domenica 24 giugno 2012

Una giornata in palestra: Cusna e Prado


Siccome non riesco a fare altro, escogito una giornatina nella mia palestra preferita: l’Appennino reggiano.
La sveglia suona alle 0e30, perché vorrei iniziare il trekking che mi sono prefissato con un’alba sul Cusna: ma ho troppo sonno vista l’intensa settimana di lavoro, perciò volto gallone e mi sveglio due ore dopo. Un safari di animali da Cerredolo fino al parcheggio: una capriola che mi evita con una capriola, un roditore che non capisco cosa sia, una volpe, e altri ungulati. E al parcheggio? Mentre mi cambio una volpacchiotta mi passa dietro a pochi metri, guardinga ma socievole, si sposta a mangiucchiare qualcosa: la avvicino a 4 metri e non fa una piega..tac, foto (da bestia vista la luce e la macchina fotografica..).
Via si parte. Cerco di tenere un buon passo, lo scopo di oggi è fare un po’ di allenamento, la zona la conosco e i panorami pure: ma resto sempre affascinato dal suo verde che abbaglia. Fastidiosissime mosche mi innervosiranno tutto il giorno: e passi il ronzarmi intorno mentre tutto sudato salgo, e passi il posarsi sullo zaino e scroccare così un passaggio verso l’alto, ma rompermi il cazzo in faccia no! Sbraccio come una scimmia, se uno mi vedesse da lontano penserebbe che lotto con l’uomo invisibile.
Come sempre sbucare dal Passone e godersi l’Abetina Reale, il Prado, la valle dell’Ozola, fa il suo effetto. Poi via sulla schiena del gigante, che solletico fino a giungere alle roccette. Le roccette del Cusna, mi fanno riflettere sulla mia evoluzione: la prima volta che le affrontai, ero timoroso, e le salii con un po’ di preoccupazione. Ora quasi quasi ci corro sopra. Evoluzione dell’alpinismo (almeno, ci provo).
Prima cima raggiunta, mi mangio qualcosa e cerco di approfittare della madonna per asciugare la maglietta: la madonna indossatrice, ma invano, me la cambio e amen. E adesso vero il Prado: già concatenate altre volte queste due cime, ma sempre passando per la costa delle veline. Oggi invece decido di scendere fino a Presa Alta e risalire.
Finora mi sono stupito di vedere poche marmotte, ma mi rifaccio presto. E scendendo, sui pratoni sotto di me un numeroso branco di caprioli. O cervi? O altro? Non lo so, ma sono più di venti, che spettacolo! E per continuare il safari, un mega rapace sta appollaiato sul crinale: un’aquila? Non lo, son lontano ma sembra grande grande. E poi ha più il fare di un avvoltoio, così fermo ad aspettare una carcassa: la mia non l’avrai!
E rientro nel bosco: che piacevole frescura.. Rispetto al caldo della pianura si sta bene, si suda ma si sta bene. Da Presa Alta risalgo, sempre nel fresco del bosco. Ormai l’ora è abbastanza avanti da dover incontrare altri escursionisti, invece pochi e rari. Meglio. Poi mi tocca abbandonare il bosco per un assolato crinale: eh, ma lo sapevo che sarebbe stato così!
Seconda cima, Prado. Rimpastando la frase di Marco di domenica scorsa, “beh, due 2000, è come aver fatto un 4000!”. Magari, e ricomincio a sognare le salite sui giganti alpini. Altra sosta per mangiare, e per stendere un po’ i vestiti al sole. Ma il sole inizia a fare il timido.. E nuvoloni sembrano salire sul versante nord del Cusna. La mia idea era scendere nella valle del Dolo e da qualche parte risalire su Ravino e o sull’Alpe di Vallestrina: ma non ho voglia di pigliare un temporale, i miei 2000m di dislivello direi di averli circa fatti, a casa avrei di come occupare il tempo (eccome), perciò giù.
Ovviamente mica giù per il sentiero facile, ma per la delicata (ma solo in un tratto) e esposta cresta nord del Prado, e ancora per l’esposta cresta nord del Cipolla. E intanto anche dal Passone salgono nubi. E sul Ravino non si deve stare troppo bene.. Dai, ho fatto la scelta corretta.
E così finisce la giornata montana di oggi, immerso nel piacere della mia palestra, tra animali, verde, e libertà nella mente. Avrei voluto concluderla con un giro (e un bagno, perché no?!) alle cascate del Golfarone, ma non ho patito così caldo, e dalle auto vedo che sono affollate!

Qui  altre foto.

domenica 17 giugno 2012

La stagione dei 4000 abbia inizio: Polluce e Castore


Why not?! Weekend con meteo splendido, addirittura caldo, so che i prossimi due non potrò far nulla, perciò perchè no? Perché non partire con la prima alpinistica dell'anno? Pardon, dopo MarmoladaPunta Oberettes, e altre, dire" la prima" non è corretto..bando a queste finezze, andiamo. Siamo carichi come delle molle, lo sms di Riccardo a mezzanotte in cui gli chiedo “cosa fai ancora sveglio?!” è emblematico: “adesso vado a letto, sono tutto eccitato”. Io non sono da meno: sul Rosa siamo stati solo ai tempi del corso di alpinismo da allievi, e andò maluccio: il regno dei giganti di ghiaccio non fu molto accogliente. Per Marco sarebbe il primo 4000, e quindi anche lui freme.. Non si può tornare con le pive nel sacco! Poi Nicola mi ha prestato la sua macchina fotografica, “così almeno fai qualche foto decente!”, glielo devo.
La giornata inizia come previsto: giocando a tetris. Siamo io, Riccardo, Marco e Gianluca, sulla Musa, 4 zaini voluminosi e le borsette varie. Ma ce la fecimo per il San matteo, ci riusciremo anche stavolta! Poi si parte.
Come sempre, l'attesa per una sfida importante ha una serie di step. Mentre si insinua l'idea la volglia cresce, e c'è solo della positività. Poi l'idea diventa progetto, e nella frenesia generale le insidie si tengono in considerazione, ma passano in secondo piano con un “oh, vedremo dai!”. Poi gli sms e le mail di invito e conferma, con in allegato il programma. E iniziano le domande che insinuano dubbi. Ma te hai redatto il programma, devi essere sicuro delle tue proposte. La partenza: tutti sono eccitati, è il momento più carico (dopo la cima). Ma durante il viaggio..pian piano i dubbi si insinuano.
Gli impianti aprono settimana prossima, perciò tracce ce ne saranno? Forse qualcuno è salito dal rifugio. Ma la neve? Il rifugista ha detto che ce ne è ancora.. E il Bernina ne è pieno da quello che mi ha detto il capo del marco e Rosa. Saremo solo noi sul ghiacciaio? È bello esser soli, ma..fa più paura. Ce la faremo sulla cresta? E il fisico? Ciaspole si ciaspole no..? Da Saint-Jacques al rifugio sono 1700m di salita.. E in questa fase, non dico che viene voglia di tornare indietro, ma subisci un ridimensionamento tale da farti crollare i sogni. Poi entri nella valle d'Ayas, e li vedi, laggiù.
Sembriamo quattro ragazzetti appena entrati in pubertà davanti a una donna che ci apre le..beh avete capito. Gli occhi sono là, puntati, dritti, non si staccano. (beh spero quelli di Riccardo che guida siano sull'asfalto). I giganti. Arriviamo. Ce la faremo. Almeno il Polluce, a costo di metterci il triplo del tempo e battere traccia! E che cazzo!
Alla piazza di Saint-Jacques due cose ci rincuorano. Uno, il servizio jeep che ci toglie buona parte della strada (che vediamo essere una pallossisma strada forestale), portandoci al Pian di Verra Superiore, 2900 e sblisga. Due, parcheggio pieno, probabilmente c'è molta gente che ha voglia di aria rarefatta, batteremo traccia un po a testa.
Poi due chiacchiere con l'autista della jeep hanno un doppio effetto. Ci rincuorano “ho già portato su una trentina di persona”. Ci preoccupano “domani dopo pranzo mettono pioggia” “per dove pensate di salire sul Polluce? Lo scivolo è una lastra unica pronta a venire giù..”. Siamo qui, ormai si va, testa bassa e pedalare!
La salita al rifugio ce la prendiamo abbastanza comoda. Gianluca è sempre la davanti a tutti, io dietro: un po' insolita come situazione. Ma non sto bene, il pranzo, le curve per strada, il non essere andato in bagno si faranno sentire oggi. Che palle. Questa cosa mi preoccupa. Ma sono MTR, eh eh! Come per il viaggio in auto, la prima parte nasconde i giganti e ci fa ripiombare nei timori, poi quando ci riappaiono loro, ancora più vicini, la mente mette il turbo.
Da qualsiasi parte voltiamo lo sguardo, seracchi, seracchi, seracchi. E scaricano, porca vacca se scaricano. Dopo i primi 5-6 frastuoni ci facciamo l'abitudine, cercando di vedere dove sia la caduta di ghiaccio e pietre, invano spesso. Ma i primi ci fanno accapponare la pelle. Anche in virtù della considerazione del caldo che deve fare.. Ergo, neve pappa, ergo fatica tanta!
Gianluca e Riccardo ci indicano i monti intorno a noi alla pausa al Rifugio Mezzalama dove mangiamo e beviamo qualcosa. Speravo fosse aperto per prendere una coca cola digestiva, ma niente. Poi si riparte, lasciando la cresta della morena (che ghiacciaio che doveva esserci una volta) per le rocce e le chiazza di neve..bagnata. Davanti a noi in alto un altro gruppo sale, dietro di noi nessuno.
Dopo esser scivolati abbondantemente sulle roccette ghiaiose burrose prima delle corde fisse, arriviamo al Rifugio. Ora non si torna indietro. Entriamo, e succede subito il patatrac: Riccardo perde gli occhiali. Li appoggia sul bancone per firmare, si allontana due minuti, e non ci sono più. Li cerchiamo tutti per un'ora, niente. Come farà domani? C'è da diventare ciechi con questo riverbero! Fortuna che davanti a una birra ispiratrice mi sovviene che con me ho la maschera da sci! Siamo mezzi salvi..
E come sempre prima di cena, si discute con le altre persone che trovi al rifugio: che fate domani, che itinerario, notizie sulle condizioni, ecc. Siamo noi, due spagnoli, un gruppo di 4, e 26 del CAI di Biella per un corso di alpinismo. Ora c'è da decidere: partiamo tutti insieme per alternarci sulla traccia, o cerchiamo di partire per primi per evitare traffico? Immaginerete già cosa decidiamo..
Il rifugio è accogliente, caldo (forse troppo), la cena discreta (forse il mio malessere pomeridiano mi si trascina dietro ancora..). Dopo cena vorrei aspettare il tramonto per fare qualche foto, ma c'è da spettare troppo, andiamo a letto. D'altronde Marco è uno straccio, e te lo credo: ha fatto il turno di notte. Io riesco a dormire abbastanza, gli altri non so. Alle 3e30 la sveglia suona, è ora di essere carichi di spirito! “Riccardo, apri la finestra e dai un occhiata” “Mamma mia che cielo”, evviva. Solo in seguito mi dirà che durante la notte ogni volta che si svegliava guardava i vetri e li vedeva annebbiati: pensava già “ma schifo di tempo, che cazzo facciamo domani?!”, poi al mattino dopo aver aperto capì che la nebbia che vedeva era la condensa dei nostri respiri sul vetro..
È ora di partire, dopo la colazione ci vestiamo da capo a piedi, ora si che gli zaini son leggeri. Le cordate, per cercare un po' di equilibrio sono io con Gianluca e Riccardo con Marco. La luce notturna sul ghiacciaio è una favola, che spettacolo. E presto albeggia, si vede il Gran Paradiso che pian piano diventa rosa, poi bianchiccio, poi soleggiato. Sono sempre emozioni queste. Come previsto siamo partiti per primi, perciò siamo soli. Ma c'è una traccia evidente che possiamo seguire per stare tranquilli, in mezzo a questi, seppur distanti, giganti seracchi.
Cra cra, i ramponi mordono bene, le condizioni sembrano buone, speriamo che tengano se dopo vogliamo farci anche il Castore: meglio fare prima il Polluce, finché la cresta è tutta per noi! Si ride e si scherza, anche se si sentono i fiatoni. Fischietto, anche se oggi non ho una canzone ispiratrice in particolare. Sali sali e ti senti sempre più piccolo, sempre più in soggezione. Sempre più vivo.
Avrei voluto salire per lo scivolo, ma quello che ci ha detto l'autista della jeep mi ha spaventato un po'. Attacchiamo la cresta, probabilmente troppo presto, avremmo dovuto prendere il canalino di neve più avanti che saliva più in alto. Ma va bene, sul misto c'è da allenarsi e prendere confidenza. Salendo su queste rocce a volte instabili, altri giganti appaiono: i Lyskamm, la cui traversata è sul taccuino dei progetti. Appaiono anche le altre cordate sul ghiacciaio, come formichine percorrono in fila indiana.
La cresta ci porta via un sacco di tempo, e ci rende inquieti perché tracce non ce ne sono, non ci sono percorsi obbligati, e abbiamo poca esperienza su questo terreno. E infatti quando arriviamo ai canaponi, ci arriviamo trovandoceli alla nostra destra, mentre le relazioni dicono a sinistra.. Va beh, siamo arrivati, questo è l'importante. Penso già che sarebbe meglio scendere per lo scivolo. I canaponi non sono nemmeno così comodi: da stringere sono veramente oni, e c'è da tirarsi su bene, anche perché un po' di verglass rende difficoltoso fidarsi dei piedi. Non parliamo di quello scellerato di marco davanti a noi, che ci scarica addosso di tutto! Ma ci vendicheremo sul Castore..
E arriviamo alla Madonna, altro panorama che si apre, ma la visione della cresta finale per la cima ci fa dimenticare le foto e partire. Gianluca accusa il colpo, dice di esser stanco..mmm, dai forza! E così, è cima. (qui video di Riccardo, ultimi metri e panorama) Polluce, giornata strepitosa, un po' di vento, ma è normale, sole, nessuna nuvola (tranne che sul Bianco), Weisshorn, Zinalrothorn, Dent Blanche, Lyskamm, Dufour, tutti li davanti ai nostri occhi. Qualche momento di ammirazione. Più di qualche momento. Torniamo alla madonna, mangiamo qualcosa e giù per lo scivolo. La mia idea è stata ben accolta, e scendiamo dritti dritti giù: meglio non tagliare il pendio se il Jeepista ha detto che è una lastra!
Siam giù, e Gianluca ribadisce di esser stanco. Sono onesto, inizio a preoccuparmi, perché il Castore è li e vorrei davvero salirci su, ma siamo in cordata insieme, e la dura legge della montagna è che si torna indietro se uno non ce la fa. Cerchiamo di motivarlo, e riusciamo a proseguire fino al Passo di Verra. Mii che sole, ci si cuoce! Che bella sensazione.. Gli opposti, sei su un ghiacciaio, e hai caldo. Niente da fare, al Passo di Verra Gianluca dice basta, “vi aspetto qui, oppure sento un'altra cordata se posso legarmi con loro e scendo con loro, ci vediamo al rifugio”. “sicuro? Mi dispiace, ma se vuoi torno giù con te” “ no no”. Grazie Gianluca.
E così, la cordata diventa da tre, ed è la stessa del battesimo alpinistico: la traversata Vioz Cevedale, la prima alpinistica in completa autonomia che abbiamo affrontato. Quanti ricordi. Forza su, la cresta del Polluce poteva presentare difficoltà tecniche, qui c'è solo da salire, gamba e polmoni. Ma siamo abbastanza stancotti, e numerose brevi pause intervallano la salita. Salita che dopo un primo momento sotto un sole cocente, poi passa all'ombra (con una bella transizione del sole che scompare dietro la cornice), e si fa fresca: ma la sudata scalda, eccome!
Incontriamo un ragazzo istruttore del CAI di Biella che scende con la sua cordata, e gli chiediamo se c'è qualcuno che abbia posto nella sua cordata per prendere su Gianluca, che vediamo ormai come un puntino laggiù. Ci dice che loro qui sono full, ma sta scendendo una cordata a due, istruttore e allieva (guarda te che culo Gianluca, anche un'allieva!), che ci penseranno loro: grazie! E infatti più su li troviamo, e ci danno risposta positiva: così siamo più tranquilli.
Eccoci, manca davvero poco adesso. Siamo sotto la crepaccia terminale, poi c'è la crestina finale, corta ma aerea. Adesso sì che ci sono le difficoltà tecniche, ma ci fanno un baffo, la frenesia è alta. Riccardo supera la crepaccia, poi passa sul ripido, una ventina di metri. Io lo seguo a ruota, poi tocca a Marco: avremmo potuto sciogliere le bambole e salire distaccati, ma di fronte a questo spettacolo non ragioniamo più. E la crepaccia non scherza, parecchio coperta da ponti, ma la cui solidità è meglio non testare. E la profondità? Mah..
Poi si sbuca. Come uscire da un uovo, ti appaiono i Lyskamm. E tutte altre cime. Ghiacciai estesi, seracchi, neve. Se non avessi gli occhiali mi strofinerei gli occhi per appurare non sia un sogno. Mi giro a destra, c'è la cresta e la cima. Dai che ci siamo, è fatta! Lo spazio per due piedi c'è, si riesce anche a piantare la picca, ma come precipita da una parte e dall'altra è notevole.
Ed è cima, 4221m, il punto più alto mai raggiunto da tutti e tre. Che spettacolo. Il Cervino è la, il Bianco si concede, spazzando via il cappello che lo avvolgeva da stamattina. Il Polluce sembra piccolino in confronto, in cima a lui alcune cordate del CAI di Biella, una foto gliela devo fare, viene davvero bene. Ripeto, che spettacolo, giornata stupenda, condizioni buone, visibilità ottima (non pretendo di vedere il Cusna!) e compagnia eccellente. Perfetto. Praticamente ci siamo giocati il jolly 2012. L'anno scorso fu sul Bishorn, primo 4000 per Riccardo, il mio primo in autonomia, una giornata spaziale. Adesso temo per la Barre des Ecrins, voglio una giornata come questa!
Foto di rito, video (venuto male però, perciò non lo pubblico), ci godiamo questa impresa.
Poi scendiamo da dove siamo arrivati, e scatta il momento commozione. Sento le lacrime sgorgare dolcemente e lentamente dagli occhi. Questa sensazione mi mancava. E già mi manca, voglio ripetere questa giornata. Ho fame, ho appena finito un piatto di spaghetti, ma ho già visto quanto sia imbandita la tavola. Forchetta e coltello cameriere!
Per scendere adesso è meglio fare le cose serie. Smolliamo le bambole e caliamo Marco. Arrivato alla crepaccia gli finisce un piede nel vuoto, e noi sentiamo odore di..avete capito. Ma gli va bene, resta ancorato con gli altri tre arti. Si fa la piazzola e poi tocca a me. Arrivo alla crepaccia e penso bene di passare più a sinistra. Già perché a furia di bufali questo ponte è stato ben utilizzato, ed è visibilmente provato. Ottima scelta, scivolo, finisco per fortuna con il culo sulla neve che fa da bordo, ma con le gambe dentro. Riccardo sentendo la corda tirare all'improvviso si è correttamente lanciato all'indietro, ma ridendo come un matto (mi svelerà in seguito)! D'altronde sono due anni che dico “calatemi in un crepaccio”. Metto subito la gamba sinistra fuori, restando a cavalcare la neve che fa da spartiacque tra il pendio e l'abisso. Vorrei una foto, ma Marco si rifiuta, e io non voglio stare qui a lungo in bilico. Poi Riccardo, guidato dai nostri consigli, scende senza problemi.
Poi è tutta una corsa tirando giù dritto per dritto, lanciando a Marco (che è il primo di cordata adesso) tutto lo scibile in fatto di palle di neve, ghiaccio, pezzi di crosta. Avvicinandoci al Passo di Verra, dove abbiamo lasciato Gianluca, vediamo qualcosa di scuro. Avrà dimenticato qualcosa. Ma come si fa a dimenticare qualcosa di scuro sul bianco della neve? Mah, è uno zaino? Maledetto! Dai, avrà avuto i suoi motivi. No, è uno zaino ma non è suo, fiuuuuu.
E si apre così il picnic al Passo di Verra. Manca la grigliata sì, ma lo spirito c'è tutto. Ragazzi che giornata. Una lunga pausa poi scendiamo di nuovo (legandoci bene adesso), sappiamo che triturata di palle ci aspetta fino a dove la jeep ci può prendere. E quante ore di auto da Saint-Jacques a Carpi! In più si sta annuvolando, vuoi dire che il jeeppista avesse ragione? C'è comunque che sono 8 ore che siamo in giro..
Arriviamo al rifugio, dove Gianluca ci accoglie chiedendo come sia andata, risposta scontata. Poi realizziamo l'ultima fatica della giornata: trovare un posto sulla jeep a un orario decente. Già, perchè visti i 26 di Biella, gli 8 posti della jeep, i 40-60 minuti tra un carico e l'altro, si rischia di aspettare tre ore, ergo arrivare a casa dopo le 22e30!
Invece andrà meglio del previsto, discesa triturapalle sulla cresta della morena, ma una volta arrivati al Ppian di Verra Superiore aspetteremo relativamente poco prima di poter salire sulla jeep, anche perchè ci concede di salire in 9 per viaggio, grazie anche alle insistenze del CAI di Biella. A loro porto una giacca che hanno dimenticato al rifugio, e una ragazza di loro porge gli occhiali da sole di Riccardo a lui stesso: ci vorrebbe la musica della Carrà! Giornata coronata da queso ritrovamento, che culo.
Giornata fantastica, faticosa sì, ma deve esserlo, nessuna conquista è tale se non la si suda. E se l'appetito vien mangiando..non dico altro!

Special thanks to Nicola, che grazie alla sua bontà mi ha prestato la sua macchina fotografica.
Qui  altre foto.
Qui il report.
qui video di Riccardo, ultimi metri verso il Polluce e panorama

domenica 10 giugno 2012

Mangiati dalle nubi e dal vento, anello Pizzo d’Uccello


Come da un po’ a questa parte la meteo del weekend lascia a desiderare (va detto però ch quest’inverno ci ha concesso gran giornate!): oltre il Po meglio non andare, Marco suggerisce le Apuane, e così sia. Una bella visitina al Pizzo d’Uccello, il cervino delle apuane, per ammirarne e sognarne la nord.
Timoroso di patire un caldo infernale anche se ventoso, nello zaino metto pochi vestiti, e di acqua invece tanta. Ma giunti al Passo del Cerreto, dopo aver ammirato una splendida alba abbracciare la Pietra di Bismantova (ahimè le foto, ma si stava guidando!), inizio a temere che le previsioni..uhm. Siamo nelle nubi, un vento cinghiale, 11 gradi. Cambio guidatore che Marco è cotto, ne approfitto per una pisciatina, che vento cazzo!
Il giro del Pizzo lo si può fare sia da Ugliancaldo che da Vinca: da Vinca è un po’ più corto e non si attraversano cave. In più consente di tenersi la ferrata e la cima per ultime, e se ci fosse tempo avrei studiato un percorso tritura gambe aggiuntivo. A Fivizzano discutiamo sul da farsi davanti a un caffè (una piazza, tre bar in 10m di perimetro), perché anche le Apuane sono grigio nuvola: “ormai siam qui, andiamo”.
Parcheggiamo a Vinca stringendo subito amicizia con un vispo cane, e con un padrone un po’ strano ma gentile che ci lascia parcheggiare di fronte casa sua (paesino del medioevo Vinca, senza parcheggi!). Partiamo con la sensazione che ogni passo potrebbe essere l’ultimo: no, non andiamo in un campo minato, è il cielo che è minato! E ci mettiamo il pile! Mii che freddo sto vento! E il sole, manco a sognarlo. Si parte divincolandosi tra i vicoli del paese, destra, sinistra, dritto, si cambia direzione ogni 10m, ma tutto ben segnato. Finché non abbandoniamo il paese per entrare nel prebosco: ovvero una confusione di sterpaglie, rose e ortiche che mi accarezzano le gambe nude, e che Marco schiva con l’assetto “calzino fino al ginocchio, da Comici”.
Nel bosco tira un po’ meno vento, o meglio, non riesce a entrare. I castagni sembrano avere mille anni, tronchi caduti paiono avere le forme di animali da fiaba (oppure Marco è già sbronzo? Può darsi), e il cigolare degli alberi al vento ci conferma due cose: uno, tira vento, due, sono vecchi. Dopo una partenza spinta, il sentiero si addomestica e sale a zigo zago. Poi i castagni finiscono di colpo e siamo in mezzo a pini altissimi e coi rami solo in alto. Delle giraffe spoglie alla base. Che bel posto. Ma dobbiamo prestare attenzione alla caduta pigne! Nella prima parte sono grosse come un pugno, poi diventano più piccine, ma comunque meglio evitare..
Man mano che si sale il vento si sente sempre di più: soffia dal mare, perciò questo versante del Pizzo è il più esposto, non vedo l’ora di passare dall’altra parte. Ma arrivati al passo..un cartello dice "sentiero Zaccagna chiuso, cavo scollegato in alcuni punti". Ci guardiamo in faccia, “andiamo a vedere”, e che, vento non mi va, poi questo è un sentiero attrezzato, che vuoi che sia! Scendiamo subito ripidi su un fondo infimo, fogliame, terra smossa, pare un continuo terreno di riporto da frana..
Perdiamo velocemente quota, e penso a chi sale da qui d’estate, che sudata.. Poi appare il cavo, in mezzo all’erba: mah! Gran parte dell’attrezzato è così, in mezzo all’erba col cavo a fare da corrimano, i pezzi un po’ rischiosi sono pochi, e lo sono più per un fondo disconnesso che altro. Andrebbe un po’ sgaggiato, come si suol dire.
E appare il paretone, che ci sovrasterà per tutta la percorrenza di questo sentiero. Lo vediamo solo nei tratti fuori dal bosco, ma è davvero imponente.. E quella Oppio, è lì lì per entrare negli obiettivi prossimi! Due uccellacci litigano tra loro in alto, secondo Marco si stanno contendendo le nostre future carcasse. Un tratto boscoso senza traccia ne segni ci mette un po’ in difficoltà, di orientamento ma non solo: sembra di essere su un pendio nevoso marcio talmente il fondo non regge! Arriviamo poi alla scala finale, e al cartello delle foto sceme.
Via ora verso la ferrata! Speriamo sia bella! Di certo trafficata, su web ieri sera ho visto che ci sono due CAI che oggi la faranno, e dalle voci almeno uno sembra essere in parete: e infatti. Poco male, ne approfittiamo per uno spuntino alla base. Poi di corsa su! Sì perché alla fine la percorremmo tutta senza legarci, e data la caratteristica di essere praticamente tutta gradinata e facile, ce la beviamo. Sempre continuando ad ammirare la nord del Pizzo..che però mette il cappello. Iniziamo anche a sentire qualche goccia, ma poco male, fatta la ferrata l’acqua si può anche prendere, pazienza.
Senza aspettare partiamo alla volta dell’attacco della via normale di salita, la cresta sud-est. Vedremo com’è, mi preoccupa solo un po’ l’orientamento: non dovrebbe essere segnata, e se finiamo dentro le nubi.. Con questi pensieri si percorre il sentiero apuano che porta al giovetto: un single track a piedi, scosceso dall’altra parte (“se metti il piede in fallo, espulsione diretta!”) e coi terrazzini d’erba sotto vuoti.. E qui si ricomincia a essere preda del forte vento che tira dal mare.
Ma arriviamo al giovetto, e la salita al Pizzo sembra già spettacolare. Tira un vento selvaggio, osservo un alberello alberello che da quando è nato deve essere stato ben soggetto a queste raffiche! Ormai è deciso, ci si prova a salire, anche perché di gente su ne sta salendo, dietro ne arriva altra, perciò non deve essere cosi complicato. Marco si veste, io aspetto, tanto c’è ancora da sudare. E via verso la parte più bella della giornata.
Una roccia bianca che acceca quando quei rari raggi di sole la colpiscono, pulita, delicata. Si cammina un po’ sulla normale, ma si usano anche le mani per qualche semplice passaggio di arrampicata, ma delicato, perché scivolare qui..si finisce in giù. Un paio di passaggi da gatto tra due torrioni, e il gioco continua. Crestina finale esposta e panoramica (sì, quando un panorama da vedere c’è!) e siamo su. Ma prima di salire in cima mi fermo ad aspettare Marco, devo fargli una bella foto su questa cresta.
Cima! Ma dov’è la croce??? L’avevo vista in qualche foto.. Mi guardo intorno, che sia un’anticima? No no, non mi pare, poi la gente sta qui. Bah. Ah ma ecco, c’è il libro di vetta e la scritta su un sasso. Ed è ora del Twix di vetta e di qualche foto, appena le nubi se ne vanno, ma prima un filmato in cui le nubi ci schiacciano. Firmo il libro di vetta, come al solito non so che scrivere, ma ben presto trovo l’ispirazione pensando alla mia terra fratturata.
Marco dice “bon, adesso possiamo andare con calma, tanto che oggi prendiamo l’acqua è garantito!”, ma cerco comunque di scendere agile, un po’ per non prendere sto vento maledetto, un po’ per disarrampicare su roccia asciutta! Ma tutto procede senza umidità concentrata in gocce.. Arriviamo così al pratone del passo Foce di Giovo, dove trovare un posto riparato non è semplice: e infatti non ci riusciamo. Si mangiucchia qualcosa, si slacciano le scarpe, ma..si fa poi presto a rimettersi in riga appena sentiamo gocce sempre più numerose. E il Pizzo scompare, avvolto dalle nubi.
Scesi di pochi metri il vento si sente molto meno addosso, ma lassù come infuria! Si sente il rumore da qui! Una passeggiata tra i prati, poi ci si addentra nel bosco di pini, dove ben due pigne colpiscono marco, che però ancora porta il casco! Beh, chi le ha lanciate non l’avrebbe fatto se il mirato non fosse stato protetto! Poi castagni, anche questi secolari, che spettacolo. Ma che timore quando se ne sentono cigolare sotto la forza del vento, fuggi fuggi da qui, altro che pigna in testa!
E con un altro giretto tra i vicoli di Vinca, la giornata finisce. Rispetto a come eravamo partiti, finisce strameglio del previsto, niente pioggia e temporali, tutto bene! Immancabile birretta al bar, e si ritorna per il passo del Cerreto. Memore dei programmi dei biker della bassa, sento Samantha se sono in giro al passo, magari ci si becca, ma nulla. E invece, sotto al Ventasso, Marco mi sveglia dal mio torpore con un “ma quella è la Samantha”, retromarcia e toh, son loro davvero. Incontri fortuiti!

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