta al nostro fianco senza più fiatare, mah) sbraniamo i panini. Una bella pausa per assaporare ancora di più la sciata fatta, ora so che non sarà così piacevole, ma soprattutto più dura. Ammiriamo ancora un po’ il paesaggio, ora che anche il Cimon de la Pala si scrolla di dosso le nubi per qualche secondo.
Il pendio sotto la malga che riporta nel bosco è quasi frenante tanto la neve è bagnata. Poi si entra nel bosco, ma Riccardo scende troppo, io lo seguo, ora tocca tornare sulla traccia più su, passando in mezzo a pini che scaricano neve a più non posso! Le valanghe scendono dagli alberi..
Si torna sulla forestale, e qui meglio farsi prendere dalla velocità, o nei tratti piani tocca spingere, che palle. Qualche sobbalzo sui pini sdraiati, e poi l’incontro ravvicinato con un capriolo che scende spaventato, spancia contro un cumulo di neve, e continua una corsa faticosa nella neve su cui non galleggia. Noi sì.
Cercando di tenere gli sci ai piedi più a lungo possibile, poi tocca sganciarli negli ultimi 300m, troppo piatta e poca neve la strada. Soddisfatti siamo alla macchina. Ora resta da decidere come affrontare la notte!
Dopo un giretto a Passo Rolle, poi al parcheggio della Val Venegia, una birra a Predazzo e torniamo al parcheggio della Val Venegia, che domani useremo per tamponare la mattinata con un giro esplorativo. Intanto si scava nella neve per crearci un riparo: è imminente l’arrivo di una perturbazione che dovrebbe portare un po’ di neve, vogliamo mangiare e dormire riparati, e sfruttare l’occasione per una simil truna.
Scaviamo nella neve, nel parcheggio ci sono muri di 2m, un bel loculo per dormire e mangiare, anche se quelle due tonnellate di neve che dopo saranno sulle nostre teste mi fanno un po’ paura. Ormai il buco è finito, e mi accorgo che..abbiamo dimenticato i copri sacchi a pelo! Ricordandomi quella volta al Ventasso, impossibile dormire senza..
Pace e amen, dormiremo in tenda e mangeremo sotto l’ombrellone da pesca che mi sono portato dietro, tanto non fa freddo (gulp), sono senza guanti. La luna ogni tanto sbuca dalle nuvole e ci abbaglia, fosse stata persistente il giro della Val Venegia si faceva adesso! Niente cinema in tenda, troppo stanchi, si va aletto sperando domattina il meteo regga per poter fare un giretto, poi a casa.

Qui altre foto.
Qui report.

1 commento:

  1. NEVE


    In quel candore spesso mi son perso
    quei chiaro scuri tesi all'azzurrino
    quelle lucenti stelle contro il sole
    gli occhi accecati da tanto bagliore.

    Intorno ai ciuffi d'erba in alta quota
    colpiti da quei raggi diamantini
    orme d'ungule e tracce di escrementi
    segni di vita ed i ruscelli lenti

    corrono a valle diluendo i ghiacci
    quel borbottio monotono che attrista
    quel silenzio che il vento a tratti scuote
    empion di quiete le giornate vuote.

    Ed io rinasco in mezzo a tanta pace
    l'ombra di una nuvola m'avvolge,
    un'altra offusca un poco la montagna
    sotto la neve dorme la campagna.

    Vorrei dormire infine un poco anch'io
    poter sciogliere in un bicchiere d'acqua
    questa insoddisfazione e questa pena
    che senza alcun motivo mi avvelena.

    Salvatore Armando Santoro
    (Donnas 12.5.2016 – 15,34)

    La foto di Andrea Pellegrini è tratta dal portale:
    http://andreaintrip.blogspot.it/2014_02_01_archive.html

    Vorrei utilizzare questa foto a coreografia della mia poesia citando l'autore. Posso? Pregasi rispondere a santoro3000@alice.it o sul mio profilo di FB (Salvatore Armando Santoro)

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