domenica 8 dicembre 2019

Ma perché ogni volta che ci vengo con te.. : Cresta del Gaino

Dopo la giornata di ieri mi sembra giusto equilibrare andando a fare qualcosa su roccia: Stefania è già carica e mi propone la buona cara e vecchia salita della Cresta del Gaino, che ormai ho salito numerose volte, e in parecchie forme (anche quelle che non si direbbe). Con lei ormai svegliarsi presto non se ne parla, ma questa volta è ragionevole prevedere un orario di attacco dove le temperature siano un po' salite e la partenza abbia concesso un po' di sonno.
Arriviamo all'attacco che siamo solo noi, uno degli avvenimenti più inusuali su itinerari così classici e facili. Facili finché non si prendono varianti.. La leggenda della cordata SGN narra che la salita integrale della cresta del Monte Gaino possa essere compiuta in 3 ore. Ma è una leggenda, che ogni volta che vengo qui continua a essere tale. Tuttavia, per dare una carota alla mia compagna, le dico che se riusciamo a salire in 3 ore e mezza le pago una cena.
E cosa non si farà per non perdere una scommessa? Dopo qualche scaramuccia con la parete prendo io il comando, cercando di salire il più possibile: dai che voglio proprio vedere se questa leggenda ha dei fondi di verità e se riesco a offrire una cena a Stefania! Ogni volta che ho salito il Gaino (almeno a memoria), non mi sono mai ritrovato al 100% su un percorso già salito: e anche oggi sarà così, magari complice il mio precoce Alzheimer.
Al terzo tiro tengo la sinistra in vista di un bel chiodone in parete, che così mi obbliga a qualche passo non proprio di III. Stefania infatti una volta che mi raggiunge in sosta mi cazzia con un "Sul gaino vedere un chiodo vuol dire che lì non si va, è una variante difficile! Cosa sei disposto a fare per non pagarmi la cena?!". Ma anche quando lei prende il comando non mi sembra che abbia tutto questo fiuto nel trovare i tratti più facili e sbrigativi.
Almeno stavolta sulla maledetta placca prima della balena bianca (dove l'altra volta presi una pettinata che non la auguro a nessuno) evito di andare a sinistra sul difficile, sgusciando a destra sul più facile: ma la balena bianca va salita, e al termine di essa sosto osservando tre signori che stanno salendo con le scarpe da avvicinamento in free solo, legandosi solo due o tre volte per 15 m per salire varianti piuttosto difficili.
È ora di iniziare a salire in conserva per minimizzare i tempi e non usare la frontale, così mi imbambolo un po' di corda a tracolla: esatto soltanto io, il mulo da soma, mentre la gattina indifesa invece nulla. Memore della cazziata di pochi minuti fa, in vista di un chiodo su un pilastro me ne guardo bene dall'andargli incontro, e passo nettamente alla sua destra su quello che pare essere una parvenza di sentiero.
Peccato che ben presto finisca nelle sterpaglie e ciò mi obblighi a dover salire su terreno ben più duro di quello dove c'era il chiodo, fino a trovare un friends incastrato (che tra l'altro Stefania toglierà con un sacco di facilità). Il tempo stringe, ma la scommessa ormai è andata: niente cena. Lascio passare avanti Stefania per poter andare esclusivamente in conserva: va bene la conserva, ma anche un po' di protezione ogni tanto..
E invece no, lei stizzita e spazientita prosegue verso l'alto approfittando solamente di spuntoni rocciosi che diventano ancoraggi naturali. Finché non siamo sulla parte di cresta finale dove mentre io all'ombra patisco freddo, lei finalmente inizia a metter giù qualcosina. La croce sembra non arrivare mai, ma almeno la raggiungiamo prima che il sole tramonti.
Ci mangiamo qualcosa alla svelta e ci cambiamo, e poi giù di corsa per raggiungere la macchina fortunatamente senza nemmeno usare luci artificiali. Certo che anche oggi come l'ultima volta "Ma perché quando vengo qua con te succede sempre qualcosa? Non va mai tutto liscio come l'olio?". Chissà, direi che per scoprirlo dobbiamo riprovarci.

Qui altre foto.

sabato 7 dicembre 2019

Ci sono cose da vedere nella vita: Vajo Bianco con variante

Ci sono alcune cose che nella vita ogni uomo dovrebbe avere la possibilità di vedere. I ghiacciai dell'Islanda, le cascate Vittoria, la grande muraglia cinese, il varano di Komodo, Nicola che si sveglia alle 2:30 di notte per andare a fare un vaio, e manco per un corso! Questo genere di evento va preso al volo senza lasciarselo scappare: non sempre si ha la possibilità di assistere a un accadimento tanto raro, un po' come un'eclissi solare completa durante una giornata di cielo completamente sgombro dalle nuvole.
E così , nonostante l'orario di partenza proposto sia pure in netto anticipo rispetto a quello che avrei proposto io, come non saltare su questo carro eterogeneo che alle 3:00 di notte si avvia verso il paradiso vaittico delle piccole Dolomiti?
Eccoci qua quindi: Nicola che ha appuntamento con quell'altro matto di Mattias per andare in esplorazione aggressiva (che sfocerà in questo link), e io, Federico e Fabio che nemmeno abbiamo ancora parlato di cosa andare a fare. Dovevano esserci anche Anna e Mirco ma all'ultimo momento degli imprevisti gli hanno impedito di esserci. A loro un'eclissi di sole in un cielo terso mai ricapiterà temo.
L'altro spettacolo raro come una pepita d'oro nel letto del fiume Secchia, è vedere Nicola fare colazione al sacco in auto senza nemmeno lamentarsi, lui che è il TomTom delle pasticcerie di tutto il Nord Italia (del Centro e Sud no, semplicemente perchè non li ha mai esplorati, altrimenti..). Tra colazione e preparazione ci mettiamo in moto che manca poco alle 6. Nonostante il sole sia bello lontano dal sorgere la zona inizia a essere già brulicata da parecchi Homo Sapiens che nutrono la nostra stessa passione.
Alla cordata FAF propongo il Vaio Bianco per una serie di motivi: già di partenza non avevo voglia di ingaggiarmi in cose complicate e corde e ferramenta li volevo portare solo per emergenze, inoltre data l'eterogeneità del trio è meglio non esagerare. Poi il Vaio Bianco nessuno degli altri due lo ha mai salito, e vuoi mettere godersi tutto la avvicinamento insieme al sole eclissato?
Questo è uno dei generi di alpinismo che più mi piace: avvicinamento a lume di frontale, immersi in un freddo frizzante che solletica le narici, zaino carico di viveri vestiario materiale e sogni. Mancano solo le stelle in cielo (che mi fanno temere un rigelo non perfetto, ma date le difficoltà del Vaio scelto spero di non incontrare problemi di progressione se non un po' di fatica in più).
Facendo due chiacchiere con Mattias e aspettando il fotografo che deve scattare qualcosa ogni 100-200 passi (ma sta a vedere che lo fa per riprendere fiato?) scorriamo su varie valanghe scese da Giaron della Scala, Pra degli Angeli, e infine quella che si spera scenderemo tra qualche ora, Boale dei Fondi. Il sole spento si è come al solito fatto fregare dai suoi buoni sentimenti, dal suo impermeabile giallo, e ha prestato i suoi bastoncini a Fabio che li ha dimenticati in macchina: così adesso lui si ritrova a cercare l'equilibrio in questi delicati traversi dove un passo falso potrebbe portarlo fino a valle a velocità da Mach 1. Discesone verso l'attacco del Vaio dei Colori in uno spezio di pace e silenzio.
Complice l'essermi fermato per bisogni primari, e averne così approfittato per calzare ramponi e armarmi di picozze, mi perdo Nicole e Mattias che se ne vanno in luoghi remoti e nascosti alla ricerca di alpinismo d'annata. Ritrovo invece i miei due compari ancora in fase di preparazione: dai forza che c'è freddo a star fermi e si alza il sole!
La batteria della mia macchina fotografica patisce troppo il freddo ed è già fuori uso: la brutta notizia  stizzisce quel fighetto fotogenico di Federico, che si calma solo dopo che il buon Fabio mi cede la sua di macchina fotografica. Altre cordate sopraggiungono ma nessuna sembra aver intenzione di percorrere la nostra stessa lingua bianca: meglio così perché di stare in mezzo a del traffico e altre persone non ne ho voglia, altrimenti me ne andavo in piazza.
Risaliamo un breve tratto del Vaio dei Colori, per poi deviare decisamente a destra verso l'imbocco del Vaio Bianco. Le condizioni non sono proprio ottime: sì è vero che ci sono tratti di ottima neve dura dove entrano quasi solo le punte dei ramponi, ma ci sono poi tante altre zone o di riporto da vento farinosa o di neve non trasformata dove il piede affonda fino alla caviglia e oltre.
Seguiamo la traccia di qualche predecessore dei giorni scorsi, ma a volte il vento le ha cancellate, e altre volte le vediamo andarsene a percorrere strane varianti di cui non ho nessuna voglia di conoscere e scoprire con sorpresa grado e difficoltà (storie già viste). Il tutto è sempre molto suggestivo e piacevole, incassati in questo budello nel cuore delle montagne a seguirne una striscia di neve che speriamo ci porti verso l'uscita e spazi ben più ampi, dove gli occhi potranno spaziare su vasti panorami e non soltanto sulle pareti circostanti.
Nel tubo della valanga ci facciamo prendere dall'entusiasmo di trovare un po' di neve dura, entusiasmo che più tardi ci fa risalire un breve tratto sulla destra abbandonando la striscia principale che stava iniziando a stringersi parecchio. Dopo pochi passi scolliniamo e raggiungiamo una zona dove chi ci ha preceduto ha gironzolato a destra e sinistra alla ricerca della via: davanti a noi infatti un muro nevoso sbarra la strada, muro che non sembra neanche difficile da salire (certo, se la neve è buona però), ma ciò che mi preoccupa maggiormente è il non sapere cosa c'è oltre.
Propongo allora di ritornare sui nostri passi e riprendo la striscia principale, che si rivela la scelta corretta. Dopo qualche metro un bel riparo sotto un costone di roccia invoglia a una breve pausa per bere qualcosa. Fabio inizia essere stanchino ma c'è ancora da stringere i denti. Il sole comincia a illuminare cime e creste circostanti sciogliendo neve ghiaccio e facendo precipitare a valle qualche sasso.
Questo vaio non è lineare, gira a destra e sinistra e soltanto all'ultimo consente di vederne l'uscita. Nel durante si ha sempre l'impressione di essere dentro un piccolo labirinto di ignota lunghezza. La qualità della neve è pure peggiorata ora che il vaio si apre a forma di catino, catino che deve aver raccolto tutto ciò che il vento ha spostato ma anche le recenti nevicate ad alta quota. Dritta davanti a noi una parete rocciosa presenta un punto debole dove si vede che qualcuno è andato a cercarne una variante di uscita, Ma noi ci accontentiamo della nostra, che anch'essa scopriremo essere una variante.
Con Federico mi alterno a far traccia davanti mentre Fabio ci segue un po' distanziato. Il pendio nevoso a sinistra mi sembra un po' troppo appoggiato per essere un'uscita, non vorrei che ci portasse su una crestina rocciosa nel vuoto. D'altronde le altre due volte che ho salito questo vaio, sono sempre uscito un po' più su, in mezzo a quelle rocce: direi proprio che oggi faremo uguale.
Continuiamo la salita che proprio nel tratto finale inizia a impennarsi. Mi infilo fiducioso in mezzo alle rocce, con cornice a destra e a sinistra ma non dritto. All'inizio neve ottima per piccozza e ramponi, ma negli ultimi 5 metri pessima: farina dove le picche non fanno presa e dove i piedi indietreggiano a ogni passo. Cercando di sfruttare quel poco che c'è riesco a uscire ed essere baciato da un tiepido sole.
Spettacolo di panorama bianco e candido!
Federico mi segue a ruota. Fabio sta per infilarsi nella strettoia finale, gli lancio una corda cui legarsi facendogli sicura a spalla perché non è che sia proprio piacevole per un neofita questa uscita in free solo.
Una volta che ci raggiunge anche lui, possiamo fare la foto di Vaio e mangiare e bere qualcosa.
Essendo qua non posso non pensare di salire in cima, ma vedo che anche gli altri due non si tirano per nulla indietro. Oggi ho preso i ramponi classici proprio per evitare il problemone dello zoccolo dei Blade Runner rimasti a casa: e invece anche questi qua oggi rompono parecchio le scatole. Altro che scatole, sul traverso che conduce al passo tra Cima Campalani e Rifugio Fraccaroli c'è da ammazzarsi se si scivola giù.
Niente Canalino Sud oggi, e sbucati sopra il Vallone della Teleferica un venticello fresco ci accoglie e invoglia a essere sbrigativi. Ancora voglioso di pendenze ghiacciate salgo per la cresta, e raggiungo la cima poco prima degli altri due: ancora qualche foto e via giù in un posto un po' più accogliente, climaticamente, parlando dove mangiare.
Scendendo, a Bocchetta Mosca ci fermiamo finalmente a mangiare qualcosa un pochino più con calma, cercando accuratamente di sederci sull'unico masso affiorante per non bagnarci il culo. Solo che mannaggia, il cielo si è svelato, il sole non è più potente come prima e il vento solletica le terminazioni nervose che ci fanno percepire una temperatura non proprio idonea a restare fermi . L'ultimo morso al panino e si riprende la marcia verso bocchetta fondi.
Marcia su spettacolare traverso nevoso che lascia assaporare ampi spazi di alta montagna. Ultima risalita verso Bocchetta Fondi e poi sarà discesa, sperando che quelle che erano non proprio buone condizioni in salita diventino buone condizioni in discesa: già perché trovare neve marmorea in salita sarebbe stato piacevole, ma in discesa mica tanto (non siamo mica gli scavigliatori francesi degli anni del dopoguerra!).
E infatti la discesa è più sciabile che ramponabile e ci permette di perdere quota senza spaccarci le gambe. Il sole è ancora abbastanza alto quando arriviamo alla macchina, dove ovviamente Nicola non c'è ancora. Ho quindi tutto il tempo per mettermi in assetto da Trail e correre 10 minuti sulla neve per testare i ramponcini da ultra trail estremi.
Ma soprattutto abbiamo tutta la calma e il tempo per andare in rifugio a berci una birra, fare due chiacchiere, mangiarci una fetta di torta, uscire dal rifugio, andare in macchina a mangiare qualcosa, dormircene un'ora e mezza, svegliarsi per il sole che ormai è calato e l'effetto stalla non è più così potente in auto, cercare di telefonare a quei due disgraziati dispersi nelle rughe del Carega, cercare disperatamente un posto in cui il telefono prenda, e infine finalmente quando ormai il sole è quasi calato non solo dietro le montagne, ma anche sotto l'orizzonte, vederli arrivare nemmeno troppo cotti e brasati. Come non fargli bere un birra che per noi diventa un'altra birra?!

Qui altre foto.
Qui una guida.
Qui Report.
Nicola e Matthias han fatto questo

sabato 26 ottobre 2019

Giugnobre in Piccole Dolomiti: Spigolo GEA

Le giornate che non ti aspetti in Piccole Dolomiti: un cielo terso e temperature ipergodevoli (ma anomale). Zero nebbia. Eventi rari in queste montagne (anche se ben preannunciati dalle previsioni meteo). Logico approfittare di questo prolungato caldo anomalo per andare ad arrampicare in montagna invece che in bassa valle: ci starebbe anche andare in Dolomiti a sparare l'ultima cartuccia, ma impegni e situazioni varie me lo precludono.
Ecco allora che si forma un inedito trio: io con Federico e Mirco: dopo averli convinti (senza neanche insistere troppo) ad andare verso nord invece che verso sud-ovest. Anche se Federico mi sa che non ha le idee chiare su cosa andremo a fare.
Da Passo Campogrosso, ottima base di partenza in quanto coincidendo con quella base di arrivo ha il Rifugio Campogrosso e la birra lì di fianco, ci incamminiamo verso il Passo degli Onari ma passando sul versante ovest della catena del Cengio Alto, molto più silenzioso del versante est dove corrono un sacco di vie e brulicano un sacco di arrampicatori.
Su questo versante brulica soltanto un camoscio che cerca di scappare dagli spari che si odono un po' dappertutto. All'ombra si sta freschi sì, ma quando il sentiero inizia a salire si fa presto a scaldarsi.. Incrociamo (e superiamo pure) un gruppetto composto da sei trail runner, tutte femmine: mannaggia, ma perché oggi non mi sono messo in modalità corsa?!
Dal Passo degli Onari Seguiamo le indicazioni e troviamo la debole traccia che scende verso sinistra, ma a volte non è chiara e la scoscesosità da poca fiducia a proseguire. Tuttavia lo spigolo in breve è ben visibile e quindi dove buttarsi diventa chiaro.
Sei tiri diviso tre uguale due tiri a testa, e parte Mirco. Avremmo sogni di gloria: dopo questa arrampicare un'altra via, ma la situazione è piacevole e paciosa e ce la prendiamo piuttosto con calma nel prepararci e anche un po' nell'arrampicare. Mirco vorrebbe puntare lo strapiombo lassù ma io e Federico lo obblighiamo a spostarsi verso sinistra dove più logicamente corre la via.
Sul secondo tiro il sole inizia a farsi sentire davvero bene: un bel calduccio ma anomalo.
Alla seconda sosta è ora di fare cambio: Federico che non ha studiato la via ma che vuole salire da primo i tiri più fotogenici per essere il soggetto di belle foto da acchiappo (che nessuno scatterà) decide che i prossimi tiri sono suoi. Il terzo lungo tiro è tipicamente careghiano, ad accarezzare mughi, a volte districarsi tra essi, ma nel mezzo raccogliere anche tratti di roccia verticale. E per finire una bella scomoda sosta su un tappeto di mughi.
Il quarto tiro già si intuisce che non sarà troppo facile, e anche la roccia ci metto un po' del suo, come pure un po' di sporco che si trova. Ma d'altronde la via è recente, e l'impegno nel disgaggio e nella pulizia degli apritori è stato notevolissimo: adesso tocca ai ripetitori dare il loro contributo. Fatto sta che Federico prima si incastra a nut nel cammino sbilenco, e poi vorrebbe dotarsi di bussola per districarsi nel labirintico proseguo della via: a destra sinistra in alto sotto lì dietro lì di fianco dove si va? E iniziamo chiaramente a intuire che ce lo sogniamo di salire qualcos'altro oggi.
Bene adesso tocca a me: bene ma non troppo, perché da quando sono qui in sosta e osservo la parete verticale sulla quale corre il quinto tiro sono un po' preoccupato. Quando me ne avvicino percepisco la fondatezza dei miei timori: il brocco che è in me lo sentiva.. Vado un po' a destra, un po' a sinistra, e piazzando giù qualche friends (prontamente tolto quando poi arrivo al chiodo) con tempi biblici riesco a salire, fino ad arrivare quasi all'uscita.. dove vorrei afferrare con forza con la mano destra lo spuntone che mi faciliterebbe il passo, ma non dà tutta questa fiducia di solidità e se dovesse crollare mi arriverebbe proprio addosso: complichiamoci la vita utilizzando prese più solide ma piccole.
Della quinta sosta il proseguo della via non è chiarissimo, o meglio, spero che non ci sia da passare di là: una volta che riesco a partire vedo bene che dopo aver camminato sui piattini appoggiati e bicchieri di cristallo, raggiungere l'ultima sosta è un gioco da ragazzi su una paretina ben lavorata. La sosta è un po' scomoda ma molto fotogenica, d'ambiente!
A fatica ci ricompattiamo, non tanto per la difficoltà arrampicatoria dei miei due amici, quanto per la comodità e la carenza di spazio: su questa via bisogna proprio evitare di essere in più di due cordate! Una dedica sul libro di via e poi attrezziamo la doppia, che probabilmente erroneamente concepisco più complicata di quello che doveva essere, ma tant'è. Una pausa per mangiare bere è doverosa, ma è anche doveroso fare i conti con l'orario tardo che abbiamo raggiunto, perciò meglio non cincischiare troppo e scendere per lo stesso sentiero per il quale siamo saliti.
Sentiero dal quale dopo poco scorgiamo una cordata sul secondo tiro dello Spigolo Solda al Monte Cornetto, che da lontano ci chiede informazioni sulla via in quanto..non hanno una relazione con loro. E infatti stanno sbagliando, sono troppo a sinistra. La gioiosa giornata non può che finire con un ristoro al Rifugio Campogrosso, dove dopo una chiacchiera e una risata, appena il sole cala dietro le montagne e il freddo si reimpadronisce di ciò che i raggi solari si erano guadagnati, ci fa correre verso casa.

Qui altre foto.
Qui report.

domenica 22 settembre 2019

AR1 in Brenta: Spigolo Gasperi

A volte le cose che capitano per caso sono pure quelle che riescono bene. Dopo un intenso corso AG1 è una propensione sempre maggiore al mondo del Trail, piuttosto che al sempre più affollato mondo dell'arrampicata e dell'alpinismo, la mia disponibilità al corso roccia del CAI di Carpi si era limitata a qualche "Tenetemi come riserva". Una riserva che data l'assenza di tre "Sì" scende in campo per questa piacevole partita a un'unica squadra, squadra sempre vincitrice.
Terza uscita del corso AR1 del CAI di Carpi: destinazione Dolomiti di Brenta, nello specifico Rifugio Tuckett. Dolomiti di Brenta che per quanto riguarda l'arrampicata mi hanno sempre descritto come un mondo a sé stante, con gradi nettamente più stretti della media (cosa che però in quelle poche arrampicate che ho fatto in Brenta non ho riscontrato). Il mio arrugginito stato di forma arrampicatoria mi fa perciò dubitare: ma se come ho imparato dalle endurance è la mente che domina il corpo e non viceversa..mo speriamo che me la cavo.
L'orario di partenza non è dei più mattinieri, riusciamo a incamminarci dal parcheggio di Vallesinella che sono da poco passate le 9. La giornata sembra splendida, ben più del previsto: non c'è una nuvola in cielo e il fresco frizzante del parcheggio viene soppresso dal riscaldamento dovuto alla salita lungo il sentiero, coadiuvata dal peso degli zaini. Cerco subito lo sguardo di Nicola per rimembrargli quell'epica giornata all'assalto del Canalone Neri, al quale ricordo lui mi rimpalla "Stavo giusto parlando con gli allievi di quella volta che ci portasti su Cima d'Asta a sputare sangue senza ciaspole con gli scialpinisti che ci deridevano". Bei ricordi, Bei tempi.
L'ora e 40 di avvicinamento al Rifugio Tuckett vieni alle allietata come sempre succede alle nostre uscite da racconti, aneddoti, prese in giro, scambi di opinione, tra tutti: istruttori e allievi sono sullo stesso piano, gli istruttori si dimostrano essere soltanto degli allievi con un po' di esperienza in più. E non mancano certo le bonarie prese in giro: la scia di speziato indiano che il nasone di Nicola dice di fiutare dietro di me, il racconto di come è nato il nomignolo "Dave l'eterno", e le battute sconce di Nicola che un giorno ci faranno pervenire una denuncia per molestie sessuali.
Dal rifugio è già ben visibile la via alla quale l'eterno ha indirizzato la mia cordata. Il piacevole clima concede pure di mangiarsi un panino a petto nudo nella speranza di asciugare un po' una maglietta bella sudata. Con calma tutti quanti ci dirigiamo verso i relativi attacchi, chi più vicino e chi più lontano. Fortunatamente e inaspettatamente sembriamo essere i soli ad arrampicare qui oggi, tranne una cordata che vedo sulla normale del Castelletto Inferiore, ma già sulla prima cengia. In breve siamo all'attacco e comincia la rumba.
L'altra cordata che sale insieme a noi e quella composta da Tommaso ed Ennio. Tra una cosa e l'altra sarò io il primo a partire e a rimanere costantemente davanti lungo l'ascesa: dato che il meteo sembra bello stabile non c'è eccessiva fretta, se non fosse per l'ora della cena che ci hanno minacciato essere al massimo alle 7. Nodi a otto, filatura delle corde, passaggio del materiale, scarpette, e via che si va (il casco è stato messo per primo).
Lo spigolo Gasperi è quasi una variante della via normale, per raggiungere il quale è necessario scalare la prima parte della stessa. Circa 100-120 metri di sviluppo di arrampicata dentro un caminone obliquo superato direttamente o spostandosi su placca alla sua sinistra. Difficoltà basse ma su roccia bella levigata dai millenari passaggi e dal millenario effetto canale di scolo pluviale.
Il caldo sole settembrino a volte va in crisi nei punti più profondi, ma per nostra fortuna lui e il camino sono orientati perpendicolari in queste ore. Una roccia compatta rende difficoltoso metter giù delle protezioni, ma almeno in sosta si trovano cementati e anelli bovini, più bovini di quelli della pietra! E già mi ci vedo a calarci in doppia da qui: già perché credo che sia quasi impossibile riuscire ad arrivare in vetta oggi senza usare poi la frontale e rischiare di rimanere senza cena.
Salto la terza sosta ufficiale fiducioso di poter raggiungere la prossima e risparmiare quindi un po' di tempo cosa che riesco a fare: mi avanzano solo pochi metri di corda. Solo che adesso Marco e Marcello non riescono a sentire la mia voce, e non avendo concordato in modo chiaro come sostituire i segnali vocali ad altri segnali, ci si trova in un culdesac. La classica trappolina che faccio a ogni corso. Dopo un po' i ragazzi partono, probabilmente anche confortati dalle indicazioni di Tommaso.
Bene, arrivati qui occorre percorrere la cengia verso destra (faccia a monte) per arrivare all'attacco dello slanciato spigolo Gasperi. Cengia facile con pochi tratti di arrampicata o disarrampicata, ma esposta e dove è difficile assicurarsi. Ben presto scompaio dietro una curva: ai miei avevo detto di partire quando finivano le corde, ma questo già iniziano a tirare. Trovare l'attacco adesso non è facile: un chiodo in mezzo dei sassi mi fa quasi dubitare che l'attacco sia sopra di me, ma non è possibile. Proseguo tirando la corda a forza, ma non vedo spigoli netti partire sopra di me: da giù era molto più facile individuare dove passava la via ma adesso è piuttosto complicato.
Un altro chiodo, che potrebbe indicare che c'è da salire qui, ma titubo: sta a vedere che ci tocca tornare indietro perché non trovo l'attacco. Provo a proseguire, ma dopo una decina di metri la corda tira veramente troppo e devo tornare indietro a fare una sosta da quel chiodo integrando con un Friends un po' dubbio. Nel mentre osservo per terra, notando una sorta di sassi ammassati in modo un po' strano: sembra quasi che ci siano un paio di ometti sdraiati. Però non vedo mozziconi di sigaretta, maleducazione che spesso indica un punto di sosta.
Arrivano i miei compagni di cordata, arriva Tommaso, ci confrontiamo un po' ma senza cavare un ragno dal buco. Provo a proseguire, ma poco dietro c'è un irregolare sistema di guglie e un canale che dovrebbe essere quello che stava giusto alla destra del torrione dove corre la nostra via. Oh sta a vedere che ho fatto sosta nel punto giusto: vabbè, provo a salire qui, se più su trovo la sosta a spit, allora sono nel punto giusto, altrimenti so' volatili per diabetici.
Mi hanno inculcato di temere i gradi in Brenta perché sono stretti e severi rispetto agli altri in Dolomiti. E in effetti già in questo primo tiro mi ritrovo ad affrontare dei passaggi non proprio facili, e non riuscendo a proteggermi adeguatamente. Ma tutto sommato riesco a salire sciolto e rilassato, più di quello che temevo visto il mio stato di forma e allenamento. È aperta la caccia alla sosta: guarda in sù, guarda in giù, guarda a destra, guarda a sinistra, salgo zigzagando, ma nulla. Poi finalmente intravedo lassù due spit che si mimetizzano con la roccia e uniti da niente: mica facile trovarla questa sosta! Ma è lei: siamo sulla via giusta!
La scalata inizia a farsi più seria, con difficoltà crescenti e continue, una buona esposizione e sempre una giornata fotonica intorno a noi con un bel sole caldo è un cielo terso. Presanella e Care Alto sono sempre a fare sfoggio di se, anche se piuttosto nudi di bianco. I ragazzi se la cavano e il clima è goliardico, addirittura tra prima e seconda sosta riusciamo a essere sempre a vista e..anche a udito.
O la via è sovragradata oppure non sono così arrugginito come temevo. Non sentirsi mai impiccato è una piacevole sensazione che ti fa godere la giornata, soprattutto in queste situazioni nelle quali non conosci proprio benissimo chi è legato con te. Tutto scorre bene ma.. lentamente Beh oddio, in realtà non avendo l'orologio al polso e non chiedendo mai che ore siano il dilatarsi del tempo ancora non lo percepisco, ma capisco bene che calarsi da questa via potrebbe essere un po' problematico, oltre al fatto che ci sarebbe da abbandonare un po' di materiale e ripercorrere la cengia a ritroso.
Qualche bel passettino in strapiombo non manca, ma soprattutto il terzo tiro regala una sorta di dietro in leggero strapiombo e quindi tutto in bella esposizione. Mamma mia quanto mi piace questo tipo di arrampicata! Altro che placche in piena parete. La Sosta però me la vado a cercare tutta sinistra, e anche se ho quasi la certezza che non sia quella giusta (la giusta potrebbe essere nella nicchia che vedo sette metri sopra di me), voglio proprio fermarmi qui, su questa cengetta stretta per la gioia dei miei compagni di cordata, che infatti tenteranno di starsene tutti belli schiacciati contro la parete e con il barcaiolo di autoassicurazione in vita, mentre io li inviterò a buttare il c*** tutto indietro per saggiare e assaggiare tutta l'aria che gli sta sotto.
La guida parla di 4 tiri, una relazione trovata su web parla di 5, noi siamo un po' tirati come tempi: io inizio a salire e vedo se riesco a saltarci fuori. Di certo non è terzo grado, anzi forse è pure il tiro più continuo e dalle difficoltà comparabili ai due precedenti. E per questi motivi si rivela essere forse più bellino, anche perché diventano molti di più di 30 m. Sempre bene ammanigliato offre la possibilità di superare strapiombetti in modo agevole, fino ad arrivare al netto cambio di pendenza sul pianoro sommitale del Pilastro. Due spit sono su una roccia orizzontale e fortunatamente un torroncino sul quale mi posso sedere per recuperare i miei.
Torroncino comodo per i primi minuti, ma che poi diventa una tortura aspettando che salgano: d'altronde non si può avere tutto dalla vita. Arriva Marco, seguito da Tommaso, un Marcello che si traziona "cigno macigno" e infine Ennio. Tiro fuori il telefono dallo zaino per fare due foto, e scopro essere le 17:37.. la cenaaaaaaaa! 5-10 minuti a tutti quanti per rimettersi in sesto e poi meglio darsi una mossa a scendere, anche perché il primo tratto non lo conosciamo. Inizia pure a far freschino.
Seguendo gli ometti finiamo sull'altro versante della montagna, a tratti su ripide ghiaie sulle quali il buon Marcello ha poca confidenza..ma ne sta facendo. L'altra poca confidenza che ha sono le doppie, ma anche qui porremo rimedio facendogliene fare ben 5 e di cui una su corda singola. Ben presto perveniamo a una sosta per doppia che rinforzo con un mio cordino, che attrezziamo per gruppi numerosi e che facciamo per tutta la lunghezza della corda. Scendo per primo: scende Marcello e lo mando in avanscoperta sulla traccia, scende Marco e lo mando dietro a Marcello, sia per metterci avanti sulla discesa ma anche per toglierli da un eventuale caduta sassi di chi deve ancora scendere. Scende Ennio e lo lascio lì ad aspettare Tommaso mentre io raggiungo gli altri due per vedere di attrezzare nuove doppie.
Altra cengia un po' esposta, che poi si ricongiunge alla stessa cengia che ci ha portato all'attacco. Si torna così a quella che era stata la nostra terza sosta, ed alla quale quasi si vede il rifugio. Attrezzo la doppia ma aspetto Tommaso, dopodiché iniziamo una discesa in sequenza cercando di velocizzare il più possibile. Dall'ultima doppia, con il sole ormai dietro le montagne, ci arrivano urla dal rifugio: è Luca che ci chiede la conferma di esser noi e che ci gufa la frontale.
Ultima doppia e sono alla base della parete a godermi lo spettacolo delle ultime luci e delle sfilacciate nuvole colorate dietro il gruppo dell'Adamello. Nel mentre telefono a casa per far sapere che sto bene e per fare due chiacchiere mentre aspetto che gli altri compiano le loro operazioni. Marcello sulle doppie prosegue calmo calmo calmo, passo dopo passo, un piede dopo l'altro. Arrampicasse anche così non sarebbe male! Sceso Marcello lo invito ad andare verso il rifugio a rassicurare gli altri e togliersi da possibili cadute sassi. Faccio uguale con Marco e poi con Ennio, resto io alla base ad aspettare Tommaso e dargli una mano a far su le corde. A proposito mica che abbiano fatto su una corda sti allievi: se me lo ricordo dopo al rifugio gliele disfo tutte e gliele faccio rifare. Arrivato anche Tommaso giusto a pelo prima di accender la frontale ci dirigiamo verso il rifugio scambiandoci quattro chiacchiere sui pareri della giornata.
Sono già pronto a cospargermi il capo di cenere chiedendo scusa ai rifugisti e alla cucina per il nostro ritardo visto che ormai sono quasi le 20. E invece, dopo aver riposto le cose in stanza ad esserci cambiati almeno una maglietta, entriamo nel rifugio, scorriamo i tavoli cercando sguardi amici, e infine li troviamo tutti a un unico tavolo, con a fianco due tavoli vuoti: uno per noi e l'altro per.."Beh luca, ma Nicola e i suoi dove sono?" "Eh devono ancora tornare, li abbiamo sentiti per telefono 10 minuti fa che erano in discesa" Grazie Nicola grazie, che mi eviti sempre le figuracce essendo più in ritardo di me!
Una sana buffata a suon di risate, una birra media che scende come una tanica d'olio in un motore secco, che necessita poi di essere rabboccato di nuovo con un'altra tanica. Arrivano anche Nicola e Alessandro quando noi ormai abbiamo finito di mangiare: tutto bene quel che finisce bene! Ci sarebbe solo da decidere cosa fare domani: le previsioni meteo sono nettamente peggiorate annunciando pioviggine già di prima mattina. Alla fine la scelta migliore è domattina svegliarsi, mettere il naso fuori e vedere come butta.
La sveglia suona alle 5: mi sono portato dietro la roba da Trail con l'idea di scendere giù a Vallesinella di corsa e tornare su di passo svelto per sgambare un po' e togliere il guinzaglio al camoscio che è in me. O forse più che camoscio dovrei dire mulo. Ma quando la sveglia suona il tepore del piumone mi tiene imbrigliato, e il pensiero di dover uscire e correre su rocce scivolose e bagnate a buio con rischio di accopparmi non è che sia un buon presagio. Poi metti caso che mi faccio qualcosa davvero, divento un problema per il corso: giro gallone e ci vediamo alle 7.
Nonostante non abbia fatto una mazza di attività, e nonostante sappia che probabilmente non ne farò neanche per il resto della giornata, a colazione mangio come se non ci fosse un domani, e al mio tavolo ci divertiamo a verificare cosa ci sia scritto sui biscotti. Che cacchio me ne capita uno della serie "il buongiorno si vede dal mattino".
E si torna così all'annosa discussione di cosa fare oggi. A un ristretto tavolo, ai ragazzi espongo una frase piuttosto semplice "Ragazzi, io se fossi per i fatti miei col c**** che andrei ad arrampicare oggi, scenderei giù e me ne andrei a casa". Al più grande tavolo con tutti quanti, direttore compreso, attendo silenzioso il verdetto (troppi galli nel pollaio fanno solo del casino). Alla fine si opta saggiamente per andare a prendere d'assalto un po' di massi erratici sotto i franoni, sui quali far provare i ragazzi da primi ma con corda assicurata dall'alto: da primi e mezzo.
E sono queste le situazioni in cui un istruttore si stanca di più che a tirare una via. Ho ancora ben presente in me il ricordo di quella giornata del corso A1 in Pietra dove ripetei le stesse cose a 20 persone diverse appeso come un salame a una sosta dalla quale dovevano scendere in doppia. Arrivai a casa annientato come neanche dopo la Tot Dret. Oggi almeno è più blanda, non fosse però per il freddo che si patisce a star fermi. Ma anche questo fa parte del gioco, e i sorrisi e le battute che ci si scambia sono una lauta ricompensa a questa fatica.
Luca passa il suoi friends a chi si appresta a salire da primo, o meglio da primo e mezzo, elencandone non la misura ma il loro costo in euro, giusto per mettere a proprio agio la persona: e da buon Karma, un Friends rischia subito di incastrarsi e non venire più via. Con Davide e Tommaso mi ritrovo ad attrezzare una sosta sulla quale disquisiamo talmente tanto che mi sembra più di essere io una giornata di lezione piuttosto che i ragazzi del corso.
Scorgiamo un paio di cordate sullo zoccolo del Castelletto Inferiore, mamma mia se non gli invidio ad arrampicare con questa roccia fredda! Alla fine a discapito delle previsioni meteo, non piove ma non c'è nemmeno il sole, e con questi pochi gradi centigradi sopra lo zero la roccia non deve essere per nulla piacevole al tatto.
Senza voler tirarla troppo per le lunghe, intorno all'una quando ormai tutti quanti hanno fatto un po' tutto, meglio iniziare a scendere per non chiamarcela proprio addosso la pioggia che finora ci ha graziato. In discesa si fa pure beffa il sole che per un attimo appare e ci fa scorgere le cime che erano state nascoste dalle nuvole. Ma tutto dura poco e noi proseguiamo verso valle tra nuovi aneddoti e risate, fino alle macchine, al discorso finale del buon direttore Davide, e infine verso la dovuta rifocillazione. Anche se a dire il vero mi sono mangiato pure già i miei due panini: oggi non sono proprio in equilibrio calorico.

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