domenica 26 maggio 2019

In memoria di Tom

Non sono molte le persone che lasciano il segno in quella di altre: Tom è stato per me una di queste. Che sia chiaro, non eravamo amiconi, non scalavamo insieme, non ci sentivamo se non saltuariamente con qualche commento su Facebook.
E allora cosa vi sto raccontando?
Tom era una persona genuinamente semplice. Semplice, non banale. Anzi, eccezionale nella sua semplicità. Chi ha visto il film sulla sua storia (girato quando era ancora vivo, durante il suo progetto “Starlight and Storm”: la scalata delle 6 più impegnative pareti nord delle Alpi, da solo, in inverno, in un solo inverno) può capire cosa intendo. In una scena l’intervistatore gli pone una domanda che poi lui riprende nella sua risposta: “Who am I? I am me.”
La prima volta che l’ho visto, non sapevo chi fosse. Ero in campeggio in Val di Fassa col mio amico Riccardo, a zonzo per vie normali e scalate (facili), e una sera a cena mi disse indicando uno degli angoli più appartati del campeggio “Oh ma hai visto chi c’è? Tom Ballard!” “Chi?”. Lo abbiamo visto solo una sera, e di sfuggita: schivo e timido lui, un po’ anche noi, tutti e tre probabilmente più impegnati di giorno a masticare dolomia e di sera a cercare riposo. Era più facile vedere e scambiare qualche battuta in uno stentato italiano o in un maccheronico inglese con quel simpaticone di suo padre.
Più tardi mi documentai. Più tardi lessi delle sue imprese: prima di “Starlight and Storm” non si trovava nessuna notizia al suo riguardo, nonostante la classe, le ripetizioni e le nuove aperture di vie. Ma a lui non fregava nulla di farsi notare, di farsi pubblicità: a lui interessava scalare, solo quello. Niente fanfaronate, niente interviste. Rimanere silenzioso e vagabondare liberamente per le Alpi a bordo di uno sgangherato furgone con suo padre (“We don’t have a home. We put our home into a white van.”), fermarsi e innamorarsi (e non solo delle Dolomiti) in Val di Fassa.
Sponsor? Abbigliamento performante? Tom era un mago del riuso e del cucito per ripararsi abbigliamento e zaini. Attrezzatura all’ultimo grido? Tom era per così dire..un discepolo della Terrordactyl. I chiodi? Fabbricati anche loro nel capanno a suon di martello. “It’s not what you have, it’s what you do with what you have.
Questo era Tom: vita semplice e pura. Criticabile? Certo, ma molto invidiabile per noi che ce la complichiamo con mille paranoie e problemi. Tom era la dimostrazione che si può vivere così: non che sia facile, ma si può.
Finalmente arrivarono gli sponsor. E mi immagino il suo sbigottimento di fronte a un funzionario de La Scarpa (tanto per dirne uno) che gli bussa al telo della tenda e gli dice che vorrebbero averlo in squadra: “Who? Me?”. E gli sponsor, che tu lo voglia o no, portano notorietà per avere loro pubblicità.
Seguirlo era diventato più facile. Ma ancora non lo conoscevo, e l’impressione che mi dava era di essere un forte alpinista sì, ma umanamente duro, cupo, forse pure supponente: vuoi perché inglese (lo stereotipo è quello), vuoi perché data la bravura se lo può permettere. Sta a vedere che adesso si monta la testa, pensavo erroneamente.
A ottobre 2015, per caso misi su Google il suo nome, saltò fuori una serata che aveva tenuto a Canazei l’estate prima, e pensai “perché non provare a chiamarlo a Carpi?”. Mi misi all’opera, era la prima volta che tentavo di fare qualcosa di simile: proposi la cosa in sezione, scrissi al comune di Canazei per sapere a chi potermi indirizzare, mi passarono un contatto per arrivare a lui, e pian piano ecco fatto: 05/02/2016: serata al CAI di Carpi con Tom Ballard.
Spero che molti dei lettori abbiano avuto la fortuna di assistere a quella serata.
Lo ospitai nell’appartamento dove convivevo con la fidanzata che avevo a quei tempi. Venne con la sua ragazza, Stefania, e mi scusai perché a disposizione avevamo solo un letto singolo per entrambi: mi rispose che non c’era problema, che in montagna dormiva anche sui sassi, e che quindi gli stavamo già offrendo una suite. Prima della serata mangiammo tutti e quattro una pizza in compagnia, insieme alla persona che alle serate gli faceva da spalla (Virna) e di Primo (l’allora presidente del CAI di CarpI). Dopo la serata, ci andammo a bere una birra in compagnia di altri istruttori, tutti giovani: ci trovammo così in un contesto molto più informale, in cui venne fuori la sua semplicità e il suo essere terra terra. Tra le varie gag ricordo bene quando, dopo avergli raccontato a sommi capi di cosa mi (e ci) accadde sulla Verte, mi guardò e disse “What stupid thing”. Per poi alzare il bicchiere e fare un brindisi al poterlo raccontare. Per la cronaca, poco dopo, gli riproposi la sua stessa frase in seguito a una delle sue “stupide cose” che aveva combinato.
La mattina dopo, a colazione, dovetti lottare strenuamente per accaparrarmi biscotti e paste prima che le divorasse tutte lui. Con Stefania se ne andò in treno: mi offrii di accompagnarlo in stazione (che distava poche centinaia di metri e solo un paio di svolte): “Dai, se mi oriento in montagna, dovrei arrivarci in stazione!”. L’ultimo tratto per arrivare in Val di Fassa lo avrebbero compiuto autobus.
Quelle poche ora passate insieme mi lasciarono il segno. I pregiudizi che avevo erano del tutto sbagliati. Tom era un ragazzo, che come noi aveva dei sogni, delle speranze, la voglia di vivere, di vivere felice. A differenza di noi, aveva realizzato il suo sogno di vita: scalare. Scalare e basta, vivere una vita più che umile, dedicata solo alla montagna. Quella vita che molti di noi (tutti?) reputano impossibile, era possibile: vivere di poco e con poco, fare senza dire troppo, esser felici dell’essenziale. “Being in the mountains is very natural to me. I don’t see myself anywhere else”.
Lo stesso anno mi recai al Trento Film Festival, anche per vedere il film dedicato alla sua storia. Tanto quanto semplice è il protagonista, tanto semplice il titolo del film: “Tom”. I registi sono stati davvero bravi e il ritratto che ne viene fuori è davvero il suo. Varie sono le frasi simbolo di questo film-documentario.  Oltre alle citazioni che ho già utilizzato, un’altra, stavolta di suo padre, è: “You have to do what you want. Tom never wanted to be anything else, for as long as he can remember, but a climber. And that's what he is.
Semplicità e purezza d’animo.
Poi venne il Nanga Parbat. Era scontato che Tom prima o poi andasse oltre le Alpi: la sua classe gli poteva aprire tutte le porte e far salire tutte le cime. Quello che non credevo sarebbe stato possibile, era che Tom potesse anche cambiare il mio modo di ragionare.
Sono una persona spiccatamente razionale. Il mio segno zodiacale (per chi ci crede, non io), la mia formazione scolastica e professionale, la mia attitudine, spingono a far prevalere in me il cervello sul cuore (chiaramente non quando si tratta di avventure e problemi amorosi, non sono mica un robot). Quando lessi che Tom e Nardi non davano loro notizie da qualche giorno, pensai e sperai che fosse solo questione di batterie scariche o qualche cavolata del genere. Quando i giorni aumentarono, il mio cervello già sapeva cos’era successo, ma il mio cuore riusciva a mettere a tacere in modo categorico l’organo della ragione. Era una dura lotta in me, che diventava più aspra man mano che passavano i giorni. I messaggi di incoraggiamento ai suoi cari e la pubblicizzazione della raccolta fondi per le operazioni di recupero erano le sole cosa che potessi fare. No, un'altra cosa potevo fare e invece hanno fatto in pochi: stare zitto. Evitare la morbosa condivisione sui social di quei titoloni di giornale, scritti da gente che manco sà cosa sia una piccozza, delle interviste a opinionisti la cui carriera alpinistica tocca il culmine con la salita a Punta Rocca (in funivia). Non mancavano neppure gli alpinisti di spicco a dire qualche bestialità, quando invece l’unica cosa da fare era sperare, aver rispetto delle persone in ansia per loro, e rimandare certe considerazioni una volta conclusa la vicenda. Addirittura, e di questo bisogna ringraziare la società che ha fame di questo pane marcio, giornalisti che hanno travisato le parole di personaggi di spicco, aizzando le “fazioni” di “se la sono cercata”, “inseguivano un sogno”, “spiriti liberi”, “che sia da monito per i prossimi”. A condire la rabbia si aggiungevano la guerra e permessi di volo che hanno ostacolato le ricerche, le diatribe tra la compagnia aerea e chi doveva sborsare il denaro, i soccorritori che invano aspettavano l’arrivo dell’elicottero, e il maltempo.
Il cuore continuava a sperare. Il cervello si limitava a documentarsi sui canali ufficiali, a filtrare le balle che venivano scritte e condivise sui social. Poi, dopo due settimane, dopo una giornata di arrampicata demoralizzante ma lieta per averla condivisa con un amico, arrivato all’auto la prima cosa che lessi sulla pagina di una fonte ufficiale fu “ricerche sospese”.
Boom.
Il cervello sussurra al cuore “mi dispiace, ma te l’avevo detto”.
Ciao Tom, non ti dimenticherò.

PS: le citazioni in grassetto sono prese dal film “Tom” di Kottom Films, acquistabile qui: ne val la pena.

domenica 12 maggio 2019

Sperandoci e divertendosi: Ghiacciaio del Ventina (AG1 2019)

Arrivato a questo punto la sensazione preponderante che dovrei avere è quella di sollievo: certamente un corso lo si fa perché fa piacere, un lavoro per dovere ce l'abbiamo già. Ma tramandare la nostra passione e cercare di farlo nella massima sicurezza possibile, è comunque dispendioso come energie e tempo da dedicarci. E da direttore del corso c'è pure una certa componente di ansia e preoccupazioni varie non proprio trascurabile. Siamo all'ultima uscita del Corso AG1 2019 del CAI di Carpi.
E invece oltre al naturale sollievo per un alleggerimento degli impegni fisici, morali, temporali,  pervade anche un certo dispiacere. La vetta non è stata raggiunta, non è nemmeno stato tentata, ma nonostante ciò il week-end è stato spassoso, divertente, sereno. Una grande armonia tra tutti, allievi e istruttori: momenti di attenzione ma anche grasse risate a tutto tondo, bonarie prese in giro e sorrisoni. L'alpinismo sarà anche (anche, mica solo!) sofferenza, ma la compagnia nell'alpinismo deve essere questo: complicità e buon umore.
Sabato mattina partiamo con le orecchie basse: le previsioni, costantemente monitorate da una settimana a questa parte, giovedì davano per il weekend un sabato di pioggia debole e temporali in serata e una domenica di cielo quasi limpido. Venerdì la situazione era già peggiorata con piogge anche moderate per tutto sabato e stratificazioni o nuvoloso per la domenica. Quello che rimaneva costante era il vento forte di domenica. Sabato invece e la situazione è precipitata dando anche per domenica tempo molto nuvoloso con pioggia debole.
Così l'avvicinamento del sabato risulta essere praticamente tutto sotto l'acqua. Magra consolazione constatare che "l'ombrellino d'alpinismo" fa proseliti: anche Tommaso e FabioSca salgono con l'arma di Mary Poppins, ben più confortevole di un impermeabile che fa sudare un sacco e che non copre lo zaino. E domani, arrivare al parcheggio di casa alla domenica sera e trovare Gianluca che di fronte a Nicola mi mostra una foto del maestro appeso in parete con l'ombrello.. non ha prezzo.
L'uggiosita è tanta, oltre alla pioggia una nebbiolina densa e un cielo plumbeo: oltre a un ambiente piuttosto brullo che ne fa un quadretto autunnale di tutto rispetto. Ma la carica è tanta, lo "starbene" è già palpabile un po' in tutti, e quindi l'allegria regna sovrana.
Solo le sabbie mobili nevose tra il Rifugio Porro e il Rifugio Ventina fanno digrignare i denti: quell' affondare in modo incontrollato fino al ginocchio o anche ben oltre quando meno te lo aspetti, è una situazione che rompe le scatole e non poco. Ma almeno sono solo 200 metri.

Al rifugio ci accoglie Oreste e suo padre, bonari gestori del Rifugio Ventina. Ci siamo solo noi (e te pareva) possiamo quindi fare i nostri comodi e ciò che meglio preferiamo: installatici in camera e consumato il pranzo al sacco che c'eravamo portati, cambiamo la disposizione dei tavoli e sedie per svolgere la didattica prevista con un tetto sulla testa: ovvero in sala. Fuori piove abbondantemente e uscire a bagnarsi come pulcini e tremare come foglie non mi sembra una scelta saggia.

Dopo un ripasso del cordino da ghiacciaio, sul quale vedo tutti piuttosto ferrati, e della legatura in cordata, giunge il momento del recupero in crepaccio con paranco mezzo poldo. FabioSe si offre volontario per essere soccorritore e Mirco viene scelto come volontario per essere il sacco di patate caduto nel crepo.

Piantare chiodi o metter giù viti da ghiaccio nel pavimento della sala non è un comportamento da bravi ospiti (a meno che si voglia esser defenestrati nel cuore della tempesta), quindi usiamo le gambe del tavolo come ancoraggio provvisorio e ancoraggi definitivi, con il buon FabioSca che "rinforza" la sosta col suo peso.

Tra una domanda trabocchetto e l'altra, un nodo a palla e l'altro da scavalcare, Mirko riemerge dal crepo. Prima di ripetere l'operazione con altri volontari la pausa caffè diventa fondamentale per tutti: soprattutto per me che mi lascio andare a un "Non puoi avere la moglie piena e la botte ubriaca". Niente sveglia alle 3, ma la stanchezza c'è.

Ah, che bellu ccafè pure 'n carcere 'o sanno fà, adesso tocca ad AnnaM recuperare il recidivo (e chissà se redivivo) Mirko. Nel mentre continuiamo a osservare fuori dalla finestra: è autunno pieno con grigio, nuvole e pioggia e adesso pure qualche fiocco di neve. Resuscitato di nuovo l'alpinista zavorra, è il momento tanto atteso ma tanto rimandato per timori vari: discutere a tutto tondo delle possibilità che ci sono rimaste per domani.
La Nordest è già piuttosto chiaro che rimarrà un miraggio. Ci accontenteremo ampiamente e saremmo soddisfatti anche di una nordovest o della via normale! Aspettiamo che arrivino Roberto e Francesco con le novità sulle previsioni meteo, ma probabilmente ogni decisione sarà rimandata a domattina quando ci alzeremo e guarderemo fuori dalla finestra.

Con le picozze saremo anche scarsi, ma con le forchette ci facciamo dare del voi. I pizzoccheri del rifugio sono un must che meriterebbe una visita dello chef Rubio. Anche se iniziano a essere serviti quando alcuni di noi sono fuori alla chiesetta del Rifugio Porro per telefonare (mitico FabioSca che si porta dietro 5-6 telefoni dei pigri che non vogliono uscire) e i due partiti più tardi ancora non si vedono.

Roberto e Francesco arrivano appena in tempo per il piatto fumante, e subito l'allegra brigata si consolida coi due nuovi spassosi elementi. Anche "Stefano" ci mette del suo. E in un attimo le preoccupazioni per domani lasciano posto alle risate di adesso. Il piano è il seguente: 4:30 colazione e vediamo che fare. Buonanotte ai suonatori e ai russatori.

Di certo non mi manca il sonno, ma quelle due o tre volte che mi sveglio sento fuori Eolo dare il meglio di sé: mi ricorda quella volta che abbiamo dormito in tenda in Appennino con la tenda schiacciata sulle guance per il vento, con la paura di volare via da un momento all'altro. Se potevo ancora nutrire qualche speranza di riuscire a salire almeno la normale, inizio ad avere forti dubbi

Suona la sveglia, un'occhiata fuori dalla finestra: è ancora buio, e di stelle manco l'ombra. Alberi incurvati come fronde dei salici e tanto pessimismo nell'aria. Tutti svegli a fare colazione, tutti con la faccia dubbiosa del "che si fa?"; decidiamo comunque di mangiare visto che il gestore si è svegliato per noi, e di tornare a letto un'oretta per vedere se la situazione migliora col passare del tempo. Appuntamento alle 6:30 in sala.
La sveglia suona, riguardo fuori e nulla è cambiato a parte la luce del giorno. Nella mia stanza nessuno esce dalle coperte. Scendo e tutte le altre stanze con la porta chiusa. Vado in sala e non c'è nessuno. Apro la porta per dare un'occhiata fuori e non c'è nessuno. Guardo nel ripostiglio dove abbiamo ammassato tutta la ferraglia e non c'è nessuno. È che c**** allora torno a letto anch'io!
Dopo 20 minuti però non c'è trippa per gatti, tiro giù tutti dalle brande che almeno due passi ce li andiamo a fare. Vestiti, armati, ciaspolati e legati siamo pronti per tentare di smaltire almeno la colazione. Due scialpinisti partiti da valle ci precedono, e noi dietro con le racchette da neve. Noi tutti ma non tutti: in cordata con me ci sono Emanuela e Luciano, ma la prima è sprovvista di ciaspole e questo "handicap" esplode già nei primi metri. Già con le ciaspole la crosta superficiale cede e lascia sprofondare per qualche centimetro il malcapitato, ma per lei si parla di decine di cm.
Ma tanto non c'è fretta, non ci sono orari da rispettare o mete da raggiungere a tutti i costi (purtroppo): io e Luciano possiamo aspettare senza nessun problema. Le altre cordate ci passano quindi man mano avanti, per primi quel Roberto saltato su all'ultimo minuto pieno di dubbi sulla sua condizione fisica e che invece adesso scheggia insieme a FabioSe.
Anche Tommaso con Soana e AndreaG sfilano avanti. L'ambiente è ovattato, la neve è presente quasi ovunque tranne che sulle rocce più ripide. Il vento in alto a destra soffia e genera spindrift evidenti. Il pizzo Cassandra è un vedo ma non vedo. Dopo il tratto nel radissimo bosco entriamo nel toboga delle vecchie morene del ghiacciaio: muri di terra e sassi alti decine di metri che lasciano immaginare quanto una volta fosse possente il ghiacciaio del Ventina e quanto sia ridotto a essere un piccolo nano adesso. Tristezza.
Il vento soffia ma provenendo dalle spalle non dà nemmeno troppo fastidio, sarà peggio in discesa! Anche Mirko è senza ciaspole e ci mette un po' la sua cordata, composta da AnnaT e Marco, a raggiungerci. Formichine sul ghiacciaio che salgono verso l'alto, anche se la linea di demarcazione tra il letto del torrente e l'inizio del ghiacciaio è difficile da trovare essendo tutto coperto di neve. è difficile anche trovare un punto da porsi come meta, raggiunto il quale tornare indietro, visto che tanto molto avanti non potremmo andare anche per la neve fresca evidentemente caduta, che rende l'ambiente piuttosto ricco di pericoli oggettivi minimizzabili.
Emanuela stringe i denti e continua la sua avanzata: il tratto peggiore era quello iniziale ma ogni tanto le condizioni del terreno le fanno ancora maledire le ciaspole dimenticate vicino alla porta d'ingresso ieri mattina. Siamo ormai li lì per tornare indietro, ma vedo che anche il resto del gruppetto si è fermato più avanti: tanto vale raggiungerli per comunicargli che noi facciamo dietrofront. Ma anche loro sono dello stesso avviso e quindi via giù tutti insieme! Una foto di gruppo qualche risata soffocata dal vento e via lontano da questo tepore!
E adesso sì che Emanuela ci sta avanti più comodamente: coi ramponi ben saldi mentre noi con le ciaspole che un po' scivoliamo via. Il problema è quando si ritornerà sul piano, una sorta di gioco delle marmotte dove un piede affonda e l'altro anche. Insieme a Mirko cercheranno di fare la traccia migliore possibile: un po come risolvere teoremi irrisolvibili.
Tornare a infilarsi dentro il toboga della vecchia morena è piuttosto suggestivo in questo verso di percorrenza. Sembra di scendere nei più segreti angoli della montagna, a scoprirne un pezzo di storia per poterne leggere il futuro.
Arrivare al rifugio è in parte un sollievo per aver lasciato quelle condizioni un po' proibitive, ma è anche un momento in cui si sà che prenderemo un sacco di freddo nel risistemare gli zaini per scendere. E proprio per questo motivo il peso degli zaini lievita parecchio, facendoci tornare alla memoria la salita da muli da somma di ieri. Ma questo vuole anche dirsi avvicinarsi alla gioviale birra finale.
Sotto una debole ed effimera nevicata scendiamo verso la macchina, in uno scenario meno grigio e più confortevole di ieri (ma giusto un po'). Il tutto in contrasto con quello che è stato l'animo del weekend, sempre piuttosto giocoso, complice e scherzoso. Tante risate nonostante il meteo!

Qui altre foto.

sabato 4 maggio 2019

Minima spesa massima resa: Tessari climbing

Quando hai poco tempo d'orologio, quando il tempo meteo è incerto, quando hai comunque voglia di arrampicare fuori all'aperto, Tessari resta ancora il miglior compromesso. Scrutato il radar piogge prima di partire da casa, abbiamo lo stesso il timore di finire su resina al King rock, ma al casello di Verona nord ci armiamo di fiducia e continuiamo dritti.
L'azzardo ci dà ragione. A Tessari non piove anche se non splende certo il sole. Ci avviamo per il vigneto verso la parete rigata: questa maledetta lacrime di Madonna continua a sfuggirmi con quei primi metri davvero ardui, e ci spostiamo per qualcosa di molto più easy verso la via delle formiche.
Siccome le difficoltà sono concentrate nella parte centrale della via, concordiamo che sia meglio che parta la Ste. In realtà le difficoltà maggiori di questa via sono dovute alla poco raccomandabile consistenza della roccia: nulla a che vedere con la Tessari classica con le vie che corrono sul trapezio, dove la roccia sembra essere un tutt'uno con la montagna. Qui la roccia sembra sia stata appoggiata sulla montagna in vari blocchi blocchetti blocchetti.
Il secondo tiro è comunque carino, con un diedro che strapiomba pian piano e qualche altro bel passaggio. Ma mi muovo piuttosto lento e guardingo a mo' di bradipo, a tastare ogni singolo appoggio e ogni singolo appiglio. In questa maniacale ricerca della solidità, o meglio in questa costante maniacale voglia di evitare ciò che si muove, salto pure parecchi chiodi senza vederli.
Anche sul sul terzo tiro proseguo io per non rischiare che alla mia compagna di cordata passi la voglia di arrampicare per il resto dei suoi giorni sì. Nonostante gli 80 metri di corda singola (da casa eravamo sicuri che saremmo finiti in palestra) ci fermiamo a tutte le soste dichiarate, anche se c'è più corda da recuperare di quella che abbiamo issato da una sosta all'altra.
L'ultimo tiro dovrebbe essere un facile spigolo: ci alterniamo senza passarci il materiale. Prima di partire le ho ben chiesto se volesse qualcosa ma mi aveva risposto in modo negativo visto lunghezza del tiro e difficoltà. Poi però, dopo 10m, me la vedo tornare indietro e lanciarmi una catena di cordini annodati tra loro a bocca di lupo (ma come si fa il bocca di lupo?) sulla quale agganciare tutti friend e nut che ho.
Altro giro altro regalo: raggiunto il sentiero si scende più o meno rapidi per andare ad affrontare un'altra via. La zona oggi non sembra nemmeno essere particolarmente affollata, oppure la maggior parte della gente si è spostata verso altri settori. Dopo la roccia mediocre della via delle formiche, meglio rifarsi gli occhi con una via del trapezio. Indecisi su quale fare, o meglio visto che una vale l'altra, ci fermiamo su Noi ragazzi di ieri.
Ora invece sì che vista la linearità della progressione e la qualità della roccia possiamo sfruttare tutti gli 80 metri di corda e salire come se non ci fosse un domani. Parto io, e quel IV+ del primo tiro mi sembra un pochino avaro. Passi delicati e spostamenti a destra e sinistra per vincere la verticalità con non sempre ottime mani: ma almeno quando c'è da tirare puoi farlo senza patemi.
È tutto il giorno che ci guardiamo attorno osservando le nuvole come le sentinelle dei fortini controllano che il nemico non si presenti all'orizzonte, e siamo sempre lì lì per chiamare rinforzi, o meglio per affrontare la ritirata. E invece non ce n'è bisogno. Riparte Stefania per la seconda metà della via: dovrebbe farcela a uscire con tutta la corda che abbiamo..
Ah! Per quanto riguarda la lunghezza della corda non ci sono problemi, ma per la fatica che ne scaturisce nel portarsela su tutta e gli attriti che tutte le protezioni comportano.. quando finalmente la raggiungo in sosta ha una delle facce più stanche che io abbia mai visto: gli ultimi metri di arrampicata son stati vinti tirando su con le mani qualche metro di corda per poi fare qualche passo di arrampicata, e così per varie volte. Poi il mio recupero è stato eseguito.. va là lasciamo perdere che sarebbe da arresto!

Giornata incerta riempita certa, non ci si può lamentare!

Qui altre foto.