sabato 28 novembre 2015

Cercando canali, trovando creste: Vallestrina e Prado con Chucky

E niente, la voglia di Appennino Invernale mi prende e non mi molla. Un po' di neve, la speranza di trovarne di trasformanta nei posti giusti. Una giornata di sole, e una notte di luna possente. La necessità di procurarsi una certa fame per la cena della sera. Gli ingredienti ci sono tutti. E ce ne sarà uno inaspettato, come un vasetto di spezie che ti cade per errore nella pietanza. Un vasetto massiccio.
Parto presto per godermi parte dell'avvicinamento con la luna, dormirò quando sarò morto (speriamo moooolto avanti), ma giunto al parcheggio una presenza inquietante mi sorveglia fuori dal finestrino: un labrador. Che mi salta addosso e vuole entrare in macchina.
Mi avvio sulla strada, passando sotto i getti degli innafiatoi delle piste. Insieme al giovane, c'è anche un altro Labrador ben più vecchio, mi scortano. Immagino che giunti all'imbocco del sentiero mi lasceranno, e invece proseguono, giocherelloni. Arrivo a Pian Vallese, qualche foto e li salito, torneranno indietro: no.
Provo a “cacciarli”, ma mica posso menarli, continuano sulla mia stessa strada: il cane giovani davanti a infilare il muso nella neve, quello vecchio dietro a seguire pazientemente. Tanto loro quanto io, ci fermiamo a osservare la Luna. E ormai anche le prime luci si fanno avanti, il cielo si infiamma, e noi si continua.
Obiettivo di oggi è dare un occhiata a un po' di pareti e canali, e magari salirne qualcuno. Fuori dal bosco, sferzato da un impetuoso vento, devio verso est per portarmi sotto la parete NordOvest del Vallestrina. E continuano a seguirmi. Bello ok essere in compagnia di cani, ma quanto mi seguono? Tornano indietro da soli? Mannaggia, mi sento responsabile. Si inizia a ravanare con le prime distese di neve che si tingono di alba. Non io, al vento.
Nella valle della parete, tutto da tracciare, il cagnolone ha più energie di me, quello vecchio sta dietro. Mi sbraccio, ma non se ne vanno. Mi sa che di canali non ne salgo oggi, mica posso rischiare mi seguano! Ramponato e sotto il canale, capisco comunque che non è il caso. Neve in formato zucchero e zone belle secche sopra di me.
Il cane vecchio resta indietro mentre osserva noi (il giovane che gioca a lanciarsi alla rincorsa della neve in che scende..) che affondiamo nella neve. Fuggo verso la cresta Nord, con ramponi e picca che cercano la terra sotto questa coltre inconsistente.
Eccoci in cresta, al sole ma sferzati dal vento, mi affaccio sulla parete e una raffica mi respinge, il pelo del mio amico tutto ritto per l'aria. Saliamo, con mattonelle di ghiaccio che volano via, neve e sastrugi super lavorati, e finalmente siamo sul crinale est-ovest di vallestrina. Il cagnolone si accascia, ma è presto per riposarsi.
Due passi verso la vera cima, e la prima foto di vetta è fatta. Scorriamo verso il passone, dando un'occhiata giù: mi tranquillizzo, il cagnolone vecchio sta rientrando sui nostri passi verso valle. Bene, posso continuare, altrimenti sarei sceso a riportarlo a casa. Osservo sconsolato i versanti asciutti del Prado, sgranocchio biscotti con quegli occhioni che implorano,e..divido lo spuntino.
Lui gioca lanciarsi sulla neve compatta, ribaltarsi a pancia in su e farsi scivolare verso valle fino a tornare con le zampe a contatto per frenarsi. La croce del Passone è un gioco di neve e vento. Le nuvole toscane iniziano a invadere l'Emilia, ma noi si va avanti. Mi segue, sempre, ormai finisci il giro con me. Sotto la cresta Nord del Cipolla rimetto i ramponi che non si sa mai, e via su.
Avrei voluto esplorare qualche canale, ma è troppo presto per la stagione che c'è. Adesso il cagnolone mi aspetta di più, si tratta di cenge esposte e salita ripida, aspetta di vedere dove passo io per passare poi lui. Ma non ci sono difficoltà e si sale bene, anche un po' più caldi di prima (grazie alla fatica!).
Dalla cima del Cipolla osservo il proseguo, doverosa la salita al Prado. Ricordo un pezzettino dove usare un po' le mani, ma me lo ricordavo più corto e facile, altrimenti sarei sceso per il pendio. Già perchè non credevo di dover sollevare quei 30 e passa di chili di amore tenero per posarlo da una cengia all'altra del tratto tecnico, spingerlo su dal culo e tranquillizzarlo come un allievo. Ma ormai ervamo li in mezzo, toccava uscirne.
Siamo di nuovo su cresta camminabile, e il cucciolone adesso ha una faccia meno spanizza, resta più vicino e fa meno il ganzo. Una volta in cima al Prado, un altra foto di vetta con un cielo che si offusca. In discesa nuova pausa spuntino condiviso, ma non per quanto riguarda il Mars, non mi sembra il caso. Già ho le mie remore per i biscotti, ma non posso farlo morire di fame sto bestione.
Scendiamo verso il Lago Bargetana, con le nuvole che rendono la Nord Ovest del Cipolla un paretone importante. Siamo scesi al momento giusto, ormai il sole è un lontano ricordo, molte vette sono coperte, e il vento non ci lascia.
Incrocio due ragazzi che mi fanno complimenti per il cane, “ma non è mio, mi segue da Febbio!”. Ora il bestione torna a fare il ganzo, a fare avanti e indietro, a partire e fermarsi a guardarmi come dire “oh vieni?”, beh prima eri meno allegro eh! Troppo forte questo cane.
Si scende dal Passone verso Febbio, sprofondando in certi accumuli notevoli, fin giù alla vita. E lui che mi guarda e viene a ripescarmi. Altra gente che incrocio, e altre scuse per l'irruenza di un cucciolo non mio.
Doveva essere una solitaria oggi, e invece sono stato tutto il giorno accompagnato da un mattachione, un bulldozzer della neve, un inseguitore dei granelli al vento, un provetto sciatore senza sci, e un sacco di patate tamugne su certi tratti. Un simpaticissimo amico. Niente salite tecniche, ma tanto ampio respiro.
Arrivo all'auto, verifico che il cane anzianotto è li davanti alla porta di casa sua,bene. E il giovane che fa? Si accascia al suolo e pare davvero si addormenti! Deve essere cotto, ma che giornata che si è fatto! Scambio due chiacchiere con la proprietaria, la avviso che oggi il cucciolone mangerà per tre!

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domenica 22 novembre 2015

Il richiamo dell'Appennino innevato: Monte Cusna


Finalmente l'Appennino si tinge di bianco, e con una bella giornata di sole in vista il richiamo è irresistibile.
Parto in mise non molto invernale, confidente nel sole e nella mia resistenza. Già dal parcheggio si contano un 15cm di polvere bianca, ma senza fondo purtroppo.
Abbandono la strada per risalire dentro un ovattato bosco sul 615, seguendo le tracce di chi mi precede, ma qui non mi perderei comunque.
L'ovattato lascia pian piano spazio a un sole che entra prepotentemente in mezzo ai rami, si fa strada nel bosco carico di neve e colora il cielo di un bel azzurro.
Il mostro Eolo lo si sente già urlare, ma non sono ancora nel suo mirino.
I faggi quasi di punto in bianco lasciano posto al prato oltre il guado, e questo consente al vento di prendermi in tutta la sua potenza: una provvidenziale mano ripara il lato della mia faccia sopravento.
Bellissima sensazione essere in questo spazio monocromatico ma che nasconde di tutto sotto di lui, addolcendo ogni spigolo e limando ogni asperità.
Risalgo in mezzo ad accumuli notevoli, all'ombra, per poi tornare al sole in vista ormai del crinale che porta alla croce del Passone, superando prima un quasi annegamento in neve, e poi di nuovo il vento che non lascia tregua.
Alla croce, sotto di essa, una pausa ristoratrice prima di riprendere il cammino, e anche per poter ammirare Valle del Dolo e del Liocca, unite dal Passo di Lama Lite che si inchina alla mole del Prado.
E allora via verso la schiena del gigante, che oggi deve avere il solito prurito appenninico, visto come il vento lo gratta con vigore cercando di disincentivare la mia avanzata. Sottoguanto, guanto, moffola in lana cotta, copri moffola e sono abile per proseguire.
Il vento ha lavorato parecchio, qui sul crinale è evidente. Neve soffice, dura, lastre, ghiaccio. Erba quasi scoperta, qualche puntina che emerge, accumuli. Il solito variegato e ostile Appennino invernale.
Poco prima del Rifugio Emilia 2000 supero chi mi precede, ora l'apripista divento io. Il percorso ora si fa cosparso di qualche roccia, ma i bastoncini e scarponi non hanno bisogno di essere integrati con picca e ramponi.
Seguo tutta la cresta, ben conscio che il sentiero sta più basso, ma oggi meglio godersi l'altezza. E in breve, dopo una discesa a nuoto, sono alla sella da dove partono le roccette.
Un po di brio, si usano un po' le mani, ma almeno qui sono al riparo da Eolo. Senza nemmeno incontrare troppa resistenza, se non quella alla fotografia (che oggi mi porterà a scattarne più di 100), ecco la croce.
Una fame da placare, sia di cibo, che di sete, che di panorami.
Cima quasi godibile, il vento si è placato, e posso soggiornare un po' al cospetto di croce e madonnina infreddolite.
Scendo per dove sono salito, riammiro le rocce incrostate di ghiaccio, il vento che gli ha sparato proiettili bianchi che non hanno intaccato la scorsa rocciosa ma si sono appiccicati come chewingum.
Di nuovo al Rifugio Emilia 2000 (che non è un rifugio ma la baracchina dell'arrivo della seggiovia) opto per salire sulla terrazza, scoprendo un balcone panoramico oltre che..caldo.
Il vento ha quasi smesso, posso così spogliarmi e godermi il massimo dell'irraggiamento solare, questa è vita.
Confermo la decisione di scendere per le piste, per vedere un po' come sono messe e anche per regalarmi una ravanata che non in salita non ho fatto come credevo.
Gli accumuli si intervallano a zone più spoglie nella parte alta, ma a metà tutto è più uniforme. Qui gli sciatori hanno infatti interrotto la loro risalita per scendere. Un po' al limite come quantità di neve, ma oltre al pelo di f, tira anche una sciatina.
In breve al parcheggio, dopo aver trovato la tana del bianconiglio, per una birra e un panino che bramavo, ma non tanto quanto la neve.

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Qui report.

giovedì 12 novembre 2015

Dal budello al Paradiso: Couloir dell'H al Monte Nero

Quando si dice cogliere la palla al balzo. La voglia di ghiaccio, di drizzare una stagione che ha visto pochissima o nulla alta quota. Meteo perfetto e condizioni buone dai numerosi report. Ma su questo apriamo una parentesi.
La pulce nell'orecchio ce l'avevamo già prima del report degli Alpinisti del Lambrusco, il quale ha poi decretato un assalto a tutto l'assaltabile della parete nord del Monte Nero, confermando anche la nostra prima intenzione. Tutte pecore? Forse, ma non nel tono dispregiativo del detto popolare. Viviamo in un periodo storico in cui la disponibilità di tempo e denaro non è così ampia. Di stagioni meteorologiche che si stravolgono rispetto ai decenni scorsi. Quindi ritengo giustificabile che se si viene a sapere che là puoi andare a colpo sicuro, allora ci vai.
L'assalto di questi giorni consiglia di evitare i weekend per non essere in coda, coda che potrebbe esserci anche in infrasettimanale. Decido quindi, viste anche le ottime condizioni meteo (salvo le temperature), di giocarmi il bonus del giorno di ferie da lavoro. Giovedì è la giornata scelta, mercoledì nel tardo pomeriggio si partirà per dormire al Bivacco Invernale del Segantini.
Partiamo già in ritardo, sosta a Comano Terme per una pizza e birra (io non volevo bere alcool, ma Nicola mi ha costretto!), ed eccoci all'imbocco della Val Nambrone, valle che conosco per un tentativo scialpinistico dell'anno scorso. Breve pausa messaggi per tranquillizzare i propri cari e via su. Il dubbio sulla percorribilità della strada col mio mezzo a quattro ruote si risolve abbastanza bene, e siamo a 2000m.
Carichi come muli iniziamo la salita verso il locale invernale del Rifugio Segantini. Fa caldo, salgo in braghe corte, speriamo che questo non infici sulle condizioni; ma sono giorni che si leggono report di salite.. Chiacchiere e sbeffeggi sotto una stellata magnifica: anche oggi ne vedo talmente tante che non riesco a distinguere l'Orsa Maggiore.
Ultimi metri su neve marmorea, un'allucinazione della vista di una finestra ci fa temere di esser saliti troppo, ma l'altimetro non mente, e dopo qualche momento di scompiglio e di scherno reciproco, eccoci al nostro ricovero per questa breve notte. Qualche foto e via a letto, che sono già le 23 passate!
Suona la sveglia, notte fredda nonostante tutto, e come dice Messner "il difficile è uscire dal proprio tepore". Colazione fugace ma senza troppa fretta, senza doversi limitare nel rumore che facciamo, senza paura di pestare le cose di altri: siamo incredibilmente soli. Alle 4e30 siamo finalmente pronti, una cordata salita dal parcheggio ci supera mentre qualcuno fa pausa toilette.
Saliamo alla luce della frontale sotto un mare di stelle, seguendo i bolli della normale della Presanella. Chiaramente abbiam fatto i cazzoni e studiato poco, e ciò sarà lampante a breve. Neve sparsa, risalita sulla morena e poi sù dritti sulla sua cresta: ma prima o poi dovremo scendere.. Intanto continuiamo a salire, con calma, le frontali degli altri due non le vediamo da un pezzo.
Il dubbio che stiamo salendo troppo si insinua tra noi, ma la pigrizia è tanta e si continua nell'errore. Con le prime luci che invogliano alle foto, siamo costretti a fermarci e guardare relazione e cartina: "..dopo 20min.." e invece noi è più di un'ora che saliamo! Però dai, intuiamo (speriamo) che si possa anche scendere più sù: ormai la luce ci permette di avere una profondità maggiore di veduta, e troviamo un canale per scendere (dove c'è già qualche traccia).
Ramponi ai piedi, altre foto all'alba, e via che si scende. Sembrano secoli che non indosso queste propaggini metalliche: era già stato emozionante preparare lo zaino martedì sera, ora ancora di più, e tra poco la gran felicità! Scendiamo quindi un tratto anche ripido, ci si tuffa sulla Vedretta d'Amola (bah, quel che ne resta), osservando le tracce di chi si è infilato in questa valle prima di noi, ma anche quelle di chi ci si è infilato più tardi!
Il sole inizia a scaldare le pareti est di Cima d'Amola e in parte della Presanella, siamo in paradiso. Ed ecco che traversando il pendio iniziamo a scorgere il budello del purgatorio del Monte Nero, con chi ci ha preceduto poco più avanti di noi. La risalita del pendio ha un po' di ravanata, ma non ci si lamenta. Piuttosto mi fanno un po' paura gli spindrift che scendono dalle altre linee, linee bellissime
Siamo alla base, sotto al masso riparati da quello che arriva dall'alto. L'altro momento psicologicamente difficile è arrivato: attaccare.
Parte Nicola: io ho un timore reverenziale verso queste salite, e considerando da quanto tempo sono lontano dall'elemento "acqua solida", voglio andare con calma. In più voglio lasciare allo scalmanato la possibilità di divertirsi il più possibile. Come ci si poteva aspettare, la corda finisce, si parte in conserva per qualche metro fino a che non mi recupera in sosta. Il primo muretto di ghiaccio arriva presto sotto la fame delle mie picche: goduria.
Riparto io, fatto il primo salto ci aspetta un bel corridoio di neve racchiuso tra il granito tonalite: sarà un crescendo di piacere, proporzionale alle difficoltà che aumentano e a quanto ci incassa in questo ambiente. Saliti i 55m della corda, osservo il mio amico seguirmi da basso. Sulla sinistra qualche protezione si vede, ma è anche il corridoio di scarico di chi sta sopra, e per questo una volta finito il materiale opto per far sosta a destra. Vacca se mi diverto!
Nicola sale i suoi primi metri ben al riparo grazie ai massi sulla destra, ma la sosta gli è obbligata proprio sul lo scarico dell'alto (oh, che poi ci sta lo scarico dall'alto). Osservo la roccia, e sogno il Monte Bianco. Sogno anche i friends piccoli che non abbiamo raddoppiato nella nostra dotazione..
Da S3 uno sguardo verso l'alto rivela che adesso il misto inizia ad affiorare, così come la necessità di infilarsi in qualche ruga del Monte Nero per cercarne l'uscita. Vado, ghiaccio troppo sottile per delle viti (grac, fresata la roccia), e all'uscita dell'imbuto trovo roccia troppo friabile sulla sinistra: amen, poche protezioni e altra conserva lunga, che sbucato sul triangolone di neve mi può anche star bene. E così arrivo a far sosta sotto la ruga.
La nostra S4 è panoramica: un punto privilegiato per poter assaporare dove siamo, cosa siamo e cosa stiamo facendo. Cime non lontane ma al sole, a differenza nostra che siamo all'ombra. Un pinnacolo di roccia che prima sembrava altissimo è ormai alla mia stessa altezza. Uno sguardo verso l'alto che ancora non vede la via di uscita, anzi, vede che ora ci infiliamo nel budello.
L5 è per noi il tiro più duro, infatti vedo anche chi ci sta davanti trovare qualche difficoltà nel superarlo. Arriva Nicola, a lei il divertimento! E anche lui lo vedo salire circospetto, cercare di proteggersi alla bene e meglio, e infine giungere sotto il tratto roccioso verticale, la cui difficoltà è avere neve farinosa sopra dove le picche fanno poca presa. Ma sale, supera, e sul finire della corda fa sosta. Vado io, e forse grazie a qualche cm in più (e la corda dall'alto?!) salgo senza annaspare troppo.
Una S5 un po' (tanto) psico, ed ecco il masso incastrato caratteristico della via. Nicola, vai pure ancora te! Non vedeva l'ora. Ma anche la placchetta spoglia all'inizio ha il suo perchè, e obbliga a una delicatezza degna di Brentino. Si toglie un guanto per metter giù un friend e poi "ma guarda te, mi è andato del ghiaccio nel guanto!" e via ad aspettare dei minuti che lo estragga..
Poi giunto sotto il masso lo vedo contorcersi in questa strettoia per muoversi e proteggersi, e infine salire bene e sentirlo dire "ma era ben più duro giù!". Non posso dargli torto, qui gli agganci di picca ci sono e sono buoni, anche se le punte dei ramponi vanno a cercare impercettibili protuberanze e buchi fantasma. Ormai superato questo è fatta.
Il budello è superato, la ruga più profonda di questa linea è salita, ma anche la parte in alto sembra essere un bel parco giochi, tra neve dura e rocce dove mettere le protezioni e trazionarsi con le mani e picche. Vado io, e più salgo e più sento il cuore esplodermi. Sono quelle sensazioni indescrivibili che mi pare inutile raccontare.
Finita la corda Nicola parte (dopo avermi rotto le balle per non aver allungato a sufficienza le protezioni), ed è dura stare ad aspettare il tempo che smonti la sosta, ho fame di salire! Ultimi metri con qualche passo su roccia, ma sono già in vista della cornice, e adesso anche in vista del sole. Esco sulla cresta, esco dal budello, sono in alto, sono libero, sono estasiato.
Recupero Nicola coi lacrimoni agli occhi, fiero della sosta approntata col materiale rimastomi, eccolo che arriva. Eccolo uscire anche lui e godersi il panorama. Una stretta di mano e un abbraccio reciproco che ci facciamo anche a noi stessi.
La giornata è ancora splendida, quindi nessuna fretta di far su il materiale, piuttosto di mangiare e bere e godersi il panorama. Giusto in tempo, perchè tra poco delle velature offuscheranno il cielo, rendendo il vento che ci sferza non più compensato dai raggi solari: fa freddo insomma.
La Presanella, la mia prima uscita alpinistica, è lì. L'Adamello, una delle fatiche più bibliche è la. Il Care Alto, una delle varie cime che mi ha cacciato ma una delle poche sulla quale non sono ancora tornato è laggiu. Le Dolomiti dietro. La palestra del Baldo a lato. Mi sento a casa!
Dopo una pausa al sole sotto una roccia,finito il godimento, si scende. Solo ora leggiamo bene quanto sia arzigogolata la discesa, che credevamo una cioffeca, e invece. Giù a dirotto verso una fascia rocciosa leggermente attrezzata ma che un po' di disarrampicata ce l'ha.
Siamo così sulla Vedretta Nardis Orientale, lungo traverso a sinistra sotto un caotico versante di pilastri di granito dall'aspetto poco saldo, e si giunge a un altro tratto attrezzato per la risalita verso la Bocchetta di Monte Nero. Tutto ciò rende la discesa meno monotona di quello che si temeva, ma anche più faticosa, divertente, e ricca di sfottò e prese in giro reciproche.
Gradini e cavi, una finestra verso il Brenta, e poi si passa di la, all'ombra, sopra la Vedretta di Monte Nero. Discesa un po' più complicata e meritevole di attenzione visto il cavo semicoperto, ma non abbiamo fretta, siamo qui per goderci la giornata in pieno! Per respirarcela tutta!
Finito il cavo, finite le difficoltà, camminatone su neve a volte non portante, in un limbo virtuale tra le stagioni: l'estate che domina ancora l'orizzonte, un debole autunno in questa ombra frigorifera. Tutto vista Brenta davanti a noi, fino a giungere a una sorta di pianoro fatato, sul quale il tempo sembra sospendersi. Finita l'acqua da bere.
Ancora giù per il pistone, con le anche e i piedi che iniziano a dolere (non più abituati a questi scarponi) ed eccoci arrivare dove stamattina abbiamo deviato per scendere verso l'attacco. Alla luce del giorno vedremo più avanti le tracce in basso.
Sulla morena sembra di esser di nuovo al confine di due stagioni: a sinistra l'autunno con le sue prime nevi,  destra l'estate con la roccia, terra, sfasciumi secchi. Via i ramponi, che ci leghiamo vicendevolmente allo zaino, ognuno convinto che l'altro li abbia legati malamente. Dei versi di rana richiamo la nostra attenzione: sono pernici bianche.
Il tramonto si fa spazio, il Brenta si spegne man mano.. La magia del rosso che avanza, e scompare.
Di nuovo al Segantini rifacciamo i nostri zaini, una volta per tutte in modo da arrivare all'auto e poter partire subito, che è tardi! Ci fosse ancora luce ci potremmo godere questo paradiso, queste visioni di cime, ma il buio ha già fatto capolino, e di conseguenza la voglia di tornare a casa per bramare altre giornate come questa
PS: grazie del bigliettino sull'auto. Nella salita avevamo una cordata che ci precedeva, che abbiamo "redarguito" perchè almeno poteva avvisare quando scaricava ghiaccio (normale che qualcosa si stacchi, anche se si spera sempre nella delicatezza di chi sta sopra), e che gentilmente non vedendoci più ci ha tenuto a sapere che stavamo bene.

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